Angela Cataldo - Vito Antonio Nufrio - La festa-fiera di San Vito a Vallata - INTERPRETAZIONE DELLA FESTA DI SAN VITO, FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE
Angela Cataldo  

Vito Antonio Nufrio

CAPITOLO III
INTERPRETAZIONE DELLA FESTA DI SAN VITO,
FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE

San Vito nel culto e nella festa di Vallata: iconografia, riti, canti religiosi. Corteo civico.

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        Molte feste popolari esprimono, essenzialmente, due esigenze diverse eppur complementari: richiesta di protezione al Santo venerato e festeggiato, occasione di socializzazione e riconferma della identità comunitaria.
        Si tratta di coordinate che spesso attraverso intere regioni riproducendo con variazioni minime delle costanti che sono spesso frutto di antiche tradizioni.
        E' il caso della festa d S. Vito, che ricorre il 15 giugno, celebrata in molti centri della Campania, nei quali spesso il Santo figura come patrono e come protettore del "ballo di San Vito" e della rabbia.
        Secondo la leggenda, avendo già fama di taumaturgo, il giovane Vita liberò il figlio di Diocleziano dal "possesso del demonio" 84 ; questo episodio ha generato, poi, l'espressione popolare "ballo di San Vito", per indicare casi eccezionali di disordine psichico collettivo, come quelli che si verificarono in molte regioni dell'Europa centrosettentrionale, allorquando in diverse località si registrarono numerosi episodi di follia collettiva, caratterizzate da una irrefrenabile e scomposta agitazione di un. gran numero di uomini e di donne. Il fenomeno fu allora affiancato ad epidemie virali vere e proprie come la lebbra e la peste. Le crisi coreutiche scoppiavano improvvisamente, senza un'apparente ragione immediata, e talvolta si protraevano, minacciose e inquietanti per l'ordine sociale, per diversi giorni 85. In Italia risulta essere stata colpita da questo singolare fenomeno, nel 1596, la città di Venosa (Lucania); si parla di numerosi individui che improvvisamente presero ad agitarsi, a ballare, a cantare, vaneggiando per strade e nelle case 86. Probabilmente, la causa delle crisi coribantiche è da attribuire all'assoluta precarietà del vivere tra i ceti più deboli delle città e delle campagne europee tra l'XI e il XVI secolo. In particolare, la chiesa tedesca cercò di inquadrare la folla coribantica di interi villaggi nella disciplina dell'esorcismo collettivo e di ricondurla in forma ritualizzata nell'alveo del patronato di San Vito 87.
        Ernesto De Martino afferma di essere stato testimone, a Drefelhausen, in Germania, della danza di alcune donne intorno alla cappella di San Vito, al fine di liberarsi da forme di agitazione fisica". Alla fine del Seicento le sindromi di tipo coreutico furono interpretate alla luce della scienza medica. Si trascurò allora la dimensione originaria simbolico-culturale. Nel 16 88 questa patologia fu descritta dal fisiologo Thomas Sydenham che cercò, appunto, di inquadrarla dal punto di vista della scienza medica. Oggi il "ballo di San Vito" o chorea Sydenham o anche corea minor è una malattia infettiva o reumatica, una encefalite non specifica caratterizzata da movimenti coreici involontari, irregolari, asimmetrici 89. In molti paesi, San Vito è implorato per la protezione contro la rabbia e l'arsura della canicola in estate: questa giustifica la presenza del cane nell'iconografia, vitina di molti luoghi del culto. Ancora Ernesto De Martino descrive efficacemente il quadro di quella che egli chiama "la concretezza esistenziale dell'estate" nelle terre del Sud, che egli riferisce ai secoli dell'alto Medioevo: "Era in questa stagione che veniva deciso il destino dell'anno, si colmavano i granai e le celle vinarie, si pagavano i debiti: gli animi entravano in un'epoca di drammatica sospensione..." 90, e, tra l'altro, si sfidava "l'insidia dei raggi solari acuti come frecce". 91
        La statua di San Vito, nella cappella a lui dedicata in Vallata, mostra la figura del Santo in ricche vesti rinascimentali (raffigurazione molto diffusa tra il XV e il XVIII secolo / calzari di tipo romano, veste verde impreziosita di stelle dorate, mantello rosso, corona, medaglione sul petto, crocifisso nella mano destra, palma nella mano sinistra/ con due cani accovacciati, tenuti al guinzaglio, dalla parte del piede sinistro del Santo.
        L'iconografia presenta la variante due cani - un solo cane.
        I due cani, come si presentano nella statua della cappella in Vallata, probabilmente simboleggiano la protezione del Santo sia dalla rabbia, sia dalla canicola 92. La canicola, già descritta da Virgilio nelle Georgiche (II, v. 353) e nell'Eneide, (X, v. 270 e sgg.) e da altri autori, come Ovidio, nei Fasti (24, v. 903 e sgg.) rappresentava un grave pericolo per le popolazioni mediterranee, in particolare per il mondo contadino. E questo pericolo era da esorcizzare con riti appropriati, con feste agrarie, che risolvessero, appunto, la grande paura %n augurio di prosperità economica e di felicità esistenziale" 93. Nel Sud dell'Italia, nei pressi delle cappelle di San Vito, fuori del centro urbano, sono di lontana tradizione festini agresti, come vedremo più avanti, forse sopravvivenza di più antiche cerimonie lustrali.
        In tutta la regione irpina, il Santo era invocato anche per la protezione delle pecore e degli animali da tiro che aiutavano l'uomo nel lavoro dei campi. Intorno alle cappelle dedicate al Santo si compivano dei "turni"rituali, giri processionali a cui partecipavano uomini e bestie, in numero dispari (tre, infatti, sono i "giri" a Vallata), da tre a nove secondo i casi e la tradizione 94. La corona, intanto, indica la regalità, il crocifisso la sofferenza e la redenzione, la palma il trionfo della santità e del sacrificio sul male.
        In tutto il Meridione e soprattutto nella Piana del Sele, i simboli più diffusi sono: la palma, la croce, il libro e il cane; nelle immagini del Nord vi è la caldaia (simbolo del Martirio del Santo), il gallo, l'aquila.
        Nelle immagini dell'entroterra salernitano vi è il gallo, la corona in mano o a terra, il libro e il cane.
        La corona in mano è attribuita ai Santi Martiri (nell'arte bizantina); la corona ad ornamento del capo, come appare sulla statua in Vallata, è segno di regalità, dignità, trascendenza, perfezione e sacralità; la corona riversa a terra, ai piedi del Santo, allude al disprezzo che egli nutriva verso ogni forma di ricchezza materiale e di privilegi mondani; la palma, il martirio e il trionfo della santità; il cane e la protezione per questo animale, preservando i fedeli dalla rabbia o dalla idrofilia; il libro e la croce, simboli della dottrina cristiana; la caldaia sopra il fuoco sta a ricordare il martirio (una leggenda vuole che il Santo sia morto in una caldaia piena di piombo); il gallo rappresenterebbe il risveglio e la riscossa, la salvaguardia anche dai serpenti.
        In una preziosa incisione del XV secolo San Vito è rappresentato giovinetto, con sullo sfondo la chiesa di San Vito a Praga ricoperto da una clamide fermata sul petto da una spilla preziosa, come in un affresco di Olevano. Nella mano destra ha un rametto che è simbolo del martirio nella sinistra un gallo che, probabilmente, simboleggia la vittoria sul martirio, il trionfo sul male, il risveglio alla vita eterna dello spirito.
        Il gallo compare anche in una cromolitografia del XIX secolo: San Vito indossa una corta tunica e si ritrovano il caldaione ed il gallo. Si può qui ricordare che il santuario in cui anticamente San Vito era venerato, denominato San Vito al Sele (un tempo Lucania, ora Campania), era detto "Alectorius (Gallinaceus) locus" cioè "luogo del gallo bianco".
        Si può pensare, pertanto, che il gallo simboleggi Cristo, la resurrezione (in quanto annuncia il nuovo giorno), la vigilanza, il risveglio alla vita spirituale, secondo una simbologia presente soprattutto nelle regioni germaniche 95.
        Nell'iconografia propria del culto del Santo in Vallata (statua, santini o altro) il gallo non compare; tuttavia, per lunga tradizione, i contadini (sebbene oggi siano ridotti a qualche centinaio) nel giorno della festa, di buon mattino, portano in dono al Santo dei galli appositamente allevati in campagna.
        A Vallata, come già ricordato, la festa prende l'avvio il 14 giugno con l'apertura, (oggi solo simbolica) della Fiera e il passaggio del corteo, a cui si accompagnano l'alzabandiera e l'inizio, ad opera del Sindaco e degli assessori, della suggestiva cerimonia della "sfilata delle panelle" (pane azimo preparato dalle donne del paese e portato in ceste da fanciulli e fanciulle (in tempi lontani solo da fanciulle) fino alla cappella del Santo.
        Intorno ad essa vengono compiuti "tre giri" per ottenere, secondo la tradizione, oggi meno avvertita, la protezione del Santo dalla rabbia, da devoti a piedi o con le auto e spesso in compagnia di animali domestici.
        Prima degli anni sessanta ancora i contadini facevano i loro giri su carri trainati da buoi o su asini, muli, cavalli.
        Attualmente ai tre giri pochi danno il significato che veniva attribuito in tempi lontani, preferendo percepirli come un omaggio al Santo, come espressione di una richiesta di illuminazione nel difficile cammino della vita.
        I Santi sono uomini come noi, ma offrono l'esempio di una vita eccezionale ed esemplare; ed oggi si è disposti a credere meno nei miracoli e nella protezione, e a guardare al Santo come modello ideale di vita virtuosa.
        In questo senso, appare significativo il rilievo di Don Paolo Liggeri: "Ogni Santo è una lampada ardente, che conforta il cuore alla speranza; una lampada luminosa, che rischiara il cammino della salvezza a chiunque ne ha sincero desiderio, la cerca, la invoca" 96.
        Ai tre giri, certamente oggi i fedeli preferiscono la parola del celebrante, il rito religioso teso alla promozione di una coscienza autenticamente cristiana e di una vita rivolta al bene comune, all'amore del prossimo, all'aiuto ai bisognosi.
        E' possibile, tuttavia, attribuire a questi tre giri un valore allusivo: il cerchio è il simbolo della totalità e della perfezione, del prodigioso che si perpetua ciclicamente ed anche del ruotare dell'esistenza, in. cui il fedele, assistito da San Vito, se ne assicura la protezione con un'azione compiuta insieme agli altri devoti, come lui dolenti e confortati dalla speranza di una vita serena e felice.
        Un tempo anche a Calitri, altro Comune dell'Irpinia non lontano da Vallata il giorno di San Vito, ritenuto protettore degli animali da tiro e da lavoro, era tradizione compiere intorno alla cappella giri con pecore, mucche, ecc...
        I giri erano di numeri dispari (cinque o sette) e, nel compierli si recitava il Rosario, ripetendo, ad ogni posta:"San Vito, liberaci tutti / da serpi velenose, da cani rabbiosi, dall'ira del Signore e dalle male lingue" 97.
        Tra i miracoli che la tradizione vallatese attribuisce a San Vito, due in particolare vanno ricordati, in quanto legati ai tre giri.
        Il primo, come recitano sole le persone più anziane intervistate, narra di una mucca "arrabbiata", miracolata e donata poi, al Santo: "Un altro miracolo fece San Vito / C'era un massaro di vacche e giumente /, con poche pecorelle si campava; / la masseria ebbe un toccamento, / gli arrabbiarono tutt gli allevamenti/. Subito ricorsero a San Vito: /la meglio vacca ti voglio donare / /Quando fu tempo di la fiera ire/ la vacca alla fiera (di Gesualdo) k portava... / la vacca da la fiera si voltava/ / . A dritto a dritte camminava / senza cibarsi di un filamento / tre volte la chiesa di San Vito attorniava /innanzi San Vito s'inginocchiava/ / ...E quando ne teneva argento e oro /a San Vito lo volle donare/ Quello mercante che la comprava /a Sar Vito la donava / 98
        Tre giri, quindi, e miracolo di San Vito protettore contro la rabbia.
        Alla stessa protezione fa riferimento questo altro racconto popolare su miracoli di San Vito a Vallata: "Voi cacciatori che a caccia andate, / andate caccia felici e contenti, / appresso con i cani praticate, / potete avere qualche toccamento / Non solo ai cani arrabbiati,/ siamo soggetti a tutti gli ele. menti;/ scorpione e serpi avvelenate stanno nascosti, e voi non li vedete/ Voi andate di fede a San Vito, /quello porta l'unguento per la ferita"
        L'antica tradizione delle fanciulle (che portano le panello) può essere le. gata alla credenza nel miracolo così narrato:"Un altro miracolo Fece Sar Vito/ Per la campagna comparirono i bruchi/ ne comparirono in quantità in. finita / U avevano distrutta tutta quanta / / Subito ricorsero a San Vito / cor processione e messa cantata/ con pianto all'occhio e col battersi il petto / 6 verginelle scarmigliate / vanno a cercare grazia a San Vito / Santo Vito mio, fa. teci grazia, / dateci la buona sorte / se no dateci morte! San Vito comandi con la bacchetta /e a la stess'ora si trovarono morti (i bruchi naturalmente). 99
        Qui il miracolo, "comandato" con la bacchetta sa di magia, ed esprimi il sentimento di fede religiosa semplice ed ingenuo proprio della gente comune.
        E i miracoli ricordati si riferiscono al mondo, alla vita, e all'attività de contadini, i quali per secoli hanno, con grande devozione, compiuto i rituali giri intorno alla cappella di San Vito, portando in dono, per avere protezione i loro prodotti migliori, soprattutto galli e formaggi.
        Intanto, in processione, le donne, soprattutto le più anziane, accompa. gnate, a bassa voce, anche dagli uomini, intonano una canzoncina per San Vito Martire, nella quale non si fa riferimento ai poteri taurmaturgici particolari del Santo ma se ne invoca la guida illuminante e l'intercessione presso Dio perché su tutti rivolga la sua pietà:"Tu che sei di questa terra/o gran Vito il protettore / fa che segua in tutte l'ore / la tua grande fedeltà / / Nei perigli della vita / drizzi a noi la tua pupilla / ed un raggio che scinfilla / dalla tua benignità / / Tu nel mar di questo mondo / fa che sei l'amica stella / il furor di ogni procella, / per te sol ti fugherà/ /La tua fede e la costanza / tu soffristi tormenti e pene / dei fedeli tuoi fratelli / ti ricordi in ogni età" / /.
        Si tratta, in effetti, di quattro strofe, intercalate con due versi: "E per tutti i tuoi martiri,/ prega Dio per noi, pietà".
        La canzoncina, che probabilmente risale agli inizi del secolo scorso, è spesso riportata sui santini che vengono distribuiti nel giorno della festa 100.
        In un'antica canzone popolare, di cui però non si ha l'esatta data di composizione, è narrata la breve vita di San Vito conclusasi con il martirio ai tempi, forse, di Diocleziano.
        Come compagni di pene e tormenti sono nominati anche Modesto e Crescenza; San Vito è rappresentato mentre sopporta l'assalto di animali feroci, la caldaia bollente, il fuoco."San Vito dice ai compagni suoi/ che l'ora di morire è avvicinata / Prendiamo in pazienza questo dolore / sino a che diamo lo spirito a Dio".
        La canzone, composta di una cinquantina di strofe di quattro o sei versi si apre con l'invocazione alla Madonna, al Padre Eterno, allo Spirito Santo, a Cristo e si chiude con la descrizione della sepoltura del santo da parte di una donna di nome Fiorenza e del marito di nome Liberato.
        Questa antica canzone, riportata in un opuscolo del 1940, a cura della Commissione per la festa di san Vito presieduta dal Cav."Gino Laurelli, e riprodotta in un opuscolo del 1966, sempre a cura della Commissione per la festa di San Vito, presieduta, questa volta, dall'Arciprete Don Gerardo De Paola, offre elementi propri della leggenda che avvolge la vita di San Vito ma non contiene alcun riferimento al culto, ai riti, alle tradizioni proprie, della festa che si svolge in suo onore in Vallata.
        E' questo certamente il motivo per il quale, tranne l'interesse di qualche studioso di storia locale, la canzone ha perso ormai la sua popolarità. Solo le donne più anziane, intervistate, ne ricordano qualche brano, come quello, ad esempio, riferito al padre del Santo, disperato perché questi non vuole sposarsi, per seguire la vocazione religiosa, e non si fa vincere dalle tentazioni: "Allontanatevi da me, false donne / Voi premio non mi fate con codeste carni / le donne dal padre fan ritorno: / non abbiam potuto a Vito recar danno..." 101
        Come il canto di Aquilonia sulla vita leggendaria di san Vito, neanche questa antica canzone, presente nella tradizione di Vallata, può essere definita, come direbbe V.Ja Propp, un "racconto folclorico di magia" 102, nella parte iniziale piegato alle esigenze del culto cristiano, attraverso le rilevate invocazioni alla Madonna, a Dio, allo Spirito Santo aleggianti, dall'inizio alla fine sulla vita del Santo.
        Tornando alla tradizione dei "tre giri" e mettendone in risalto la partecipazione con l'offerta delle "panelle" portate in ceste da verginelle, si può fare un riferimento alla cosiddetta "turniata", ancor viva oggi nei Comuni di San Gregorio Magno, Ricigliano e Romagnano, un tempo presente anche a Polla e a Contursi.
        La "turniata" ha antiche origini.
        Nell'antica Roma forse già i pastori praticavano il rito della "lustratio" (purificazione e azione del girare intorno), girando intorno ad una stele di pietra (simbolo fallico), per risvegliare le potenti e misteriose energie della fecondità 103
        Con il sangue dell'animale immolato si aspargeva la stele, gli animali, gli uomini, al fine di impetrarne la fecondità, la crescita e la salute.
        Si compivano "tre giri", perchè si attribuiva al numero tre il valore della assoluta perfezione, della totalità e del compimento.
        Ogni buona e fruttuosa unione infatti tra il principio maschile e femminile presuppone sempre la nascita di un "terzo", che assicura continuità e perpetua stabilità all'essere vivente.
        Anche il cerchio e quindi il girare intorno a qualche cosa, facendo riferimento all'uovo cosmico primordiale, è ugualmente un simbolo delle potenti energie vitali.
        Il movimento circolare, inoltre, non avendo né principio né fine, era il simbolo dell'immutabile perfezione. Non a caso i Greci attraverso l'immagine circolare dell`uroboros" ossia del serpente che si morde la coda, esprimevano il concetto del tempo ciclico ed infinito e anche quello dell'unione feconda del mondo, raffigurato dal serpente, col mondo uranico, rappresentato appunto dal cerchio, che sotto forma di ruota è il simbolo dell'astro celeste, datore di vita per eccellenza: il sole.
        Compiere pertanto un triplice giro intorno ad un altare, ad un tempio o ad una città era un gesto altamente augurale, che assicurava abbondanza, crescita e rigogliosa prosperità 104.
        A Roma, il "lustrum" era anche quel sacrificio espiatorio che i consoli celebravano ogni cinque anni nell'uscir di carica, accompagnato da un rito di purificazione (lustrano) sul popolo, radunato in assetto di guerra nel campo Marzio.
        Nei tre giri compiuti con particolare devozione dai contadini, si rispecchiano sia la fiducia che questi ultimi riponevano in situazioni disperate, nel santo patrono,sia, soprattutto nel Meridione, gli elementi magico-superstiziosi conservati o semplicemente tollerati dal cattolicesimo.
        Si pensi, ad esempio, a S. Antonio Abate e Mercurio come protettori del fuoco, a S. Barbara e Giove, protettori dei fulmini, a S. Anna ed Hera-Giunone, protettrici delle partorienti e della fecondità, S. Domenico di Cocullo e la Dea Marsia, protettori dei serpenti e dei cani arrabbiati: vi sono persistenti connotazioni magiche accompagnate da riti cerimoniali.
        Nel culto di San Vito a Vallata, convengono sia elementi pagani che elementi magico-supersistiosi come i propiziatori (e purificatori) "tre giri" intorno alla cappella del Santo e la credenza che attribuisce alle "panelle" benedette un potere magico ed esorcizzante nei confronti dei cani rabbiosi.
        La tradizionale usanza della benedizione delle "panelle" ha origine da un'antica leggenda che narra di una donna avara, la quale avendo rifiutato il pane ai poveri, provocò l'ira di nostro Signore che volle così punire la cattiveria umana distruggendo il grano.
        San Vito allora pregò il Signore di risparmiare almeno i chicchi per ricavarne il pane per i cani, riducendoli così alla sola cima dello stelo.
        In effetti, la sera del 14 giugno, i valla tesi ancora oggi, pur avendo ormai, con le nuove generazioni, quasi perduto il ricordo di questa legenda orale, rendono omaggio a San Vito per la sua intercessione recando, appunto, in processione le "panelIe" (palline di pasta azima cotta in forno a legna).
        La processione o corteo, comprende oggi sia fanciulli che fanciulle (anticamente le "verginelle" si presentavano, forse, pure al Santo per impetrarne la protezione sulla propria futura fecondità e prosperità) che portano artistici cesti e vassoi ricolmi di panelle da benedire e distribuire, il giorno dopo ai fedeli, che possono darle ai cani o mangiarne per allontanare la rabbia.
        Il corteo parte dal Municipio, con le autorità cittadine e la bandiera tricolore.
        Nel piazzale di San Vito ha luogo "l'alza bandiera" accompagnata dal suono della tromba. Il giorno della festa è allestito un tavolo, all'interno della cappella, per ricevere i doni offerti in onore del Santo.
        Fondamentalmente, un tempo, questi doni consistevano nella cosiddetta "pigliata", quantitativo di formaggio di pecora o mucca prodotto nella mattinata, oppure in un gallo allevato appositamente per il Santo: "lu add' re santu Uite" (cioè, "il gallo per San Vito").
        Deposti i doni nella cappella, almeno fino agli anni Sessanta i fedeli, insieme alle bestie e ai carri/ oggi sostituiti da automobili o macchine agricole, o a piedi, da soli o in gruppo, compivano "tre giri" tradizionali intorno alla cappella.
        Il rito certamente affonda le sue radici in tempi lontani quando i pastori, che non erano pochi, dati gli abbondanti allevamenti nel territorio di Vallata, coni "tre giri" intendevano propiziare i verdi pascoli ed allontanare la rabbia dalle bestie e dagli uomini.
        Già si è detto del numero "tre" come simbolo di perfezione, come segno di forza magica della natura, di fecondità e prosperità della vita.
        Anticamente le fanciulle, come ricordano alcune donne anziane intervistate, mentre compivano i "tre giri"chiedevano al Santo di far incontrare loro un buon marito e di qui il detto."Santu Vite mmannammelle stu bell mariti, bell'gione cum'a te" ("San Vito, mandamelo questo bel marito, bel giovane come te").
        Le giovani donne che imploravano il Santo per un "buon partito", un bel compagno per tutta la vita, non sempre coronavano il sogno d'amore vestite di bianco davanti all'altare: per vari motivi spesso si facevano "rapire" e in quel caso, appunto, non indossavano più, alla cerimonia nuziale di "riparazione", il vestito bianco, simbolo di purezza e verginità 105.
        Erano sempre donne giovani, come quelle portatrici delle "panelle" ad essere incaricate, quali future candidate a nozze, a trasportare nel nuovo alloggio, il corredo della sposa, esposto a tutti i compaesani per almeno otto giorni.
        E' curioso notare che anche nel rituale del matrimonio, fino a tutta la metà del secolo scorso, al numero dispari, come quello dei "giri" a San Vito si dava maggiore valore.
        Si racconta che era tradizione che i ragazzi, qualunque ora, non davano pace alla nuova coppia, che si appartava per un'intera settimana, poiché continuamente bussavano alla loro porta non per porgere gli auguri ma solo per ricevere confetti e, talvolta monetine. E dal numero dei confetti si pronosticava il sesso del primogenito: dispari-maschio; pari-femmina. 106 Si sa che nel passato, neppure troppo lontano, nei piccoli paesi interni del Meridione, la vita dei giovani, pur essendo piena di responsabilità e di sacrifici, soprattutto nelle contrade rurali, era con una certa severità, regolata e controllata dai genitori.
        Alle ragazze, soprattutto, si richiedevano atteggiamenti e comportamenti ispirati ad ubbidienza, serietà e compostezza, perché evitassero pettegolezzi della gente e critiche denigratorie.
        Esse, forse anche per uscire dal chiuso di casa propria, imparavano un mestiere, frequentando le case-scuola di sarte, ricamatrici, magliaie, tessitrici. La domenica potevano godendo di una certa libertà, come in giorni festivi particolari, andare in chiesa e incontrarsi con. amici e fidanzati. Le novene, come quella, in particolare, di San Vito, fuori le mura, risultavano sempre affollate di giovani donne. E perciò si diceva: "Lu spass ri ri donna Santu Viti e la Maronna" ("Il divertimento delle donne, San Vito e la Madonna"). Si è precedentemente accennato al dono del gallo al Santo, in forma rituale e, comunque, secondo una antica tradizione. Per i contadini, il dono del gallo ha avuto, nel tempo, un particolare valore simbolico, assorbito attraverso la tradizione religiosa comune ad altre zone del Meridione (si pensi al citato S. Vito del Sele). In Vallata, alla vigilia o nel giorno di festa, il "gallo" ha rappresentato anche il dono preferito, da parte dei contadini, al proprietario terriero di cui erano fittavoli, al medico di famiglia, ad un familiare o persona amica. Ma la consuetudine, ormai poco praticato l'allevamento dei polli, sta per spegnersi quasi completamente.
        Fino agli anni '78, il gallo come premio era anche protagonista di una gara podistica campestre di circa 3000 metri, dalla frazione di Sferracavallo fino alla cappella di San Vito. Significativa, l'esperienza di una "sagra del gallo", nella festa di San Vito risalente al 1974, a cura del Presidente dell'Associazione Pro Loco, Prof. Vito Antonio Nufrio.
        Sempre in relazione a questo dono tradizionale del gallo al Santo, si può ancora far riferimento a particolari credenze popolari vive un tempo in Vallata e in tutta la Baronia.
        Naturalmente i contadini e l'uomo della strada, nei tempi andati, erano le figure più rappresentative delle credenze locali.
        Il "gallo" in verità è stato sempre percepito come la sveglia mattutina del mondo agricolo. Ancora oggi, nelle contrade rurali, è una voce che sorge con l'alba, prima di tante altre, e, subito dopo il primo sonno ristoratore.
        Quindi, per i nostri contadini del passato, non orologi meccanici, ma percezioni di segnali naturali sulla misura del tempo che scorreva e si ridestava.
        Il "gallo" cantando con straordinaria precisione, più volte al giorno, e quasi sempre alla stessa ora, quando la temperatura non subiva variazioni atmosferiche, forniva al nucleo di appartenenza un richiamo costante dell'avanzare del giorno.
        E così la famiglia, attribuendo ad ogni canto un'ora solare stabiliva la suddivisione del tempo giornaliero. L'aurora, il mezzogiorno, il vespro, avevano tutti la loro ora e il loro canto.
        Ma capitava talvolta che il gallo emetteva suoni anche in tempi diversi. Ed era proprio allora che i contadini prestavano attenzione a questi segnali; con le dita della mano contavano chicchirichì: pari — bel tempo/dispari—
il tempo si guasta! E spesso dicevano, forse per insegnarlo e tramandarlo, il seguente detto: "Quando il gallo canta contr'ora o piove o esce il sole" 107.


Vallata - Via Fontana, monumento ai caduti, porta Rivellini, Chiesa Madre

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84) D. IANNECI Il libro di San Vito, Storia, leggenda e culto di un Santo medioevale, Ed. Ofanto, Salerno. 2000.
85) H. SCHIPPERGES, Il giardino della salute e della malattia nel Medioevo, Garzanti, Milano, 1988, pagg. 57-89.
86) V.BRUNO, Dialogo delle tarantole di due filosofi dimandati, Pico e Opoco, in "Tre dialoghi", Napoli 1602, pagg. 1-37.
87) H. SCHIPPERGES, op. cit.,pag. 194
88) E. DE MARTINO, La terra del rimorso, Il saggiatore, Milano 1996, pag. 239.
89) Cfr. Dizionario Enciclopedico (g. da Rocco Fedel), UTET, Torino 1958, vol. III, pag. 1093.
90) E. DE MARTINO , La terra del rimorso, Il saggiatore, Milano 1996, pag. 158 e sgg.
91) E. DE MARTINO, op.cit.,pag. 158 e sgg.
92) D. IVONE, Attività economiche, vita civile e riti religiosi sui percorsi della transumanza in età moderna, Giappichelli, Torini, 1997, pag. 13 e sgg.
93) DARIO IANNECI, Il libro di San Vito, leggenda e culto di un Santo medioevale, Ed. Ofanto, Salerno, 2000, pag. 184.
94) Cfr. CIOFFARI, TRIPPUTI, Scippa, Agiografia in Puglia. I Santi tra critica storica e devozione popolare, Malagrino, ed. 1991, pag. 2 75.
95) DARIO IANNECI, OP. CIT PAGG. 254-260.
96) DON PAOLO LIGGERI, Il significato della santità, in Storia della chiesa. I Santi, Rizzoli, Milano, 1964. vol. IVpag. 4.
97) CFR. Calitri tradizioni, Calendario religioso, a cura del Comitatofesta di San Vito, Calitri, 2005.
98) Comitato Festa di San Vito (a cura di), Antica canzone popolare. Miracoli in Vallata, tip. Irpina, Lioni, 1966, pagg. 11-14.
99) Comitato Festa di San Vito (a cura di), Antica canzone popolare. Miracoli in Vallata, tip. Irpina, Doni, 1966, pagg. 11-14.
100) CFR. anche TAL PAVESE, Canti religiosi in Vallata, in op.cit., pag. 218.
101) Comitato Festa di San Vito, op. cit., pagg. 1-14.
102) CFR. V.JA. PROPP, Edipo alla luce del folclore. Quattro studi di etnografia storico-struttuale, Einaudi, Torino, 1975.
103) G. BARRA, Opere, chiese e cappelle dedicate a San Vito nel salernitano, Il Saggio, Eboli, 1922 pag. 130.
104) Cfr.G.BARRA, op. cit., pag. 131.
105) STEFANO MELINA, Usanze della Baronia, in Vicum, Tip. Irpina, Lioni, Anno V, n. 3-4, pag. 98.
106) G. IACOVIELLO, Baronia, Linguaggio, Usi, costumi. Poligrafica Irpina, Lioni, 1991, Pagg. 80-82.
107) STEFANO MELINA, Gli animali nelle credenze popolari della Baronia,. in Vicum, Anno X, n. 1-2, Tip. Irpina, Lioni, Marzo-Giugno 1992, pagg. 95-96.

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