Comunità di Vallata tra Chiesa Madre, Cappellanie e Regia Dogana - Sergio Pelosi — Il Rev.do Padre Don Pasquale.

Capitolo VI
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6.4 Il Rev.do Padre Don Pasquale.

        Leggendo un atto della Dg. II serie, b. 285, f. 6479 in cui alcuni coloni di Vallata avevano avuto una disputa con il Procuratore del Marchese di Trevico che era il Dottor Cortese, ho avuto modo di apprendere che Don Pasquale Pelosi, cercava a tutti i costi di mettere pace tra i componenti della sua famiglia ed auspicava in particolare che il fratello Carmine gli desse una mano in quella operazione, perché c’erano cose che bollivano in pentola che erano ben più importanti di quelle stupidi liti di famiglia relative a discorsi di capitoli matrimoniali e rapporti interpersonali con le varie mogli dei fratelli. Infatti, c’era una novità sul fronte dell’amministrazione dei beni dell’Ecc.mo Marchese di Trevico, che non era più presente in quel Feudo, poiché si era trasferito per motivi ereditari a Sant’Agata di Puglia e parecchi coloni di Vallata e di Migliano, odierna Scampitella, s’erano lamentati per il ritardo con cui erano pagati per la dovuta ricompensa per i lavori che svolgevano in quelle terre. Eppure, in quell’anno 1763, erano stati stanziati 350 ducati per quello specifico scopo e, nonostante i due incaricati fossero il Dott Don Nunziante Pavese e Don Emanuele del Sordo e che avessero risolto non pochi problemi e divergenze tra i coloni ed il Marchese di Trevico e Conte di Potenza, con un atto notarile di Michael Rosa di Vallata, rappresentato per l’occasione dal dott. Marchesiello di Sant’Agata di Puglia, non furono dati più i libri dei conti a quei due esattori ed in qualità di procuratore del Marchese non firmò il Bilancio dell’anno 1763.  Il Segretario dell’Ecc.mo Marchese, Signor Felice Di Feo era un impiegato che prestava la sua opera presso il Rev. Padre Don Pasquale Pelosi nella chiesa madre di Vallata, e così come già fece per il periodo 20 Ottobre - 20 Dicembre 1761, chiese a Don Pasquale se volesse fare lui quello che avevano fatto fino a quel momento i summenzionati Pavese e del Sordo. Di buon grado questi accettò e senza sconvolgere molto le cose rispetto al libro dei conti precedenti, fece i nomi di coloro che potevano essere i punti di riferimento per i coloni di Vallata:  Michele di Netta, Francesco Cerullo, Carlo Campaniello,  Bartolomeo Nunzio, Michele Rosa, Marco Chiavuzzo, e Don Carmine Pelosi, suo fratello, per i coloni di Migliano e Don Nicolò e Don Domenico Pelosi, altri suoi fratelli, che si sarebbero occupati  dei beni bonificali e terre inutili, previo pagamento di un estaglio di 1ducato e 80 l’anno. Redatto l’atto il Dott Cortese sollecitò Don Pasquale Pelosi a fare presto a riscuotere quanto dovuto, perché si stava prospettando un’annata disgraziata assai. Infatti, come dicono le cronache di quell’epoca a Vallata da Settembre a Dicembre 1764 ci furono 560 persone morte tra giovani, bambini ed anziani, di cui 226 stroncati dalla fame, 204 dal morbo e 183 si allontanarono in Puglia e non tornarono più, tutto scritto dall’ Arciprete dell’epoca, Don Donato Zamarra e riportato da quello attuale Don Gerardo De Paola. E, che tra i fratelli Pelosi fosse tornato il sereno già da un po’ di tempo lo testimonia il fatto che in un atto allegato ad una causa ho trovato che nel 1762, a seguito della divisione dei beni de Don Antonio Pelosi, avvenuta materialmente in quell’anno per la gran difficoltà a fare delle quote perfettamente uguali, fu redatta un’intesa con la quale tutti si dichiararono assai soddisfatti dal lavoro che svolse l’esecutore testamentario Rev.mo Padre Don Ciriaco Cataldo che nel frattempo aveva chiesto ed ottenuto di essere  aiutato in quel lavoro anche dal Mag.co Don Nunziante Pavese. Ma, prima di trovare un accordo, i due esecutori proposero che si dividesse anche il Palazzo e gli altri beni, ma Don Carmine Pelosi, questo lo prese come un affronto personale e si oppose con tutte le sue forze sia al tentativo di frammentazione del Palazzo come anche degli altri beni stabili, e per non urtare la sensibilità del Reverendo Padre Don Ciriaco Cataldo che aveva proposto il suo collaboratore che non concordava con quell’idea, fece un’altra proposta, accettata da tutti i fratelli, cioè di nominare un terzo componente arbitrale nella persona del Magco Don Carlo Silla, fratello del Notaio Antonio Silla che stava redigendo proprio quell’atto. Era già il 28 Settembre 1763, ed il tutto si risolse come voleva Don Carmine, una spartizione dei ducati ed una spartizione di tutto il bestiame presenti nelle loro masserie, compreso quello che avevano comprato il 23 Marzo di quell’anno alla Fiera di Foggia. Nell’atto comparve finanche uno stato di consistenza del bestiame esistente e quello nuovo acquistato, con una descrizione analitica dei soggetti e delle loro caratteristiche morfologiche. Don Carmine, ricordò ai fratelli di ricordare bene chi aveva comprato quelle belle vacche pezzate bianche, o quel gruppo di cavalli morelli. Quel giorno in Fiera lui era stato a Foggia assieme ai fratelli Don Nicolò, Don Domenico, Don Pasquale ed il nipote Saverio, ma fu lui che comperò anche quelle giovenche che nel frattempo erano partorite e quelle belle pecore gentili con il figliame e lo stesso discorso valeva per quella cavalla bianca, con leggere sfumature gialline e quell’altra con il pelo lombardo. Don Pasquale allora, mostrando una calma ed una saggezza non comune gli rispose: ”per me va tutto bene, anzi benissimo, ma tu Carminuccio, devi fare l’amministratore di tutti i beni dei fratelli e se anche loro concorderanno con la mia idea, tu te ne dovrai occupare con zelo così come sei capace di fare con la roba tua”. Tutti firmarono e Don Carmine “coram eius fratribus” accetò l’incarico, rassicurato da Don Pasquale che doveva impegnarsi per altri compiti ben più importanti. Seguirono sull’atto privato le firme in originale di Don Carmine, Don Nicolò, Don Domenico, Don Pasquale e Don Saverio.
        Don Pasquale era il 2° figlio di Don Antonio che per diversi anni era stato prima chierico, poi suddiacono e poi diacono, per diventare sacerdote della  Chiesa di San Bartolomeo Apostolo di Vallata nel 1754. A quei tempi, in tutte le case dei personaggi più benestanti c’era la regola che un figlio, normalmente il 2°, diventasse sacerdote e, prima che ciò accadesse anche a Don Giuseppe Maria Pelosi, figlio del fratello Carmine, stava per accadere anche Saverio, figlio di Amato che, benché non fosse predestinato,  intraprese con amore quel percorso ecclesiastico, ma non fu mai ordinato sacerdote poiché morì prima del tempo. Così, dopo don Pasquale,  a casa Pelosi toccò, nell’ambito della nuova generazione “sfornare” un sacerdote su misura, e quell’impresa fu assai ardua. Infatti, tutti gli indizi portarono al 2° figlio di Don Carmine, Giuseppe che essendo un giovane aitante ed amante della vita, fece molto parlare di se e delle sue concubine. Poi, sembrò che il buon Dio, scegliesse anche i non predestinati dagli uomini e, per sentita vocazione, divenne sacerdote Don Carmelo, figlio di Don Michele, primogenito di Carmine che non appartenne al clero di Vallata, perché era un Padre Missionario che, a Marzo del 1803, vivendo presso il Seminario della Diocesi di Lucera, chiese ed ottenne di andare in Africa, dove decedette di malaria nel mese di Maggio di quello stesso anno. Seguendo le tracce ritrovate in alcuni contenziosi che si svolgevano nel  luogo competente dei locati dell’epoca, cioè la Regia Dogana di Foggia, e tramite lo stato patrimoniale della famiglia Patetta, che tanti sacerdoti aveva fornito alla Città di Vallata, si è appreso che la nipote del sacerdote Don Pasquale Pelosi, la Mag.ca Donna Vincenzina, sorella del defunto Saverio, fece la sua richiesta di 50 Ducati, perché fu proprio lo zio Pasquale a stabilire quella somma a lei destinata e mai ricevuta (Dg. II, b. 637 f. 13161). Vincenzina, al pari di altri suoi amatissimi cugini ebbe una cospicua somma per l’epoca, ma quel suo comportamento, secondo gli zii ed i nipoti, dettata anche dalla sua nuova condizione di donna maritata con il Notaio Sauro Andrea, non contribuì ad appianare la situazione sorretta da un fuoco già abbondantemente acceso dalla zia Donna Caterina Patetta. Dopo la morte dello zio Rev.mo Don Pasquale Pelosi, avvenuta nel 1776, la Mag.ca Donna Vincenzina Pelosi, dopo aver accudito lo zio per tutta la sua lunga malattia, non avendo ricevuto la somma stabilita dei 50 Ducati, portò avanti per anni un giudizio contro i parenti che, al contrario, avevano beneficiato di parti dell’eredità dello zio sacerdote don Pasquale. Furono citati sia lo zio Don Domenico, sia lo zio Don Nicolò e sia la zia Donna Caterina Patetta in quanto tutrice dei due minori Giuseppe e Bartolomeo, che alla Regia Dogana di Foggia si fece sempre rappresentare in tutti gli atti da Don Carmine Crincoli di Vallata. In quella lunga causa di eredità le cose si complicarono ancor di più perché Saverio, fratello di Vincenzina, non si schierò mai con la sorella e la madre, ma al contrario solidarizzò a tal punto con gli zii che portavano il suo stesso cognome che rifiutò la sua parte di eredità lasciata dallo zio sacerdote a favore dello zio Nicolò; anche Don Domenico, fece la stessa cosa del nipote Saverio e, con atto notarile rifiutò la sua parte di eredità lasciata dal fratello Pasquale, a favore di Don Nicolò. Infatti, dietro quegli apparenti atti di liberalità, s’annidava la strategia di Don Nicolò. Visto che il giudizio andava per le lunghe e, visto che nell’agosto del 1782 era deceduto il fratello Carmine, dopo aver complottato con sua cognata, la vedova Donna Caterina Patetta che a quell’epoca aveva ancora due figli minori e come tutrice ne rispondeva lei, rifiutò anche lui la parte dell’eredità del fratello Pasquale  e di quella che gli era pervenuta dal fratello Domenico e dal nipote Saverio. Tutto ciò produsse un gran risentimento in donna Vincenzina che per affermare un suo diritto negato, si vide messa al bando solo per una somma di 50 ducati che già rappresentava ben poca cosa rispetto a ciò che avevano ottenuto gli altri componenti di casa Pelosi che l’additavano pure, avendo ormai cambiato cognome, di portare gli interessi di casa Sauro, essendo divenuta la moglie del notaio Andrea. Nel corso dei vari dibattimenti, durati più di sei anni, Don Saverio, fratello di Donna Vincenzina che pure aveva prescelto l’ordinamento ecclesiale per vera fede, fu inflessibile nel suo comportamento ma, dopo pochi mesi che aveva rinunciato a quella eredità, morì a Marzo 1783. Fu così che, suo malgrado, Donna Vincenzina, si trovò costretta a richiedere quanto disposto dallo zio Rev.mo Padre Don Pasquale proprio agli eredi del quondam Dottor Don Carmine, cioè a Don Michele ed a sua madre Donna Caterina Patetta, tutrice di Don Giuseppe e Don Bartolomeo, entrambi minori. Il giudizio terminò solo il 21 Giugno 1783, in cui il Giudice della Regia Corte intimò che entro 6 giorni fosse saldato il debito a Donna Vincenzina e, Don Carmine Crincoli, procuratore sia di Donna Caterina Patetta che del suo figlio maggiore Don Michele, provvide al pagamento, previo accordo tra quest’ultimo ed il marito di  sua cugina, il Notaio Andrea Sauro.  Le furono, così, dati 30 Ducati subito, 15 Ducati ad Agosto dopo il raccolto ed i restanti 5 Ducati “ in due scoppette ”.
        Il Rev.mo Padre Don Pasquale, molto conosciuto ed apprezzato dai suoi parrocchiani, era un sacerdote secolare “fidei donum” che aveva fatto compilare un testamento con vari legati, codicilli e disposizioni varie, il tutto perché non vi fosse discordia tra gli eredi. Ma….morto Don Pasquale le discordie nacquero immediatamente!!!. In un latino abbastanza maccheronico dell’epoca e con una grafia dai contorni tipo geroglifici egiziani, dalla Mac.ca Donna Vincenzina fu mostrato copia del testamento dello zio Don Pasquale presso la Regia Corte di Foggia. Tale Testamento fu redatto in data 6 Aprile 1776, dal Notaio Benedetto Padovano proveniente dalla città di Napoli e per tale scopo fatto venire vicino alla Chiesa, precisamente dove si trova la Regia Congregazione, nel vicolo chiamato dei “Chiavennieri”, retta all’epoca da Don Francesco Gagliardi, e lì,  in una stanza trovò Don Pasquale con il corpo infermo ma la mente sana per grazia di Dio, e questi, dopo aver proferito ed aver rinnovato tante laudi a Dio ed invocazioni a tutti i Santi del Paradiso, ritrovandosi in quello stato e dopo essersi confessato sul punto di morte, come un fedele cristiano, desiderando che il suo testamento abbia una validità immediata e che in modo tale che nessuno potesse dubitare di alcun inganno perché qualsiasi carta o documento fatto in data anteriore non doveva avere nessuna validità, come prima cosa raccomanda l’anima sua a Dio Onnipotente che prega per lui  e stabilisce che siano gli eredi a decidere dove seppellirlo, nella Chiesa che loro reputeranno più opportuno. Poi, ordina e dispone che la sua cospicua eredità vada ai suoi cari ed amati fratelli Don Carmine, Don Nicolò e Don Domenico ed assieme a loro il suo nipote Saverio, promesso alla Chiesa e figlio del defunto fratello Amato. A tutti questi vanno oro ed argento lavorato, beni stabili presenti e futuri, denari contanti, legati, capitoli, seminativi, ragioni dotali ed extradotali, frutti di eredità e successioni, ed ogni altra cosa lui possedesse. Lasciava ad Amata Pelosi, figlia del fratello Don Nicolò sposato con Vittoria Novia, sua amabile cognata, 200 Ducati da pagarsi sia in caso di maritaggio, sia in caso di monacaggio, ma se così non fosse la mamma Vittoria e suo fratello Nicolò si godano pure il frutto di questi 200 Ducati. Lasciava poi altri 200 Ducati a Maria Cristina Pelosi, somma che doveva ugualmente servire sia in caso di maritaggio che di monacaggio, ed in caso contrario i ducati andavano sempre al fratello e alla cognata, ed un’altra somma identica di 200 Ducati a Vito, sempre figlio di Don Nicolò e sua cognata, ma in questo caso i ducati devono essere liberi ed espliciti, senza vincolo alcuno né sottoposti ad alcuna condizione.
        Il Notaio, continuò scrivendo che: “lascia poi a sua nipote Vincenzina, figlia di Amato 50 Ducati liberi ed espliciti, da darglieli dalla vendita dei suoi seminativi nel mese di Agosto 1776 e questo in cambio dell’obbedienza prestatagli”. Infine, Don Pasquale fece aggiungere che :”lascio ad Aurora Pelosi figlia di mio zio Cesare, ducati 20 da pagarsi subito, liberi ed espliciti sempre ad Agosto 1776, sempre per l’assistenza fattagli, in particolare per questa mia ultima infermità”. Poi: “ vuole, ordina e comanda che i Ducati 600 ai 3 nipoti Amata, Maria Cristina e Vito, figli di Don Nicolò e la cognata Vittoria, si debbano prendere dalla sua eredità e dividere e DICO DIVIDERE ugualmente fra li detti eredi”.
        Questi tre dovranno restare obbligati a fargli celebrare 100 messe lette in suffragio della sua anima e si rimette a loro perché per mezzo di loro coscienza devono dare un’elemosina a messa per non meno di grana 10 a messa. Vuole ed ordina che sempre i 3 eredi precedentemente nominati nell’item del suo Testamento, celebrino pure altre 100 messe lette a beneficio delle Anime dei Benefattori della Venerabile Chiesa delle Anime del Purgatorio di Vallata, ma sempre con la dovuta elemosina di non meno di grana 10 a messa. Le messe, devono essere celebrate subito dopo la morte del Reverendo Padre Don Pasquale, testatore del presente atto. Circa il dare ed avere il Reverendo Padre si rimette alle scritture ed ai Libri giornali redatti dal Reverendo Padre Don Domenico Belfatto della città di Andretta e che deve essere dato al Notaio Padovano scrivente perché siano conservati. Interrogato poi da me Notaio se volesse lasciare qualcosa o al Regio Albergo dei Poveri a Napoli o a quello dei Poveri che sta nel Borgo di Sant’Antonio Abate a Vallata, il Rev.do Padre rispose : “non mi piacciono e non voglio lasciare niente”, e “nomino come esecutore testamentario il Rev. Padre Don Ciriaco Cataldo di detta Terra di Vallata, al quale do ampia facoltà di eseguire le mie presenti volontà”.

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