Emilio Paglia - LAMPAMI E TRE - Lu f’ston’

Lu f’ston’
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        Aveva ragione don Arturo, responsabile come parroco a Vallata, delle direttive della curia in merito ai festeggiamenti in onore dei Santi, nell'assumere un atteggiamento severo verso i mastri di festa che gli prospettavano programmi di varietà serali con complessi di concertini e balletti spinti.
        Il contratto però, in occasione del "Festone" in onore di San Rocco era stato firmato dal mastro di festa responsabile e stabiliva una forte penale pecuniaria per chi stornava da esso.
        Aveva fatto i conti senza l'oste, cioè senza il consenso del parroco che non si trovò assolutamente d'accordo per il genere di programma che avrebbe dovuto divertire il pubblico, così nacque lo scontro aperto fra gli organizzatori della festa, sostenuti dal consenso specialmente giovanile e le direttive della curia di cui il parroco, responsabilmente, non poteva non tener conto.
        La cosa non convinceva del tutto neanche il pur santo prete don Francesco, il quale, accosto alla vetrina del bar Stridacchio, nella stessa attuale sede a Piano della fontana, fumava nervosamente la sua ennesima sigaretta: ascoltava i commenti che vieppiù si facevano accesi nei gruppetti riuniti attorno ai tavoli da gioco, ma reprimeva ogni suo intervento nella discussione, sebbene fosse chiamato in causa con allusioni indirette.
        Al culmine però del suo ostentato silenzio, visibilmente sconvolto d'ira, s'accostò al tavolo dove c'erano alcuni esponenti del comitato festivo e più con gesti attrasse a sé l'attenzione, poi quasi gridò:
        "Nu lu rat' arinz' a quiru matt'! M'iat' a chiama signuren' e femm'n' a la neur' ca m' vogl' ench' l'ucch' pur'ei!"
        (Non ascoltate quel matto! Mandate a chiamare signorine e donne nude perché mi voglio riempire gli occhi pure io!)

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