Tra sacro e profano a Vallata. A cura del prof Severino Ragazzo - www.Vallata.org

Tra sacro e profano a Vallata.
I canti della settimana santa:
del venerdì la passione e morte di Gesù e del sabato "lu càccia òve"
(la raccolta o la caccia delle uova)


a cura del Prof. Severino Ragazzo

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    Torna la settimana santa, la settimana della Pasqua.
    Con essa si rinnovano le tradizioni sia sacre che profane.
    Di nuovo ci sono le processioni della domenica delle Palme, del giovedì santo ( suggestivi gli aggiornamenti teatrali, a dire il vero, ben riusciti, di sera, con l'ambiente prescelto che va dalla scalinata che porta dalla piazza Fontana alla porta Rivellino e il nuovo complesso parrocchiale-complimenti al comitato organizzatore), quella del venerdì santo la 'storica processione' della passione e morte di Gesù che si snoda per le strade del paese.
    Il sabato santo c' è "lu càccia òve" (la raccolta delle uova), la domenica di Pasqua festa grande di resurrezione con gli aspetti religiosi e laici nel loro insieme.
    Un prosieguo sarà dato dal lunedì in albis con la consueta pasquetta all'aperto, tempo permettendo.
    La crisi economica sta inducendo le persone a più miti consigli nell'aspetto sia dei movimenti che dei consumi anche se non si rinuncia almeno per la parte culinaria a soddisfare i piatti tipici della festa ( l'agnello il giorno di Pasqua, i dolci tipici pasquali quali i biscotti, i taralli, le squarciatelle ecc..).
    A livello della vita civile locale si assiste ad un contrasto amministrativo che si spera possa risolversi per il bene del paese e non negli interessi dei singoli contendenti onde evitare che "li ciùcci scjàrrene e re barrèle se sckàscene" (gli asini litigano e i barili si rompono).
    Una nota di colore e di attualità lo scrivente si sente di fare anche perché sollecitato da un suo lettore, l'amico Frank che dall'America chiede continui aggiornamenti.
    Sembra iniziata la primavera; le montagne di neve sono un ricordo di più di un mese fa.
    Si raccolgono i primi asparagi selvatici e sta per uscire un fungo prelibato "lu spunzòlo" o la morchella.
    Quei pochi contadini rimasti si danno alla cura delle vigne, alla potatura degli alberi da frutta, all'impianto di qualche orto, all'uso dei concimi e dei disserbanti per il grano in vegetazione e al taglio della legna per chi ancora ha un po' di bosco.
    Non manca qualche cicoria selvatica e qualche finocchietto solo che bisogna andarli a raccogliere (e qui casca l'asino) nei terreni rimasti a sallone (o incolti).
    Per il resto è la monotonia di sempre; la piazza Fontana che è diventata il ritrovo sociale comune e i bar che attirano le persone specie in occasione di trasmissioni di partite di pallone.
    Il parroco del paese don Gerardo Ruberti sta visitando le case elargendo la benedizione degli abitanti e chiedendo un contributo volontario per ristrutturare la chiesa Madre di 'San Bartolomeo Apostolo' che abbisogna di un nuovo intervento.
    La settimana santa è stata illustrata storicamente da T. M. Pavese, don Gerardo De Paola ed è puntualmente aggiornata nelle foto e nei video dal sito www.vallata.org.
    Lo scrivente intende approfondire meglio la presenza dei canti e in modo particolare quelli del venerdì santo (la passione) e del sabato "lu càccia òve" (la raccolta delle uova).
    A guardare bene il canto ha da sempre accompagnato le manifestazioni sia sacre che profane.
    Pensiamo alle antifone durante le celebrazioni religiose e i diversi canti nelle diverse epressioni della vita associativa( serenate, canti a dispetto, tarantelle cantate in occasioni di matrimoni ecc..).


 

 


Canti del Venerdì santo
    Sono due, uno rappresentato da un gruppo di maschi che con un tempo musicale molto lento, nel quale però si alternano toni bassi ed alti (si spera che un giorno prossimo futuro si possa scrivere lo spartito) e quello delle donne che accompagnano la Madonna durante la processione.
    Relativamente al canto maschile T. M. Pavese già nel 1911 scriveva:"tali misteri sono inframezzati da cantori...narranti il martirio..." e in un altro articolo del 1926: "nella processione del venerdì santo, cantori coronati di spine cantano i versetti di Pietro Metastasio per la Via Crucis...".
    Anche don Gerardo De Paola ha aggiornato il canto dal punto di vista letterario con una personale riedizione.

  

    Oggi offriamo il testo, gentilmente offerto dal responsabile 'storico' Nicola Vella di uno dei due gruppi che si esibiscono nel canto.

Se il mio Signor diletto
a morte hai condannato,
spiegami almen, Pilato,
qual fu il suo fallir?

Che se poi l'innocenza
error da te s'appella
per colpa così bella
potessi anch'io morir!

Ma se Gesù si vede
di croce caricato
paga l'altrui peccato
solo per immenso amore!

Chi porta in pugno il mondo
a terra è già caduto:
nè gli si porge aiuto?
Oh ciel! Che crudeltà.

Se cade l'uomo ingrato
tosto Gesù il conforta;
ed è per Gesù morta
al mondo ogni pietà?

Sento l'amaro pianto,
della dolente Madre,
che gira tra le squadre,
in traccia del suo Ben!

Sento l'amato Figlio,
che dice: Madre, addio!
Più fier del dolor mio
il tuo mi passa in sen!

Se di tue crude pene,
son' io Signor il reo,
non deve il Cireneo
la croce tua portar!

Sì vago nel tormento
il volto del mio Bene,
che quasi a te diviene
amabile il dolor.

In ciel che farai
se in rozzo velo impresso,
da tante pene oppresso,
spiri si dolce amor?

Sotto i pesanti colpi
della ribalta scorta,
un nuovo inciampo porta,
a terra il mio Signor!

Più teneri dei cuori
siate voi, duri sassi,
nè più ingombrate i passi
al vostro Creator!

Figlie, non più su queste
piaghe, che porto impresse,
ma sopra di voi stesse
vi prego a lacrimar!

Serbate il vostro pianto
o sconsolate donne,
quando l'empia Sionne
vedrete rovinar!

Mai l'arca del Signor
del vel si vede scarca,
e ignudo il Dio dell'arca
vedrassi e senza vel?

Vedo sul duro tronco
disteso il mio diletto
e il primo colpo aspetto,
dell'empia crudeltà!

Quelle divine mani,
che al tornio sembran fatte
finchè il martello le batte
senz'ombra di pietà!

Tolto di croce il Figlio
l'avide braccia stende
l'afflitta Madre prende
nel grembo il morto Ben!

Sì vago è nel tormento,
il volto del mio Bene,
che quasi a te diviene
amabile il dolor.

Trema commosso il mondo,
il sacro vel si spezza!
Piangono per tenerezza
i duri marmi ancor!

Tomba che chiudi in seno,
il mio Signor già morto,
finch'ei non sia risorto,
non partirò da te: no!

Alla spietata morte,
allor dirò con gloria:
dov'è la tua vittoria?
Dov'è dimmi dov'è?

E oh Maria!
Quel tuo bel Figlio!
Chi l'ha ucciso?
Chi l'ha rubato?

    Effettivamente si tratta della maggior parte dei 'versetti' del poeta Pietro Metastasio (un grande della letteratura italiana vissuto nel 1700), scritti per descrivere la passione e morte del Cristo, ed oggi non solo a Vallata, ma anche in altri luoghi sono presi in prestito per celebrare le XIV stazioni della Via Crucis.
    Entrando nel merito si descrive l'incontro di Gesù dinanzi a Pilato, la condanna a morte, il caricamento della croce, le diverse cadute, la ricerca prima del proprio figlio in mezzo alla gente e successivamente il pianto della madre Maria, il ruolo del Cireneo, le donne presenti lacrimanti, la messa in croce del Cristo e l'indicibile crudeltà, la morte e poi la dismissione dalla Croce, la raccolta in braccio di Maria del proprio figlio morto, la tomba che accoglie le spoglie e l'ultima quartina che sembra un'aggiunta che esprime la solidarietà a Maria o le condoglianze di una parte del pubblico amico.
    Da alcuni anni il gruppo ha recuperato il costume di portare la corona di spine sulla testa e indossare il mantello "lu pastràno", bellissima innovazione ma anche un ritorno al passato, perché le spine stanno a significare la sofferenza dei cantori per una rappresentazione dolorosa e il mantello l'abito tipico popolano di molti anni fa rispetto all'abbigliamento civile diciamo borghese quasi di festa del periodo precedente.
    Sia intorno ai misteri che ai cantori nel passato i vallatesi hanno dimostrato sempre un particolare attaccamento ed oggi anche persone di paesi viciniori ci tengono a partecipare direttamente anche se negli ultimi tempi si assiste più ad una manifestazione folcloristica ad uso esibizionistico che ad una rappresentazione drammatica della passione da vivere con la dovuta interiorità.
    Bisogna immaginare che persone nel passato venivano anche dalla lontana America per assistere all'evento, per non dire di vallatesi emigrati in Europa e nel resto dell'Italia.
    Che ai vallatesi piace il canto è cosa risaputa ma il cantare la 'passione' era ed è un orgoglio personale.
    Come non ricordare i 'Parciavosco', i Diocristo, Turillo Chiappino, li Priatorio, li Giulijetta, Balzamino......senza togliere niente agli attuali protagonisti che però meritono stima perché hanno saputo riprendere una tradizione in un momento particolare che rischiava di scomparire.
    Nel passato c'era una vera scuola di cantori, con la presenza anche di gruppi di minori che facevano la voce bianca ed alcuni di essi passavano poi in quello degli adulti e ci rimanevano per tutta la vita.
    Da l'anno scorso si è aggiunto un secondo gruppo fatto di seri professionisti, preparati che danno un tocco aggiuntivo alla ricchezza del canto.
    Certo, dicono a Vallata che la voce "àdda spruò"(deve spurgare) e per tenerla sempre pronta i cantori che debbono esibirsi per ore ricorrono anche a dei sussidi di bevande specie se la giornata è fredda.

    Un altro canto, quello femminile si snocciola intorno alla statua della Madonna dolente (di fattura del 1700) che segue il simulacro del Cristo morto, anch'esso molto bello ed antico.
    Verginelle con il vestito bianco recanti misteri in mano e donne con abiti neri in rispetto al lutto che si celebra intonano un canto articolato in tre sotto canti con i titoli "Già condannato il figlio", "O fieri flagelli" e Gesù mio con dure funi" e tre spartiti musicali diversi.
    Nel primo la madre Maria va alla ricerca del figlio Gesù che è stato già condannato; chiede alle squadre dei soldati, alla gente, alle figliole di Sionne, sale sul monte Golgota e constata la triste morte sulla croce.
    Nel secondo sotto canto c'è un'invocazione verso i flagelli: spine, chiodi, lancia a che non tormentino più il Signore.
    Nel terzo sotto canto di nuovo c'è la rievocazione delle funi, dello schiaffeggiamento, del fango, degli sputi e delle spine.
    Il canto femminile è molto più dimesso, senza toni alti ma allo stesso modo significativo, anche se il testo non ha una particolare storicità riscontrabile nella grande letteratura.
    A conclusione della modesta ricerca dei canti del venerdì santo lo scrivente ritiene come sua impressione personale che gli stessi canti, insieme allo squillo delle trombe, dei tamburi e la musica della banda siano gli elementi che movimentano la processione, diversamente sarebbe una manifestazione muta e non si sa quale altri effetti assumerebbe.

Canti del sabato santo: "lu càccia òve" (o la raccolta delle uova)
    Lo scrivente ebbe modo, già nel lontano 1989, intervistato dal giornalista Fontana della Rai Uno nella trasmissione in diretta della processione del venerdì santo a Vallata, di spiegare oralmente il significato dell'evento "ri lu càccia òve"( o della raccolta delle uova).
    Si deve riconoscere a distanza di tempo il lavoro programmatorio ed organizzativo fatto dall'allora presidente della Pro-loco di Vallata Mauro Stanco che seppe coinvolgere i soggetti più diversi al fine della buona riuscita della ripresa (oggi il video è disponibile su youtube cliccando semplicemente : "processione del venerdì santo a Vallata Rai Uno 1989").
    Riportando in sintesi le cose dette dal giornalista e dallo scrivente da lui intervistato, si può dire che ancora oggi persiste una tradizione del sabato santo chiamata "lu càccia òve" (o la raccolta delle uova) di cui non si hanno riferimenti storici ben precisi sul periodo di inizio.
    Certamente doveva rifarsi a Vallata ad una disponibilità dell'uovo nella società contadina tanto da poterlo anche regalare all'occasione (forse inizio 900').
    C'è da dire che fino ad una cinquantina di anni fa anche nel centro urbano si allevavano le galline per l'economia familiare e quindi c'era una discreta produzione di uova.
    Non va dimenticato che le uova sono state forse l'unico prodotto che non ha subito nel tempo aspetti speculativi (anche nei periodi di crisi è stato un alimento che si è mantenuto ad un prezzo conveniente).

    In che consiste la manifestazione:
    Un tempo avveniva prevalentemente di sera nelle campagne ma fino ad una quarantina di anni fa anche in paese, avendo i cittadini un proprio gallinaio vicino o dentro la stessa abitazione.
    Vere e proprie squadre di persone specializzate ognuna con un compito: chi doveva suonare con un organetto o una chitarra, chi cantare, chi raccogliere le uova che venivano regalate e metterle "'ndò lu pànare" (nel paniere) o "ndò la còscena" (nella cesta) e chi faceva "lu scioffèrr" (il conducente) del mezzo di trasporto.
    In sostanza arrivati dinanzi la masseria, l'abitazione del proprietario, incominciava la cerimonia con suono e con canto.
    I proprietari aprivano la porta e dopo aver ascoltato la 'serenata' provvedevano a regalare un certo quantitativo di uova che erano nella loro disponibilità.
    Sono state raccolte le quartine più significative del canto "ri lu càccia òve" che per chi vuole riprodurlo deve riferirsi al tempo musicale dei tre quarti, tipico delle "maitinàte" o delle serenate vallatesi.
    Ecco qui riportate le quartine ordinate temporalmente:

èja 'rrivàt' sàbbito sònte
èja la festa re re haddìne
pìglia quatt' òve e mèttere 'nzìne
ca ìjo ri mètte 'ndò lu panàre.

èja 'rrivàt' sàbbito sònte
mo se sona e mo se canta
lu panàre èja vacante
tu me l'àja 'arringhijtà'

èja 'rrivàt' sàbbito sònte
la bella mìja se vòle fa santa
se l'àve messo lu vele 'nnànze
ca nun se vòle chiù maretà'

affàccet' a la fenèstra
'nc'è 'na luna chiara chiara
se me r'àje quatt'òve belle
quònne è musèra r'àggja 'ngignà'

e scìnne e scìnne patruncèdda
e ficcattìll' la unnèdda
e statt' accort' a la chianchèdda
ca nun avìssa 'nciampicà'

e scìnne e scìnne oi patròne
e ficcattìll' lu calizòne
e statt' attìnt' a lu chiancòne
ca nun avìssa 'nciampicà'

àve quarantasette jùrne
ìjo nun àggje cammaràto
e la quaresima è passata
e ìjo vòglio cammarà'

sòngh' tre ore ca cammenàmme,
ca cammenàmme vaddòne vaddòne
a chisti pòveri uagliùni
ca nisciùne re vòle aprì'

ìjo nun ne vòglie assàje
a magàre 'na quinicìna
si nun ne tìne òve
me r'àje la vòccola cu' li pulicìne

e càccia e càccia òve
'nànz' a la casa ri Zi' Nicola
se me ne r'àje trenta
nu' l'allènte e nu' l'allènte

se me ne r'àje quaranta
me ne vàch' ra quo 'nnànte
se me ne r'àje cinquònte
bona Pasqua a tutt' quònte

e arrevàte l'ùnice e mezza
'n 'òta mezz' òra pi' mezza notte
e bona sera e bòna Pàsqua
l'ànno che vène turnòmm' a venì'

    E' arrivato sabato santo/ è la festa delle galline/ prendi quattro uova e mettele in grembo/ e io le metto nel paniere
    E' arrivato sabato santo/ adesso si suona e adesso si canta/ il paniere è vacante/ e tu me lo devi riempire
    E' arrivato sabato santo/ la bella mia si vuole far santa/ si è messo il velo avanti/ e non si vuole più maritare
    Affacciati alla finestra/ c'è una luna chiara chiara/ se mi dai quattro uova belle/ quando è questa sera le debbo mangiare
    E scendi e scendi padroncella/ e mettiti la gonnella/ e stai accorta alla chianchella/ per non dovere inciampare
    E scendi e scendi oi padrone/ e mettiti il pantalone/ e stai attento al chiancone / per non dovere inciampare
    E' da quarantasette giorni/ che non mangio di grasso/ la quaresima è passata/ e io voglio mangiare bene
    Sono tre ore che camminiamo/ che camminiamo vallone vallone/ a questi poveri ragazzi/ oggi nessuno li vuole aprire
    Io non ne voglio assai/ almeno una quindicina/ se non hai le uova/ mi dai la voccola con i pulcini
    E raccogli e raccogli uova/ davanti alla casa di Zio Nicola/ se me ne dai trenta/ non la smetto non la smetto
    Se me ne dai quaranta/ me ne vado da qua davanti/ se me ne dai cinquanta/ buona Pasqua a tutti quanti
    Sono arrivate le undici e mezzo / un'altra mezz'ora per mezzanotte/ e buona sera e buona Pasqua/l'anno venturo torniamo a venire

    Queste sono solo alcune quartine, ma una ricerca ulteriore può ricavarne tante altre dove il contenuto dalle uova si estende ai prodotti del maiale, ai derivati del latte, al vino buono d'annata ecc...
    Dall'analisi del testo si vede la successione della manifestazione: il recarsi in gruppo davanti all'abitazione, l'inizio del canto, il rivolgersi alla proprietaria o al proprietario a volte chiamandoli col proprio nome, la richiesta della consegna di un certo quantitativo di uova, e poi il saluto finale con la buona sera e l'augurio della buona Pasqua.
    Non sempre le porte pero venivano aperte a tutti.
    Oggi la tradizione "ri lu càccia òve" persiste ancora ma si è ridotta di molto rispetto al passato.
    Pochissime sono le squadre di adulti e i piccoli, imitando gli adulti, bussano alle abitazioni, senza ne contorno di suoni e di canti, proferendo un semplice "càccia òve" per accontentarsi a volte di moneta al posto delle uova.

Un aneddoto particolare
    Si racconta che nel periodo di guerra (1° o 2° guerra mondiale) la penuria di moneta spingeva le persone al baratto (tu mi dai una cosa a me ed io una a te).
    E così anche un arciprete di paese pensò bene di adeguarsi, dando ordine al sacrestano di accettare in mancanza di moneta almeno tre uova in cambio della messa da dire nella ricorrenza della morte del defunto.
    Ma la crisi era tale che nelle famiglie contadine venne a ridursi pure la disponibilità delle uova; per cui anziché tre delle uova pattuite le persone a volte ne portavano due o una.
    Il sacrestano ne rifiutava l'offerta, per cui l'arciprete notò che le richieste di messe erano diminuite e ne chiese spiegazione al suo dipendente.
    Venuto a conoscenze del perché, il prelato rimproverò il sacrestano e dispose da quel giorno di accettare anche le altre offerte, solo che le messe per queste ultime furono accorpate e con una si ricordavano più defunti.

Qualche ricetta con l'uovo
    "L'ùvo a ùcchje re vòve" (l'uovo a occhio di bue)
    "Frittata di 'spàleci, salizìcch' e òve" (frittata di asparagi, salsicce e uova)
    "L'ùvo scallato" (l'uovo sodo)
    "L'ùvo 'ndò lu sùghe"(l'uovo nel sugo)
    "Frittata cu' òve e peparùle sìcch'" (frittata con uova e peperonoi secchi).

Qualche detto
    "Jàmm' a chi s'à mangiat' l'ùvo" (forza a chi ha mangiato l'uovo).
    "E cùceme n'ùvo" (e cuocimi un uovo, quando la moglie non aveva altro da cuocere al marito).
    "Mèglie 'n'ùvo òscje ca 'na haddìna cràje" (meglio un uovo oggi che una gallina domani).

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