Tommaso Mario Pavese - biografia e alcune poesie

Tommaso Maria Pavese
Biografia e alcune poesie.

del Prof. Ragazzo Severino

 “PAVESE TOMMASO MARIA fù Alfonso e fu Leone Giovannina, nasce a Vallata il 05\09\1884 via Porta del Piano,3 ”(così risulta all’anagrafe). Il padre Alfonso è farmacista e quindi di buone condizioni economiche e la madre originaria di San Nicola B.
Compie gli studi superiori (probabilmente dal 1899 al1903) a Cava dei Tirreni dove esisteva il liceo ginnasio dei Liquorini molto famoso a quei tempi.
Compagno di studi a Cava è Biagio Gallicchio che poi sarà sindaco di Vallata dal 1920 al 1927 e ancora podestà dal 27’ al 30’.
Svolge gli studi universitari alla Federico II° di Napoli e consegue due lauree, una in giurisprudenza e l’altra in storia e filosofia.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale si arruola come militare (pensiamo come ufficiale tanto che alla fine del conflitto si congeda da capitano) e proprio alla partenza per la guerra redige testamento, forse per paura di morire, devolvendo il suo patrimonio alla Università Federico II° di Napoli (libreria, terreno con casa colonica, l’abitazione urbana a Porta del piano).
L’impegno da parte dell’università consiste che alla sua morte saranno istituite due borse di studio (all’anno) una in medicina e un’ altra in legge (ci domandiamo se tale impegno sia stato mantenuto,ci sembra di no).
Alla morte nel 1954 l’ università acquisisce il testamento e l’avvocato Cornacchia Adelchi redige l’inventario dei beni.
La libreria vera e propria biblioteca che occupava diverse stanze (pare che la casa fosse piena di libri e giornali dappertutto - ricordiamo anche l’attività di pubblicista) viene acquisita direttamente dall’università, mentre l’abitazione urbana e quella di campagna, messe all’asta, vengono acquisite la prima dall’ing. Monaco e la seconda dall’avv. Gerundo Gabriele.

OPERE LETTERARIE

- Prime liriche - Napoli, DetKen et.
- Eroi gloria d’Italia - Napoli,Rondinella e Loffredo 1923 L. 5
- Nuove poesie - seconda edizione, Napoli, P. Federico e G. Ardia 1923 l.4
- Studi sociali e giuridici nuova edizione con prefazione del prof. A. Bartolomei, Napoli.S.Alvano 1924 L.10
- Scritti vari- (1929)
I lavori che seguono sono annunciati in Scritti vari, come prossima pubblicazione ma che vanno verificati:
- Ricordi di guerra
- Poeti italiani contemporanei - impressioni (seconda edizione)?
- Nuovi scritti vari
Non sappiamo, presumibilmente dal 1929 in poi, quali siano i lavori di don. Tommaso scritti o pubblicati tra libri, riviste, articoli etc.


Nuove poesie del 1923

Sono 17 poesie di cui 15 del Pavese scritte nella lingua italiana e due in latino scritte rispettivamente da F. Sofia Alessio e Alfredo Bartoli.

1°-A Pia
2°-Mattinata
3°-Le belle
4°-Felicità di villanella
5°-Per nozze
6°-Laudes Ljdiae
7°-Al mare
8°-Come in sogno
9°-Eterno femminino
10°-A Maria
11°-Sonetti
12°-Sogni vani
13°-Ad una giovinetta
14°Amor segreto
15°-Sponsalia
16°-Ad mare italum
17°-A Tommaso Pavese

A Pia

O Pia che hai il sorriso dei cieli
nell’occhio che limpido brilla
E che nel corpo mirabile riveli
La gioia che in cor ti sfavilla;

bella come l’astro che sul mare
diffonde al mattino la luce,
mentre l’albore tranquillo lunare
dilegua o più mesto riluce,

Pia,che racchiudi nell’alma una speme
Che ravviva la tua giovinezza,
e allo sposo che solo per te freme
concedi pure ore di ebbrezza;

a te rivola la mente nel canto
che erompe dal petto mio ardente,
a te che spandi dagli occhi l’incanto
del mare e del cielo fulgente.

E come l’onda che freme,a la riva
va e torna più molle e più vaga;
il pensier che da te gli inni deriva,
ti cinge,e pur mai non s’appaga.

O Pia,dai glauchi e profondi tuoi occhi
Vorrei trarre vita ed oblio;
ed ebbro poi cadere ai tuoi ginocchi
mentre il tuo cerca il labbro mio…


Mattinata

Batte a la tua finestra il sole d’oro,
il biondo sol che ha superato i monti,
batte a la tua finestra,ed ecco in coro
andar gli augei su alberi e per fonti.

Batte a la tua finestra il pensier mio,
e chiama: o bella,appari in sul verone,
oggi è tempo di fiori e di desio,
voglio dirti d’amor la mia canzone.

Tutte voglio a te dir le cose belle
Che si narran tra lor angeli e stelle.


Le belle

Le belle son sempre la mia pena,
son quelle che mi dan maggior tormento;
lo sguardo loro il mio spirito incatena
e lo dibatte come foglia al vento.

S’io penso o leggo o scrivo o passo movo
Per lieti prati o per marina calma,
mai,nemmeno nel sonno,pace trovo,
ché il rimembrarle mi distrugge l’alma.

Pure il soffrir per loro é tanto dolce,
così grata è la guerra che esse fanno,
che se pur niuna gioia il cor mi molce,
lieto son del tormento che mi dànno.

O molli visi,rose che,fiorite
una notte di maggio con la luna,
martoriate il cuore di ferite,
né libera lasciate alma veruna;

o begli occhioni che della viola
la languidezza avete ed il colore,
occhi che dite più de la parola,
occhi in cui regna e tiranneggia Amore;

occhi celesti e fondi come il mare,
che piovete nel cor gradita pace,
e confortate l’anima ad amare
sol con un limpido sguardo fugace;

vezzose bocche,fiori porporini
che il tesor di bei denti custodite;
o braccia bianche come gelsomini,
ricolmi seni,poppe inturgidite;

com’è dolce su voi,seni,posare,
com’è bello tra voi,braccia,languire…,
mentre fioccan sugli occhi e sulle care
bocche i miei baci,senza mai finire!...

cortesi e belle donne,io sempre vi amo,
specie se giovinezza v’orna il viso;
e ne la notte il vostro nome chiamo,
e sogno sol per voi il paradiso.

Donne,se pure il labbro non lo dice,
ve lo dicono gli occhi certamente;
dicon gli occhi: Potreste far felice
colui che sempre vi ama immensamente.

Felicità di villanella

Mi levo presto presto la mattina,
e corro in cima ai monti e volo ai piani,
e lavo in acqua fresca e alabastrina
la rubiconda faccia e le mie mani.
Sono dei campi aprici la regina,
e sono il grande amore dei villani:
si spande il mio sorriso per le selve,
per me cantono augelli e taccion belve.

In sull’aurora colgo con le rose
I più bei fiori,e intesso una ghirlanda;
e tra le messi o sotto querce ombrose,
il bigio pane m’è grata vivanda.
Dono i miei fiori a vergini amorose,
e il mio labbro niun premio lor dimanda;
di latte munge il babbo una scodella,
per darla in cibo alla figliola bella.

Bacio i bianchi capelli della mamma,
e lavo le camicie alla sorgente,
salto leggiera e snella come damma
per verdi prati e il letto del torrente;
e se d’amore l’anima s’infiamma,
d’amore mi parla lo sposo piacente:
vado con lui dovunque il sole irraggia
questa mia lieta dimora selvaggia.

Fanciulla pascolavo la mia greggia,
e ritornavo a casa in sul tramonto…
Rammento:veggo un bimbo cui biondeggia
Il riccio capo,dall’aspetto pronto,
bello che quasi un angelo pareggia,
baciarmi in viso,né già me n’adonto…
D’allor non ho dimenticato mai
Quello che amo e amerò sempre assai.

Porto nel guardo l’amore e la speme,
ogni alba nuova mi dà nuova gioia,
nessun’ansia o dolore il cor mi preme,
son contenta e non so che sia la noia.
Spero passar con la famiglia insieme
giorni tranquilli,fino al dì ch’io muoia,
spero vivere in pace e senza pianto
con lo sposo leggiadro che amo tanto.


Laudes Ljdiae

Dagli occhi tuoi,come da fonte viva,
deriverò i più ispirati carmi
che renderanno l’anima giuliva.

O Lidia mia,sol che ti veggo,parmi
che la lingua,la mente si confonda,
e sento per ebbrezza il cor tremarmi.

Ah,quei riflessi della chioma bionda,
quel tremulo baglior delle pupille
di che inusata gioia il cor m’inonda!

Dagli occhi belli,come dardi,mille
parton raggi d’amore ad ogni istante,
partono come elettriche faville.

Né alcun’ alma gentile a te davante
può venir, senza che d’amor sìa presa,
e senza scolorarsi nel sembiante.

Tutta la fiamma del tuo cuor palesa
Il dolce sguardo e il volto sorridente,
ove parte del ciel sembra discesa.

Sempre l’oreccchio mio sente,
che è tanto cara e bella ed armoniosa,
infonde speranza al cor dolente.

In Lidia sola il mio pensiero posa,
solo per lei io provo tanta pace,
è celeste e non già terrena cosa.

Fuori di lei non è piacer verace,
ma tutto quello che per lei si prova
è solo quello che ognor più piace:

né s’accende desio di gioia nova.


Al mare

O mare che specchi sereno
La mite quiete lunare,
e miri,nel nitido seno
dei cieli,le stelle vagare;

O mar,che nei gorghi profondi
racchiudi bellezza e terrore,
che baci i confini dei mondi
e mormori: Pace ed amore;

tu,o mare,che fremi e sussulti,
che vinci la possa del fòco,
dei miseri ascolta i singulti!

In patria e non trovano loco
per vivere.A che non annienti

i mostri ch’opprimon le genti?...

Come in sogno

Sul margine giocondo d’una riva
che di leggiadri fiori s’allietava,
soave e bella apparvemi una donna
e disse:Sei mio!-Risero gli almi occhi,
spargendo intorno il più celeste lume
ch’emanar suol da le sublimi sfere.
La fronte le splendea più che il brillante,
lo sguardo s’affissava ne l’azzurro,
qual sole,oltre l’uman,ne l’ideale.
Mirabile era la persona altera
quasi torre d’avorio al ciel raggiante.
-Se tu lavorerai nella tua vita,
vegliando pur la notte sulle carte,
-disse-ti condurrò ne l’alte plaghe,
e ti recingerò d’eterno alloro.
Dove vivon le Elette dei poeti,
ne la luce,nel sol,ne l’ideale,
ti cingerò dei più smaglianti onori.
Seguimi-disse-e ti darò l’alloro:
seguimi-disse-perch’io son la Gloria.-
Sparve,ciò detto,qual lucida nube
dai raggi del novello sol baciata:
sparve e l’etere dié baleni e lampi.

Mentre perplesso io rimanevo intanto,
ecco farmisi innanzi un’altra donna:
vivace ell’era,e bella come il greco
mare la vide sorgere dall’acque.
Il suo sorriso m’allettava il core,
e m’inondava d’un’ebbrezza inmensa.
-a te darò,diss’ella,gran tesori
d’amor,di gioventù,di gaudio eterno:
ti darò le mie fide in compagnia,
vedrai quant’elle son vezzose e ardenti…
Disse:Vieni con me;saprai l’amore
come è bello e gradito e inebriante.
Vieni,ti scoprirò tanti tesori
di piaceri,di palpiti e d’incanti.
Vieni, disse,con me:Venere sono,
Venere bella son,madre d’Amore!

Io dissi tosto:Andrò dove tu vuoi.

Voglio l’amor fremente e palpitante,
che l’estasi mi dia e il dolce incanto.
Voglio l’amor,la vita intera,io voglio
il caldo sangue e il riso de le belle.
Ti seguirò dov’è il tripudio eterno
e le vergini vaghe intreccian danze:
ridente, come raggio mattutino
su limpide acque,è il lor guardo nero.
Te seguirò nel tuo beato regno…


Eterno femminino

Belle come le tre figlie di Giove
e d’Afrodite dalle nivee forme,
gioconde come il raggio della luna
o delle stelle in blanda sera estiva,
con le vermiglie labbra sorridenti,
con forme che scolpite Fidia avea,
ad una ad una, apparver le fanciulle,
di serena vaghezza allietate.
Attorno a loro risplendeva il giorno,
s’effondeva il sorriso di Natura,
e dolcemente mormoravan l’onde.
Di lor venuta s’allegrò la terra.
Un inno di tripudio al cielo azzurro
salia col vol d’allodole festanti;
e gli augelletti,nelle verdi fronde
degli alberi commossi dalla brezza,
mandavan canti di gioia e d’amore.

Ebbre di sol,di gioventù,d’amore,
balzaron liete nella vita bella.
Fremean per loro i cuori a mille a mille,
passavan notti insonni tanti amanti
che,avidi,lor le braccia,estasiati,
tendevan come a coppe di piaceri.
O visi dolci di celesti fate;
o labbre di corallo,accese come
le fresche rose di natìa contrada;
abbra su cui Amor svolazza e ride;
vaghe forme scultoree idolatrate;
tutte su voi si posano frementi
i miei desìri.Quì,sul colle ameno,
che il più bel sol nascente tinge in rosa,
ove le stelle ci sarìan vicine,
parlandoci d’amore a notte chiara,
viver vorrei con voi.Nei dolci sguardi,
nel bel sorriso che dal cor vi sgorga
col suono del ruscello sul pendìo;
nel nimbo aurato di fragranti chiome,
onde il vostro bel capo altèr riluce,
il corpo e l’anima amano,sognando…,
perdersi.Liberi,almi inni d’amore,
amplessi immensi e fremiti d’ebbrezza
il cuore amante c’imporrebbe sempre.
Tutto d’attorno riderìa il creato.

A Maria

Quando dal pian sonoro elevi le limpide note,
e con la voce blanda la musica segui,o Maria,
con le vibranti corde la tua bell’anima freme,
e ride,sogna e vola,e un iride cerca di pace.
Mentre suoni,dal piano,divina in sembiante,s’aderge
Ebe,l’eterna giovine,sorrisi spargendo e fiori;
e con le rosee braccia,la testa ti cinge,o Maria,
dove aleggiando vanno i fulgidi sogni d’amore.

Maria,come soave il limpido sguardo tuo brilla
Oh,come dolce ride,di sotto a l’auree chiome!
Piovono dal tuo occhio misteri e sorrisi celesti,
quali la mite luna sul mare tranquillo riversa;
spandono gli occhi bruni serena un’ebbrezza ne’ cuori,
quale provò il Petrarca ,a Laura sedendo vicino.
Quale malioso sogno nel giovin tuo cuore fiorisce,
bella Maria bionda,allor che le stelle contempli?
Certo un sogno d’amore,un sogno di vaga speranza,
allor rifulge candido su l’ali del tuo pensiero.
Ma nei tuoi occhi vivi,a me,più che in stella ,si svela
sovrumana ebbrezza,che palpita,giova e rinfranca.
E’ ne la voce tua il placido ritmo de l’acque
che,saltellanti,scendono da colli che ridono al sole.
Ha la tua molle voce un lene tinnire di cetra,
leggiadramente scossa da ignote manine di fata.
Io ne la voce tua,che l’arpa pur vince in dolcezza
colgo una nota armonica,che lieto mi rende e pensoso.
Ha la parola tua il murmure lene di stilla,
che tra gli scogli cade e luccica come una gemma.
Da la persona tutta,emana un fascino immenso,
che prepotente irrompe nei giovani cuori e li strugge.
E se a celere danza,fremente la tua anima slanci,
gli affetti ardenti,a mille,t’inseguon,mia cara Maria.

Fresca rosa tu sei,sbocciata una notte di maggio,
al lume della luna,nel mite chiarore del cielo.
T’amo e t’adoro,o bella:così come l’aquila torna
sempre fremente ed ilare al dolce suo nido desiato;
come l’anima riede contenta ai grati ricordi,
e si diletta in essi ,qual leggiadro cigno nel canto:
riede così a te sempre il mio pensiero fervente,
trova sol gioia e lena in tuaideal visione.
Sopra ogni sogno sfolgori, tu ridi sovr’ogni speranza,
ammaliatrice eterna,immagine d’ogni tesoro:
e tutti i miei auguri plaudono,o bella Maria,
a te,novella effige di Venere,niade d’Amore…


Sonetti

O tu che dormi sotto al gelsomino,
come una ninfa placida dei prati,
dì,non mi senti tu,a te vicino,
sfiorar col labbro gli occhi tuoi amati?

Sei bella come un fiore porporino,
ed hai lineamenti delicati,
hai un viso che par di cherubino
e degli occhi celesti innamorati.

Come sul petto tuo senton le rose
il palpito del cuor tuo fremente,
come son esse fresche e sospirose!

Le bellezze del tuo corpo fragrante
sospiro anch’io con loro eternamente,
e fremo di dolcezza a te davante…

Quando ti bacio sulla chioma d’oro,
e al cor mi stringo il corpo tuo gentile,
ti sento fremer tutta,o mio tesoro,
come rosa allo zeffiro d’aprile.

E mentre io,te baciando,mi scoloro,
e ti abbraccio con palpito febbrile,
s’io veggo te,mio angelo,che adoro,
volgermi un guardo languido ed umile,
quel guardo,credi,mi consola il core,
e l’alma mia,in estasi rapita,
ringrazia il cielo,mormorando:O Amore!

Amor che reggi tutta la mia vita,
fa che per questo fiorellino mio
unica gioia ed unico ben sìa io…

Rosea come garofano porporino
si posa il tuo bel volto sul guanciale;
il tuo vezzoso collo alabastrino
è così bianco che non ha l’uguale.

E’ lieve il tuo respir come,al mattino,
lo zeffiro che va per floreale
prato,blanda come ala d’uccellino
che svolazzi su l’acque,al littorale.

Ebbro,ti sfioro il bel visin di rosa,
e stringo il corpo tuo di molle giglio,
e bevo con ardore il tuo respiro…

Io nulla al mondo più di te desiro,
tu dell’anima mia sei lo scompiglio,
tu sei del mondo la più bella cosa.

Sogni vani

Quando la notte stende l’ali nere,
sul creato che tace,eppur sospira,
veggo farmisi intorno,a schiere a schiere,
le donne per cui l’alma si martìra:
donne che io desiai con tanta brama,
con lena infaticabile e rovente
si che nel sangue sentii come lama
ignea passar la voluttà fremente.

Fantasmi di bellezze femminili,
sogni di voluttà:oh,dolce incanto
tender le braccia a le forme gentili,
a le vaghe bellezze che amo tanto!

Vision soave!I visi sorridenti
parmi d’accarezzar con blanda mano,
e veggo nei grand’occhi risplendenti
migrare un fascino, un desìo arcano.

E stringo al petto le visìon leggiadre!
Vana ebbrezza!Per brevi tenebre adre,
va il sogno mentitor,a ratte vele…

Ad una giovinetta

Anna vezzosa,il biondo sol che t’ama
ti tinge il crin di fulgidi riflessi,
e bacia la tua fronte di fanciulla:
pura fronte serena e sorridente
sì come il raggio de l’estiva luna,
ove i verginei pensier la bianca ala
batton frementi.E tutto intorno t’ama:
si pinge il ciel per te di novo riso,
specchian le stelle la lor tenue luce
nello sguardo tuo limpido e divino.
Lieta,Natura intorno a te s’abbella,
e dà vita al tuo sogno palpitante,
sogno che accarezza dolcemente
ogni cosa più vaga e più gradita.

Batte a la tua finestra luna nova
e ti circonda il viso di candore;
la speranza nel cuore ti rinnova
e t’avvolge in un’ iride d’amore.

Batte a la tua finestra luna piena,
e dice:T’amo,mia sorella bianca;
io ti vezzeggio a notte più serena,
t’inondo di sopor l’anima stanca.

E Apollo,che s’intreccia al capo i fiori,
sorgendo,nel mattin,dai monti,esclama:
Io per te colgo i più soavi odori,
ravvivo in te le gioie che il cor brama.

Levati,o bella,a la collina aprica,
è tutto un gaudio di riso e di festa,
al mirto occhieggia la vìola amica;
sorgi,l’attimo fugge e non s’arresta!...

Cogli ,orsù,i garofani e le rose,
bevi il nettare che la vita dona,
-culla Felicità tue spemi ascose,
e al piacere,all’amor,ecco,ti sprona.-

Vivi nel gaudio de l’età tua bella,
vivi di lieti sogni e poesia,
t’arride di lassù l’eterna stella
che protegge ogni cosa suave e pìa .

Amor segreto

si son su me posati indifferenti!...
Quando tu col sorriso le canzoni
accompagnavi, e le affidavi ai venti

Che tiepidi soffiavan ne la sera;
e parlavi d’amor,d’obblii sognati,
ma non raggiunti,su te,bella e altèra,
oh quante volte,gli occhi io ho fermati!...

Eppur tu non sapevi,e ancor non sai,
quale affetto per te allor nutrivo;
cara,e ancor non conosci quanto amai
il tuo bel volto,il riso tuo giulivo.

Ed io sempre mi struggo a te davanti,
d’un prepotente  e d’un eterno amore;
e quando volgi a me gli occhi stellanti,
mi sento aprir mille ferite in core.

T’amo e t’amerò ciò non pertanto,
finché avrò del sangue entro le vene ,
perché in te racchiudi un grande incanto,
perché,bella,sei tu il sol mio bene.

E t’amerò in silenzio:gli almi occhioni
ancor mi guarderanno indifferenti,
mentre che, spensierata,le canzoni
tu canterai,al palpitar dei venti…

Sponsalia
(o per il matrimonio di P.B.)

Amor,che avvivi benigno la stella
Che al ben l’umanità nostra conduce,
amore,cui quand’è virtù sorella,
valore essa nell’alma e genio adduce,
de gli sposi nei cuori palpitanti
spandi oggi le speranze e le dolcezze,
dà al dolce sorriso de gli amanti
tuoi fremiti,splendor,gioia ed ebbrezze.
In casa cresca e giubili la prole,
nell’onor,nel saper tempri la vita,
gli animi abbian profumo di vìole.
Giocondi,come fiori a primavera,
giorni,o sposi, l’allegria v’addita:
mai sul vostro gioir scenda la sera.


Per nozze

Ne l’isole divine
che il chiaro Ionio con molle onde cinge,
infondendo sui lieti campi opimi
virtù che i fiori pinge;
ne l’Urbe augusta e le città latine,
ove i Padri sublimi
vissero in armi e lotte ai tempi primi,
gli inni intonando a l’aure mattutine:

cinte di bianchi veli,
le ninfe a sera col piede leggèro,
sotto i pallidi raggi della luna
sfioravan l’onda bruna.
Era un sorriso candido nei cieli,
fremiti avea d’amore l’orbe intero,
e mare e cielo e le città turrite
cantavan tutti le gioie infinite.

Dicevan le ninfe snelle:
Accendi,o Imene,d’amore la face,
e spandine le fervide faville
sul mondo che ora tace.
Accendi,o Imene,accendi l’alma face.
Ecco che già ci annebbia le pupille
Un acre desiderio:noi siam belle,
ma senza amor non è con noi la pace.
Tal’era l’inno immenso
nei ciel che non mirò Omero cieco;
tale un inno sul Tevere correva
coi giambi di Catullo snelli:
aveva l’onda un sussulto intenso
e il mare una lunga eco.

Or che la giovinetta s’abbandona,
quasi inconscia,allo sposo suo gentile,
come rosa d’aprile
al fresco zaffir che con lei tenzona;
ora che,Imene intesse sua ghirlanda
sovra due eburnee fronti,
un armonia si spanda
dal mare al cielo e su dal piano ai monti.

Che pensa oggi la brava madre cara,
tra lacrime e sorrisi almi di gioia?
Come ,deh,come amara
la ricordanza lieta è nella noia!
Pensa:I tuoi puri sogni di fanciulla
vegliai per notti intere,
mentre che tu vedevi su la culla
gli angioli belli sorriderti a schiere.
Tenero fior del sangue mio nutrito
eppur tu devi andar da me lontano:
ne l’invernali sere,se il ruggito
udrò fiero dei venti,
più non avrò la tua nella mia mano…
E mentre il van dolore mio non senti,
io, ad ogni stilla di pioggia che scroscia
nel cuore sentirò penosa angoscia.
Unico frutto del mio amore ardente,
che i monti d’Appennin valicherai,
oh,non scordarti mai
chi lontana vivrà sempre dolente!
Ma forse tu non sentirai il mio pianto,
quando alle cure dei tuoi figli intenta
starai,assai contenta,
dimentica di me che t’amo tanto.

Così plorando la tua madre a sera,
nel vedere la luna tramontare
il cielo manderà una preghiera
mesta,pensando a le sembianze care.
E,prendendo la mano del marito,
dirà:Non li vedrem sotto i nostri occhi
i nipotini crescere,gradito
conforto a quei che han deboli i ginocchi.
Allor quando sarem vecchi-nessuno
Ci asciugherà le lacrime dal viso,
non farà più alcuno
sembrar a noi la terra un paradiso.
E quando chinerem la bianca testa,
oppressi dal dolore o da sconforto,
nessuno più a noi soli farà festa,
né dato ci sarà alcun conforto.

Così la madre e il padre gemeranno,
le notti insonni,con la fronte china,
mentre che una divina
pace lieti farà i corpi senz’affanno.
Ma dileguino pur le idee tristi,
e sol chiamasi pronubo il Piacere,
con gli altri dei che,traslocando,visti
furon errar per le celesti sfere.

Inno,che celebrasti i campi aprici
e l’ebbrezza sublime de l’amore,
e trascorrer mirasti per pendici,
dei fiumi il luccicore;
furor che celebrasti le vittorie
di Quei che dorme in isola rupestre,
e ancor pensa a le glorie
d’Italia,dal Granicolo,alto,equestre:

inno ispirato dall’affetto puro,
degli sposi oggi canta l’alme miti,
augura che il futuro
dia loro pace e gaudii infiniti.
Da le poppe materne forti figli
pendano,che ai consigli
paterni temprino gli affetti santi
e alti ideal brillar veggano più avanti.

Celebra, inno,le vergini fiorenti
nella mia patria terra,
cui nei placidi occhi risplendenti
brilla il sorriso che pei cieli erra.
Potenti esse in oprare e partorire,
come Cornelia,come clelia prode,
ai figli apprendan virtù che dia lode,
e il vincere o morire.

Qual madri o spose di spartani eroi,
a egregi atti col loro amor dian sprone,
e dagli esperii ai verdi clivi eoi
lor saran date di gloria corone.
Roma rifulgerà dai sette colli,
alta tenendo la spada levata,
dirà,scotendo l’egida fatata:
sedrò regina,fin che il mondo crolli.

O Italia,o Roma!Grande l’Idea splende
dal Campidoglio augusto al sacro Foro,
e da Trieste che attende,
fino all’estrema punta del Peloro.
O Roma!O Italia,raggia la Speranza,
sovra i tuoi santi lidi:
la fede,la gran fede che ci avanza
trionferà certo pei tuoi figli fidi.

Rivi forse n’andran di giovin sangue
sul tuo ridente suolo;
ma,sacri a un ideal che mai non langue,
grandi sarem dall’uno all’altro polo.

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