Il Fiero Popolo di Vallata - Lu furnor

"Lu Furnor"

La stragrande maggioranza delle madri del Paese, fino agli anni Sessanta, preparavano il pane in casa e lo mandavano, poi, a cuocere nei Forni del Paese. Quello del Fornaio o della Fornaia era un mestiere faticosissimo, ma retribuito miseramente, con pochi spiccioli, o con una modesta porzione di ‘‘impasto di farina’’, lo stesso del pane da cuocere. Le donne che intendevano "fare il pane" si recavano, la sera precedente, dal Fornaio, per chiedere se vi era posto, nel primo, secondo, o terzo forno. Ottenuta la conferma e la prenotazione, ritornavano a casa e si disponevano a compiere le operazioni preliminari, come il reperimento, presso le vicine, del "crescente" (pasta già lievitata) e la cernita della farina, che veniva "setacciata", in una specie di crivello, a rete sottilissima. Il Fornaio, durante la notte o di primo mattino, a seconda del turno, si recava a bussare alle porte delle case, per annunciare che era ora di "impastare". Le donne si alzavano e cominciavano a lavorare la farina con acqua, sale e crescente, rimescolandola e schiacciandola, continuamente, per circa un’ ora. Poi, la lasciavano fermentare l'impasto, avvolto in un lenzuolo ed una coperta, fino a quando veniva, nuovamente, il Fornaio, per dire di "sc’anare", ossia preparare le panelle da infornare. Le donne, quindi, suddividevano l’impasto in vari pezzi ed approntavano le panelle e le pizze, contrassegnandole con un sego, identificativo; le disponevano, quindi, su di una larga tavola, detta "tumpagn' r' furn’ ". Il Fornaio, poco dopo, ritornava, per prendere, "spalla", la tavola con i pani da infornare e cuocere. Dopo circa tre ore. lo stesso Fornaio riportava la tavola col pane cotto e fragrante e prendeva il suo compenso. Molte volte, accadeva che le stesse donne portavano, "sulla testa", la tavola dei pani, in entrata ed in uscita dal forno.

Lucio Crincoli

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