- Racconti - A cura del Prof Severino Ragazzo

Racconti
Decima Parte

A cura del Prof Severino Ragazzo.
Autrice dei bozzetti Valeria Cornacchia

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Teste: avv. De Cicco Antonio
La malizia e la semplicità dell'indole umana.

    Fino a qualche decennio fa, tra le specializzazioni di un muratore, oltre a quello di essere un 'mastro' perfetto nel saper prendere la costruzione di una casa dalle fondamenta ed arrivare alla copertura, c'era quella di “riturnò”, del 'ritornatore', una figura specializzata nel revisionare la tettoia, per togliere le eventuali infiltrazioni di acqua che si erano create a causa della rottura di qualche tegola o embrice o di fessure prodotte dal gelo e tormente di vento e neve etc.
    L'arciprete del paese aveva quasi stabilito un contratto con un 'ritornatore' del luogo e quando c'era qualche perdita o nella chiesa madre o in altre cappelle chiamava per il riparo sempre la stessa persona.
    La verità era che il muratore nello specifico non eseguiva mai perfettamente il lavoro ad opera d'arte per procurarsi poi a distanza di tempo un successivo intervento.
    Volle che per un periodo il nostro operaio cadesse malato ma l'arciprete ebbe bisogno urgente di un intervento di riparazione.
    Allora si offrì il figlio al posto del padre impedito.
    Quando il figlio, tutto soddisfatto ebbe finito il lavoro, disse al padre: “Tà', l'àggie fatt' propie perfett', ca mo' pote passà' pur' 'n' òte cint'anne ca acqua nun ne trase chiù” (babbo, lo fatto proprio perfetto che adesso possono passare pure altri cento anni ed acqua non ne entrerà più).
    Il padre, tutto dispiaciuto, redarguì il figlio: “E bravo, figli' mìjo e mo' nùje ce 'uardamm' re ciòle, ca z'acciprevete nun ce chiama chiù a riturnò” (e bravo figlio mio, e adesso noi guardiamo le cole perché l'arciprete non ci chiama più a ritornare).
    Così è spiegato il detto nel quale si racconta come, a volte, il giovane è senza malizia e l'anziano ha sviluppato la furbizia tale e tanta da non rispettare nessun codice deontologico, pur di soddisfare i propri interessi a discapito degli altri.



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Teste: Colicchio Paolino
“Na hatta e mezza” (una carta e mezza).

    Vito 'Manfurr', un po balbuziente di natura, decise un giorno di vendere il suo organetto.
    Entrò in trattativa con gli acquirenti e con ognuno cercava di elevare il prezzo.
    Alla fine si decise di venderlo al miglior offerente e quando arrivò alla stipola del contratto disse: “M'aja ra 'na, 'na hatta e mezza”, per dire una carta e mezza (forse un milione e mezzo delle vecchie lire).
    Aveva il difetto di scambiare la 'c' con la 'g' che poi in dialetto vallatese indichiamo con la 'h', per cui l'acquirente non avendo compreso il significato, rispose al venditore:“Vito, una gatta, due gatte e va bene, ma una gatta e mezza no, perché la mezza gatta dove la trovo?



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Teste: Vincenzo Giraffa
La balbuzia fa brutti scherzi .

    C' era una famiglia con tre figliole in età da prendere marito, ma che avevano il difetto della balbuzia nel parlare.
    Come viceversa c'era un'altra famiglia con tre figli maschi anche loro maturi per il matrimonio.
    Una comara o 'zanzana' che cosa pensò di fare?, far accoppiare le une con gli altri.
    Parlò con i rispettivi genitori e la cosa sembrò conveniente a tutte e due le famiglie.
    La madre delle ragazze, per nascondere il difetto linguistico, ordinò loro che non pronunciassero alcuna parola in presenza dei pretendenti.
    Arrivò così il giorno dell'appuntamento e la madre pensò di accogliere i futuri generi nel modo migliore, organizzando un bel pranzo per loro.
    Mise la caldaia sul fuoco per cuocere prelibati maccheroni fatti in casa.
    Se nonché le tre ragazze non resistettero dal parlare e così sbottarono:
    (la prima) disse: “mà, mà, vodd' vodd' tallaridd' ”(mamma mamma, bolle la caldaia)
    (la seconda); “mà, mà, mine, mine, mattarune ”(mamma mamma butta i maccheroni)
    (la terza): “mà, mà ha ritte 'nu' pallà e vuje avite pallat”(mamma mamma ha detto di non parlare e voi avete parlato).
    I tre giovani, vedendo che le loro pretendenti avevano l'handicap della balbuzia, non aspettarono un minuto secondo e ringraziando la padrona, se ne andarono di fretta e furia da quella casa, avendo capito che l'affare non era per loro.
    La madre, inveendo verso le proprie figlie così disse: “Ahi, figlje mìje, ru sapevo ca nun eravat' capac' re ve tenè' ruje cìcer 'mmòcca e mo' futtìtev'!

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Teste: Rocco Cirillo
I tre fratelli particolari.

    Un padre teneva tre figli che, diventati adulti, davano preoccupazioni per la condotta di vita.
    Allora cosa pensò di fare: andò da una Santona la quale chiese che le venisse illustrato il caso.
    Così nel racconto:
    (il padre): tengo un figlio che è facile all'uso del coltello ed ho paura che faccia un omicidio; un secondo figlio che è svelto nel rubare e un terzo figlio che va sempre appresso alle donne, si direbbe uno sciupa femmine.
    Al che l'intervistata così consigliò il genitore: “E' bene che il primo tu lo lo faccia diventare dottore chirurgo, il secondo avvocato e il terzo prete.
    Il genitore a quel punto chiese spiegazione del consiglio ed ella così rispose: “perché il chirurgo usa il bisturi per tagliare le carni vive delle persone e nessuno può giudicarlo; l'avvocato a volte si ruba il volere del cliente vendendo la causa ed il prete a volte può tenersi quante femmine desidera senza essere criticato”.

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Teste: Francesco Rinaldi
“Stipa ru pòne pe' la vicchiaja” (conserva il pane per la vecchiaia).

    La lingua, a volte, con i tanti significati diversi, può fare brutti scherzi.
    Così successe che in una famiglia, il capo famiglia, spinto dalla necessità economica, dovette emigrare e alla moglie inviava le rimesse dei suoi guadagni facendole una sola raccomandazione col dire: “stipa ru pòne pe' la vicchiaja”, intendendo di mettere da parte del denaro con la speranza che al suo ritorno potessero trascorrere la vecchiaia in maniera decorosa.
    Solo che la consorte tutto fece tranne questo, scialacquando e sollazzandosi con il compare.
    Il marito, dopo molti anni, tornò al paese e chiese spiegazione alla consorte della raccomandazione che le aveva fatto.
    Costei aprì una 'cascia' e fece vedere al marito quintali di pane oramai “peruto” che lei aveva messo da parte, una panella alla volta, quando faceva il forno.
    Il marito, avendo capito che la moglie doveva essere pure un po tonda con la testa, prese quel pane e glielo gettò tutto addosso e proferendo tutte le maledizioni che potesse, la mattina seguente riprese la valigia e ritornò nel luogo da cui era venuto, lasciando al suo destino la perfida consorte.

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Teste: Colicchio Paolino
“IT'S ALL RIGHT” (“AZZ' O RAID”-TUTTO VA BENE ).

    Si racconta che un emigrato del paese che non vi dico, trascorse diversi anni negli Stati Uniti d'America.
    Aveva lasciato la consorte con due figli e quando tornò trovò che la famiglia era aumentata, da due i figli erano diventati tre.
    Inizialmente la prese da lontano e per dimostrare di avere imparato la lingua del paese ospitante usava sempre acconsentire alla moglie con la frase: “Azz' o raid”, per dire ' va bene così'.
    Anche la moglie, scimmiottando il marito, rispondeva allo stesso modo.
    Ma quando un giorno il marito fece la domanda secca, perché in casa i figli erano aumentati di numero in sua assenza, la moglie fece finta di niente e rispose con la stessa frase fatta.
    Il marito, avendo capito che l'ultimo figlio l'aveva genitato col compare così sbottò: “Azz' o raid pe' te? t'àggia rice ca si 'na puttòna e basta, ca nun àje rispettate l'onore mìjo!” (va bene per te ? ti debbo dire che sei una puttana e basta, perché non hai rispettato il mio onore!).
    Riprese la valigia e se ne andò per sempre.

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