EPIGRAFE IN LATINO SU PIETRA CHE IN ORIGINE SI TROVAVA IN VIA TRIONFO ARDUA L’INTERPRETAZIONE DEL TESTO (Prima parte). Prof. Rocco De Paola

EPIGRAFE IN LATINO SU PIETRA
CHEIN ORIGINE SI TROVAVA IN VIA TRIONFO
ARDUA L’INTERPRETAZIONE DEL TESTO
A CURA DI ROCCO DE PAOLA
(Prima parte).


A cura del Prof. Rocco De Paola
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     E’ davvero uno scrigno inesauribile, per i reperti che ha custodito per secoli, la casa di via Trionfo, demolita negli anni Ottanta(1). Ignoriamo come tante preziose testimonianze del nostro passato possano essersi concentrate nel ristretto spazio di quella antica dimora. Che fosse un luogo di culto o una abitazione sono pure ipotesi che non possono ottenere esaustiva risposta tramite le conoscenze di cui disponiamo. Tra gli altri pezzi, che ne ornavano la facciata, c’era una pietra in calcare, di forma irregolarmente pentagonale, di cm 32 di lunghezza, per una larghezza massima di 28 centimetri ed uno spessore medio di cm 17.5 (vedi foto).

     Insieme alla lapide riproducente quattro misteriosi galletti fu opportunamente salvaguardata dalla dispersione da Mauro Stanco, per cui oggi essa è a disposizione di quanti desiderino esaminarla e studiarla. L’epigrafe riportata è chiaramente in latino, ma, come è possibile dedurre dall’immagine, il testo è scarsamente visibile, per la naturale usura conseguente alla convergente azione del tempo e degli agenti atmosferici. Inoltre, il margine destro è scalpellato, con perdita irrimediabile di frammenti di parole che componevano il testo completo, e forse anche a sinistra è ipotizzabile una qualche mutilazione del testo originario. Tuttavia, le parti finali di taluni termini si possono in parte ricostruire seguendo il senso delle lettere precedenti. A rendere più problematica l’interpretazione complessiva concorrono taluni segni che attribuisco ad abbreviazioni scribali.
     Per cercare di evidenziare le parole, quasi del tutto illeggibili, si è proceduto con una “tecnica” particolare, suggerita dall’amico Severino, che consiste nello stendere un sottile strato di terriccio sull’intera superficie, asportandone, poi, la parte superflua e facendo in modo che ne rimanga un residuo negli interstizi delle lettere. Successivamente, al computer, le foto della pietra così “trattata” sono state sottoposte ad un ulteriore processo, ripassando con un pigmento tutte le tracce significative, lettere, eventuali segni diacritici ed abbreviazioni.
     Il risultato è stato abbastanza soddisfacente, come si può rilevare confrontando la foto di sopra con quella sottostante.

     La forma grafica non è certamente di stile eccelso, anzi appare piuttosto rudimentale. Le varie lettere sono diverse per formato e per dimensione, pur risultando abbastanza allineate. Vi sono talune lettere minuscole, altre sono legate fra loro, secondo una inveterata consuetudine in uso già in età classica. Nel testo ricorrono, poi, delle abbreviazioni scribali, utilizzate per economizzare lo spazio, una nella prima riga ed una o due nella penultima riga in basso. Nella terza riga vi sono dei segni che sembrerebbero formare il numero romano CIII (103). Nell’ultima riga, infine, si distinguono alcuni tratti che possono far pensare ad una data.
     Possiamo, ora, passare ad esaminare il testo, mediante una attenta ricognizione delle parole che si riescono ad individuare o a ricostruire con sufficiente verosimiglianza. Laparola iniziale, in alto a sinistra, dovrebbe essere BARTOL. La lettera “R”, nonostante l’appiattimento dell’occhiello, è abbastanza riconoscibile, così come la successiva lettera L, a sua volta individuabile tramite una leggera linea nella parte inferiore estesa in senso obliquo verso il basso(2). Segue una sorta di apostrofo(3), che va identificato come una abbreviazione scribale le cui possibili interpretazioni possono essere varie. Infatti, tale segno potrebbe essere letto come“us”, “os”o semplicemente “s”, oppure“con”, “com”, “cun”, “cum”, o anche “ur”, “tur”, “er”.Tutte queste alternative sono indicative della estrema difficoltà di interpretazione del testo in esame. Se si preferisse la versione “us”, come quella più probabile, la parola in questione risulterebbe BARTOLUS. La successiva traccia presenta una sorta di I allungata, caratteristica della scrittura beneventana, invalsa nel Meridione dall’VIII all’XI secolo, seguita da STRUX[IT]. In latino si hanno due forme verbali similari, ossia instruxit e struxit che hanno, tra gli altri, in comune il significato di costruire. Quella I, allora, non dovrebbe essere riferita alla parola successiva, salvo che non vi fosse sovrapposta una lineetta (oppure una sorta di accento circonflesso ^o una tilde ~) ad indicare la omissione della “N” (o della “M”), cosa che non si riscontra sulla pietra. D’altra parte non può essere lasciata in una sorta di limbo, per cui essa andrà di necessità riferita alla parola precedente. Ma anche in questo caso l’assegnazione non è pacifica, poiché ne derivano ulteriori difficoltà. Infatti, quella parola che abbiamo identificato come BARTOLUS diverrebbe un BARTOLUSI (?) privo di senso. Si potrebbe anche ipotizzare che quella sorta di grosso apostrofo di cui si è detto, o di C rovesciata, possa essere interpretato come una D, fondendola con il segno che precede, nel qual caso la parola seguente muterebbe completamente di significato, in quanto si leggerebbe “distruxit”, ma resterebbe l’incognita della parola precedente che rimarrebbe incompleta (BARTO?).Una labile traccia, appena percettibile in basso, tra quella che si è identificata come una abbreviazione scribale e la lettera successiva, che si è interpretata come una I allungata, potrebbe, forse, rappresentare un utile indizio per districare l’aggrovigliata matassa. Tale segno, appena distinguibile, ha la forma del numero3,o anchedi unaépsilon (e) retroversa,e si può legittimamente supporre che serva da sostituto della lettera m, secondo i canoni comprovati della succitata scrittura beneventana. La parola in esame, allora, potrebbe essere letta come BARTOLOMEI, se si ammette che quella I di cui si è detto possa essere una doppia lettera con legatura di una E, per la verità poco percettibile, stante il precario stato della pietra, anche se il segno è ben rimarcato, come si può osservare nella foto. Del resto, non è inconsueto rinvenire legature similari in tanti testi epigrafici in cui la I sovrasta per lunghezza la lettera con cui è legata, in genere proprio la “E”. Un esempio di tale forma di legatura lo si nota poco più oltre nella parola del terzo rigo in cui compare una d collegata con una E. Nel caso in cui fosse accettata una simile interpretazione, occorrerebbe anche ritenere che il segno a forma di “C” rovesciata sia semplicemente una “O”. Tutte queste supposizioni, anche se supportate da qualche forzatura interpretativa, ci forniscono,comunque, preziose indicazioni nella intelligenza del testo. Di quale edificio di rilevante interesse collettivo, (ri)costruito o andato distrutto, si potrebbe mai parlare se non della Chiesa Madre, intitolata proprio al patrono San Bartolomeo?D’altronde, questo rappresenterebbe un ulteriore indizio che la pietra ci sia giunta gravemente ed irrimediabilmente mutilata anche nella parte sinistra. E’, infatti, del tutto pacifico ed ovvio ritenere che il nome del Santo fosse preceduto dall’indicazione del Sacro Tempio a Lui consacrato.
     Relativamente più agevole è l’interpretazione del primo lemma del rigo susseguente. Se le tracce segnate dal terriccio sono affidabili, dovrebbe leggersi la parola “muros”, con la M e la V(U) legate, e questo potrebbe servire a chiarire anche il significato di quanto precede. A questo punto, il senso delle parole fin qui prese in esame dovrebbe consentirci, con molta verosimiglianza, di poter dedurre che vi sia stata una ricostruzione della Chiesa, dedicata proprio a San Bartolomeo, successiva ad un qualche evento calamitoso che ne avrebbe provocato la rovina. In alternativa, se si accreditasse una delle ulteriori ipotesi avanzate sopra, nella lapide si farebbe riferimento proprio ad un tale evento (distruxit) che avrebbe comportato il crollo di quelle venerande mura. Una terza congettura ci porterebbe ad ipotizzare che il nominativo iniziale (Bartolus) possa indicare l’artefice della ricostruzione. In questo caso, però, rimarrebbe del tutto indeterminato l’oggetto dell’intervento di restauro della cinta muraria.

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1) Vedi foto allegata al mio articolo “Portali con iscrizioni. Un antichissimo architrave con epigrafe già situato nel cuore del centro storico ecc., in www.vallata.org.
2) René Cagnat, Cours d’épigraphie latine, troisiémeédition, Paris, A. Fontemoing ed., 1898, pag. 18: “La forme L , où la barre horizzontale s’étendeau-dessus de la ligne, se rencontre de bonne heuresurlesactes, et à partir du II siéclesurlesmonuments”.
3) Idem, op. cit., la planche II,alle pagg.22-23 riporta un segno molto simile interpretato come “di”.

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