Comunità di Vallata tra Chiesa Madre, Cappellanie e Regia Dogana - Sergio Pelosi — Donna Isabella.

Capitolo VI
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6.6 Donna Isabella.

        Questa era l’amatissima figlia di Don Antonio Pelosi, che ricevette dal padre 400 ducati e fu nominata nel testamento nuncupativo fatto in punto di morte in cui disse che se avesse trovato un buon soggetto, i fratelli tutti avrebbero dovuto farle un corredo ancor migliore di quello che lui aveva disposto assieme alla madre, se fosse salita ancor più di rango. Il buon soggetto Donna Isabella lo trovò nella persona di Don Giuseppe Nicola Alvino di Andretta che, pur essendo un dottor fisico(=medico), rappresentò per anni l’Erario del Principe di S. Angelo Imperiale (Dg II b. 590 f. 122749) nel suo locofeudo che comprendeva le città di S. Angelo dei Lombardi, Nusco, Lioni, Andretta e Carbonara.
        Dalla b. 697, f. 1445 della Dg. II, si seppe che sin dal 1773 suo marito e suo figlio maggiore Vincenzo, diedero un loro terreno situato in Andretta, in enfiteusi ad Andrea d’Errico e fratelli, nel luogo detto “Dietro le Serre”. Con i fratelli D’Errico oltre ad Andrea, c’erano Bartolomeo, Pasquale e Pietrangelo e, con tutti loro si era convenuto che ogni anno, nel mese di Agosto, avrebbero pagato un canone d’estaglio pari al prezzo di una quantità di grano ricavabile da un tomolo e mezzo di grano. Ma, ad un certo punto, questi non solo non pagarono più il dovuto, ma si rifiutarono anche di pagare la mora del mancato pagamento che già fu determinata dal giudizio ottenuto al riguardo presso la Gran Corte della Vicaria a Napoli. Infatti, i fratelli d’Errico ritenevano che ormai, dopo 11 anni di conduzione ininterrotta, quei terreni, facessero ormai parte delle loro proprietà, per cui anche quando Donna Isabella Pelosi in Alvino reclamò un grave danno per quell’indebito taglio di querce, pioppi e fruttiferi, questi non lo tennero minimamente in conto. L’atto dei fratelli d’Errico fu firmato dal Notaio Acocella di Andretta che disse anche che li rappresentava. Ma, tutti e 4 i fratelli furono condannati in contumacia, e la Corte di Foggia cominciò a pensare che quel Notaio di Andretta non era la prima volta che faceva cose del genere e si cominciò a valutare negativamente i suoi atti.
        Allorquando il marito di Donna Isabella in Alvino morì nel 1780, così come riportato nella Dg. II, b. 850, f. 17342, fu nominata usufruttuaria dei beni dei suoi 4 figli, Luigi, Domenicantonio, Vincenzo ed Amato che furono dichiarati eredi universali. Ma successe che nel 1783 Don Luigi Alvino che era un dottor fisico della città di Andretta, dopo aver portato all’altare la sua unica figlia Marianna, si separò dalla moglie per insanabili contrasti. La figlia andò sposa al figlio di Don Ruggiero D’Arace di Andretta, con una dote di 500 ducati (Dg II b. 807 f. 16468) e, desiderando vivere in modo autonomo, chiese a sua madre ed ai fratelli di prendersi la sua quota, col consenso di tutti. Ma, dopo poco che ciò accadde, il secondo figlio di Donna Isabella, Don Domenicantonio, secondo le tradizioni dell’epoca ascese al sacerdozio, ed avendo avuto un curriculum di tutto rispetto, vestì l’abito religioso dei Domenicani nella città di Napoli. Così, le quote rimasero due e non tre, e Luigi si lamentò principalmente con il fratello Amato che non aveva nessuna intenzione di dividere con lui la quota del fratello. Ma, anche Don Vincenzo, che nel frattempo divenne il Sindaco di quell’Università volle che fossero riviste le quote come chiedeva il fratello Luigi perché Don Amato s’era accaparrato dei beni senza che ciò fosse sancito per legge, tanto che anche Domenicantonio, avendo anche capito che l’abito talare non gli avrebbe certo precluso la possibilità di essere anche un locato della corona napoletana a Foggia, chiese a sua madre di fare delle quote in cui per poter equilibrare le proprietà, si tenesse conto anche di lui. Allora, Donna Isabella, avendo capito che doveva, a quel punto, far valere tutta la sua autorità, chiamò il marito di sua nipote Vincenzina Pelosi, il notaio Andrea Sauro di Vallata e gli spiegò tutto l’accaduto e per evitare ogni tipo di conflittualità tra fratelli, fece il suo testamento nuncupativo e stabilì lei personalmente le quote che dovevano avere tutti e tre i figli, rinunciando all’usufrutto che aveva avuto per legge allorquando il defunto marito glielo aveva concesso sull’intera sua proprietà e finché fosse stata in vita. Lo stile del testamento fu lo stesso di quello di suo padre Don Antonio ed uguale a quello del defunto fratello Carmine e, sorprendentemente alla fine comparve la solita espressione: “poi, io Notaio Andrea Sauro, chiedo a Donna Isabella se vuol lasciare qualcosa al Regio Albergo dei Poveri a Napoli e Donna Isabella Pelosi risponde: no, perché non mi piace!!. Donna Isabella Pelosi in Alvino morì ad Andretta l’11 Giugno 1789.  Ma, dopo che furono fatte le quote ed il dottor  fisico Don Luigi ebbe la sua quota, ebbe delle traversie di carattere economico, perché il notaio Giovanni Acocella della sua stessa città, (Dg. II busta 645 f. 13312), lo chiamò in giudizio a Foggia alla Regia Dogana, perché lo fece risultare avallante di una cambiale per 270 ducati e, quel notaio fu lo stesso che creò problemi a Don Michele Pelosi di Vallata, suo cugino, che ad Andretta era diventato affittuario della Mastrodattìa del feudatario locale. Per quanto riguarda la figura di Don Amato Alvino, chiamato così da sua madre, in ricordo del fratello morto prematuramente anni prima a Vallata, si sa che fu il cugino ed amico inseparabile di Don Bartolomeo Pelosi, figlio dell’ U.J.D Don Carmine, assieme al quale veniva ogni anno a Foggia per pagare la professazione degli animali e comparve per molti anni come un ricco proprietario di armenti. Dalla b. 288 f. 268 del Tavoliere, nel 1817, Don Amato, recatosi a Foggia, scrisse di suo pugno una domanda al Direttore dei Ripartimenti con la quale chiese, come antico locato e censuario degli erbaggi in locazione Vallecannella, di essere inserito(=incasato) in quel Ripartimento per l’assegnazione di erbaggi che già si fece nel 1797 e, poiché le sue 700 pecore avevano bisogno di  un‘assegnazione di erbaggi superiore a quella fin lì concessagli, così si espresse: “ che questi erbaggi mi vengano assegnati o in Località Tressanti o Torre Alemanna, perché questi sono i luoghi più vicini a casa mia, ad Andretta in principato d’Ultra e poi perché posso stare assieme a mio cugino Bartolomeo Pelosi“. Quest’ultimo, presente in quella data del 22 Novembre firmò come testimone quella domanda fatta dal cugino. Il nipote di Don Amato Alvino, figlio della figlia, fu un valente dottore cerusico della città di Andretta, Don Amato D’Arace.

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