EPIGRAFE D’EPOCA IMPERIALE RINVENUTA A VALLATA NEGLI ANNI TRENTA DEL SECOLO SCORSO TRA LE ROVINE DELLA CHIESETTA DI S. MARIA DI MONTEVERGINE - A cura di Rocco De Paola.

EPIGRAFE D’EPOCA IMPERIALE
RINVENUTA A VALLATA
NEGLI ANNI TRENTA DEL SECOLO SCORSO
TRA LE ROVINE DELLA CHIESETTA
DI S. MARIA DI MONTEVERGINE

di
Rocco De Paola

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        Il 29 luglio del 1932, tra le rovine della vetusta chiesetta di Montevergine, della quale ancora resta in piedi l’abside con labili tracce di un affresco, emerse una pietra con epigrafe. Si trattava di un cippo sepolcrale a forma di baule, lungo m 1,44 per m 1,18 di circonferenza, che riportava la seguente scritta

D • M •
C • FANNI
OC JOVI
MIANO
        Improvvidamente, esso venne poi rotolato nel vicino torrente di “Acqua del Medico” e, poco dopo, fu travolto e trasportato più a valle dalla piena provocata da un violento nubifragio. Secondo Saponara, che riporta tutte queste notizie1, il cippo ancora si sarebbe trovato, verso la metà del secolo scorso, in un piccolo gorgo nel podere allora appartenente agli eredi del colonnello Pelosi. Oggi, purtroppo, non ve n’è più traccia, per cui, per l’interpretazione dell’epigrafe, dobbiamo far riferimento solo agli scarsi ragguagli riportati nell’opuscolo di Saponara. Il testo dell’epigrafe appare mutilo e di difficile interpretazione, per talune forme dei termini ricorrenti in esso non concordanti sul piano sintattico e grammaticale, che ovviamente ne condizionano l’anamnesi semantica. Tuttavia, nonostante le difficoltà segnalate, è, comunque, possibile tentare una sia pur parziale esegesi del suo contenuto.
        Intanto, la forma “a baule” serve a circoscrivere l’età del manufatto ai primi secoli dell’Impero Romano, precisamente al II-III secolo d. C2. Tale tipologia di monumento funebre trovò ampia diffusione in numerosi territori dell’impero3 ed ebbe inusitata fortuna anche in Irpinia4, come del resto è documentato dai numerosi ritrovamenti di tali cippi sepolcrali anche nelle nostre zone5. Sembra che la copertura a baule fosse quella preferenziale di una determinata classe sociale, un ceto medio formato da schiavi, liberti ed evocati, e che la sua diffusione sia dovuta alle loro attività ed ai loro spostamenti sul territorio6.


La chiesetta di Montevergine come appariva negli anni Venti/Trenta con il
tetto diroccato ed in stato di abbandono. (Foto ripresa da una antica cartolina).

        L’epigrafe si apre con la consueta “adprecatio” agli dei Mani, nella forma punteggiata, che, originatasi verso la prima metà del I secolo d. C., cadrà progressivamente in disuso, fino a non essere più utilizzata tra la fine del III e l’inizio del IV secolo d. C.7 I problemi di interpretazione sorgono con la parole successive. Infatti, “C. Fanni” deve intendersi come un genitivo, o, con le dovute integrazioni, come un dativo oppure come un nominativo? La soluzione più semplice e di immediata evidenza sembrerebbe suggerire che si tratti di un genitivo e che, quindi, il destinatario dell’epigrafe sia appunto Gaio Fannio. Tuttavia, considerando che il testo ci è pervenuto lacunoso, non è facile accettare una simile soluzione, anche perché essa confliggerebbe in modo insolubile con le parole successive, in quanto ne deriverebbe una rimarchevole discordanza con le parole successive. Si verrebbero, infatti, a sovrapporre due distinte dediche, una diretta a Gaio Fannio e l’altra ad un fantomatico (…)oc(…) Jovi(…) (…)Miano. Il formulario consueto, codificato in migliaia di epigrafi, distingue sempre il dedicante, artefice della iscrizione, ed il destinatario di essa. Essi possono comparire nella parte iniziale o in quella successiva, anche in ordine inverso. Comunque non è dato osservare, se non in rari casi, la contemporanea presenza di due titolari della dedica, anziché di uno solo, e quasi sempre sulla lapide compare il nome dell’attore (o dell’attrice) della dedica8.
        Secondo una attendibile interpretazione, “C. Fanni” potrebbe collegarsi con la successiva “o” del rigo seguente, per cui ne deriverebbe la traduzione “a G. Fannio”, secondo una formula, invalsa in tempo più tardo, che assimila il defunto agli stessi Dei Mani9. Se poi “C. Fanni” dovesse essere inteso come un nominativo, C(aius) Fanni(us), cosa assolutamente plausibile,il senso complessivo dell’epigrafe guadagnerebbe in perspicuità. La datazione della stessa potrebbe, poi, essere fissata alla prima metà del I secolo d. C, quando appunto il nome del defunto compare nelle lapidi nella prima riga, al nominativo. Tuttavia una simile congettura è da escludere proprio considerando la forma a baule del monumento, la cui diffusione, come si è detto, è da collocare in epoca successiva. Può essere, però, anche accreditato il caso inverso che Gaio Fannio possa essere colui che abbia commissionato il monumento funebre per un altro personaggio, il cui nome va dedotto dalle parole frammentarie in calce all’epigrafe che non ne consentono una facile identificazione. Non è da escludere nemmeno l’ipotesi che “C. Fanni(…)” possa essere un nome femminile, per cui il ventaglio delle possibili congetture si amplierebbe soprattutto per quanto riguarda il prenome (Gaia, Caecilia, Caesonia, Cornelia, Claudia. Clodia…). Ancor più sibilline appaiono le parole successive. “OC” è del tutto indecifrabile, a meno che non lo si interpreti per “HOC”, riferito a qualcosa difficilmente identificabile, mentre escluderei che “JOVI” possa far riferimento al padre degli dei e, integrando eventuali lettere illeggibili o abrase del testo originale, si potrebbe intendere come Jovi(no), Jovi(ano) o più semplicemente Jovi(o). Anche l’ultima parola del testo, che sembra al dativo, necessita di una integrazione delle presunte lettere mancanti. La “lectio facilior” suggerisce di integrarla con (Maxi)miano, ma non sono escluse altre interpretazioni, come (Am)miano, (Fir)miano o (For)miano, (La)miano, (Mam)miano. L’unico elemento certo dell’antico epitaffio, pur con le segnalate riserve riguardo alla sua esatta morfologia grammaticale, è il “nomen” Fannius preceduto dal “prenomen” Caius.
        La gens Fannia, di origine plebea, compare negli annali della storia dell’Urbe nel corso del II secolo a. C. con C. Fannius Strabo, console nel 16110. Nel corso del suo mandato furono espulsi da Roma filosofi e retori, i cui insegnamenti erano considerati come attività perniciose per la gioventù romana, rispetto alla severa formazione della tradizione11. Fu artefice anche di una delle prime leggi “sumptuariae” che tentavano di porre un freno alla dissipazione ed al lusso che ormai si andavano affermando nell’ambito delle classi gentilizie. Un omonimo Gaio Fannio Strabone, forse legato da vincoli di parentela con il predetto console, fu tribuno della plebe nel 142 a. C. e console, a sua volta, nel 122 a. C. Nonostante l’appoggio influente di Gaio Gracco nel perseguire la prestigiosa carica, una volta eletto si dimostrò poco riconoscente, anzi parteggiò apertamente per la fazione aristocratica, opponendosi alla proposta fatta da Gracco di estendere la cittadinanza romana a tutti i popoli latini e rendendosi artefice persino della espulsione da Roma di tutti gli alleati italici12. Un altro G. Fannio Strabone, forse da identificare con il citato tribuno, poi console, sotto il comando di Scipione Emiliano, fu il primo a montare sulle mura di Cartagine nel 146 a. C, insieme a Tiberio Gracco13, nel corso della Terza e definitiva Guerra Punica che portò alla distruzione di quella fiera e tenace avversaria di Roma. Discreto oratore, fu anche autore di un’opera storica sugli eventi contemporanei che gli meritò l’apprezzamento di Sallustio14. Un Gaio Fannio cavaliere romano è citato da Cicerone come una delle vittime del reato di concussione da parte di Gaio Verre, quando costui esercitava la carica di pretore urbano15. Ancora una vicenda giudiziaria ci conserva memoria di un Marco Fannio, uno dei giudici del processo contro Sesto Roscio Amerino, difeso con successo da Cicerone dall’accusa di parricidio intentata da Crisogono, liberto di Silla16. Lucio Fannio fu un generale romano. Al seguito del legato Flavio Cimbria nella guerra contro Mitridate17, passò al servizio di costui, procurandogli nel 79 a.C. l’alleanza con Sertorio18, il condottiero romano fedele a Mario che aveva occupato la Spagna. Lucio Fannio combatté contro l’esercito romano tra le schiere del re del Ponto. A causa della sua diserzione, il Senato lo bollò come nemico pubblico insieme a Lucio Magio, altro disertore19. Tuttavia il suo tradimento non ebbe più gravi conseguenze, anzi nel 72 a. C. poté far ritorno impunemente a Roma, essendo passato al servizio del generale Lucullo, del quale nel 67 a. C. fu legato nella guerra contro Tigrane, genero di Mitridate, sconfitto poi da Gneo Pompeo. Gaio Fannio, convenuto tra li accusatori di Clodio20, è menzionato da Lucio Vezzio come uno dei complici di una presunta congiura contro Pompeo21. Tale accusa appare inverosimile se Cicerone lo cita come uno dei legati che si recano a Marsiglia proprio da Pompeo per indurlo a convergere con le sue truppe verso Modena22. Lo stesso personaggio forse si recò nel 43 a. C., questa volta come legato di M. Lepido, presso Sesto Pompeo, alla corte del quale trovò poi rifugio in Sicilia. Ma quando il figlio di Pompeo Magno riparò in Asia, Fannio ed altri lo abbandonarono, aderendo alla fazione di Antonio23. Ancora un omonimo Gaio Fannio fu tribuno della plebe nel 59 a. C.24, quando divennero consoli Gaio Giulio Cesare e Marco Calpurnio Bibulo. Nonostante la carica ricoperta, che avrebbe dovuto favorire gli interessi del popolo, si oppose, in combutta con Bibulo, alla legge agraria elaborata da Cesare. Aderì, poi, al partito pompeiano e nel 49 a. C. ottenne la pretura in Sicilia25. La caduta di Pompeo, l’anno seguente, pare abbia travolto lo stesso Gaio Fannio.
        Un altro Fannio sarebbe stato uno dei generali dell’esercito romano sotto il comando di Gaio Cassio Longino26 nel 42 a. C., forse da identificare con il Gaio Fannio che Giuseppe Flavio definisce, impropriamente, come usurpatore (στρατηγόσ ϋπαρος) del suo alto grado27. Gaio Fannio, contemporaneo di Plinio il Giovane, compose un’opera in tre libri, rimasta incompiuta per la morte prematura dell’autore, che fu molto popolare per lo stile e per il soggetto, in quanto trattava della triste sorte di numerosi cittadini romani esiliati o fatti giustiziare da Nerone28. Fannio Quadrato, un poetastro contemporaneo di Orazio è sbeffeggiato nella Satira I29, in quanto non si perita di portare personalmente le casse con i suoi manoscritti nelle librerie del Foro e di esporre il suo ritratto in pubblico per farsi pubblicità. Il grande Venosino, invece, teme addirittura di esporsi pubblicamente nel recitare le sue opere, conscio del fatto che la poesia non vada a genio a tanti che per questo meriterebbero di essere messi alla gogna. Gaio Fannio Cherea, il cui cognomen è di chiara origine greca, fu forse un liberto di un certo Gaio Fannio, del quale avrebbe, poi, assunto il “prenomen” ed il “nomen”30. E’ noto alle cronache del tempo per una controversia sorta con Quinto Roscio Gallo Comedo, noto e stimato attore tragico e poi comico, difeso dall’amico Cicerone con una celebre orazione titolata appunto “Pro Roscio”31 pronunciata nel 76 a. C.
        Fannio Cepione, artefice di una congiura ordita contro Augusto nel 22 a. C.32, denunziato da un delatore di nome Castricio, fu condannato in contumacia e subito giustiziato con i suoi complici, tra cui Lucio Licinio Varrone Murena33. Due donne appartenenti alla famiglia Fannia godettero di un certo momento di notorietà nel contesto degli eventi del I secolo a. C. e del I secolo d. C. Una Fannia originaria di Minturno andò sposa ad un Gaio Titinio il quale aveva contratto il matrimonio con lo scopo recondito di appropriarsi dei cospicui beni della consorte34. La ripudiò, dunque, con l’accusa di impudicizia, ma Gaio Mario, adito dai due, sentenziò che Titinio desistesse da quel proposito e restituisse la dote alla moglie. Poiché costui tergiversava, venne emessa una ulteriore sentenza con cui la donna fu condannata a versare un sesterzio per oltraggio al pudore, mentre Titinio fu contestualmente obbligato a restituirle in toto la dote. Proprio quella Fannia avrebbe poi prestato soccorso a Mario, fuggiasco nelle paludi di Minturno dopo la condanna del Senato come nemico di Roma35. Un’altra Fannia, seconda moglie di Elvidio Prisco, seguì volontariamente il marito in esilio, che era stato coinvolto nel processo intentato contro il suocero Trasea Peto per essersi opposto a Nerone. Tornato a Roma, Prisco si inimicò il nuovo imperatore Vitellio e poi si rese inviso a Vespasiano che lo esiliò nuovamente ed in seguito lo fece uccidere36. L’eroica moglie, che lo aveva seguito anche nel secondo esilio, commissionò una biografia del marito ad un cero Senecione, che pagò con la vita quello che fu considerato come un grave reato, mentre la donna fu di nuovo relegata in lontane plaghe. Plinio il Giovane, che ci fornisce queste notizie, si dichiara angustiato per le condizioni di salute di Fannia ed esprime tutta la propria ammirazione per la serenità e la forza d’animo di quella donna esemplare37.
        Come si deduce da quanto sopra esposto, la gens Fannia godeva di ampio credito sociale se annoverava, nel suo albero genealogico, eminenti personaggi che esercitarono una certa influenza anche ai massimi livelli, e che occuparono cariche di prestigio come il consolato, che fu la magistratura di grado più elevato fino all’avvento dell’impero. Tuttavia, ai fini del nostro discorso, teso a definire una qualche possibile identità della famiglia Fannia di Vallata, serve piuttosto inquisire la sua diffusione e la sua distribuzione nei territori finitimi al nostro, cercando di comprendere quali fossero il suo ruolo ed il suo status in ambito territoriale più ampio, nonché l’inerenza ai vari ceti sociali che caratterizzavano la società dell’epoca.
        In verità, nel “Corpus inscriptionum latinarum”, nei volumi IX e X, che riportano le epigrafi delle regioni augustee I, II, III, IV e V, non compaiono molti soggetti con il “nomen Fannius”. A Mirabella, “in domo Ferdinandi Guindacii”, secondo Paglia (a Fontanarosa, secondo Pratilli), Betizio Rufo ricorda con affetto la figura della moglie Fannia Erculia, con la quale convisse per ventisei anni e due mesi38.
        A Isernia vi erano cospicue presenze di personaggi appartenenti alla “gens Fannia”, come è testimoniato dalle numerose epigrafi ivi rinvenute. Lucio Fannio, figlio di Lucio, era un eminente cittadino di quel municipio. Infatti, la sigla finale (D • D) della sua epigrafe fa ritenere che il monumento funebre fosse stato eretto per volontà dei decurioni. I motivi esornativi che impreziosivano l’epitaffio ci forniscono ulteriori informazioni su quel personaggio che molto probabilmente aveva seguito il proprio“cursus honorum” nell’esercito. La tradizionale lupa capitolina con i due gemelli, le cornucopie, simbolo dell’abbondanza, lo scudo con due aste e l’elmo, gli schinieri sono altrettanti emblemi caratteristici di un soldato39. Anche un omonimo Lucio Fannio, forse parente dell’altro ma di padre diverso, essendo figlio di Gaio, era stato una persona di riguardo avendo ricoperto la carica di quadrumviro “iure dicundo”, con funzione giurisdizionale, come si evince dall’epigrafe40. Al di fuori del perimetro urbano di Isernia, una epigrafe attesta la presenza di una Fannia Lea, “contubernalis” di Lucio Lucilio Successo, il quale faceva parte di una associazione di centonari41.
        Ma la Fannia più famosa è sicuramente quella immortalata in una lastra lapidea ritrovata in una contrada di Isernia, nota per essere stata una ostessa di nome Fannia Voluptas, consorte di un altrettanto famoso Lucio Calidio Erotico42. Non si tratterebbe di un epitaffio, nonostante talune espressioni formulari tipiche come V • F • (vivus fecit), bensì della insegna di una locanda, come è attestato dalla pittoresca scena che ritrae l’oste con un avventore e l’immagine di un animale da soma gravato del bagaglio e pronto alla partenza. Il dialogo riportato in calce, mentre si conteggia quanto dovuto dall’ospite, è un vero e proprio bozzetto drammatico, molto divertente. Evidentemente serviva per pubblicizzare i servizi offerti, tra cui la disponibilità di “puellae” compiacenti. Anche i nomi dei gestori della taberna sembrerebbero studiati per “adescare” i viandanti che passavano nei pressi di quella “caupona”. La lapide, già nota nel XVII secolo, per diverso tempo fu in possesso del vescovado di Isernia. Dopo alcuni anni di oblio, lo stesso Mommsen dichiara di ignorare il luogo dove essa era detenuta a quel tempo, approdò, all’inizio del XX secolo, al Louvre, dove è tuttora custodita, ma non è esposta al pubblico.
        Capestrano, oggi in provincia de L’Aquila, nell’antichità faceva parte della Regio IV augustea del Samnium. Quella località è piuttosto famosa per la statua di arte italica del VI secolo a. C., nota come guerriero di Capestrano, ora al Museo Archeologico Nazionale di Chieti. Nel territorio di quel comune sono attestate due epigrafi relative a personaggi della “gens Fannia”. Una di esse, scoperta nei pressi di un lago, conterrebbe un riferimento ad un certo Fannio Fileto43, ma la lezione fornita da Carmelo Mancini è piuttosto dubbia, tanto che Mommsen esprime delle riserve in merito44. Difatti la versione di Dressel , collaboratore dello studioso tedesco, è alquanto lacunosa, presentando il supporto lapideo delle fratture evidenti sia a destra che a sinistra, per cui la decodificazione del testo è resa molto problematica se non impossibile. Sicuramente più agevole è l’esegesi dell’altra epigrafe, che ora si conserva nel Museo de L’Aquila, descritta personalmente da Mommsen ed emendata da Dressel. Vi è citata una Fannia Iusta alla quale il figlio dedica il monumento funebre45. A Falerone, località compresa nella Regio V del Picenum, c’era una lapide che riportava il nome di una Fannia. L’epigrafe, secondo Mommsen, si conserverebbe in un museo di Fermo46.
        Il “nomen” Fannius è presente su delle anfore calabre (odierno Salento), segno che da parte dei componenti di quella “gens” era praticata, direttamente o per mezzo di manodopera servile, l’arte figulina. Nell’agro di Torchiarolo, in provincia di Brindisi, nella località di Valesio, un sito archeologico sede dell’omonima città messapica, fu rinvenuta una scritta, ora al Museo di Lecce, che riportava il nome di Lucio Fannio47. Nel territorio brindisino sono attestati altri tre personaggi omonimi, sulle anse di alcune anfore. Ignoriamo se fossero legati da vincoli di parentela, ma il fatto che ben quattro persone portassero lo stesso nome è piuttosto singolare, anche perché molto verosimilmente praticavano lo stesso mestiere. Sull’ansa di un’anfora si legge L • FANNI, mentre sull’altra ansa è riportato un diverso nominativo, APELL, del tutto simile a una scritta rinvenuta in Grecia (ΑΠΕΛΛΉ)48, ma che certamente non è riferita all’insigne artista, che, come ognun sa, esercitava l’arte della pittura ed era vissuto nel secolo IV a. C. Sempre “in agro brundisino”, sulle anse di altre due anfore si legge, sia su quella contrassegnata con la a. che su quella contrassegnata con la b., L • FANNI. Sulle altre due anse sono riportati i nomi di certi Diodoti, che forse afferiscono ad un medesimo personaggio49. E’ del tutto possibile che “in agro brundisino” vi fosse un unico Lucio Fannio dedito all’arte figulina e che avesse alle sue dipendenze degli schiavi con nominativi diversi. Altra possibilità è che i Fannii documentati sulle anse formassero una dinastia, con generazioni di artigiani che si sono susseguiti, nel corso degli anni, nella produzione di vasi, anfore ed altre terraglie per gli usi della vita quotidiana. Il dato incontrovertibile è che la “gens Fannia”, in questa parte della “Calabria”, era dedita a quella attività, come è documentato dai reperti rinvenuti in territorio di Brindisi e zone limitrofe.
        Nella “Regio I”, Boscoreale, alle pendici del Vesuvio, è una località resa celebre nel mondo per le numerose ville ivi rinvenute e nota soprattutto per lo splendido tesoro, perfettamente conservato, ritrovato tra le rovine di una di quelle dimore, ora al Museo del Louvre. Negli anni 1894-95 venne alla luce una villa, con bellissimi affreschi a grandezza naturale, simili a quelli della Villa dei Misteri di Pompei. Essa è comunemente nota come Villa di Fannio, dal nome di Publio Fannio Sinistore, inciso sull’orlo di un vaso di metallo ritrovato tra i ruderi. E’ probabile che si tratti del proprietario di quella sfarzosa dimora, vissuto nel corso del I secolo d. C., e da qualcuno identificato con Fannio Cepione, di cui si è già discusso. Purtroppo le pitture parietali vennero smembrate e vendute a diversi Musei, tra cui il Metropolitan Museum di New York, il Louvre di Parigi, il Musée royal di Mariemont a Morlanwelz, in Belgio. Solo una parte degli affreschi, relativi al triclinio ed al grande triclinio, si possono ammirare tuttora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. La villa di Fannio passò poi ad altro proprietario, un certo Lucio Erennio Floro, come risulterebbe da un sigillo in bronzo, prima della catastrofica eruzione del Vesuvio del 79 d. C. che seppellì la villa con tutti i suoi tesori, per riemergere solo molti secoli più tardi, ma per essere ignominiosamente depredata e fatta oggetto di cupido mercimonio. Una delle tante turpitudini perpetrate nei secoli nei confronti del nostro patrimonio culturale50! A “Puteoli”, una epigrafe, custodita all’epoca presso il canonico Criscio, attesta la presenza di una Fania (sic) Sicundina che dedica l’epitaffio al coniuge Lucio Bellieno Geniale, morto all’età di trentaré anni51. Il “cognomen” “Sicundina” ci riporta ad una Secondina di una epigrafe rinvenuta a Vallata, oggetto di un mio studio52. Ovviamente, questo non deve indurre ad indebite inferenze. E’ tuttavia singolare che in quella donna di Pozzuoli vi sia la compresenza di un nome e di un cognome che ritroviamo, poi, in epigrafi del nostro paese. Una Fannia Sabina compare in una scritta proveniente dalla zona del Miseno, dove stanziava una delle flotte imperiali più imponenti, a salvaguardia delle coste occidentali e dei mari prospicienti. L’epitaffio53 è dedicato a Cazzio Sabino, morto a soli undici anni, da parte della madre e del padre Cazzio Sossio Felice, che si definisce “scriba”, ossia scrivano o segretario, e gregario della centuria della triere Pace, nome della trireme, di stanza nel porto del Miseno, alla quale era addetto. Di un T. Fannio Sabino54 vi è traccia su un tubo di piombo dei tanti repertati nello scavo di Trebula Balliensis, che faceva parte della Regio I, oggi Treglia, frazione del comune di Pontelatone in provincia di Caserta. In quella medesima località, di ben diverso prestigio doveva godere, nel contesto di quella comunità, Lucio Alfio Fannio55 accreditato di molteplici magistrature e resosi benemerito agli occhi dei cittadini e dei decurioni di quel municipio tanto da meritare l’onore della erezione di una statua. Il testo dell’iscrizione onoraria, accreditabile alla seconda metà del IV secolo d. C., ci è pervenuto lacunoso in più punti56 e fa riferimento ad un personaggio appartenente alla gens “Alfia”, attestata a Capua e ben nota nella parte settentrionale della Campania, che recava Fannio come “cognomen”. Nell’ “agro Caleno”57, territorio che prende nome dall’antichissima città di Cales, sorta ben prima di Roma, sono attestati un Gaius Fannius Clemens58 ed un certo P. Fannius Eupsychus59. Gaio Fannio Clemente era un veterano della VII coorte, cui venne dedicato l’epitaffio da parte del suo liberto Corinto. Il nome dell’altro Fannio si trovava su un sigillo di bronzo o di piombo, rinvenuto a Camigliano, uno dei territori che facevano parte dell’agro caleno. Il reperto, per vie recondite, finì a Roma nel negozio di un antiquario. Nel vicino territorio di Caiazzo fu ritrova una iscrizione su un “signaculum”, intestata ad un P • Fanni / Medici60.
       L’anamnesi e l’esegesi della seconda parte dell’epigrafe del nostro concittadino Gaio Fannio, come già si è accennato, non sono certo agevoli, per le oggettive difficoltà dovute alla frammentarietà del testo. Soprattutto lo spezzone iniziale, “oc”, è di ardua decifrazione e mancano del tutto degli indizi che potrebbero consentire il ripristino del termine. Sulle rimanenti parole si può tentare una qualche ricostruzione plausibile. Jovi andrebbe integrato in Jovius oppure Jovinus o anche Jovianus. I più noti personaggi con tali nomi giungono alla ribalta della storia nel IV e nel V secolo d. C., quando ormai l’Impero Romano è in declino e si avvia mestamente al tramonto. Gioviano (Jovianus Flavius Claudius)61 venne designato imperatore alla morte di Giuliano nel 363 e regnò fino al 364, quando sopravvenne la morte forse in seguito ad asfissia. Lo storico coevo Ammiano Marcellino62 lo giudicò molto severamente, soprattutto per aver stipulato una pace vergognosa (ignobile decretum) con il re persiano Sapore, abbandonando tutti i territori al di là del Tigri conquistati da Galerio nel 297. Giovio63, sotto l’impero di Onorio, ottenne dal valoroso generale Stilicone la carica di prefetto del pretorio dell’Illirico e successivamente fu nominato prefetto del pretorio dell’Italia. Ebbe un ruolo importante nelle trattavive intercorse fra Onorio e Alarico, per sventare le minacce del re dei Goti che si apprestava ad occupare Roma. L’ambasceria non sortì l’effetto sperato e Giovio, addirittura, passò dalla parte di Alarico, ottenendo in cambio cariche onorifiche e prebende. L’usurpatore Giovino fu acclamato imperatore nel 411, con il sostegno della nobiltà gallo-romana, ma, avendo associato al trono il fratello Sebastiano senza il consenso di Ataulfo re dei Visigoti, venne messo a morte nel 413. Le teste dei due fratelli vennero inviate, come macabro trofeo, all’imperatore Onorio ed esposte sulle mura di Ravenna.
       Un noto Paolo Giovio (Como 1483-Firenze 1552) fu , ai suoi tempi, un apprezzato storico e vescovo di Nocera dei Pagani nel 1528, ma tale personaggio ci proietta verso il secolo XVI, per cui non ha alcuna attinenza con l’evo antico e con i limiti cronologici del presente lavoro. Per inciso, la sua opera storica maggiore, Historiarum sui temporis libri (1550-1552), dalla discesa di Carlo VIII al 1547, riporta la tristemente famosa “asperissima bataglia” di Vallata del 6 maggio 1996, con il conseguente massacro di gran parte della popolazione, perpetrata dalla soldataglia del marchese di Mantova Francesco Gonzaga64.
       L’ultima parola dell’epigrafe della chiesetta di Montevergine di Vallata, come già si è detto in precedenza, necessita di una integrazione per restituirle un qualche plausibile senso. Tra le congetture possibili, mi pare accreditabile di una qualche verosimiglianza quella relativa a (La)miano, anche per via di una suggestione derivante da un toponimo della valle del Calaggio detto appunto “la Lamia”. Lamianus, allora, indicherebbe appartenenza alla gens Lamia, nobile famiglia romana che vantava origini mitiche, avendo avuto origine da Lamo, padre di Antifate, che fu re dei Lestrigoni e regnò in Formia65.
       Questo nostro breve excursus su taluni esponenti della “gens Fannia” e su eminenti personaggi che recarono il nome Jovis, Jovius o Jovianus ed il cognome Lamianus appare di una certa utilità per cercare di repertare la identità, sia pure per “summa capita”, del misterioso civis romanus la cui memoria si è per mero accidente conservata nei secoli. Nonostante l’onta del tempo, mercé l’epigrafe della veneranda Chiesa di Montevergine che ebbe a subire l’incuria degli uomini e la devastazione del sisma del 1930, il suo nome emerse provvidenzialmente dalle macerie del sacro tempio a imperituro ricordo di una nobile gens protagonista di talune rimarchevoli vicende della Roma repubblicana ed imperiale ed i cui esponenti non disdegnarono di porre la loro dimora nel nostro territorio in una età imprecisata dell’Evo Antico.

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1) Don Arturo Saponara, Vestigia di Roma in Vallata e nel suo territorio, Avellino, Tipografia Pergola, 1957. Ora in www.vallata.org
2) Giulia Baratta, Università di Macerata, “Alcune considerazioni sulla genesi e la diffusione delle cupae”, in Diritto@Storia, n. 8- 2009 – Memorie// Africa – Romana.
3) Jean-Noël Bonneville, Les cupae de Barcelone: les origines du type monumental, “MCV”, XVII, 1981, pagg. 5-38.
4) Lidiano Bacchielli, Monumenti funerari a forma di “cupula”, origine e diffusione in Italia Meridionale, in “Atti del III convegno di studio Università di Cagliari, 1985, pagg. 303-319. A pag. 304, nota 4, sono segnalati una ottantina di esemplari già riportati in CIL IX e X. Eclano presenta ben 23 tipologie di cupae, Benevento 22, nel circondario di Ariano sono segnalate 10 cupae, tra queste la n. 1406 di CIL a Taverna delle Noci di Vallesaccarda. A Venosa erano presenti 5 cupae, in Lucania 6. Un’altra sessantina di cippi sono stati scoperti in anni recenti in questa regione. Vedi Alfredo Buonopane, Tre cupae monolitiche nella chiesa di Santa Maria de Petra a Viggiano (Potenza), in “Grumento e il suo territorio nell’antichità” a cura di A. Mastrocinque, BAR International Series 2531, Oxford 2013, pp. 241-246. A pag. 243 è segnalata una cupa inedita che si trova nello stipite di un portale della chiesa.
5) A Trevico, oltre le lapidi di cui è conservata memoria in CIL IX, è visibile nella cripta dell’antica Cattedrale un cippo con epigrafe dedicata a tale “Ian (?) Claudio Quintiano” da parte della moglie Rubria Resilli(a), riportata in CIL IX, 1409, della quale Mommsen venne a conoscenza tramite l’Anonymus Arianensis del Codex Neapolitanus XIV G 23, il 17 luglio 1789. Un altro cippo (CIL IX, Additamenta, 6279) sarebbe conservato in “aedibus Cuoco”con dedica ad Agrio Rufiliano da parte della moglie Lusia Quita, come testimoniato dal canonico Andrea Calabrese che lo segnalò a Mommsen. Nei pressi del paese, “ad Appiam in loco q.d. Polignano sive Piscone” (oggi in agro di Scampitella, n.d.r.), vi sarebbe stato un grosso sasso “di figura piano convessa con quadretto in mezzo”, secondo le parole di Calabrese, che riportava una scritta dedicata a Tiberio Claudio Quinziano da parte del figlio omonimo. A Vallata sono documentati almeno quattro coperchi di sarcofago del tipo ad arca lucana. Uno di essi, ritrovato in contrada Mezzana Perazze, è attualmente giacente nel cortile del castello ducale di Bisaccia. Nel territorio di Scampitella vi erano un tempo altri due cippi dalla forma simile, documentati in CIL IX, n° 1407 e n° 1408. (Vedi i miei articoli su Luccius Rupilianus e su Fonteius Marcellinus, in “Pagus” e in www.vallata.org).
6) Giuliana Baratta, op. cit.
7) Giancarlo Susini, Epigrafia romana, Jouvence, Roma, 1997, pag. 101.
8) In CIL, IX, 1408, la dedica della epigrafe è diretta ad un Fonteio Marcellino da parte della madre Fonteia Ianuaria. Invece in CIL, IX, 1409, la dedicante Rubria Resillia compare al nominativo nella prima riga, mentre il dedicatario, il consorte Claudio Quinziano, figura nella seconda parte dell’epigrafe.
9) G. Susini,op. cit. ibidem.
10) A Dictionary of Greek and Roman biography and mythology by William Smith, Boston, Little Brown and Company, 1870, vol. II, pag. 136.
11) Aulo Gellio, Noctes acticae, 2, 24. Il poeta Lucilio mette alla berlina la “lex Fannia” definendola sprezzantemente “Fanni centussis misellus”, “i miserabili cento assi di Fannio”. C. Svetonio Tranquillo, De viris illustribus, 2. Rhetores, XXV, 1.
12) M. Tullio Cicerone, Brutus, 26; C. Plinius Secundus, Historia Naturalis, II, 32; Plutarco, Vite parallele, C. Gracco, 8,11,12.
13) Plutarco, Vite parallele, Tiberio Gracco, 4.
14) Gaio Sallustio Crispo, Historiae, Proemio.
15) Marco Tullio Cicerone, In Verrem, actio secunda, liber primus, De pretura urbana, XLIX, 128. Il processo si celebrò nel 70 a. C. e non si concluse con la condanna dell’imputato che si sottrasse alla sentenza, dopo varie manovre dilatorie, con l’esilio volontario a Marsiglia, portandosi dietro un ingente quantitativo delle enormi ricchezze accumulate con la pratica sistematica della malversazione e della concussione, soprattutto quando ebbe la nomina di propretore (73 a. C.) della provincia della Sicilia, incarico prorogato poi fino all’anno 71 a. C. L’accusa fu sostenuta da Cicerone su mandato dei Siciliani sottoposti ad ogni sorta di vessazione da parte di Verre. La morte sopravvenne nel 43 a. C. per opera di sicari di Antonio che si vendicò in tal modo del rifiuto opposto dall’ex propretore di consegnargli dei preziosi vasi. Quello fu anche l’anno in cui fu assassinato Cicerone su mandato dello stesso triumviro, nei pressi di Formia, dove si può ancora ammirare un imponente mausoleo circolare identificato come la tomba del grande oratore. Una vicenda giudiziaria, piuttosto grottesca, che riguarda un altro Gaio Fannio, è documentata nei “Detti e fatti memorabili” di Valerio Massimo. Nel libro VIII, capitolo IV, come esempio della approssimazione di certe indagini giudiziarie, si riporta la vicenda di uno schiavo del banchiere Marco Agrio il quale, accusato della morte di uno schiavo di Gaio Fannio e sottoposto a tortura dal suo padrone, confessò il delitto per sottrarsi ai tormenti. Consegnato a Fannio, fu messo a morte. Ma, “parvo deinde tempore interiecto ille cius de nece creditum erat domum rediit”. Poco tempo dopo, la presunta vittima dell’assassinio fece ritorno alla casa del padrone vivo e vegeto!
16) Marco Tullio Cicerone, “Pro Sexto Roscio Amerino”. In realtà, l’accusatore Crisogono aveva carpito i beni del padre di S. Roscio, originario di Amelia, facendolo proscrivere. Nonostante le potenti protezioni del liberto di Silla, Roscio fu pienamente prosciolto. L’orazione, una delle più perfette di Cicerone, fu tenuta nell’80 a. C.
17) Appiano di Alessandria, Storia romana, Guerre mitridatiche, 68.
18) Plutarco, Vite parallele, Sertorio, 24.
19) MarcoTullio Cicerone, In Verrem, actio secunda, liber primus, XXXIV, 87: “Milites remigesque Miletum Myndo pedibus reverti iubet, ipse myoparonem pulcherrimum de decem Milesiorum navibus electum L. Magio et L. Fannio qui Myndi habitabant vendidit. Hi sunt homines quos nuper senatus in hostium numero habendos censuit; hoc illi navigio ad omnes populi romani hostes usque ab Diavio ad Sinopum navigaverunt”. Il myoparon (μυοπάρων) era una imbarcazione leggera che i Milesii erano stati costretti a mettere a disposizione di Verre, il quale, invece di restituirla ai legittimi proprietari, pensò bene di rivenderla a Lucio Magio e Lucio Fannio, i due disertori.
20) A Dictionary of Greek and Roman biography and mythology, by William Smith, Boston, Little Brown and Company, 1870, vol. II, pag. 136.
21) Marco Tullio Cicerone, Epistulae ad Atticum, II, 24. 3: “deinde quos in Senatu ne tenuissime quidem suspicione attigerat eos nominavit L. Lucullum a quo solitum ad se mitti C. Fannium illum qui in P. Clodium subscripserat…”.
22) M. T. Cicerone, Philippicae, XIII, 13: “ Ac ne illud quidem silentio, patres conscripti, praetereundem puto quod carissimi viri legati L. Paulus Q. Thermus C. FANNIUS quorum habetis cognitam voluntatem in rem publicam…”.
23) Appiano di Alessandria, Storia di Roma, Le Guerre Civili, IV, 84.
24) Marco Tullio Cicerone, Pro Sextio, 53: “ …iam de Gaio Fannio quae sit existimatio videmus: quod iudicium populi Romani in honoribus eius futurum sit nemini dubium esse debet”.
25) Marco Tullio Cicerone, Epistulae ad Atticum, VII, 15: “Ita res ad Fannium pervenit. Is cum imperio in Sicilia praemittitur”.
26) Appiano di Alessandria, Storia di Roma, Le Guerre Civili, IV, 72.
27) Tito Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, XIV, 10, § 15. Più noto come Giuseppe Flavio fu uno scrittore, storico e militare romano di origine ebraica vissuto nel I secolo d. C. Compose le sue opere in greco.
28) Plinio il Giovane, Epistulae, V, 5. Nella lettera a Novio Massimo, Plinio esprime il suo profondo cordoglio per la morte improvvisa di Gaio Fannio, uomo, a suo dire, “elegantem disertum” (raffinato ed eloquente) di cui si serviva usualmente per consiglio. Si rammarica, inoltre, che avesse lasciato incompiuta la sua opera sugli esili comminati e sui delitti commessi da Nerone (gravius illud quod pulcherrimum opus imperfectum reliquit).
29) Quinto Orazio Flacco, Sermones, I, 4, 21- 25: “Beatus Fannius ultro / delatis capsis et imagine cum mea nemo / scripta legat volgo recitare timentis ob hanc rem / quod sunt quos genus hoc minime iuvat utpote pluris / culpari dignos…”. Comunque sia, i versi del Nostro hanno consegnato all’eternità questo altrimenti ignoto scrittore.
30) William Smith, Boston, Little Brown A dictionary of Greek and Roman biografy and mythology, Boston, Little Brown and company, 1870, vol. I, pag. 677.
31) Marco Tullio Cicerone, “ Pro Roscio”. La difesa di Cicerone si basa essenzialmente sulla diversa credibilità di cui godono i due attori della controversia.
32) Lucio Anneo Seneca, De brevitate vitae, I, 4, “ Dum Alpes pacat inmixtosque mediae pacis et imperio hostes perdomat, dum ultra Rhenum et Euphratem et Danuvium terminos movet, in ipsa urbe Murenae, Caepionis, Lepidi, Egnati, aliorum in eum mucrones acuebantur”.
33) Velleio Patercolo, Historiae romanae ad Marcum Vinicium libri duo, II, 91, 82, “ Erant qui hunc felicissimum statum odissent: quippe L. Murena et Fannius Caepio diversis moribus, nam Murena sine hoc facinore potuit videri bonus Caepio et ante hoc erat pessimus, cum iniissent occidendi Caesaris consilia, oppressi auctoritate publica quod vi facere voluerunt iure passi sunt”.
34) Valerio Massimo, Dictorum factorumque memorabilium libri IX, VIII, 2.3.
35) Idem, ibidem.
36) Gaio Svetonio Tranquillo, De vita caesarum, VIII, Vespasiano, XV.
37) Gaio Plinio Cecilio Secondo, Epistulae, VII, 19.
38) Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL), IX, n° 1260, “FANNIAE • ERCVLIAE • DVL / CISSIMAE • INCONIVGI • / BETITIVS • RVFVS • CVM / QVA • VIXIT • IN • CONIVGIO / AN • XXVI • MES • II / B • M • F
39) CIL,IX, n° 2659, “ L • FANNIVS • L • F / L • N • D • D “ in basi anaglyphis (lupa cum gemellis, cornibus copiae, clupeo hastisque duabus, galea, ocreis) ornata.
40) CIL IX, n° 2647, “L • FANNIO • C • F / TRO • IIII • VIR • I • D / ITER • QVINQ TR / MIL • PATRI” Nei municipi i quattuorviri rappresentavano la massima magistratura. Essi si distinguevano in due collegi composti ciascuno da un collegio autonomo di duoviri, uno investito “aedilicia potestate”, l’altro “iure dicundo”.
41) CIL, IX, 2686, extra Aeserniam, “L • LVCILIVS • L • L / SVCCESSVS / QVINQ • COLLEG / CENTONAR • SIBI • ET / FANNIAE LEAE • CONT / V • F” Chi fossero propriamente i centonari è noto solo attraverso talune epigrafi, come in questo caso, o mediante rare testimonianze di fonti scritte. Probabilmente, in origine, dovevano essere produttori e venditori di “centones”, stoffe piuttosto grossolane ottenute dalla unione di tessuti vari ed utilizzate dai ceti meno abbienti come vestiti, coperte o come protezione contro le fiamme. La contestuale presenza dei “collegia centonariorum” fa supporre che tali associazioni, spesso citate con i “collegia fabrorum”, potessero essere addette allo spegnimento degli incendi. Tale supposizione è avvalorata dal fatto che i “centones” venivano utilizzati come materiale refrattario nelle testuggini e nelle “vinee”, macchine belliche particolarmente sottoposte al getto di proiettili ignei (Vegezio, L’arte della guerra romana, IV, 14, 1; IV, 15,4. Da “I collegia dei centonarii: analisi dei documenti che permettono di ipotizzare che tali associazioni svolgessero in alcune città del mondo romano la funzione di vigili del fuoco volontari” di Valentina Zaffino). I “collegia centonariorum” avevano degli organi istituzionali che regolavano tutte le attività dei soci, non esclusi i festeggiamenti ed i banchetti. Lucio Lucilio Successo era uno dei “quinqueviri” della propria associazione ed era legato a Lea Successa da un vincolo di “contubernium”, termine tratto dal lessico militare ad indicare la convivenza dei due sotto uno stesso tetto. Si trattava di un istituto diffuso soprattutto tra gli schiavi, che non potevano contrarre matrimonio, e tra i liberti, che potevano regolare tale convivenza con un matrimonio regolare, nel momento in cui la compagna diveniva liberta a sua volta. Con tutta probabilità, Lucio Lucilio Successo era un liberto, come si deduce dal fatto che facesse parte dell’associazione dei centonari di Isernia.
42) CIL, IX, 2689, Aeserniae lungi dalla città, “L • CALIDIVS • EROTICVS / SIBI • ET • FANNIAE VOLVPTATI • V • F / COPO COMPVTEMUS • HABES • VINI Ɔ I • PANE / A • I • PULMENTAR • A • II • CONVENIT • PVELL / A • VIII • ET • HOC • CONVENIT • FAENVM / MVLO • A • II • ISTE • MVLVS• ME • AD FACTVM / DABIT”. “Oste, facciamo i conti”; “Hai un sestario di vino, pane per un asse, companatico per due assi; “D’accordo”; “Per la ragazza otto assi”; “Va bene anche questo”; “Il fieno per il mulo due assi”; “Questo mulo mi manderà in rovina!!!”. Quella sorta di “C” invertita (Ɔ) è il simbolo del sestario = circa mezzo litro. Tale simbolo poteva essere adoperato anche per designare un liberto affrancato da una “domina” o un centurione. Il costo del vino non è indicato, forse è un omaggio della “casa”. Il “pulmentarium” era una pietanza, che accompagnava il pane, preparata con legumi, verdure o ortaggi. Da notare la comica imprecazione finale del viandante contro il proprio mulo che, a suo giudizio, lo manderebbe in rovina per aver consumato due assi di fieno, mentre nulla obietta sugli otto assi spesi per il suo intrattenimento con la “puella”. Mommsen, che non aveva avuto la possibilità di fare un esame autoptico diretto della stele, confonde la figura alla sinistra con l’ostessa, ciò che è smentito, tra l’altro, dall’appellativo “copo” chiaramente al maschile. Sulla stele isernina vedi “L. Calidi(e) Erotice, titulo manebis in aevum”. Storia incompiuta di una discussa epigrafe isernina [CIL IX, 2689] di Elisa Terenziani, 2008. Da tale testo sono stati tratti cospicui spunti critici, vi si trova anche l’immagine della lapide.
43) CIL IX, 3395 “ MONIMENTO / FANNI • PHILETI / HAC • ADITVS / DEBETVR” La scritta, così come trasmessa da Mancini all’Istituto di Mommsen nel 1865, farebbe supporre che il monumento funebre di Fannio Fileto potrebbe esser utilizzato anche da eventuali eredi, contrariamente alla consueta e più tradizionale interdizione. La versione di Dressel, piuttosto lacunosa, è la seguente “(asta inclinata a destra)ONIM / ANNI • PH / HAC • AD / DEBE..”.
44) CIL IX, nelle note. Il reperto si trovava nei giardini di Migliorati e formava il gradino di una scala. Dressel ne vide una parte. Carmelo Mancini mandò (l’epigrafe n.d.r.) all’Istituto nell’anno 1865 avendola vista integra oppure integrandola (nelle parti mancanti n.d.r.).
45) CIL IX, 3396 “FANNIAE / Q • F / IVSTAE • T / ACCAVS • IVSTVS / mATRI / PIEntISSIMAE / B P”. La P finale della scritta è piuttosto elongata rispetto alle altre lettere.
46) CIL IX 5474 “FANNIA • A • F / L • VETILI • Q • F • VEL / PRAETVTIANI”.
47) CIL IX 6079, 26, “Valesii buobus ex [Lecce Mus.] L • FANNI”
48) CIL IX 6079, 27, In agro brindisino, in ansa una L . Fanni, in altera Apell”.
49) CIL 6079, 28, “In agro brindisino, in ansa una a. L . Fanni in altera Diodoti; b.( in ansa una) L . Fanni (in altera) Diodotus”. Nella nota si spiega che “in his certe ansis altera nomen domini figlinarum habet altera nomen servis eius”.
50) Le notizie relative alla villa di Fannio sono tratte da “Imperium Romanum”, Boscoreale (Campania).
51) CIL X 2165 “D M / L • BELLIENVS • GENIALIS / QVI • VIXIT • ANN • XXXIII M VII D XIIII • FANIA • SICVNDI / NA • CONIVGI • B • N • M • F • C”. L’epitaffio è databile alla metà circa del I secolo d. C., essendo il nome del defunto riportato al nominativo (G. Susini, Epigrafia romana, Jouvence, 1997, pag. 101).
52) “Una famiglia Messia a Vallata. La sua presenza è attestata da una epigrafe di epoca imperiale rinvenuta negli anni Trenta del secolo scorso”. Articolo non ancora reso di pubblico dominio.
53) CIL X 3380 “ • D • • M • / CATTIO • SABINO • SOSSIO • FILIO • IN / COMPARABILI • QVI VIXIT • ANNIS • XI MENSIBVS • IIII • DIEBVS • VIII • HORAS • VI / CATTIVS • SOSSIVS • FELIX • SCRIBA • PATER / ( segno della centuria) III • PACE • ET FANNIA SABINA MA / TER FILIO BONO ET INNOCENTISSI / MO • B •M • F ε Υ Ψ Υ XI Si nota la particolare cura nell’annotare meticolosamente gli anni vissuti dal piccolo Cazzio Sabino Sossio nonché i mesi, i giorni e persino le ore. Evidentemente il tempo dell’esistenza di un individuo, all’epoca, era ritenuto molto prezioso, in quanto l’aspettativa di vita era molto limitata! Cazzio Sossio Felice era un soldato semplice addetto alla trireme denominata Pace. Come spiega Mommsen, a commento della epigrafe 3377, tale status si evince proprio dalla parola scriba, come in altre epigrafi similari ed in altre in cui compare la parola militis. “Similiter concepti sunt tituli n. 3378 – 3390 qui sequuntur; nam quamquam in quibusdam per se etiam interpretatio admitti potest centurionis trieris, eam reiciendam esse ii tituli demonstrant, in quibus adscriptum vocabulum militis vel scribae declarat non centurionis eum esse, sed gregalis (soldato semplice).
54) CIL X 4565 Negli scavi di Treglia si ritrovarono diversi tuboli di piombo di lunghezza chi di sei, chi di undici palmi, in uno vi era inciso “T fANNI SABINI f c”. Da un manoscritto di Pasquale Iadone.
55) CIL X 4559 “L •ALFIO •FANNIO •PRIMO •SO… / QVEST •CVRATORI •FRVMENTO / DVMVIRO •OMNIB •HONERIB •ET / HONORIBVS •FVNCTO •SACERD / VIRO •PATRONO •ET •CVRATORI / …A •PISONI •AVRVM •ATQVE / ARGENTVM •OBRAETIVM •SE / RIO •ILVSTRAVIT •THERMAS •AE / TIAM •CONSTANTINIANAS lONgA / VETVSTATE •CORRVPTA •EX •VIRIB •SVO / QVAM •ETIAM •E •SABINIANEVS •ORD / ...REM •FILIO •VIACENI / RE •STATVAM •BENEMERENTI •PATRONO / …PA…TISSIMO…/ DVOVIRO •SENATVS •POPVLVSQVE •TREBV / ME……STATVAM •DECREVERVNT / D •D
56) Da “Treglia on line – Le origini – Le iscrizioni”. L’illustre personaggio, come si evince dall’epigrafe, esercitò numerose cariche. Tra l’altro viene indicato come colui che “aurum atque argentum obraetium serio ilustravit”. Mommsen spiega nelle note che “munus quod sequitur simile fuit exactori auri et argenti provinciarum trium tituli Atellani n° 3732 eiusdem aetatis”. In soatanza, Lucio Alfio Fannio avrebbe esercitato la funzione di esattore delle tasse in una provincia, come il Gaio Celio Censorino dell’epigrafe atellana. Diversa la versione che si dà in “Treglia online”, secondo cui Lucio Alfio Fannio era un ispettore che doveva giudicare della purezza delle monete d’oro e d’argento.
57) L’ “Agro Caleno, limitato ad est dal massiccio dei monti Trebulani e ad ovest dalla pianura ai piedi del Vulcano di Roccamonfina, aveva una estensione di ben 146 chilometri quadri e comprendeva i comuni di Calvi Risorta, nel cui territorio ricadeva l’antica Cales, Camigliano, Francolise, Giano Vetusto, Pastorano, Pignataro Maggiore, Rocchetta e Croce, Sparanise, tutti in provincia di Caserta”.
58) CIL X 4642 “ D • M • S / C • FANIO • C • F • CLA / CLEMENTI / VET • EX • COH • III / PR / CORINTHVS • LIB / FECIT”. L’epigrafe fu ritrovata in Valle d’Assano, frazione di Rocchetta e Croce, “ante stabulum predii Dominici de Biasi”.
59) CIL X vol. II, 8059.157 “P • FANNI / EVPSYCHI”. “Camigliani in agro Caleno [apud Iovinum]. In manubrio caduceus”.
60) CIL X vol. II, 8059.158 “P FANNI / MEDICI”. “Ex dono Silvestri di S. Giovanni canonici Caiazzensis [Capuae apud Mazzochium; iam Matriti in biblioteca publica]”. Il cognomen di questo personaggio potrebbe essere associato, con tutte le cautele del caso, al torrente “l’Acqua lu Mir’ch” (Acqua del Medico), già citato in apertura di articolo, le cui acque scorrevano in superficie e poi sono state incanalate. Se storicamente pare accertata la presenza, sul nostro territorio, della famiglia Fannia, non sarebbe strano almeno immaginare che vi possa essere vissuto un Fannio Medico. Altra possibile illazione potrebbe derivare dall’etimo relativo alla magistratura sannita del “meddix” (dall’osco meddìss). Il “meddix tuticus” rappresentava la massima magistratura anteposta al governo della “touto”, comunità appartenente ad una entità politico-amministrativa che comprendeva un vasto e complesso sistema paganico-vicanico di insediamenti sparsi sul territorio. A livello più ristretto vi poteva essere un “meddix minor”, con funzioni di governo limitato a pochi vici e pagi. Ovviamente le ipotesi adombrate sulle possibili derivazioni di quel toponimo rappresentano una pura e semplice suggestione e andrebbero verificate con ben altre documentazioni.
61) A Dictionary of Greek and Roman biography and mythology by William Smith, Boston, Little Brown and Company, 1870, vol. II, pag. 615.
62) Ammiano Marcellino, Storie, XXV, 7, 13.
63) A Dictionary…cit, ibidem.
64) Per un approfondimento dei fatti relativi a quella tragica vicenda si veda “Gerardo De Paola, Vallata rassegna storica civile religiosa”, pagg.79-109, Valsele Tipografica, 1983, ristampa.
65) Totius latinitatis lexicon consilio et cura Jacobi Facciolati, opera et studio Aegidii Forcellini, editio altera locupletior, tomus secundus, Patavii, tipis Seminarii; MDCCCV, apud Thomas Bettinelli, pag. 663.

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