Il Fiero Popolo di Vallata - La propietà fondaria tra ottocento e novecento

La Propietà Fondaria 
tra Ottocento e Novecento.

Un Censimento catastale del Principato Ultra, nel 1880, (come si legge in "ASA - Catasto Napoletano - a cura di G Montroni - Napoli, 1983). assegnava a Vallata una popolazione di 3.771 abitanti ed una superficie agraria e forestale di 5.136 ettari. Il Paese contava 969 case abitative, nel centro urbano, 16 masserie di campagna, 9 mulini, 7 forni, 4 taverne, 3 fornaci e 1 frantoio oleario. Ma, chi erano i detentori ed i protagonisti dell’economia agricola e di quella "di supporta", nel nostro Paese? La grande proprietà terriera era dominata, in questo periodo, da due noti personaggi, Don Biagio Gallicchio e Don Gaetano Pelosi, che detenevano una parte cospicua dei terreni più fertili. Entrambi avevano continuato a comprare "campi" ed esercitavano, altresì, un diffuso "Mercato Creditizio", fatto di prestiti personali di denaro e di anticipazioni di prodotti cerealicoli, come risulta dagli Atti notarili. I medesimi Gallicchio e Pelosi concedevano, in affitto, sotto varie forme di "enfiteusi" e di "censo", i loro fondi, dai quali ricavavano ingenti quantità di prodotti agricoli, che vendevano, poi, ai vari mercanti delle Province pugliesi. Allo stesso modo, si comportavano gli altri proprietari terrieri. Da sottolineare che tutti questi grandi latifondisti coltivavano e gestivano, in proprio, quei loro terreni maggiormente produttivi, utilizzando, nei lavori, la massa dei braccianti affamati (uomini, donne, ragazzi), che si impegnavano, dall’alba al tramonto, in cambio di misere razioni di cibo ed, a volte, di pochi spiccioli, o una "misura" di farina. I Nobili ed i Proprietari terrieri, pertanto, godevano di una esistenza agiata. Facevano studiare i propri figli e li mandavano all' Università di Napoli, per far loro conseguire una Laurea in Giurisprudenza: la laurea "dei furbi", perché chi conosceva la Legge poteva raggirarla. Avevano questi ricchi case grandi e prestigiose, disponevano di servitori e di un dipendente di fiducia, chiamato Fattore, che si faceva carico di sorvegliare il lavoro dei braccianti e di organizzare il "magazzino dell’ammasso", dove confluivano i prodotti ricavati dai canoni e dai censi, riferiti alla mezzadria, alle locazioni. All’ammasso, si recavano, nel corso dell’anno, tanta povera gente, per chiedere in prestito un "mezzetto" di grano, o una "misura" di farina. (il mezzetto era un recipiente, a forma di tronco di cono, della capacità di circa 25 chilogrammi, mentre la misura era un modesto contenitore di circa 5 Kg). L’istituto del "prestito, o anticipazione" prevedeva che "quanto prestato" venisse misurato "a barra", cioè, rasente il bordo, mentre la restituzione, che avveniva, di solito, dopo uno o due mesi, fosse misurata "a colmo", ovvero, alla massima capacità possibile di ricezione dello stesso misuratore. E’ evidente come, in questa modalità di "dare e ricevere" si configurasse una sorta di ricatto e di usura che, comunque era consentita, perché la restituzione veniva ritenuta comprensiva di un giusto interesse. Va anche ricordato che alcuni stimati Nobili, in particolari situazioni, non prendevano nessun interesse ed accettavano di ricevere la sola quantità effettivamente prestata.

Carmen Cicchetti e Chiara Rauseo

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