L’ALTRA EPIGRAFE - DI LOCALITA’ “TORRICELLO” IN AGRO DI SCAMPITELLA - L’EPITAFFIO DI EPOCA IMPERIALE DEDICATO AD UN FONTEIO MARCELLINO - Prof. Rocco De Paola

L’ALTRA EPIGRAFE
DI LOCALITA’ “TORRICELLO”
IN AGRO DI SCAMPITELLA
L’EPITAFFIO DI EPOCA IMPERIALE
DEDICATO AD UN FONTEIO MARCELLINO
A cura del Prof. Rocco De Paola
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     Il mulino del sig. Lisi, che trovavasi nell’Ottocento nella località denominata “Torricello”(1), in agro di Scampitella, all’epoca contrada di Trevico, ci è noto per almeno due epigrafi murate nel “muro di prospetto”(2) di quell’edificio.

     Una di esse fa riferimento ad un certo Luccius Rupilianus(3), l’altra ad un Fonteius Marcellinus, probabilmente morto in giovane età, come si deduce dal testo della dedica della madre Fonteia Ianuaria. Ancora una volta siamo debitori al canonico trevicano Andrea Calabrese se oggi possiamo avere contezza della esistenza di quegli antichi cimeli che serbavano memoria di taluni atavici abitatori delle nostre contrade.

Quel dotto sacerdote, infatti, ebbe l’avvedutezza di trasmettere queste ed altre numerose scritte, scoperte nei paesi contermini, all’Istituto allora diretto da Teodoro Mommsen. L’anno in cui esse furono proposte all’attenzione dello studioso tedesco, come è riportato nelle note del Corpus Inscriptionum Latinarum, è il 1875. I testi delle due epigrafi erano state tràdite a Calabrese da un suo amico di cui si ignora il nome(4). Questa circostanza non inficia certo l’attendibilità della scoperta degli epitaffi se quell’autorevole Istituto non oppose riserva e non ebbe alcuna remora nell’accogliere le iscrizioni come autentiche, inserendole in quel prestigioso repertorio che lo ha reso famoso nel corso del tempo e che ancora oggi è riferimento imprescindibile degli studiosi di tutto il mondo. L’epigrafe in oggetto riportava le seguenti parole:

    D . M
FONteIO . MARC
ELLINO . FONTE
ia . IANUARIA . FI
LIO . DVLCISSI
MO . B . M . P

La resa in lingua italiana è la seguente: “Agli Dei Mani – A Fonteio Marcellino - Fonteia Ianuaria al figlio dolcissimo benemerito (o di onorata o di felice memoria) pose”.
Come per l’epigrafe gemella relativa a Luccio Rupiliano, non abbiamo ulteriori elementi circa la conformazione del cippo sepolcrale, né, tanto meno, notizia alcuna sulla morfologia del supporto lapideo. Inoltre, non disponiamo di una sia pur minima informazione sulla forma e sulla grandezza dei caratteri della scritta, che sicuramente sarebbero state di ausilio nella determinazione dell’epoca di composizione del monumento funebre. Dobbiamo, quindi, trarre tutte le possibili inferenze esclusivamente dall’analisi approfondita del testo pervenutoci.
La sigla iniziale D M (Dîs Manibus) comincia ad essere utilizzata dal secolo I d.C. per poi scomparire verso la fine del III secolo o all’inizio di quello successivo(5). Il destinatario dell’epigrafe è Fonteio Marcellino e la lapide fu commissionata dalla madre Fonteia Ianuaria che la dedica al figlio, definito, con termine di certo dettato da profondo affetto materno, come “dulcissimus”. Ovviamente si tratta di un attributo piuttosto usuale in particolari circostanze luttuose, eppure è lecito scorgere in quel termine tutto il cordoglio e l’amore della genitrice per il figlio prematuramente scomparso. Anche la sigla finale (B . M . P) ricorre di frequente negli epitaffi e si è conservata nel tempo, giungendo fino a noi, come è agevole costatare su talune lapidi dei nostri cimiteri. Il nome del giovane defunto ci consente di fare alcune preliminari osservazioni. La sua appartenenza alla “gens” Fonteia ci fa intendere che era membro di uno dei casati più importanti dell’antica Roma. Anche la madre, per una curiosa coincidenza, si chiamava Fonteia, per cui i due sono, evidentemente, legati da un vincolo di parentela o, piuttosto, da una comune situazione giuridica, essendo, forse, ambedue degli affrancati. Tuttavia, essendo essi titolari di cognomi appartenenti a famiglie cospicue, una tale congettura sarebbe da escludere(6). Il nome e il cognome del defunto sono riportati al dativo, assumendo così il valore di una vera e propria dedica, in quanto assimilato agli dei Mani di quella famiglia.
L’iscrizione, pertanto, va collocata in un periodo più tardo rispetto ad analoghi epitaffi con gli estremi del defunto al nominativo e, successivamente, al genitivo, in raccordo con l’ “adprecatio”(7).
La “gens Fonteia”, di estrazione plebea, originaria di Tusculum(8), faceva parte dell’aristocrazia di quel “municipium” e poi si sarebbe trasferita a Roma. La sua presenza nell’Urbe è attestata verso la fine del III secolo a. C. con un certo Tito Fonteio, legato di Publio Cornelio Scipione durante la Seconda Guerra Punica. Tra i vari cognomina che distinguono i Fontei, quello che emerse tra gli altri è il cognomen “Capito”, che annovera diversi magistrati monetali e numerosi consoli. Almeno tre furono i magistrati monetali di quella famiglia(9), C. Fonteius, magistrato monetale negli anni 114-113 a.C., Mn. Fonteius C. f., magistrato monetale nell’anno 85 a. C. e P. Fonteius P. f. Capito, magistrato monetale nell’anno 55 a. C. Della famiglia dei Capitone colui che ha acquisito maggiore notorietà è sicuramente C. Fonteio Capitone, consul suffectus nel 33 a. C.(10), che fece parte della delegazione, composta da Mecenate , Orazio e Lucio Cocceio Nerva, alla quale Ottaviano aveva affidato una delicata missione diplomatica per cercare di comporre le controversie che erano sorte con il rivale Antonio. Il viaggio da Roma a Brindisi, avvenuto probabilmente nella primavera del 37 a. C., fu magistralmente descritto da Orazio nella Va satira del libro I dei “Sermones”.

In quella circostanza, la sosta presso la “vicina Trivici villa”, di cui parla Orazio, potrebbe essere avvenuta proprio presso la dimora, prossima a quella località, di un congiunto di Fonteio Capitone(11), anche in considerazione del fatto che altri Fontei sono attestati nella zona, come si rileva da un cippo funerario a baule rinvenuto a Serro Martino, poco distante dal casello autostradale di Vallata(12).
Altri nuclei familiari appartenenti a quel casato erano stanziati in località non molto distanti, a Venusia(14), paese di origine di Orazio, e a Villamaina(15), come è chiaramente documentato da talune scritte ivi rinvenute. La conclusione ovvia è che i Fontei che si erano insediati nel territorio corrispondente alla “Regio II Augusta”, che comprendeva l’antica Apulia, erano abbastanza numerosi e, quindi, la loro presenza in quella contrada di Scampitella non può essere revocata in dubbio.

Anche il “cognomen” del defunto, “Macellinus”, derivato da un patronimico di Marcellus, era abbastanza noto ed ebbe illustri rappresentanti. Publio Cornelio Lentulo Marcellino, figlio di M. Claudio Marcello, fu probabilmente adottato da un Cornelio Lentulo, assumendone il nome. Ricoprì la carica di magistrato monetale nell’anno 100 a. C. Cicerone ne parla come di un oratore particolarmente dotato di eloquenza(16). Figura come luogotenente di Pompeo nel 67 a. C. nella guerra contro i pirati(17). Il di lui figlio Gneo Cornelio Lentulo Marcellino si distinse per particolare zelo nel sostenere le lagnanze dei Siciliani conseguenti alle malversazioni operate da Verre durante il suo mandato come propretore in quella provincia dal 73 al 71 a.C.
Nel 61 a. C. sostenne l’accusa contro Clodio, imputato di aver violato i misteri della Dea Bona(18). Da pretore presiedette il processo contro Gaio Antonio, collega di Cicerone nel consolato. Fu egli stesso console nel 56 a. C. ed oppose una tenace e vigorosa resistenza contro le violenze delle opposte fazioni di Clodio e del tribuno Gaio Catone.
Forse anche per aver aiutato Cicerone a recuperare i beni e la casa, che gli erano stati confiscati, fu dall’eccelso oratore esaltato come uno dei migliori consoli di cui si avesse memoria(19). Un altro Cornelio Lentulo Marcellino, dal prenome incerto, probabilmente figlio del precedente Gneo Cornelio, fu questore nell’esercito di Cesare nel 48 a. C. Preposto alla difesa del vallo trincerato di Dyrrachium (Durazzo), fu duramente sconfitto dalle truppe di Pompeo e fu salvo solo per il tempestivo ausilio da parte di Marco Antonio(20). Un suo omonimo fu console nel 38 a. C. e forse anche magistrato monetale(21). In età imperiale molti personaggi con il “cognomen Marcellinus” ebbero un ruolo nelle vicende spesso tumultuose di quel periodo storico. Un Marcellino, dal “praenomen” incerto, Aurelius oppure Iulius, fu associato al consolato dall’imperatore Aureliano nell’anno 275 d. C. Un altro Marcellino, primo ministro dell’usurpatore Magnenzio, fa la sua apparizione nelle cronache istoriche nel 340 come “Prefectus Orientis” ed è con tutta probabilità lui il console dell’anno 341 citato nei Fasti Consulares di quell’anno. Sarebbe morto nella grande battaglia di Mursa del 351 d. C. Altro protagonista della storia del Basso Impero, che si avvia verso il definitivo declino, fu un generale romano di nome Marcellino o Marcelliano, non privo di capacità politiche e militari, che riuscì a costituire un proprio principato autonomo nell’Illiria verso la metà del V secolo, mantenendone il possesso dal 454 d. C. al 468, anno della sua morte avvenuta forse per ordine di Ricimero(22). Giulio Nepote sarebbe subentrato allo zio nel governo di quella regione e, per il prestigio di cui godeva e per le indubbie capacità, nel 474 fu designato imperatore di Occidente da Leone I, imperatore d’Oriente. Fu, poi, deposto nel 475 dal suo “magister militum” Oreste che impose al soglio imperiale il figlioletto appena adolescente Romolo Augustolo, a sua volta deposto da Odoacre, re degli Eruli. Con questo atto formale calava il sipario sull’Impero Romano d’Occidente.
Marcellino papa, XXIX vescovo di Roma, è una figura storicamente controversa. Da taluni fu accusato di abiura, avendo, durante la “Grande Persecuzione” di Diocleziano, offerto incenso agli dei per pura codardìa. Da altri, invece, venne la riabilitazione postuma, ritenendosi che, contrito di quell’atto ignominioso, avrebbe impavidamente subito il martirio. Una doverosa citazione merita lo storico Ammiano Marcellino, vissuto nel IV secolo, forse di origine siriana ma di certa formazione classica nel contesto di un ambiente culturale ellenofono, che nella sua opera, pervenuta mutila, denota una visione ampia degli avvenimenti narrati ed una certa imparzialità, pur se lo stile è piuttosto mediocre, conforme alla retorica delle scuole. Ad una visione realistica della rappresentazione storica(23) fa da contrappunto una certa allusività, forse come messaggio criptico diretto ai potenti a lui contemporanei(24). I Marcellini figurano in varie località della II e della IV regione che comprendevano la Calabria, allora corrispondente, grosso modo, al Salento, l’Apulia, il Sannio, la Sabina ed il Piceno. Due epigrafi sono state rinvenute persino nel lontano Noricum(25), l’odierna Austria, e nella Mesia superiore(26), l’attuale Serbia. Nella località di Celeia, oggi Celje in Slovenia, un certo Marcellino Avito dispone che il luogo di sepoltura potesse servire per sé e per i suoi, alcuni dei quali già prematuramente scomparsi, essendo la moglie morta all’età di 53 anni ed un figlio ad appena 12 anni, come si evince dall’epitaffio(27). Nella Regio II, in una località a noi prossima, a “Compsae sub atrio ecclesiae” un’epigrafe è dedicata a Ponzio Marcellino, della tribù Galeria, magistrato del collegio dei “quattuorviri iure dicundo”, ed alla moglie Oppia Ianuaria, da parte di uno o più figli, come si deduce dal “parentibus” in calce(28). A Sant’Angelo dei Lombardi, “in aedibus principis quae fuerunt nunc sunt carceris loco”, nel contesto dell’ “ager compsinus” , un M. Oppio Marcellino, personaggio eminente della tribù Galeria, padre di un senatore, “splendidus eques”, “curator complurium civitatium”, “princeps” della colonia di Eclano e patrono dei Conzani, dei Fratuentini e dei Neretini, da vivo fece (erigere il monumento funebre n.d.r.) per sé, per la carissima moglie Eppia Firmina e per il nipote Tetteo Marcellino(29). Ancora, nella medesima cittadina, “sub castello in aditu fori”, un P. Oppio Marcellino dedica un epitaffio alla carissima consorte Giunia Fortunata(30). Ad Aeclanum il coniuge Decius Marcellinus dedica un epitaffio alla moglie Lucrezia Lea (CIL IX, 1279), mentre a Bonito la dedica di M. Mummio Marcellino è diretta alla Augusta Giunone (CIL IX, 1098). A Beneventum i Marcellini erano piuttosto numerosi, come attestano le epigrafi ivi rinvenute. Un Verusius o Gualterus Marcellinus dedica l’epitaffio ad un suo congiunto di nome Fl. Cornelio Marcellino (CIL IX, 1579). Ad un Tanonio Marcellino, degnissimo compatrono, il popolo beneventano pose una lapide per averne alleviato le lunghe sofferenze (CIL IX, 1589)(31). A un Tituleio Marcellino è diretta la dedica della moglie Munazia Felicita che aveva con lui convissuto per diciotto anni (CIL IX, 1994). Una lapide più tarda, segnata da una croce, ricorda un Mamercio Marcellino morto a trentuno anni (CIL IX,2074). Altre iscrizioni testimoniano che quella famiglia era diffusa anche nella IV regione che comprendeva il Sannio. Epitaffi intestati a vari Marcellini si ritrovano a Telesia (CIL IX, 2299 bis), a Saepinum (CIL IX, 2534), a Terventum (CIL IX, 2600) e nell’ “ager Amiterninus” (CIL IX, 4383).
La mamma del defunto, che figura come dedicante nella epigrafe di cui stiamo trattando, come già rilevato, aveva lo stesso “nomen” del figlio, ovviamente al femminile (Fonteia). Il “cognomen” Ianuaria compare in Apulia, in Calabria, nel Samnium, nel Picenum ed in Sabinia in ben 41 iscrizioni, mentre l’equivalente maschile è presente con 40 citazioni(32), a riprova della capillare presenza dei componenti di quella famiglia nei nostri territori ed in quelli finitimi. Tra l’altro, proprio a Trevicum sono documentati altri due personaggi, Elio e Marco di nome, con il cognomen Ianuarius(33), ignoriamo se parenti fra di loro o con la nostra Fonteia Ianuaria. Come e quando i due componenti della famiglia dei Fontei siano approdati in quella contrada di Scampitella è questione assolutamente irrisolvibile. E’ possibile solo avanzare qualche ipotesi sulla possibile datazione dell’epigrafe. Procedendo per analogia con altre scritte similari, si può, con ragionevole convincimento, affermare che l’epitaffio possa essere ascritto al II o al III secolo d. C. La mancata indicazione della tribù di appartenenza e l’assenza del praenomen di Fonteio Marcellino orientano e corroborano ulteriormente la nostra supposizione in favore della ipotizzata cronologia. La concessione della cittadinanza romana a tutti i cittadini dell’Impero (212 d. C.) rese superflua l’indicazione della tribù, che era il segno distintivo del cittadino romano, in quanto l’iscrizione ad una di esse era “condicio sine qua non” per poter partecipare ai “comizi centuriati” con diritto di voto. Inoltre, il primo elemento dell’onomastica romana divenne desueto in età imperiale, per cui l’usanza di riportarlo sulle epigrafi venne progressivamente meno e tale tendenza si generalizza in età severiana, durante il II secolo d. C.
Comunque, al di là di disquisizioni che potrebbero apparire puramente accademiche, resta la documentazione storica della presenza nel nostro territorio di antichi abitatori che hanno lasciato tracce importanti della loro esistenza. Nostro precipuo compito è quello di preservarli dall’oblio, custodendone il ricordo ad imperitura memoria.

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1) CIL, IX, n° 1408, “prope Trevicum contrada Scampitello (sic) nel mulino del signor Lisi nel Torricello”.
2) CIL, IX, n° 1407, “prope Trevicum contrada Scampitella nel mulino del signor Lisi nel muro di prospetto”.
3) Vedi il mio articolo “Di una epigrafe già in agro di Scampitella. Luccius Rupilianus. Chi era costui?” in www.vallata.org, sezione Cultura, Articoli.
4) Vedi le note in CIL, ibidem, “Andreas Calabrese canonicus Trevicensis misit Instituto a. 1875 acceptam ab amico”.
5) Giancarlo Susini, Epigrafia romana, Jouvence, Roma, 1997, pag. 101.
6) Per la complessa materia dei nomi degli ex schiavi affrancati vedi René Cagnat, Cours d’épigraphie latine, IIIe ed., Paris, 1898, pag. 79 e seg.
7) Idem, ibidem.
8) William Smith, A Dictionary of Greek and Roman biography and mythology, London, Taylor, Walton, and Maberly, John Murray, M.DCCC.XLIX, vol. II, alla voce “Fonteia gens” pagg. 179-180.
9) I “IIIviri monetales aere argento auro flando feriundo” erano dei magistrati con compiti esecutivi preposti al controllo della coniazione delle monete. Su di esse era riportato il nome dei magistrati monetali, così denominati da Giunone Moneta presso il cui tempio, sul Campidoglio, si trovava la sede del loro ufficio. L’epoca della istituzione di quella magistratura è incerta. Confrontando un brano di Pomponio (De originibus juris, 1,2,2,30) con un passo di Tito Livio (Epitome, XI), l’istituzione del triumvirato monetale risalirebbe all’anno 289 a. C., ma tale datazione sarebbe inattendibile, secondo Babelon. (Vedi: Ernest Babelon, Description historique et crhonologique des monnaies de la République Romaine,tomo I, Paris, Rollin et Feuardent, 1885, Introduction, pagg. XXXII – XL).
10) W. Smith, op. cit., ibidem..
11) L’ipotesi è stata avanzata qualche anno fa dall’ins. Rocco Toto, Presidente del “Gruppo Archeologico” di Scampitella, in un articolo pubblicato su “Pagus” nel giugno 2007, pagg. 4 e 5. Tale supposizione potrebbe avere indiretta conferma in una lapide riportata da Pratilli e conservata, a suo dire, in un angolo del giardino dei frati Agostiniani di Arienzo, dedicata ad un certo Cocceio Marcellino. A pagina 391 del tomo IV della sua opera (Della via Appia riconosciuta e descritta da Roma a Brindisi, Napoli, MDCCXLV, per Giovanni Simone) si cita la seguente epigrafe: “D. M. S. / L. COCCEIO / MARCELLINO / …ERVM…/ AVRANIAE / CRESCENTIAE”. Lo stesso Orazio parla di una sosta della brigata a Caudio: “hinc nos Coccei recipit plenissima villa / quae super est Caudii cauponas”. Il nomen Fonteius e il cognomen Marcellinus del personaggio dell’epigrafe di Scampitella potrebbero far pensare a una qualche forma di parentela con Fonteio Capitone e con Cocceio Nerva, sia pure in forma indiretta con questi, per l’interposta persona di Cocceio Marcellino di Arienzo. Si tratta, comunque, di congetture che devono tener conto della diversa cronologia dei fatti in esame. Il viaggio della delegazione diplomatica sarebbe avvenuto nella seconda metà del I secolo a. C., mentre i personaggi, citati nelle epigrafi, potrebbero essere vissuti tra il I e il III secolo d. C. Nulla vieta, comunque, di ritenere che i progenitori di Fonteio Marcellino e di Cocceio Marcellino fossero già stabilmente insediati da tempo in quelle contrade.
12) Vedi il mio articolo “Sulle tracce della storia. Cippo funerario di età imperiale torna alla luce. Fortunosamente recuperato dopo oltre mezzo secolo di oblio”, WWW.vallata.org, Sezione Cultura, Articoli.
13) W. Smith, op. cit., ibidem..
14) CIL IX, n° 422. In una lista di nomi sotto la dicitura “BELLA FACTA A BELLO MASSICO” compare un C. Fonteius.
15) CIL IX, n° 1035. In una epigrafe mutila attestata da Dressel a “Villa Magna sive Maina in domo Duca S. Teodoro”, si legge: “T. FONTEI(us) / (Fe)LICISSIM(us) / V • A / SEVERO ET Q(uintiano) cos.”. Gneo Claudio Severo e Tiberio Claudio Quinziano furono consoli nell’anno 235 d. C..
16) Marco Tullio Cicerone, Brutus, 36,“Tum etiam P. Lentulus ille princeps ad rem publica dumtaxat quod opus esset satis habuisse eloquentiae dicitur…”.
17) William Smith, op. cit., pag. 935.
18) Durante i riti della Dea Bona, interdetti agli uomini e con la presenza di sole donne, che si officiavano il 4 e 5 dicembre dell’anno 61 a. C. nella casa di Cesare, allora Pontefice Massimo, Publio Clodio Pulcro, amante di sua moglie Pompea Silla, si introdusse furtivamente in quella dimora travestito da flautista. Scoperto, ne fu scacciato con ignominia per il gesto sacrilego. Pompea, in seguito allo scandalo, venne ripudiata da Cesare, che nella circostanza del processo intentato contro Clodio per il delitto di “incestus”, chiamato a testimoniare, ebbe ad esclamare che “la moglie di Cesare deve essere superiore ad ogni sospetto!”. Giovenale, con irridente ed irriverente sarcasmo verso il “Fondatore dell’Impero”, dirà nella sesta satira “…quae psaltria penem/ maiorem quam sunt duo Caesaris Anticatones/ illuc…intulerit”. Decimo Giunio Giovenale, Satire, a cura di Giovanni Viansino, A. Mondadori ed., 1990, vv.336-339, pag.232.
19) Marco Tullio Cicerone, “Epistulae ad familiares”, Ad Quintum Fratrem, II,6.
20) William Smith, op. cit., pag. 936.
21) Idem, ibidem.
22) Idem, ibidem.
23) Timothy David Barnes, Ammianus Marcellinus and the representation of historical reality, Cornell University, 1998.
24) Gavin Kelly, Ammianus Marcellinus the allusive historian, Cambridge, 2008.
25) L’epitaffio, custodito nel museo di Salisburgo dal 1804, databile al I o al II secolo d. C. riporta la scritta: “MARCVS ATT/IVS MARCELLIN/VS VET C(O)HOR II PR O/BIT AN XXXV MAR/CIVS MARCVS FRAT/ RI EX TES FAC CVR”. Marco Attio Marcellino veterano della II coorte pretoria morì a 35 anni Marcio Marco ebbe cura che si erigesse al fratello (questo monumento n.d.r.) secondo le disposizioni testamentarie. Epigraphic Database, Akademie der Wissenschaften, Heidelberg e CIL, III, 5596.
26) L’epitaffio, custodito a Kostolac, potrebbe essere cronologicamente datato dalla seconda metà del II secolo alla fine del III. Il testo, abbastanza mutilo, riporta la seguente scritta: “ [------]/ NVS E[T] G(AIVS) IVLI[VS]/ MARCELLINVS/ MATRI BMP”. In questo caso, due fratelli, di cui si comprende solo il nome del secondo, Gaio Giulio Marcellino, posero (una lapide n.d.r.) alla madre benemerita. Manca il nome della defunta. Epigraphic Database, Akademie der Wissenschaften, Heidelberg e CIL, III, 8136.
27) CIL, III, 5256, Noricum, Celeliae in foro: “ MARCELLiNVAVITI • V • F/ SIBI • ET SVIS • AVR • BASSINE/ CON • KAR • O • AN LIII • AVR • POTPE/NTINE • FIL•KAR • O AN XII”. L’epigrafe presenta delle particolarità, come la fusione di talune lettere ed i numeri segnati da una linea trasversale.
28) CIL, IX, 979: “ / PONTIO GAL/ MARCELLINO IIII/ VIR • I • DIC • ET • OP/ PIAE • IANVARI/ae PARENTIBUS”
29) CIL, IX, 1006 bis: “ D • PATER • SENATORIS • M/ P OPPIVS GAL MARCELLI/NVS • SPLENDIDUS EQUES R • P • N • P/PRON • P • ABN • CUR • CIVITATIUM/COMPLURIUM • PRINCPS • COL • AECLANENS (sic)/ PATRONUS • COMPS • FRATUENTINOR • NERETINOR/SIBI • ET • EPPIAE • FIRMAE • UXORI • KARISSIMAE/ ET TETTAEO MARCELLINO NEPOTI/ VIVVS FECIT”. La lapide sarebbe stata rinvenuta in territorio di Lioni.
30) CIL, IX, 1007, : “ D.M./ P • OPPIVS MARCEL/LINVS • IUNIAE • FORTUNATAE/SIBI • AMANTISSIMAE”.
31) Michele Arcangelo Lupoli (Frattamaggiore 1765-Larino 1827, letterato, teologo, archeologo e vescovo) in Iter venusinum vetustis monimentis inlustratum, Neapoli apud Simonios, MDCCXCIII) riporta un nome alquanto diverso, T. Avonio Marcellino, ripreso da Gruter, p. CCCLXXI.
32) CIL IX, Cognomina virorum et mulierum.
33) CIL IX, 1410: Trivici. “ELIVS • IANUARIUS”, in nota Antonius Terminius Contursanus apologia di tre seggi illustri di Napoli (Venetiis 1581) f. 28; CIL IX, 1411: “MARCUS IANUARIUS”, in nota Terminius l.c. Le due iscrizioni sarebbero state riprese, stando alla nota citata, dal testo di Antonio Terminio di Contursi, poeta ed umanista del XVI secolo.

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