Vallata - brevi cenni storici - Vallata e l'Irpinia tra passato e presente, lavoro svolto nel 1991 dalla classe Terza A della Scuola Media di Vallata e curato dal prof. Giuseppe Soldati

RICERCA SUL BRIGANTAGGIO

        Siamo stati guidati nella nostra ricerca sul brigantaggio da un'ipotesi largamente suggerita dalle conoscenze storiche, che cioè i briganti rappresentavano una risposta violenta alle ingiustizie sociali del tempo. Ne abbiamo avuto puntuale riscontro in un testo interessante, l'autobiografia di Rocco Crocco che rivive con equità le vicende trascorse le angherie subite, la ribellione, il carcere, la partecipazione alle spedizioni garibaldine e infine, ultima tappa, l'adesione alla reazione borbonica. Molto simile ci sembra la biografia del brigante Manzo che operava nel salernitano descritta da uno scritto inedito, ad opera di una delle vittime di un sequestro. Pastore, vittima di ingiustizie, fiero di quell'essere un gradino in su agli analfabeti, per forza di cose costretto a darsi alla macchia, a diventare brigante. La reazione dello stato italiano e in genere dei liberali di casa nostra fu dura. Si veda l'odio che moveva i nostri patrioti e amministratori contro costoro accusati di essere cospiratori della patria, e, forse, soprattutto elementi sovversivi dell'ordine sociale (ved. cronache locali e articolo su Vicum). Una volta catturati, dopo un interrogatorio sommario, venivano passati per le armi. Anche qui a Vallata hanno agito bande di briganti. Abbiamo ritrovato, interpretato e descritto alcuni documenti riguardanti le catture e la fucilazione di alcuni briganti. Ci ha colpito la giovane età di alcuni. Non si poteva essere più clementi nei loro riguardi o, solo, più giusti?
        Ma come venivano giudicati dall'opinione pubblica?
        Non mancarono come dice Galasso e come conferma Crocco, larghe adesioni popalari, ma in genere la fantasia popolare colorò fatti e personaggi con tinte fosche, grottesche, presentandoli quasi come orchi delle fiabe. Abbiamo anche noi raccolto da interviste ad anziani del posto memorie sui briganti e il giudizio è in linea con l'immaginario popolare.






BRIGANTI SENZA RIVOLUZIONE.
(tratto da "Il Mattino" 30/6/1984)

        Il professore Galasso è intervistato a proposito di una mostra dal titolo "Brigantaggio, lealismo, repressione nel Mezzogiorno. 1860/1870" e affronta vari problemi che il brigantaggio presenta agli studiosi di oggi. Innanzitutto una prospettiva nuova al modo di impostare solitamente la questione, seppure a livello di intuizione, verificare cioè fino a che punto la realizzazione dell'Unità sia stata condizionata dal brigantaggio.
        Di solito infatti il fenomeno viene presentato come derivante dall'unificazione, cioè una reazione borbonica e clericale alla guerra di conquista del Piemonte. E certamente c'è quest'aspetto: i briganti come Valagara, "l'ultimo esercito borbonico". Ma non va dimenticato che forme di brigantaggio, banditismo, come si può vedere dall'autobiografia del brigante Crocco, erano già segnalate in vari parti dei regno prima del 1860 e denunciavano un profondo malessere sociale. Che agitazioni, proteste e scontento serpeggiassero tra la popolazione e potessero dare una svolta radicale e repubblicana all'unificazione è confermati da quanto dice ancora Valagara a proposito dei fatti della nostra provincia. Esattamente a pag.116 della sua "Un secolo di vita Avellinese".
        "Per questa pronta e ardita risoluzione fu dal De Concilii e dal comitato avellinese annullato quel nucleo mazziniano che tentava costituirsi in Ariano per mutare l'indole del rivolgimento italiano". Questa frase in particolare lascia intuire in effetti che quanto prospettato da Galasso ha riscontro nella realtà dei fatti.
        Tornando comunque all'analisi di Galasso, lo studioso puntualizza l'imcompletezza del termine brigantaggio per denunciare il fenomeno di crisi e di agitazione sociale assai complesso, che si è tradotto poi nelle forme storiche di reazione antiborbonica e clericale, ma che scaturiva comunque e principalmente da una grande protesta contadina.

si può paragonare il brigantaggio al terrorismo degli anni 70?
        Galasso lo nega, infatti il terrorismo, le brigate rosse, non hanno mai avuto il fondamento popolare che il brigantaggio in qualche modo ebbe.


CRONACA DI UN SEQUESTRO DI CENTOVENTI ANNI FA.
(tratto da "Il Mattino" 30/6/1984)

        In questa pag. è presente una eccezionale testimonianza ricavata da un libro scritto da una delle vittime e mai edito in Italia. Joan Jacob Lichtemsteige venne sequestrato dalla feroce banda Manzo assieme ad altri tre giovani svizzeri a Fratte di Salerno: quattro mesi di prigionia, 200.000 lire di riscatto.
        La sera del 13 ottobre 1865 la banda Manzo sequestra all'uscita delle filande di Fratte, nei pressi di Salerno, quattro giovani svizzeri: il figlio di Werner, proprietario della Filandia di Sarno, Gluber, Friedli e il disegnatore e memorialista Joan Jacob Lichtemsteige. La banda Manzo fu sicuramente una delle più feroci e agguerrite formazioni che operarono nel Salernitano. I giovani rimasero prigionieri per quattro mesi sui monti Picentini, con tutta probabilità a Polla; furono poi liberati ad Acerno la sera del 1O febbraio 1866, dopo aver pagato un riscatto di 200.000 lire.
        Ogni volta che Manzo scriveva, noi prigionieri dovevamo voltarci altrove, per non scoppiare a ridere. Egli era tanto fiero delle sue conoscenze elementari nel leggere e nello scrivere quanto molti signori "von" lo son della loro nobiltà. Manzo, purtroppo non era nato, né era stato educato per lo scrittoio, ma in rapporto all'educazione che aveva ricevuto egli era già ad un ottimo livello. Nacque nei pressi di Acerno, probabilmente in una di quelle case grige, annerite da fumo e costruite con pietre sgretolate, coi tetti marci e con piccole finestre turate da stracci. In quanto alle sue ragazzate nessuno parla, siamo riusciti a sapere che in seguito, come vaccaro si era pienamente guadagnata la fiducia del padrone e non ne' aveva mai abusato.
        I lettori più giovani ricordano Manzo come uno di quegli 49 uomini che hanno scambiato il bastone del pastore col bastone di comando; egli per di più era soddisfatto del suo bastone da pastore e non desiderava altro comando se non quello che gli era stato conferito. Ma le cose dovevano avvenire diversamente. Poiché il napoletano odia l'obbligo militare. Manzo mostrò esultante al sindaco il numero fortunato che lo assolveva dal suo obbligo. Costui però non condivise la sua gioia e Manzo fu costretto a diventare soldato, ma quando lasciò Acerno giurò su tutti i santi che si sarebbe vendicato del suo ingiusto, superiore e ha mantenuto la parola ammazzandolo. Disertò, e dopo aver acquietato la sua sete di vendetta, si mise ìn cerca della banda del famigerato Giardullo e divenne brigante.
        Anche se in seguito fu promosso caporale, con Giardullo non resistette molto. Staccatosi dal capo fondò, una banda, i cui membri venivano per la più da Acerno e dintorni.

SOTTO PREFETTURA
            di
    ARIANO
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Ariano 11 22 febb. 1863

Al seguito del mio telegramma di ieri, relativo alla fucilazione eseguita dalla Guardia Nazionale di Vallata, del brigante Rocco Bonavita di Trevico, mi preì gio trascriverle il rapporto del Capitano della Guardia medesima del 19 andante del tenor seguente. Poichè lo scorrazzare della banda LAVANGA si era resa da qualche giorno imponente in questo territorio, per due giorni di buon accordo con il Capitano comandante la 2° Compagnia del 13° Bersaglieri, abbiamo stabilito un movimento combinato, ed infatti il giorno 18 dopo lunga e faticosa marcia, si videro i briganti a lunga distanza e fu impossibile averli nelle mani(?)

la nostra spedizione il giorno 19, ed occupata dalle quattro dopo mezza notte fino al far del giorno diverse importanti posizioni la banda LAVANGA nella contrada Carosina è stata battuta da questa Guardia e gittata lungo il torrente Calaggio è verso la Chiancarella. Nel conflitto un sol brigante è caduto dal cavallo; la mia Guardia si è impadronita del cavallo, di fucile, di un cappotto e il brigante è stato preso da un distaccamento dei bersaglieri che alle vive fucilate è accorso sul luogo. Il brigante è del comune di Trevico a nome Rocco Bonavita di Euplio giovane a 22 anni che da guardia oggi stesso è stato fucilato.
In tale importante servizio, ho a lodarmi dello zelo a cui questa milizia adempì al proprio dovere sul fatto speciale trovo lodevole il coraggio del sottotenente STANCO PASQUALE e il sergente DEL CAMPO CARLO che entrambi si sono distinti a preferenza.
Prima di fucilare il sudetto BONAVITA ha subito il suo interrogatorio su forma sommaria, che le sarà rimesso con altro rapporto il capitano comandante Michele Netti. Mi piace manifestarle che non appena mi perverrà l'interrogatorio del Bonavita secondo il capitano; sarò sollecito farlo a lei pervenire. Intanto ho partecipato(.....) a quella Guardia Nazionale che la S.V. faceva col telegramma di più sull'oggetto.
N.SOTTO PREFETTO
             ...

UFFIZIO DI PUBBLICA
SICUREZZA
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num. 283
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 RISCONTRO AL FOGLIO
DEL DI

                      UFFIZIO
                      CARICO
                      NUMERO
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 OGGETTO
Fucilazione del
brigante Rocco
Bonavita.

Gabinetto
se ne fece relazione

 
 
 
 
 
 
 
 
 


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GUARDIA NAZIONALE
            DI
VALLATA
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Signor Commendatore
Mi godo l'animo annunziarle che ieri noi nove dopo lunga marcia mi riusciva mettere in fuga e battere la Banda LAVANGA di Trevico unitamente ad un distaccamento del 13° bersagliero.
I briganti fuggivano sperse per diverse direzioni, da non poterli raggiungerli. Venne nelle mani della Guardia Nazionale una giumenta; un fucile di munizioni, un cappotto e 50 cartine, il brigante fu preso dal distaccamento de' bersaglieri, che operano al lato opposto del Calaggio. Rientrati in paese dopo sommarie interrogazioni fatte al predetto brigante appariva chiamarsi Rocco Bonavita di Trevico anni 22. Apparteneva alla banda LAVANGA da circa 6 mesi. Ieri stesso da questa guardia nazionale fu detto Bonavita passato per le armi migliore dettaglio ho dato al signor sotto Prefetto del circondario.
IL CAPITANO
MICHELE ...
203
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       OGGETTO
Fucilazione del
brigante BONAVITA

BANDA LAVANGA
 
Al Signor
Prefetto della
Provincia di AVELLINO


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GUARDIA NAZIONALE
            di
VALLATA
 

Signor Commendatore

In continuazione di quanto l'esprimeva col vivo della voce in ordine al brigantaggio son lieto poterle annunciare che la mattina del 29 andante 2 ore prima di giorno mi riuscì di saper trovarsi dei briganti nella masseria di Andrea Gallicchio di Qui posta sulla contrada Maggiano sul lato sinistro del Calaggio. A tale notizia mi recai con la mia guardia ausiliato dalla 15° Compagnia di linea qui stanziata, e giunto sul luogo designato dopo 3 ore di fatiche venne nelle nostre mani il capo brigante Angelo Colicchio di qui, soldato del I6° Cacciatore del Borbone, che da 2 anni, insieme a Sacchitiello ha scorazzato in queste campagne. Il Colicchio era armato a meraviglia, aveva seco 4 fucili, 2 pistole, 110 cartucce, un paio di stivali di cavalleria, una giacca rubata bordiglione pochi giorni prima a Vincenzo Quaglia. Dei 4 fucili, uno è, di munizioni appartenenti alla Guardia Mobile come si ebbe dall'interrogatorio del ripetuto Colicchio. Dopo poche ore rientrati in paese il Colicchio venne passato per le armi alla presenza del Maggiore Brero qui di passaggio. Pria di morire, lo stesso fece alla nostra presenza e degli ufficiali di linea importanti rivelazioni che tutte furono rilevate e consegnate nelle mani del giudice del mandamento per il corso regolare della giustizia. Se ella ne desidera una copia non esiterò dal fargliela pervenire dalla quale rivelerà chi era l'ucciso e quali relazioni si ha tuttavia il brigantaggio in certi paesi. Tra non molto spero di assicurare al governo altra gente di conio somigliante. Si presti alla compiacenza riscontrarmi dell'arrivo del presente per mia quiete.

    N° 152
 
OGGETTO :
BRIGANTAGGIO
 
AL SIGNOR COMMENDATORE
DE LIMA
PREFETTO DI AVELLINO
 
 
 
 
IL CAPITANO


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AVELLINO, 24 feb. 1863

CORPO DEI CARABINIERI REALI
10° LEGIONE
DIVISIONE DI AVELLINO
N.791   DIVISIONE 3=°
    OGGETTO
Fucilazione di un brigante

Al Signor Prefetto
della Provincia di
Principato Ultra


AVELLINO

IL 20 andante, la Guardia, Nazionale di Vallata in unione alla 2° Compagnia del 13° Bersaglieri ivi di stanza, effettuarono una perlustrazione in quel tenimento, attaccando il fuoco con la banda di biganti del noto Lavanga, che per colà si aggira, e di fatti riuscirono a metterla in fuga, prendendo loro, una giumenta, un fucile ed un cappotto catturando pure il brigante Rocco Bonavita di Trevico che portato in Vallata fu passato per le armi.

 
 
Il MAGGIORE
                   Comandante la Divisione
                    MUZZELLO


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TELEGRAFI  ITALIANI

Stazione di Avellino

RICEVIMENTO

Numero delle parole  
Presentato alla stazione originaria di Ariano
Il giorno 21 febbraio

Osservazioni

Alle ore(

ant. 10.19
pom.
 
Ricevuto il giorno
21 febbraio

Alle ore(

ant. 10.19
pom.
 
 

TESTO DEL DISPACCIO

Prefetto di Avellino
19 corrente Guardia Nazionale
Vallata in conflitto banda Lavanga
prendeva briganti Rocco Bonavita
di Trevico che fucilava impossessantosi
Cavalla Fucile Cappotto


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CRONACHE DI BRIGANTAGGIO NEL CIRCONDARIO DI ARIANO IRPINO
NEGLI ANNI 1862-1863

pag.9-18 di VICUM dic. '83                                                                 Vittorio Carino

Il Sotto Prefetto di Ariano nel maggio 1883 designava:
I) il numero dei briganti che operavano nel Circondario di Ariano nel I°settembre 1862;
2) il numero dei briganti che si erano costituiti dal I SETTEMBRE 1862 al 18 aprile 1863;
3) il numero dei brigarti uccisi negli scontri con le autorità;
4) il numero dei fucilati.
        Nei 23 Comuni del Circondario il totale dei briganti era 213; suddivisi nel modo seguente:
        14 ad Ariano,4 ad Accadia, 22 ad Anzano, 10 a Bonito, 9 a Casalbore, 4 a Castel Baronia, 4 a Carife, 4 a Flumeri, 22 a Greci, 2 a Grottaminarda, 13 a Montecalvo Irpino, 4 a S.Arcangelo Trimonte, 4 a Montaguto, 16 a Monteleone, 3 a Mirabella, 4 ad Orsara, 13 a Savignano, 1 a S.Nicola Baronia, 3 a S.Sossio Baronia, 30 a Treviso, 17 a Vallata, 6 a Villanova del Battista e 6 a Zungoli. 74 si costituirono, 40 furono fucilati, 69 presi in conflitto (e quindi fucilati) e 9 si rifugiarono nello Stato Pontificio. Ci fu una diminuzione del brigantaggio nel periodo 6 marzo - 18 aprile 1863, grazie all'aumento delle misure repressive nella nostra Provincia. Con la circolare n.250 del Prefetto di Avellino, si ordinava che fossero arrestati tutti i parenti di ogni brigante, a meno che non avessero dato indizi per la cattura dello stesso. Si ordinava l'arresto di tutti i contadini sospettati di avere aiutato i briganti; si ordinavano le chiusure di tutte le case di campagna, si sorvegliavano tutti i rappresentanti del clero.
        Nel periodo 15 gennaio - 30 aprile 1863, 52 briganti si presentarono alle autorità o furono fucilati, nei Comuni del Circondario di Ariano; un brigante si presentò a Vallata. Un importante fatto che risalta è che il numero dei briganti è molto inferiore a quello del periodo 6 marzo - 18 aprile 1863.
        Nell'estate 1862 i Comuni della Baronia si trovarono in piena balia dei briganti che devastavano raccolti, incendiavano masserie e sequestravano possidenti. Il Sindaco di Carife Pasquale Campo descriveva in una sua lettera la pessima situazione dei Comuni della Baronia, assediati dai briganti. Le Guardie Nazionali dei Comuni della Baronia non riuscivano a fare ordine. Una simile lettera veniva scritta dal Sindaco di Anzano che si preoccupava della difesa dei raccolti. La Guardia Nazionale fu istituita in tutti i Comuni, ma era sempre male armata. La Guardia Nazionale come corpo armato esisteva, però, già prima.
Il Valagare . pp. 113s, menziona l'opera di questo istituto a presidio della Costituzione del 1848 nel Napoletano. La Guardia Nazionale fu costituita nei suddetti Comuni con una Legge del 1860. Era formata da padri di famiglia possidenti, impiegati, negozianti e capi d'arte di età non superiore ad anni cinquantacinque e non inferiore a trenta.
        Le bande medio-piccole divenivano pericolose quando si univano ai grandi nuclei. Da segnalare, per guanto riguarda il nostro territorio, la banda medio-piccola di Agostino Sacchitiello a Bisaccia e quella di Ciriaco Lavanga a Trevico.
        Incursioni nella Baronia furono fatte anche dalla banda Caruso. La banda Schiavone effetuò una sanguinosa incursione nella Baronia; tra gli altri ne dà notizia il Sindaco di Vallata Domenico Netta. Secondo i Sindaci di Castel Baronia e di Vallata una banda di circa 50/60 uomini calava dalla parte del Formicolo dirigendosi verso Sturno; durante il transito commisero due omicidi. Furono poi attaccati dalla Guardia Nazionale di Grottaminarda. Ad Anzano, Trevico e Castel Baronia esistevano nuclei di guerriglia.
        La banda Lavanga di Trevico agiva insieme a quella Schiavone, nei Comuni di Anzano e Vallata. La Guardia Nazionale di Vallata capitanata da Michele Netti catturò, tra gli altri, il trevicano Rocco Bonavita che fu fucilato. (vedi a riguardo i testi di rinvenuti all'Archivio di Stato di Avellino sull'accaduto e da noi trascritti).
Il brigantaggio ebbe nell'estate del 1863 numerodi insuccessi dovuti alla Guardia Nazionale di S.Nicola Baronia. Ma la banda Schiavone rimaneva ancora attiva e si univa alla banda Caruso. Tra i sequestri della banda Lavanga si ricordano quelli di Toto Nicola di Trevico e del monaco vallatese Quaglia Francesco. Il brigante che fu catturato il 3 febbraio 1863 a Vallata era Cornacchia Giovanni della banda Sacchitiello.

 

 

VERBALE DELL'INTERROGATORIO DI CARMINE DONATELLI CROCCO
3-4 agosto 1872.

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        Il brigante Carmine Donatella Crocco fu interrogato nelle carceri giudiziarie di Potenza, dove si trovava per aver commesso vari reati. Le sue generalità sono risultate le seguenti: anni 43, pastore, originario di Rionero in Vulture, non aveva terreni, era caporale ed era stato arrestato per altri crimini. Interrogato sul reato di cui era accusato, ammise di essere colpevole di vari furti, accompagnati da pubblica violenza. Ammise anche di essere stato condannato a 19 anni di reclusione, aumentati poi a 20 anni e mezzo, a causa di un suo tentativo di evasione. Confermò anche il fatto di essere evaso il 13 dicembre 1859, negando però di essere fuggito con la violenza. Alla domanda del Cav. Alessandro Fava presidente della Corte ordinaria di Assise riguardo il suo rifugio dopo l'evasione, egli rispose che si rifugiò per tutto l'inverno a Monticchio. Confessò di aver commesso in primavera vari reati, insieme a due suoi compagni, Vincenzo D'Amato e Michele Di Biase. Il 18 agosto si unì ai volontari capitanati da Mennuni e si recò a Potenza dove fu proclamato il Regno d'Italia. Lo stesso Crocco si unì ai garibaldini per le guerre d'indipendenza; per aver combattuto gli fu promesso dal governatore Albini di avere una diminuzione delle pene, ma tale promessa non fu mantenuta. Si nascose nuovamente nei boschi, ma fece l'errore di accettare la proposta di una contro-rivoluzione borbonica, ma essa non essendo ben preparata fallì e Crocco fu arrestato.

 

 

AUTOBIOGRAFIA DEL BRIGANTE CROCCO
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        Il brigante Crocco è l'unico che abbia lasciato una descrizione sull'insurrezione post-unitaria. Traspare il fatto che Crocco era semi-analfabeta. Nella sua autobiografia Crocco parla dei suoi genitori: Francesco Crocco Donatella e Maria Gera di Santo Mauro. Crocco aveva 4 fratelli, il quinto morì quando stava per nascere. Il padre era pastore e contadino, la madre, invece, scardava la lana. Dai suoi scritti si capisce l'affetto soprattutto verso la madre. Dice anche che molti delitti da lui compiuti sono causati da un oltraggio a sua madre. Parla molto della povertà della sua famiglia. Lo stesso brigante scrive contro il Governo che chiamava a fare la leva militare solo le persone più misere, e che la legge non era uguale per tutti. Ora Crocco parla del ferimento di sua madre, fatto da un signorotto, il cui cane era stato ucciso dal fratello dello stesso Crocco, perchè avava ucciso a sua volta un coniglio, e come il più vile degli esseri piangeva per il rimorso e per l'onta. Ma il brigante doveva subire un'altra grande ingiustizia: l'arresto del padre per l'omicidio del signorotto che aveva ferito la madre. A causa dell'arresto del padre, la madre di Crocco impazzì, e così la famiglia del brigante finì sul lastrico. Proprio per questa situazione, Crocco divenne un brigante.
        Nel 1845 Crocco salvò un ricco signore di Atella, che lo ricompensò con 50 scudi; così Crocco decise di ritornare a Rionero, dove si trovavano i suoi genitori. Adesso Crocco parla delle cause che lo hanno portato a voler prevalere sugli altri. Secondo lui la causa principale er la sua istruzione, sebbene poca, che lo faceva sentire superiore in un mondo di analfabeti. Inoltre, aveva visitato molti posti. A ciò si aggiunge che vedeva sempre le monete dei padroni. Ma suo padre, divenuto rinunciatario, placò i suoi ambiziosi progetti. Così abbandonò il padre e andò a lavorare presso un nuovo padrone,che lo pagò relativamente bene. Fu questo un periodo in cui Crocco visse felice.

        Finché le cose andarono bene Crocco si comportò da buon cristiano, quando le cose si misero male divenne cattivo. Crocco dice di aver usato la sua ferocia solo per difesa personale. Un giorno mentre lavorava nei campi Crocco incontrò il figlio dell'aggressore di sua madre cercò di provocarlo ma per tutta risposta íl signorotto si dimostrò gentile nei suoi confronti. Addirittura lo invitò a casa sua e promise di rimediare ai danni provocati alla famiglia di Crocco.
        Gli offri anche un lavoro come fattore ma purtroppo il signorotto fu trucidato nella rivoluzione del 15 maggio 1848, cosi Crocco fu costretto a divenire soldato. Il servizio militare era duro ma Crocco era abituato a ciò; quello che lo faceva preoccupare era, data la lontananza da casa, i problemi che angustiavano i suoi. Così non sopportando più questo disonore che Crocco aveva saputo mediante una lettera della sorella, Crocco si recò alla casa della stessa sorella. Quindi uccise il bellimbusto che voleva costringere sua sorella ad imboccare la strada della perdizione (prostituirsi). Fu poi arrestato e condannato ad una pesante pena. Con le vittorie di Garibaldi ci furono moti rivoluzionari anche in Basilicata, e Crocco per riacquistare, la sua dignità prese parte alla rivoluzione.
In, quella rivoluzione non commise atti disonesti per riabilitarsi di fronte ai suoi paesani. Ma c'erano molti suoi nemici che volevano la sua rovina. Crocco viveva in paese da parecchio tempo, quando fu avvertito che c'era per lui un mandato d'arresto; si nascose così in campagna, dove divenne un vero e proprio brigante. Le bande di briganti cercavano anche l'aiuto dei contadini e dei poveretti per diventare ai loro occhi dei paladini. Ad un tratto Crocco si ritrovò a capo dei moti rivoluzionari, e fu anche aiutato dai cittadini e da contadini.
        Le ondate di brigantaggio furono vittoriose. Inoltre fu eliminata ogni cosa che rendeva possibile ricordare l'impero dei Borboni. Così, mentre i nobili erano allarmati,i contadini si affezionarono ai briganti. La banda dei briganti con a capo Crocco conquistò la città di Venusia e venne accolta a braccia aperte dal popolo. Fu poi incredibilmente grande il successo di Crocco a Melfi, accolto con gioia e con il suono delle campane a festa. Quindi il brigante narra di una dura battaglia combattuta in un paesino chiamato Ruvo del Monte e sottolinea l'eroismo dei cittadini, solo 300, che seppero tener testa a più di 1000 briganti, che hanno vinto solo dopo molte ore. Dopo aver lasciato il piccolo paese, Crocco seppe che c'erano molte forze contro di lui. Si fermò così in una località vicina a Calitri, attendendo lo scontro. Intanto fece assalire un Sottoprefetto che si recava ad Eboli; questi fu però fortunato e riuscì a tornare sano e salvo in paese. Questo grazie anche al fatto che faceva parte della scorta del detto Sottoprefetto il figlio di un amico del padre di Crocco. Costui era un ufficiale e,tornato in paese, mandò una lettera a Crocco avvertendolo che aveva un giorno di tempo per arrendersi, altrimenti sarebbe stato attaccato, ed eventualmente, catturato od ucciso. Naturalmente, con una lettera, Crocco si disse pronto a combattere. Si sentiva sicuro della vittoria, e come lui il suo esercito, formato non solo da pastori, ma anche da veri e propri soldati dell'ex esercito borbonico. Cominciò quindi la battaglia, che inizialmente non fu caratterizzata da duri scontri, bensì da movimenti tattici. Ma ciò durò per poco, poichè dopo una breve tregua, i bersaglieri attaccarono duramente i briganti. Questi ultimi però, con molta astuzia riuscirono ad aggirare l'esercito nemico ed avere per il momento la meglio; quindi ritornarono nella loro Piccola fortezza. Dopo un'ora di tregua, ci fu l'attacco sferrato ai briganti, ormai assediati e messi in grave difficoltà, ma che con molto valore riuscirono a resistere per più di 8 ore e che addirittura costrinsero alla ritirata i bersaglieri. Infine Crocco apre una parentesi parlando delle abitudini della sua banda, dicendo che vivevano nella miseria e che i malati venivano curati con estratti di patate, bianco d'uovo ed olio d'oliva. Inoltre ci nutrivano derubando cittadini e contadini. Adesso Crocco parla di Borjes, un generale spagnolo venuto per sollevare i popoli delle Due Sicilie. Borjes volle essere aiutato dalla banda di Crocco, che, dopo molte titubanze, accettò la proposta. Il programma di Borjes era quello di assoggettare prima i centri minori, per poi passare ai capoluoghi di provincia. Crocco parla del fatto che non furono solo i poveri a far scoppiare le rivoluzioni, ma anche i signorotti. Quindi parla di essere stato a Stigliano, ricevuto con tutti gli onori ed accolto in un grande palazzo. Le autorità cercarono di sconfiggere i briganti costringendo i contadini a portare solo lo stretto indispensabile. Ma i briganti si rifornivano ricattando i ricchi. Però ci fu un aumento delle forze regolari, così i briganti furono costretti a limitare la loro azione. Un fattore che rese forti i briganti fu il fatto che conoscevano molto bene i paesi, i boschi, ed erano abituati ad una vita selvaggia.
        Un altro fattore fu l'aiuto del popolo che odiava i piemontesi. Le bande di briganti esistevano anche prima dell'unità d'Italia, ed erano formate da persone che si erano ribellate ai soprusi delle autorità. Una delle più organizzate bande di briganti era proprio quella di Crocco. Ora lo stesso Crocco parla del vile Caruso, che lo abbandonò dopo aver commesso 124 omicidi in 4 anni, tra cui quello del fratello per aiutare le forze dell'ordine. A causa di Caruso molti briganti furono catturati, ma il caso volle che Crocco riuscì sempre a sfuggire. Questo avveniva nel 1864. La banda di Crocco si era ridotta da 2000 a 116 briganti. In questo periodo Crocco si sentiva molto insicuro, quindi si ritirò a Roma; proprio li fu incarcerato per ordine del Papa Pio IX. Dopo questo periodo di prigionia fu mandato in Francia; dalla Francia fu rispedito a Roma da Napoleone III. Dal carcere di Paliano fu trasferito a Caserta e poi ad Avellino. Il 27 luglio 1872 lasciò il capoluogo irpino per giungere a Potenza. Un mese dopo fu giudicato alla Corte d'Assise. Crocco termina la sua autobiografia con un augurio ai giovani posteri: quello di essere onesti e di non ripercorrere quindi il suo cammino; forse proprio da questo augurio si può capire che probabilmente, alla fine, Crocco si è pentito della sua esperienza di brigante e di tutte le sue malefatte (n.d.r.:oppure augura ai posteri di essere onesti solo per non andare in carcere, il che è diverso).

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