EROI GLORIA D'ITALI - Tommaso Mario Pavese - Affetti familiari e patriottici.

7.- Affetti familiari e patriottici.

        Col soldato d'Italia, lo spirito di nostra gente si sollevò, abbandonando i quotidiani lavori della pace, e votandosi all' estremo cimento, gettandosi col fremito dell'entusiasmo nel vortice della più fiammante epopea, con una luce nobilissima nell' animo ed un palpito solo nel cuore. Così la Gloria, che Giacomo Leopardi, da tempo, non vide per le belle contrade d' Italia, pur risonanti d'armi e di carri e di timballi, la gloria dico ridiscese così ad ali spiegate, come ai tempi di Roma. fulgente ed immortale da' monti tridentini alle verdi e dolci valli tergestine, avvolgendo in un' iride luminosa le palpitanti bandiere d'Italia, agitate dalla mano ferrea de' suoi figli, che a Vittorio Veneto avevano sconfitto per sempre il secolare nemico.
        Ma, per ottenere tali vittorie, eroismi ben ardui, sacrifizii e pericoli sommi dovettero sostenere, o cittadini, i vostri figli, i vostri fratelli superstiti, ora reduci dalla guerra, e principalmente fra loro quelli che alla patria dettero interamente sè stessi, sino all'ultima goccia del loro sangue, quali i caduti che noi qui oggi commemoriamo, e che voi avete sentito come fortemente combattettero, come nobilmente morirono. lo vedo, intanto, il padre, vedo la madre dolente, perchè non può più stringere al seno il figlio diletto: veggo la sposa che piange, veggo i teneri figli privi del padre. Lasciate che io li ricordi con sentimento e ritmi dannunziani.
        Dalla ligure spiaggia, d' onde il grido veemente di guerra echeggiò, alle Alpi nevose; da Gorizia splendente di vivida luce, a Venezia, a Trieste, giù per tutta la marina adriatica; dalla Sicilia alla Sardegna antica, sino a Caprera, dove il Leone dorme, vigilando, in sepoltura, sul mare vasto come la sua anima; per i monti d'Appennino, per il monte irpino alla Vergine sacro, da tutte le città e da tutti i villaggi d'Italia, sino ai nostri colli che guardano il Vesuvio fremente come il cuor nostro, veggo e padri e madri, e spose e figli, stringersi a sera taciti accanto alla casa avita, e mirar, lì dalla soglia, il disco della luna che rispunta, o le stelle quiete nell'aria serena.
        Guardano e ricordano: « Lo rivedemmo ch'era di Natale; e Gesù rinasceva nel presepe. Giunse improvviso, giunse alla porta, giunse gridando: Mamma, mamma, o mamma, apri la porta ! Dormivano i figli nel tettuccio, ignari: vegliava la sposa, filando alla lucerna. Poi ripartì, non lo vedemmo più... Figlio, dove sei ? Pensi alla madre tua ? Pensi a' tuoi cari, che non vedesti, all' ultim'ora, accanto? » Così pensano, ricordano, e guardano il disco della luna che rispunta e le stelle quiete nell' aria serena: la madre è muta, non palpita più. Qua e là, sparse pe' casolari, alcune povere e vecchie madri guardan nel Cielo, hanno in cuore una mesta preghiera: qualcuna di esse forse immagina ancora un dolce ritorno, soave, come un sogno soave: forse ritornerà ! ?... « Vergine Maria, Vergine pura, guardalo dal male, e ancor l'aiuta ! T'accenderò quanto potrò di cera, t'accenderò quanto potrò d'oliva, se lo ritorni salvo, nella casa sua ». E il viso mesto, chino sul mesto cuore, piange...: d' attorno solo è il casolare muto ! e le stelle quiete nell'aria serena !... -- No, non vaneggiare, o madre: egli non tornerà ! Sublime è il tuo delirio; ma... per sempre « morti sono i figli, morti sono i figli, morti sono i figli migliori alla guerra lontana. Nell' ora estrema, essi non si sentirono le carezze ed il bacio de' consanguinei, nè videro il sereno riso de' patrii monti allietantisi al sole, ma hanno veduto solo la figura della Patria risplendere oltre la morte. Veduto non hanno la ligure spiaggia, le città adriatiche e tirrene, le nostre isole, i villaggi ed i borghi d' Appennino, ma l'unica Italia. Così morirono i figli, morirono intorno alla bandiera d' Italia, d' Italia, d' Italia ».
        Morirono lontani, ma teste bianche e cadenti, visi rosei e paffuti, quasi inconsci della loro sventura, e dei loro onore, chiome bionde o brune, raccolti a sera attorno al focolare o alla mensa grama, mesti, nella casa mesta, si ostinano a cercare ancora con gli occhi smarriti, languidi, velati di pianto e sperduti nel buio, un noto viso, che manca.
        Non lì, non lì, figliuoli, non lì, vecchio padre, sposa, madre, non lì è colui che cercate ! Là sulle rocce arse e brulle, là sui monti impervii, ne' camminamenti oscuri, sepolto fra le zolle, è il corpo infranto del tuo diletto ! Forse la pietà degli amati compagni, o di un sacerdote, piantò sui suoi resti mortali, squarciati e infranti, una Croce...
        Nell'ora del periglio, nell'ora del cimento e della strage, cercarono anch'essi, i vostri cari, le amate vostre sembianze, con gli occhi fissi lontano. Cercarono, ma non trovarono: d'intorno la morte, la voce imperiosa del dovere, la Patria vivente e vincente, e Dio. Mai come allora, essi sentirono la forza onnipossente della Divinità: si videro, si sentirono molecole ed atomi sperduti nell'infinito, su cui domina e regna Dio, solo Dio: Dio che, in mente loro, si confondeva quasi col destino, col destino, elle tutto avrebbe potuto: conservarli ancora alla vita, o prenderli con sè nella morte. Così i loro resti, i loro avanzi mortali, con la loro anima pura, si addormentarono nel Signore; giacchè il biondo Galileo, divino martire volontario per la giustizia umana, che sul Golgota aveva detto: « I buoni saranno meco in Paradiso », sembrò sorridere amorevolmente ai giovani morenti che, con le membra infrante e dilaniate dalle ferite, lontanamente, ricordavano il suo martirio; e Quella a cui tutti i dolori son presenti e che, sotto un manto di materno amore, ahi, quanto regalmente ! accoglie e protegge e buoni ed empii, raccolse - assenti le madri terrene -- il loro ultimo respiro, e lo presentò come un calice, come un pegno di devozione, di pietà, di sacrifizio, in olocausto innanzi a Dio, a

« Quel Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola »

e che prese le loro anime benedette, guidandole per le vie del Cielo.

«Bella, immortal, benefica Fede, a' trionfi avvezza,
Scrivi ancor quesito, allegrati »

        Morirono lontani da noi, ma li abbiamo presenti al nostro spirito, come essi ci ebbero presenti.
        La loro tomba è un'ara, donde attingeremo forza, coraggio, nobiltà di sentimenti: il marmo granitico che, come una pietra carsica, ne ricorda i nomi, sarà un tempio dove condurremo, come ad acqua lustrale, i giovani ad apprendere la virtù del sacrifizio e dell'eroismo, la fede ne' destini della Patria; le madri e le spose a trovarvi le viventi insegne de' loro cari, estinti sulle sacre zolle dove passò furioso l'uragano della battaglia. Ivi rafforzeremo gli animi nostri nella turbinosa ora che volge, traendo dal recente ricordo del loro valore e della loro disciplina, incitamento e nuovo insegnamento dì lavoro e di abnegazione. Ivi andremo tutti a rendere onore ed omaggio agli artefici della vittoria, a curvare reverente il capo alla magnifica teoria de' nostri eroi caduti, ad offrire la nostra fede, la nostra opera, il nostro fervido amore per le migliori e più grandi fortune della madre patria.
        Siamo i vigili custodi di quest' ara; e, ad ogni maggio, col rifiorir delle rose, rinnoviamone il mesto e glorioso ricordo nell'eternità. I nostri propositi e le nostre azioni siano degne de' morti gloriosi: tacciano gli egoismi di fronte al nobile esempio di quelli che dettero interamente sè stessi per la Patria: si reprimano le ingiustizie e le sopraffazioni, come riverente omaggio a coloro che si immolarono per la causa della Libertà e della Giustizia.
        La riconoscenza commossa innalza il suo tempio votivo alla memoria de' prodi più puri, ed intorno ad esso non saranno corone di piangenti salici e di lugubri cipressi, ma le rose di tutti i roseti, ed i gigli di tutte le convalli. Diamo i fiori delle Alpi e quelli de' patrii giardini; ed i lauri della Vittoria, frementi al vento, mormorino un dolce e caro nome, che è ricordo, è speranza, è gloria: Italia !
        E come nella « Marcia di Leonida » del Cavallotti, il fiero spartano è contento di trovar sepoltura solo accanto a non altri guerrieri, che ai tuoi prodi di Mentana; così, o Duce buono ed invitto, o Garibaldi, tu non disdegnerai, anzi con commosso compiacimento, vedrai qui posta, in Vallata, a fianco alla tua lapide, quella che ricorda coloro che, ispirati dal tuo magnanimo esempio, sulle balze del Carso e su quelle del Trentino, immolarono - -- latin sangue gentile -- la loro gioventù, colà dove tu li avevi preceduti quando, per patria devozione, retrocedesti dalle vette conquistate, esclamando: Obbedisco.
        Ed anch'essi obbedirono. Alla voce sacra del dovere e del patrio amore anch'essi obbedirono gli umili eroi, oscuri al mondo, prima che la morte, sul campo di battaglia, avesse segnato di un'aureola luminosa le loro fronti destinate alla gloria.
        Quando si dichiarò la guerra, da Quarto, avemmo lo spirito rivolto a Caprera: ora abbiamo una doppia rilucente stella: Caprera e gli ultimi morti.
        Memori del passato, fissiamo l' avvenire: lavoro, giustizia, dovere. La voce incitatrice de' nostri grandi non riposa.
        Fiammeggino i vessilli; in alto i cuori. l' Italia innanzi tutto, l'Italia sopra tutto: Dio e popolo pensiero ed azione.
        O Garibaldi, ora e sempre, qui risuoni il tuo inno: Italia, avanti !
        Vallata (Avellino), il 1 agosto 1920.

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