ITINERARI DELLA FEDE, ANTICHE CHIESE E CAPPELLE STORICHE DI VALLATA, Rocco De Paola

ITINERARI DELLA FEDE.
ANTICHE CHIESE E CAPPELLE STORICHE DI VALLATA.

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        Numerose chiese e cappelle, a testimonianza di una fede sempre viva e fervida, erano sparse ai quattro canti del paese ed anche extra moenia. Di esse alcune esistono ancora, mentre di numerose altre sopravvivono ruderi o sono ricordate nei toponimi di taluni luoghi, ad eccezione, ahimè!, della vetusta chiesetta di Montevergine. Di questa ancora sopravvive l’abside, con ben visibili dei frammenti di affresco, ma non l’antico nome della strada che menava al tempietto. Un improvvido provvedimento la cancellò anni or sono dalla toponomastica del paese, il che rischia di obliarne persino la memoria storica presso le future generazioni. Costruita fuori le mura, per iniziativa di un devoto, Nicola De Federico, l’atto di nascita della nuova fondazione verginiana, esistente ancora la più vetusta chiesa di S. Giorgio, reca la data dell’8 maggio 1519. Vincenzo Volpe, all’epoca vescovo di Bisaccia, concede l’assenso all’unione al monastero di Montevergine.
        Altra antica chiesa fuori le mura era quelle dedicata ai Morti (lu Murt’cjdd’), sede della omonima congregazione intesa alla diffusione del culto dei defunti, che chiudeva prospetticamente, con la sua elegante facciata, come è dato vedere in antiche foto, l’attuale piazza Garibaldi sul lato ovest. Demolita in seguito al terremoto del 1962, dalla congerie delle macerie fu possibile salvare solo poche cose (colonnine e cupolette dell’altare maggiore, due elementi dell’artistico portale) riutilizzate poi nella cripta della ristrutturata Chiesa Maggiore.
        Della chiesa di Santa Maria delle Grazie, posta ad occidente, su una piccola altura, è possibile ammirare tuttora un originale portale in pietra, che andrebbe recuperato e protetto in luogo sicuro, ornato con i bassorilievi di inquietanti quanto suggestive figure di putti. La chiesa di San Vito ancora domina a guisa di fortezza la collinetta omonima e tuttora vivo è il culto del Santo, la cui ricorrenza del 15 di giugno è celebrata con la tradizionale fiera. Persiste la tradizione delle “panelle”, minuscoli pani benedetti, e dei tre giri, a piedi o in macchina, una volta a dorso d’asino, che occorre fare intorno al tempietto prima di entrare, pena la mancata protezione del Santo dalla rabbia se vi si accede senza i rituali peripli!
Ancora esistono, entro la cerchia delle antiche mura, e sono aperte al culto, suggestive cappelle rupestri, l’Incoronata e l’Annunziata.
        Di recente, in una nicchia della chiesetta dell’Incoronata, rimasta segreta per decenni, celata da un muro, è stata scoperta una statua della Madonna ancora in discrete condizioni. La Vergine reca in braccio un bambino. Secondo l’opinione di taluni fedeli sarebbe la Madonna della neve, venerata anche in altri territori del nostro Sud.
        Alla cappella dell’Annunziata si accedeva per Porta del Piano, una delle tre porte dell’antico borgo, e attraverso l’omonima piazzetta. Edificata probabilmente verso la metà del secolo XV, nonostante fosse stata distrutta numerose volte dai terremoti, fu sempre ricostruita. Dell’antica costruzione, in origine forse interamente in gotico, resta un portale del medesimo stile, con l’arco a sesto acuto retto da pilastri. Interessante l’arco, proteso all’esterno con una vistosa cornice lavorata a piccole aste, congiunte in cima da archetti gotici. L’insieme, pur massiccio, dà un sorprendente effetto di leggerezza per il tendere verso l’alto della parte superiore dell’arco. Di un pregevole quadro di Giovanni Balducci, di cui è notizia nello “Archivio storico delle province napoletane”, non vi è traccia ormai da tempo immemorabile, forse disperso o distrutto in uno dei catastrofici, ripetuti eventi tellurici.
        Della fondazione della cappella laicale della “Pietà” si sono conservati i documenti, per interesse meritorio di un gruppo di Vallatesi, che si definiscono “ amici di detta terra”, e si possono leggere in un opuscolo pubblicato per loro iniziativa, nell’agosto 2000. I documenti comprendono la “supplica” che devoti fedeli rivolgono alla Curia vescovile per la “concessione”, data poi in S. Angelo dei Lombardi il 17 aprile 1752, e l’atto notarile, in data 4 maggio del medesimo anno, con cui donna Rachele Bufalo ed i signori Giuseppe, Francescantonio, Nicola ed Arcangelo Patetta si impegnano a corrispondere annualmente delle rendite alla “Venerabile Vergine Addolorata, detta della “Pietà”, situata fuori le mura di detta terra di Vallata”. Sorse allora l’abitudine, divenuta tradizione, di recarsi a piedi, tutti i venerdì di Quaresima, alla cappella della “Pietà”, posta in luogo impervio, su un declivio del monte Santo Stefano. Frotte di giovinetti vi si dirigevano alternando alle preghiere la raccolta dei primi fiori di primavera!
        Di altre chiese e cappelle, San Giorgio, Santo Stefano, Sant’Andrea, sopravvive solo il ricordo nei toponimi, come è il caso del quartiere omonimo di San Giorgio, di contrada sant’Andrea e del monte Santo Stefano. La cappella di santa Caterina esisteva ancora qualche tempo fa presso porta del Rivellino. Si trattava di un disadorno locale cui si accedeva tramite una porta sormontata da un architrave poggiante su due semplici capitelli aggettanti. Di una cappella dedicata a San Leonardo, sempre presso la sunnominata porta, fa menzione Tommaso Pavese. Una chiesa di San Sebastiano sarebbe stata costruita nel 15° secolo, dopo la distruzione di Vallata conseguente alla “asperissima battaglia” del 1496, ed in concomitanza con l’ennesima epidemia pestilenziale, per assicurarsi la protezione del Santo contro il morbo. I “resti della popolazione”, come dice un cronista, “si restrinsero in un luogo tutto eminente ivi edificando il detto tempio”. Accanto ad esso, nel 1519, fu costruita la chiesa di Santa Maria, che dà ancora il nome all’altura ed al circostante quartiere. Santa Maria venne ricostruita interamente nell’attuale forma negli anni Trenta sui ruderi preesistenti, dai quali emerse, durante gli scavi, un pregevole Cristo d’avorio, gelosamente custodito da un devoto cittadino. La stessa fonte ci informa che la chiesa di S. Sebastiano fu “da voracissimo fuoco incendiata” in una con la chiesa matrice l’11 marzo 1719. Di questo evento, tuttavia, non vi sarebbe traccia, a detta di don Gerardo De Paola, nei registri parrocchiali, che ancora rappresentano preziosi documenti per la ricostruzione di importanti vicende storiche, spesso drammatiche, della antica Vallata.
        Una cappella gentilizia del palazzo “Tullio” mostra ancora cospicui resti, sul lato nord-est, nonostante gli improvvidi ed indiscriminati abbattimenti operati dopo il sisma del 1980.
        Altra cappella gentilizia si trova all’interno del palazzo “Netta”, al centro della quale vi è (o vi era?) un artistico altare in pietra ed affreschi sulle volte ed alle pareti. Sarebbe auspicabile un attento recupero, quando sarà reso possibile il restauro dell’intero stabile, anche a futura memoria di una tradizione di fede che accomunava nobiltà e basso popolo.

Rocco De Paola

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