Anonimo - BIOGRAFIA - Del degnissimo Cav. NETTA MICHELE

Ringraziamo il Prof Palumbo Giuseppe Vito che ci ha messo a disposizione parte del suo materiale, frutto delle sue ricerche personali.

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Biografia.

Del degnissimo Cav. Netta Michele.

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            Non punto per malignità o mal talento mi do la briga scriver un cenno biografico del Cav. Michele Netta, consigliere provinciale, sindaco, e presidente della Congregazione di Carità di Vallata, ma per sgannare le autorità amministrative che si han formato di lui un concetto ben diverso di quello che è in effetti; ed anche perché vedendo egli quasi come in un quadro i suoi precedenti dipinti, possa emendarsi, e mettersi per la dritta via del bene, del giusto, e dell’onesto.
            Egli il Netta è d’indole perversa, d’ingegno versatile, ambizioso, e per soprassèllo malvagio e crudele tanto, che può ben definirsi la peste del paese. Come tale presso la cessata dinastia fu proscritto da ogni ufficio. Per il che la sua ambizione si atteggiò ora a liberale, indi a repubblicano, da ultimo a legittimista, e si vide fin spargere lagrime e parole di dolore per la morte di D. Alfonso Borbone; ma nulla valsero le sue lagrime!!
            Caduto il governo borbonico, da una mano di faziosi mercenarii si fè gridare martire politico, e benchè codardo e vile fu scelto a capitano, comandante la Guardia Nazionale. Surto il brigantaggio, e con esso la legge eccezionale, convennero in quel di Vallata reggimenti di soldati per purgarlo di quei tristi che lo minacciavano a sacco ed a rubba. Comecchè il Netta fusse pessimo in ogni vizio, quando si trovava coi buoni era abilissimo a celare la sua scelleraggine. Allora pigliava altro aspetto e parlare come facea d’uopo, grave coi gravi, melanconico coi melanconici, piacevole coi piacevoli, modesto, buono in maniera, che uomini probi e cospicui furono presi all’inganno da essi. Quindi in un governo militare cercò guadagnarsi la benevolenza dei capi dei soldati, dando loro ospitalità nella propria casa, tollerando ingenti spese per trattarli lautamente, a fine di giovarsi dei loro favori nei rei suoi disegni a danno dei cittadini. Infatti vide l’ostacolo che gli era Gaetano Pelosi a salti sublime per sbarazzarselo solo d’intorno pensò farlo uccidere col favore della legge, coadiuvato dai suoi seguaci, a lui non inferiori in malvagità. Lo attaccò di complicità col brigantaggio, e di non pochi altri capi di accusa; essendo specioso il momorandum sottoscritto da lui e dagli altri ufficiali. Così credea spacciarsi per sempre dal Pelosi. Ma la divina provvidenza che aiuta gl’innocenti non esitò venire in suo soccorso; e quando credea afferrata la meta, la sentenza del Tribunale dichiarollo innocente, e così stampò in faccia dei denunzianti il marchio della vergogna e di falsi calunniatori.
            Ciò non bastò a strappargli dal cuore l’odio che aveva pel Pelosi; ma ad accrescerlo dippiù; quindi prese a denigrarlo presso le Autorità Amministrative e giudiziarie a segno da farlo ritenere per lo più efferato nemico delle istituzioni costituzionali. Sicchè il Pelosi stimò per lo suo meglio vivere da privato, quantunque il popolar suffragio l’abbia spesse volte chiamato a pubblico ufficio.
            La guardia cittadina composta di giovani bollenti per età e coraggio battè strenuamente i briganti sotto il comando del tenente Pasquale Stango.
            Il Netta non affrontò pericoli, ma si vide solo pel paese vestito in livrea far mostra di se; ciò non pertanto s’ebbe il petto fregiato della Croce di S. Lazzaro e compagno, ed il meritevole danneggiato nella proprietà per mano dei briganti, e poco dopo per opera del Netta cacciato in prigione.
            Non solo su di Stango sfogò sua rabbia il Netta, ma ben anche su di altre famiglie aggiate del paese. La famosa camerilla capitanata dal Netta tutto giorno denunziava alla giustizia innocenti, come manutengoli, e s’andavano esenti da una pena coloro che pagavano lo scotto ai sanfedisti, sperimentando il rigor della legge quei che si addimostravano ribellanti alle loro pretese. Non poche vittime di simil fatta conta la storia dell’infelice nostra patria.
            Sciolta la Guardia Nazionale, il benemerito patriota fu nominato Sindaco, grave danno ne sentì l’amministrazione. La proprietà comunale dilaniata da lui, e dai consiglieri che tengono dalla sua parte. Carraje pubbliche, tratturi regi, pubblici spazzi e simili non più sussistono, perché da loro usurpati nella maggior parte. Tali sconci si verificarono anche nel 1810; ma gli usurpatori non andarono esenti dalla vigilanza del governo, che conoscendo il danno che ne sentivano i cittadini, spedì sopra luogo il consigliere di Stato signor Giampaolo, che ridusse le località ad pristinum.
            Nel 1871 il cittadino Alessandro Monaco interprete del pubblico voto designò quanto di sopra al Ministro di Grazia e Giustizia, immantinente, vagliata l’importanza dell’esposto, per quanto rifletteva usurpazioni, diè ordine al guardia generale di Francesca di eccedere sopra luogo ed estendere verbale contro degli usurpatori. Ciò fece, ma il suo lavoro rimase lettera morta; perché così volle il Netta, il quale lo tenne in sua casa divertito per ogni verso, e gli fè mettere in non cale i propri doveri. Ecco come un’ agente del governo adempie al suo ufficio!!!
            Il Comune ha una rendita annua di lire 17000, e pure suo mal grado è costretto contrarre nuovi debiti per sussistere, non ostante la cifra di centesimi comunali elevata al non plus ultra. Quale n’è la causa del deficit? il condannarsi ai commilitoni del Netta il loro debiti.
            I consiglieri del Campo Francesco Alfonso e Zamarri Porfirio, quantunque non troppo fermi nei loro proponimenti, scrupolosi del loro mandato han spesso gridato contro lo sciupo che si facea dell’azienda comunale. Ma le loro parole andarono a vuoto, si accattarono senza più la inimicizia del Netta, e della maggioranza del Consiglio, che fissò la massima di respingere le loro proposte a danno dell’amministrazione, e con loro biasimo; salvo il farli ritenere dalle autorità come seduzioni, fautori di discordie e peggio.
            Primo pensiero di un primo cittadino dovrebbe essere certamente quello d'interessarsi del benessere dei cittadini, e procurarsi per ottenerlo. Ciò nondimeno il comune di Vallata non vanta una strada, per la quale si possa andare comodamente, senza tema di rompersi la nuca del collo, e quel che monta si è che tutte le strade son coverte di schifosissime lordure che danno un fetore da far sviluppare un colera. In bilancio vi è fissata la somma di lire 350 annualmente per riattare le strade, e che se ne fa di tale somma? Chi si la becca? la ragione si posa in grombo ai celesti!
            Inoltre una popolazione di 4000 anime, e più, difetta di un medico a condotta; perché il signor Netta sendo medico di professione schiva la condotta, temendo cadere dall’ufficio di Sindaco e non sapendosi comprendere la ragione; perché altamente aborre che un medico forestiere venga in Vallata ad esercitare l’arte sua. Sicchè gl’infelici cittadini son costretti andare al diavolo disperatamente senza apporre rimedio al morbo che gli uccide. In ricompensa di ciò il municipio spudoratamente a titolo di gratificazione per l’anno 1873 gli dà lire mille, mentre per lo addietro lo stipendio fissato pel medico a condotta sì era di lire 250. ecco come un municipio composto di mimi da commedia non fa conto della pubblica salute, né tampoco dell’interesse comunale.
            Nel 1871 il signor Netta, temendo che non fosse rieletto Sindaco nella tornata autunnale del consiglio, si dimostrò, acceso di santo zelo! che l’età le cure domestiche, e gli obblighi della professione non gli permettevano menare da vantaggio una vita pubblica; ma bensì gli facea mestieri dimettersi dall’ufficio di Sindaco, ed accettare la condotta medica, quante volte lo stipendio si fissasse a lire 1500. Il municipio dimenticò la posizione delle finanze comunali, e dei debiti che lo distruggono, fissò lo stipendio di lire 1500, e nominò il Netta medico a condotta. Nel corso di detto anno fu da governo del re confermato Sindaco per altro triennio. Il Netta allora obbliando i Dei Lari, l’età, e simili iattanze d’ambizioso e da ciarlone seguitò nella carica, e rinunziò parimenti alla condotta. Diavolo! Come va che un padre di molti figli, con un patrimonio non molto pingue sdegna uno stipendio di lire 1500 per fare da Sindaco? La risposta è molto semplice, come Sindaco egli usufruisce dell’erba, dei fondi comunali senza pagare un centesimo, dispone a suo bell’aggio dell’azienda comunale, riscuote da ogni cittadino che ama avvalersi dell’arte sua una tassa da lire dieci annualmente, giusto lo appalto fissato, e così fa il suo tornaconto senza detrimento dell’alta sua ambizione.
            L’ufficio di Sindaco, è indispensabile pel signor Netta, perché non gli è dato conciliare il sonno alle notte ed ha consumato il giorno senza arrecar danno a chicchessia, il che con tale ufficio di leggieri si ottiene. Se mai avverrà, quod absit, che dett’ufficio non si riconferma in lui a vita, son certo che il suo cervello darà divolta, e seguendole orme dello zio andrà ad espiare le sue colpe nella vasca del mulino della Rogna. Allora sarà compiuto il suo martirio, ed a chiare note registrato il suo nome nel patrio martirologio…
            La pubblica istruzione ha effetto retroattivo, nessun profitto nelle scuole per difetto di vigilanza da parte del municipio, e dell’Ispettore, il quale è elastico nell’eseguire la visita. Viene, prende nota del numero delle allieve, rubba le spese al Netta e fugge. Ecco l’alta missione di un ispettore scolastico ottimamente stipendiato dal governo spesato inutile… È di giustizia che in Vallata vi sia un maestro elementare con buon numero di allievi, che per mala ventura non apparano a sillabare, e due maestre di grado inferiore con carissimo numero di alunne? Ciò non è una perfetta anomalia? Non so definire, se il Netta è sollecito dalla istruzione femminea, ovvero si bea qual Sesto Tarquinio dell’avvenenza delle attuali maestre. Al consiglio scolastico l’ardua sentenza…
            Guardiamo ora il Netta come presidente della congregazione di carità. L’amministrazione di questo pio stabilimento può ben dirsi il laberinto di Crota, neppure col filo di Arianna, se ne può cogliere il Netta. Gli stessi componenti sono affatto ignari dell’entrata e dell’esito. Essi sono convocati appena due volte all’anno, forse per sottoscrivere alla fine i conti, e per autorizzare il contabile a contrarre debiti… Il presidente a suo talento dispone di tutto, il suo volere è legge imperante, ed ogni altra legge muja in faccia ad esso. Infatti le spese di culto sono inibite dalla legge, ed il Netta le mantiene in vita. Grida contro il Papa e la scra bottega, come a pubblico malfattore, e poi da lire 800 annue per messe ai preti, altrettante per processioni, cera ed olio (imbecillità davvero). Il tutto si vela sotto il nome di elemosina ai poveri, falsi mandati fan corredo ai conti annuali. Ed ecco che sotto il motto di elemosina si nasconde alto monopolio!
            Come consigliere provinciale il Netta non è, né carne, né pesce. Il mandamento per lui vanta un ammontare di non poche migliaia di lire per centesimi provinciali, di che è gravato. Si è sospirata una strada rotabile, e fin ora le pubbliche ispirazioni sono andate al vento. Si è baiato, e si baia tuttavolta alla luna!
            Dunque, la storia patria segna del Netta una pagina nera. Il male che ha recato alla cittadinanza è sfolgorante; si fa voto che il popolo comprenda una volta che egli è signore di se stesso, e non vile strumento di chi lo abbaglia. A sua posta può eleggere a pubblici uffici uomini da qualche cosa, o amanti del bene comune, e non locuste che si pascono del loro sangue. Come ancora si spera che le autorità amministrative esaminando meglio la vita del Netta, purgano il paese di questo mostro, che gioisce dell’altrui sventure, mette a suqquadro la proprietà comunale, combatte l’intelligenza e l’onestà, acciocché egli ed i suoi possono essere i despota.

Anonimo

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