- Racconti - A cura del Prof Severino Ragazzo

Racconti
Settima Parte

A cura del Prof Severino Ragazzo.

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Teste: Severino Ragazzo
'Filicidd' e le elezioni

    Le elezioni a Vallata sono state sempre momento di scontro tra fazioni opposte. Fino ad una ventina di anni fa l'orientamento nella scelta del voto specie nelle elezioni politiche era legato all'appartenenza ideologica di partito (D.C.; P.S.I.; P.C.I.....) e in quelle amministrative anche all'appartenenza della famiglia del candidato, la professione, la territorialità tra paese e campagna.
    Dopo, con la personalizzazione della politica e l'intreccio spesso del voto di scambio, si è capito ben poco per cui la politica da arte nobile è diventata arte vile e disprezzata dalla gente comune anche a causa dei continui scandali della casta. Dovevano essere le amministrative della fine degli anni 40' o inizi anni 50' quando due candidati di liste contrapposte cercarono tutti i modi per assicurarsi il consenso degli elettori.
    Si racconta che uno di questi per più di due mesi prima delle elezioni offriva ogni giorno una quarta di vino (in una delle cantine che erano numerose a Vallata prima che arrivassero i bar), al nostro 'Filicidd'' sperando che questi lo votasse. Successe che il candidato avversario, proprio il giorno delle elezioni, intese offrire a 'Filicidd' mezzo litro di vino e questi andò a votare per il secondo.
    Quando il primo candidato chiese spiegazione del comportamento avuto, 'Filicidd' così rispose : “Embè! Tu me rive 'nu quort' re vìne, quire me n' àve rate mizz' litr' e àggjo vutòt' a quire ca me 'n'àve rat' re chiù” (Ebbene! Tu mi davi un quarto di vino, quello me ne ha dato mezzo litro ed ho votato a quello che me ne ha dato di più ).
    Succedeva e succede ancora tutt'oggi che una parte dell'elettorato decida la scelta di votare un candidato all'ultimo giorno e vota per quello che gli ha fatto l'ultimo piacere o che gli sia stato più simpatico.

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Teste: Ermanno Malgieri
La compagnia dei buontemponi

'Rocch' Tozz', 'Nicola Musino', 'Abbele Stirracchio', 'Filice Ciasca' … decidono un giovedì di fare spesa al mercato di Vallata per consumare insieme un pranzo luculliano.
    Così dopo le compere alimentari si mettono alle pentole in cucina, preparano le pietanze, mangiano il tutto accompagnandosi nel bere con ottimo vino di Iazzano.
    Alla fine uno dei commensali estrae dalla dispensa una bottiglia di liquore pregiato ed invita ognuno dei presenti a berne un bicchierino, adducendo a motivo che quello è un ottimo digestivo.
    Felice Ciasca, sentendo ripetutamente il ritornello, quando tocca a lui così risponde: “lè! lè! Ìjo nun ne voglio; tu me vùje fa' diggerì' sùbbet' sùbbet'; ìjo àggia stà bune 'na settemana senza mangià'”( Lè! Lè! Io non ne voglio, tu mi vuoi far digerire subito; ma io debbo stare bene una settimana senza mangiare!).
    Ecco come a volte succede che uno la pensa in un modo ed un altro in altro modo e le persone così non sono mai tutte d'accordo sulla stessa scelta!

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Teste: Rocco Cirillo
La moglie e il marito pastore

    Un pastore era rientrato a casa dopo lunghi mesi di lavoro fuori dal proprio paese.
    Pensiamo alla transumanza cioè al passaggio delle mandrie dalle zone montane alla pianura nel periodo invernale che anche da noi esisteva fino a qualche decennio fa specie verso i paesi del foggiano: Ascoli, Candela, Troia, fino a Cerignola.
    A Vallata erano noti 'li pìscili ri Tullio' a Candela dove gli armenti del più grande proprietario locale soggiornavano nel periodo invernale.
    Fu così che la moglie, la sera del rientro del marito, pensò di accontentarlo facendogli mangiare semplicemente una zuppiera 're pane cutt' (di pane cotto).
    Il poveretto andò a dormire e durante la notte la moglie cercava di svegliarlo forse sperando di poter soddisfare quel bisogno di coppia che specie per l'astinenza prolungata era diventato sempre più pressante.
    Così diceva al marito. “'Andò! Andò!, vìre ca stanne scienn' a semmenà' a Furmecuso?” (Antonio, Antonio, vedi che stanno andando a seminare a Formicoso?). E in risposta: “Embè! È jùst', s'adda pure semmenà!” (Ebbene è giusto, bisogna pure seminare!).
    Dopo un po di tempo di nuovo. “Andò! Andò!, vìre ca li pastur' stann' purtonn' l'anemal' a pasc' a la Mezzanedda?” (Antonio! Antonio! Vedi che i pastori stanno portando a pascolare gli animali alla Mezzanella?).
    E di rimando: “Embè! E l'anemal' anna pure mangià'! (Ebbene! e gli animali debbono pur mangiare!) Non ci fu verso di convincere il marito che dormiva tranquillamente come un ghiro.
    La mattina la moglie andò a mungere le capre ed era tutta nervosa.
    La commara che abitava la vicino, vedendo questo atteggiamento così le disse: “ma come, cara commara, dovresti essere contenta che è tornato tuo marito ed invece sei così disturbata!”.
    Ed ella: “macchè! Quìre rorm' a sunne chìjne e nun me penza propijo!” (quello dorme profondamente e non mi pensa proprio!).
    La prima: “ma tu l'àje rat' a mangià' bùne?” (ma tu gli hai dato bene da mangiare? ).
    La seconda: “l'aggje rat' 'na spasetta re pane cutt'!” (gli ho dato una zuppiera di pane cotto! ).
    La prima: “ma te pòzzen' accìre! Tu cu su mangià' chi l'àje rat', vulìve ca quire te faceva cuntend'? Ce vuleva 'nu piatt' re maccarune e carn' e na bella ricciòla re vine e po virìve cume te faceva addicrijà'! /(ma possa tu morire! Tu con questo mangiare che gli hai dato, volevi che quello ti facesse contento! Ci voleva un piatto di maccheroni e carne e una caraffa di vino e poi vedevi come ti avrebbe consolata!).

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Teste:Gaetana Cappiello
Quando il dialetto fece brutti scherzi a due insegnanti di madre lingua

    Nel 1953 vennero ad insegnare a Vallata due maestre preparate nella materia, provenienti dalla Toscana ed all'inizio erano completamente a digiuno del dialetto locale (Nel dopo guerra la disponibilità di insegnanti in Italia era più al centro nord che al sud, poi con la scolarizzazione di massa, dagli anni 60' a venire ad oggi sono i docenti meridionali che essendo in soprannumero emigrano verso il nord ).
    Successe così che nel fare l'appello una delle due maestre chiese ad una alunna come si chiamasse.
    E questa rispose: “Melina”.
    La maestra: “e allora tu ti chiami come una piccola mela!”
    Un collega locale le fece osservare che 'Melina' era in dialetto l'equivalente di Carmelina.
    Poi la maestra era solita chiedere anche il nome dei genitori e domandando ad un alunno come si chiamasse suo padre, questi rispose: ”tata”.
    E pure il secondo e il terzo degli alunni interrogati rispose allo stesso modo.
    La maestra pensò che dovesse essere una cosa strana se diversi genitori avevano lo stesso nome.
    Un altro collega le fece capire che 'tata' corrispondeva a padre, babbo.
    Verso Natale un alunno, tutto contento, disse alla maestra che la madre per l'occasione della festa gli avrebbe fatto “li calzuncìjdd”.
    La maestra pensò subito ai pantaloni corti e si complimentò con il ragazzo ed invece il solito collega le fece osservare che 'li calzuncìjdd' a Vallata sono una specie di panzerotti tipici delle feste natalizie.
    Ci volle un po di tempo per le due maestre a comprendere la terminologia dialettale, loro che provenendo dalla Toscana parlavano perfettamente la lingua madre.
    Poi successe che tutte e due le insegnanti si sposassero con due vallatesi e con l'arricchimento in famiglia del glossario locale, non ebbero più problemi nella comprensione dei ragazzi che spesso allora si esprimevano in dialetto.


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Teste: Antonio Visco
“Si nun vùje nìnt', vattìnn' e nun te fà' chiù verè'” (Se non vuoi niente, vattene e e non farti più vedere )

    Fino alla prima metà del secolo scorso, nella società contadina, alcuni matrimoni venivano combinati dai genitori degli sposi (altro che libertà di scelta).
    Nelle famiglie benestanti avveniva un vero e proprio contratto con tanto di registrazione notarile mentre in quelle del popolo bastava la parola data dinanzi a testimoni.
    E così capitò che due famiglie di basso ceto si incontrassero per pattuire la dote da assegnare ai rispettivi figli.
    Il padre della sposa elencò i doni tra corredo, mobilio, attrezzi da cucina... mentre quello dello sposo l'eventuale abitazione dove dimorare, il terreno da coltivare, ed altre provviste (maiale, sementi...).
    Quando sembrò che l'accordo fosse stato raggiunto, il padre della sposa chiese allo sposo se fosse contento della dote che gli aveva proposto, e questi rispose: “ma ìjo nun vòglje nìnt'” (ma io non voglio niente ).
    Al che il suocero che gli doveva venire replicò. “Si tu nun vùje nìnt', vattìnn' e nun te fà' chiù verè'”! (se tu non vuoi niente, vattene e non farti più vedere !).
    Avrete sicuramente compreso che lo sposo intendeva col suo dire che era interessato solo al piacere della sposa e non dei beni materiali mentre il genitore con quel suo rifiuto aveva inteso come se disprezzasse l'offerta e, risentito, fece fallire il matrimonio.


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Teste: Giovanni Forgione o “Giuònn' mo me ne vench'”
Dialogo tra la pecora e l'agnello

    Nelle favole, negli aneddoti, nei racconti o 'li cunti' della società contadina, spesso e volentieri si accettava che per paradosso potessero avere la parola anche gli animali.
    Ho presentato in altre raccolte il dialogo tra l'asino e il maiale, tra il grillo e il contadino qui sono di scena una pecora ed un agnello.
    Si immagina così che un agnello, un giorno in vena di sfottò dice alla madre pecora: “sìnt' mà, vìre ca tu si vecchia e 'n'òtu poch' tu àja murì'” (senti mamma, vedi che sei invecchiata e fra poco tu devi morire).
    La pecora, risentita, così risponde: “vìre caro figlio, ca 'n' òtu poch' vène Pasqua e stàje attìnt' ca se no te fann' la festa!” ( vedi caro figlio, che fra poco viene Pasqua e stai attento che se no ti fanno la festa).
    E' noto a tutti che durante il periodo pasquale la carne di agnello è presente su quasi tutte le tavole imbandite per la festa.
    Se morale ci può essere si può dire che per ognuno c'è il pericolo di morire, indipendentemente dall'età che si possiede.


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Teste: Alfonso Sarni
Dialogo fra “Z'Allegro” e suo figlio

    Vallata vanta una storia nel settore dei trasporti di persone e cose che ci invidiano in tutta la Baronia.
    Nel ventennio e anche fino agli anni 50' del secolo scorso, prima dell'avvento dell'automobile , erano noti “li trainìri” (i trainieri) che con i loro traini guidati da bei cavalli, partendo dal paese, arrivavano perfino a Napoli a vendere la mercanzia.
    I Bove (Pietro, Rocco, Michele, Seppitiello...) erano noti in tutto il territorio.
    Come non ricordare gli autisti dei pulman della ditta Raffio (Scascione..) e dei fratelli Bove che ancora tutt'oggi guidano i pulman dell' AIR. Negli anni 60' compaiono i noleggiatori con quelle belle 1.100 Fiat che sfrecciavano sul territorio regionale ed interregionale.
    'Z'Allegro' era uno di questi insieme a Marunnella, Cumba Càim', Rocco Palmisano... che ogni mattina in piazza Fontana erano pronti per partire per la destinazione convenuta.
    Era con questo lavoro che il nostro noleggiatore mandava avanti la famiglia ed un giorno, quando il figlio divenne maggiorenne, interrogò costui sul mestiere da intraprendere.
    Il padre: “figlio mio, vuoi fare questo mestiere?”
    Il figlio: “no”!
    Il padre: “vuoi fare quest'altro mestiere?”
    Il figlio: “no”!
    Allora il padre vedendo che il figlio si rifiutava di fare qualsiasi mestiere che egli gli proponeva, decise di cambiare la domanda e questa volta chiese: “figlio mio, allora, quale mestiere tu pensi di voler fare a tuo piacimento?”
    Il figlio, seccato, così rispose: “caro padre se proprio lo vuoi sapere , io voglio fare “lu Bit ( il moderno) !”.
    Immaginate il dispiacere in quel momento del genitore per la risposta del figlio.
    I genitori allora pensavano di trasmettere il proprio mestiere ai figli indipendentemente se fosse un lavoro materiale o intellettuale.
    Ma i tempi cambiavano, alcuni mestieri soccombevano ed altri si affermavano e anche quello del noleggio andò a scemare per la possibilità in famiglia di avere una automobile.
    Oggi la gente comune si riconosce pure in chi fa la 'velina' o il 'velino' o il comico, un mestiere come un altro e non ci fa più caso.
    Prendendo in prestito un detto antico ma sempre valido si direbbe: “Francia o Spagna purché si mangia”.

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