Vallata - un isola nel mare dei dialetti meridionali - Le vocali

PREMESSA
(E le parole fanno la storia?)

      Gli Italici (Umbri, Sabelli, Osci, Sanniti, ecc.) diffondono i loro idiomi indo-europei nella nostra penisola, condannando alla sparizione i linguaggi che vi si parlavano anteriormente alla loro venuta. In un primo tempo, però, non riescono ad impadronirsi dell’intera Italia che vede anche lo stanziamento di altri popoli.
      Già nell’VIII sec. a. C. l’Umbria, la Toscana e parte della costiera Campana sono meta delle migrazioni del popolo Etrusco. La Sicilia (Siculi), la Calabria (Bruzzi) e la restante parte costiera dell’Italia meridionale diventano la meta delle migrazioni del popolo Ellènico che dalle città marittime diffonde, verso interno, la sua superiore civiltà.
      Nel V sec. a. C. gli Opici, gruppo originario Italico stanziato nella Campania interna. furono sottomessi dai Sanniti invasori e questi due popoli, fondendosi, diedero origine ad un nuovo gruppo etnico detto, appunto, Osco.
      Tra il 428 e il 415 a. C., mentre una parte del nuovo popolo Osco si organizzava e si sistemava nella pianura campana da Capua fino a Banzi (lat. Bantia: prov. di Matera) e ad Avella (lat. Abella: Nola) come si rileva dalla Tabula Bantiana e dal Cippus Abellanus, l’altra, costituita dai ventenni, usciva periodicamente dalle proprie terre per cercare ed occupare “altrettante sedi o luoghi più sicuri” (Livio). E fu una di queste migrazioni, dette “primavere sacre” (ver sacrum) che portò su per questi monti una schiera numerosa di giovani osci, guidati da un lupo (hirpus) dando così origine al popolo Irpino.
      Gli Irpini conservarono tenacemente i loro originari usi e costumi ed intatte le loro peculiarità linguistiche sino alla fine dclii sec. a. C. latinizzandosi, poi, progressivamente. La loro civiltà restò impregnata della cultura etrusca e greca;la lingua e la religione furono sannite o risentirono dei caratteri sannitici; l’arte militare e, soprattutto il lancio dell’asta, delle frecce e dei giochi gladiatori, furono e restarono di tradizione Qsca.
      Gli eventi e gli avvenimenti storici come quelli accennati, i confini reali dello stanziamento degli Italici, degli Etruschi e degli Ellèni, l'area influenzata dalla civiltà di questi popoli, gli effetti delle loro migrazioni, non si possono configurare, determinare e collocare solamente attraverso la scoperta di un "sostrato" linguistico assimilato dalla nostra "parlata". Quando, però, come nei casi che seguono, il confine etnico coincide perfettamente con il confine linguistico, il fenomeno del "sostrato" assimilato, sia Italico che Etrusco o Greco, diventa uno strumento di certa ed attendibile ricostruzione storica e geografica.
      Ora, nella "parlata" di questa particolare zona dell'Irpinia, si riscontrano alcuni fenomeni di "sostrato" osto-umbro e, quindi, osco-italico come il gruppo assimilato "NN" al posto del gruppo latino "ND". Abbiamo, cioè, MUNNO per il latino mundus o QUONNO di contro al greco oikonde ed al latino quando (Atlante Italiano Svizzero, III cc. 1316). In antiche iscrizioni, documenta il Sobrero (I Padroni della Lingua - Guida Editori - Napoli), troviamo "in osco-umbro SAKRANNAS per il latino SACRANDAS", ecc. Osto-italica è pure la trasformazione di "ru bbi" (lo vedi) contro il latino video-vides, di "a bbòce" (a voce) al posto del greco wepòs e del latino vox-vocis.
      La lingua degli Etruschi è, in gran parte, ancora misteriosa per poter individuare un loro sicuro "sostrato" nella nostra "parlata". Comunque molti scrittori, tra i quali il Meillet, il Breàl, il Merlo, il Battisti, attribuiscono al "sostrato" linguistico etrusco il fenomeno toscano della "gorgia". Cioè, la spirantizzazione delle occlusive sorde in posizione intervocalica (la sostituzione della "c" dura con la "h") come in "la hasa" (la casa), "la hampana" (la campana), "l'amiho" (l'amico), ecc.
      Ora se la "gorgia" è la prova dell'esistenza di un "sostrato" etrusco nella parlata toscana, si può configurare ed affermare che gli Etruschi della fascia costiera campana siano arrivati ed abbiano stazionato qui. Nella "parlata" della nostra gente, appunto, la spirantizzazione si trova sia con la "c" che con la "g" occlusive sorde intervocaliche come in "la hàtta" (lat. catta = la gatta), "la hòrgia" (lat. gurga o gula = la gola), "lu hùto" (lat. cubitus = il gomito), "la hràzija" (lat. gratia = la grazia).
      D'altra parte, le parlate dell'Italia centrale (Marche, Umbria, bassa Toscana, Lazio) per alcuni fenomeni linguistici come il passaggio "PL" = "KI" o "CH" vanno unite a quelle di queste zone del meridione. Difatti, le voci toscane "chiana" (dall'etrusco clan o Clanis) e "Chianti" (dall'etrusco clante), conservate nei loro caratteri idrotopografici – Val di Chiana – e nei loro toponimi – Chiusi, Chianti – hanno lo stesso passaggio delle nostre voci "chiàna" (lat. plana =piana) e "chiànta" (lat. planta = pianta). Più significativo, a questo proposito, resta il fatto che a Cetona e a Chianciano, paesi di origine etrusca (Chianciano Terme 1985 - Ed. Azienda Aut. di Cura) vicini proprio alla Val di Chiana, si trovano la "Torre del Rivellino" e la "Porta del Rivellino" che ripetono il toponimo di "Porta del Rivellino" del nostro paese. E "Rivellino" indica antiche opere fortificate erette a copertura avanzata dinanzi ad una piazzaforte e staccate da 100 a 200 metri dal corpo principale della piazzaforte stessa. (Enciclopedia Hoepli, Vol. VI, pag. 284).
      Il Devoto scrive che "rivellino (Dizionario Etimologico, Le Monnier - Firenze) è anche diminutivo di "riva" e "ripa" che, a loro volta, sono sinonimi di precipizio e dirupo. Per questo "rivellino" si mutò, qui, con il dialettale "Urlino" (lat. orulus = orlo), cioè ciglio, inizio del dirupo o del precipizio esterno all'avamposto fortificato.
      In alcuni documenti medioevali, Vallata si trova scritta: Ballatam, Ballatae, Ballata.
      Il sac. De Paola (VALLATA, Valsele Tipografica - Napoli) tenta, in proposito, una eziologia etimologica e scrive che, probabilmente Ballatam (o Ballatae o Ballata), cioè VALLATA ha origine dal greco "Ballein" (scagliare, colpire, ferire) oppure da "Ballein athàs" = "Ball'athàs" (esperto a scagliare). A dimostrazione della tesi suddetta aggiungiamo che nel greco moderno (Enciclopedia Hoepli, Vol. 1, pag. 479), "l'antico suono di "B" passò praticamente, in ogni caso, a "V" e con questi valori passò pure negli alfabeti cirillici". Questo, secondo noi, convalida la tentata eziologia etimologica, rende certa la ricostruzione storica che ne ha fatto discendere don De Paola e spiega come la "B" greca di Ball'athàs, la "B" latina di Ballatam e Ballatae, la "B" romanza di Ballata divennero la "V" di Vallata.
      E' certamente difficile distinguere nella nostra "parlata" gli effetti di un "superstrato" greco di epoca bizantina da quelli di un "sostrato" greco di epoca ellenistica. E' facile, però, riconoscere i tantissimi travasi dal greco alle parlate romanze meridionali.
      Alcuni di questi travasi come, per esempio, "tazzicà" (gr. takkike =toccare), "kata-katàscia (gr. kata-kàjo = lucciola), "skafarèja" (gr. Skaptein = crescente, qui vaso di terracotta usato per preparare il lievito – criscèndo – del pane), sono così simili al loro etimo da far credere ad un insediamento nella zona di una colonia greca, sia pure dell'età bizantina. Di ciò si ha conferma sia da alcuni recenti rinvenimenti archeologici che da altri e più significativi fenomeni linguistici.
      L'Atlante Linguistico Nazionale, detto anche Atlante Italo Svizzero (AIS), seguendo il tipo lessicale greco di "NAKA" (culla o cuna), disegna un'isoglossa (1-16) il cui confine settentrionale dell'area in essa inclusa coincide, scrive il Sobrero (Op. cit), "col limite estremo di espansione raggiunto dalla occupazione bizantina".
      In Calabria e nella Lucania la parola "NAKA" designa non la culla che poggia a terra, ma un tipo di culla (o cuna) appesa alle pareti della casa, della stanza. A Vallata – e questo è importante ai fini dell'assunto – la parola "NAKA" dà origine al verbo «nazzicà'» (cullare) e designa, ancora oggi, un tipo di culla mutuato che si appende al basto degli animali da soma per trasportare i covoni di grano sull'aia.
      Un fenomeno per certi versi opposto al "sostrato" è quello del "superstrato", cioè l'azione esercitata dalla lingua del popolo vincitore su quella del popolo vinto. E l'azione esercitata sulla nostra "parlata" dal latino – lingua vincitrice – è stata radicale e determinante. La lingua latina è stata, perciò, il nostro fondamentale punto di riferimento. Ma sulla stessa "parlata" popolare latina, in epoche diverse e per motivi diversi, agì profondamente ed a lungo il linguaggio di altri popoli vincitori: germanici (goti, visigoti, longobardi, normanni, svevi), arabi, francesi, spagnoli, ecc. che di qui passarono o stazionarono lasciandoci altri "nessi" ed "esiti" fonetici e linguistici, altri veri e propri "prestiti" lessicali.
      Per questi motivi la "parlata" delle nostre popolazioni si modificò spesso nel tempo e si differenzia e diverge sovente, oggi ancora, da luogo a luogo, da paese a paese per dizione, per accento, per quantità e diversità di vocaboli e di modi di dire. Scrivere, perciò, le forme della loro tradizione orale o leggere le loro poche ed occasionali composizioni scritte, è stata, quasi sempre, opera ed esercitazione difficile oltreché empirica (ad orecchio) ed arbitraria.
      Ecco perché nella prima parte della monografia abbiamo tentato, senza alcuna presunzione, di dare, stabilire ed esemplificare anche alcune norme o regole fonetiche e grammaticali per poter meglio e più correttamente "leggere" e "scrivere" il nostro vernacolo.
      Nella seconda parte abbiamo raccolto, curato e scritto ciò che in forma orale e dialettale ci è stato tramandato dai nostri antenati: canzoni, ballate, mattinate, serenate, canti di protesta e di ingiurie, versi ricchi di poesia, di doppio senso, di realismo satirico nonché mottetti, detti e fatti, usi e costumi della nostra gente.
      Nella terza parte abbiamo elencato i termini, i vocaboli, le locuzioni che riteniamo sconosciuti ai più, non più in uso e, quindi, meno italianizzati. Quelli conosciuti, riconoscibili e italianizzati sono stati riportati perché ritenuti significativi ed interessanti ai fini etimologici e metafonici, necessari ed utili per determinare i tempi della loro assimilazione ed evoluzione.
      E tutto quanto questo con l'intento di raccogliere in forma scritta, ed almeno in parte, il patrimonio culturale di una civiltà sempre più dimenticata dai contemporanei e quasi sconosciuta alle giovani generazioni; con l'auspicio di riconoscerci e di ritrovarci nella lingua, nelle virtù e nei difetti degli Avi e proseguire più sicuri in avanti.

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