3° Di Mezzo un contado di Vallata - Italo

3° Di Mezzo un contado di Vallata

“”Z’R’ianell’ - R’ li Tranjégg –
                     “”Furn’ att’zzat ku paglia bagnata- “”

Tre erano le famiglie che vivevano in quella contrada, una frazione di Vallata, e si chiamavano Di Leo (tranjegg) Di Santo (carpazi) e i Siconolfi (LI Yummut’) tutta brava gente.
       Zi-Rianella (Diana) Di Leo maritata Di Santo, era una donna meravigliosa. Ancora molto vivace, più che ottantenne, riusciva a fare tante cose nella sua masseria in contrada 3° di Mezzo.
Un giorno d’inverno faceva molto freddo con nebbia e una noiosa pioggerella, Io, dipendente del locale ufficio postale, più volte per ordine del Direttore mi recavo presso le persone più anziane nei vari contadi, onde portare la modesta pensione di vecchiaia, facilitando la simpatia e i tanti regali che mi giovavano molto per via della loro naturale genuinità.
       E in occasione delle elezioni amministrative del Comune, tornava utile meritarsi la fiducia. Quel giorno, finito il giro per il recapito della corrispondenza, mi recai alla masseria “de li tranjeng”.
       Era all’incirca mezzogiorno e zi Rianella, come al solito indaffarata era intenta a impastare la farina per realizzare dell’ottimo pane. vedendomi arrivare, con toni perentori sollecitava il proprio marito a che si sbrigasse ad accendere il forno per poter cuocere -lu p’zzedd –da portare ai miei figli.
       Zi Renzino Di Santo, era intento con la capretta a gironzolare intorno alla masseria, e con aria stanca e l’aspetto malconcio cercava di prodigarsi, in quanto, sapeva che la paglia e i vari kurm’, rizz, falamezz e r’v’tal’, erano piuttosto bagnati, e nonostante i vari tentativi imprecava per via del fumo acre, pigliandosela anche con la capretta che lo infastidiva, e asciugandosi le lacrime con il dorso della mano, si era imbrattato il viso di fuliggine nera, assumendo un’espressione carnevalesca.
       Lo spettacolo non era certo divertente e tra le inutili imprecazioni si perdeva solo tempo, e Zi rianella in malo modo incalzava il marito con insulti e minacce:- “e pov’r papp’lon’ – nun s’ bbuon maye a fa niend’, muov’t’ ka vitulucc s’ n’adda sci !!! quann’ aggia coc’ lu pizzidd?!“. Il povero Zi Renzin’, tra le varie bestemmie rispodeva con toni seccati e accesi : “ggia oschye , la quera nun vulia ambiccià !! e ttut’abbagnat!!!; quessot quazz s’ vol aspettà aspett’ e s’no s’ n’ vaye” .
       Al chè vedendo che le cose andavano per le lunghe rassicurai Zi-rianella che sarei passato qualche altro giorno, tanto più che le uova fresche e la r’cutted’ me le aveva già date, e ciò mi bastava. Quindi con un ampio saluto e un umile bacio sulle fronte mi congedai, e avvicinatomi a Zi Renzino volli compiacermi per la capita indolenza chiedendogli come mai la capretta compiaciuta e divertita saltellando continuava a ripere “mmbbbeee – -mmbbbeeeneee” tanto divertita, - e aggiungendo una salace battuta : “Zi Renzi- ru ssapev’ eye- ca scev’ aff’nnè a kkussè : Kourm’ Rezz’ e falamezz’, sul fum e senza pezz’ “…Statt’ bbun’ ci v’remm’ kraye.
       Zi Renzin’, per tutta risposta laconico e seccato mi rispose : maaaa tuu va fanguul!!!! e riprese a correre dietro la capretta, la quale divertita e saltellante lo faceva ballare come un indiano nella danza a “Manitù” sotto quella maledetta pioggerella cosi fastidiosa.

                     Con umile pensiero a Z’ Rianelle
                                                con tanto affetto e infinite grazie.


Italo Antonio Di Donato

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