- Profili architettonici nella storia dei manufatti edilizi a Vallata. - Tesi di laurea di Moriello Antonella

Cenni storici su Vallata.

    I primi colonizzatori irpini, giungendo nella nostra zona, avrebbero occupato la parte bassa della collina, naturalmente difesa alle spalle dalla collina stessa, davanti dal profondo burrone del Bruciolillo, e lateralmente dai costoni di Strabella e Montalbi. Ad essi non sarà certamente sfuggita la posizione del luogo, ben difeso dalla natura stessa, ricco d’acqua e adatto alla coltivazione. Purtroppo, però, la storia di queste prime colonie irpine è avvolta nel silenzio.
    La prima menzione di Vallata, nonché la conferma della sua importanza geografica, si rinviene nell'opera, composta tra il 1139 ed il 1154, del geografo arabo Edrisi. Questi, nel Libro del re Ruggero, ricorda il grande asse stradale che collega il versante adriatico a quello tirrenico che, dopo aver risalito le valli dell'Ofanto e del Calaggio, toccava bab.rah (Vallata) per immettersi nella valle dell’Ufita per Benevento ed Avellino1. Con molta probabilità, in questo periodo il paese si era già trasferito sulla cima della collina, con oppidum e protetto da mura di cinta e da due profondi fossati, oggi riconoscibili nelle vie XX Settembre, via Ponente e Chianchione. L’ubicazione del castello è ricordata dal piazzale detto Largo Castello e dal Vico Sotto Corte, dove, verso il 1650 furono edificate varie case. Sulle rovine del castello furono edificate le case dei Cataldo (oggi Laurelli e Tullio eredi dei Cataldo) dove restano ancora oggi, nel giardino, i resti di una delle torri. Le porte storicamente accertate in Vallata sono tre: porta Rivellino (tuttora esistente), porta del Tiglio (inspiegabilmente demolita negli anni novanta), e porta del Piano (sostituita nel corso degli anni dalla cappella della Madonna dell’Annunziata). Con l’incremento della popolazione, data la nuova importanza strategica assunta dal paese, si sarebbero costruiti, fuori le mura, alcuni nuovi casali2.
    Vallata è ricordata, inoltre, nella Cronaca di Riccardo da S. Germano per aver subito l’assalto e il sacco di Marcovaldo di Anweiler, siniscalco di Enrico VI, nella primavera del 1199, perché i Vallatesi avevano opposto resistenza. Un momento particolarmente significativo il paese lo visse nel 1486 quando il feudo, insieme a tutta la Baronia, fu recato in dote da Isabella Del Balzo-Orsini a Federico d’Aragona, ultimo sovrano aragonese di Napoli, nonostante i Vallatesi parteggiassero per gli Angioini. Questo li spinse a ribellarsi agli Aragonesi ed a schierarsi dalla parte di Carlo VIII quando scese in Italia nel 1494 e conquistò il Regno di Napoli.
    La fedeltà ai Francesi Vallata e, soprattutto, i Vallatesi la pagarono a caro prezzo: centro importante, di grande ricchezza armentizia, con un’agricoltura abbastanza sviluppata e, soprattutto, di una notevole vivacità economica dovuta al suo meraviglioso nodo stradale, oppose una fiera resistenza a Francesco Gonzaga, marchese di Mantova e capo dell’esercito inviato da Venezia e dalla Lega per cacciare i Francesi dal Regno di Napoli e ristabilire gli Aragonesi per cui il 6 Maggio 1496 fu assediato e saccheggiato ferocemente. Il bottino fu tale che permise al Marchese di scrivere nelle sue Croniche “Et messola a sacho, fu guadagnato un numero infinito di bestie, arzenti et altre robe di grande valore?formento et vino in grande quantità”. Il massacro crudele fu tale che comportò la resa dei paesi vicini: “Vallatensium calamitate permoti, populi omnes, ad aragoniam fidem redierunt” ed a Vallata il rione dove era avvenuto il maggior massacro ebbe, e ha tuttora, il nome di Chianchione (la grande chianchia: il grande macello). In seguito a questo massacro e con il diffondersi di epidemie, il paese si insediò sulla collina di Santa Maria, luogo fino ad allora utilizzato per seppellire i morti.
    Nel 1861 vi fu mandato, con una guarnigione di soldati per controllare il brigantaggio delle zone, Gaetano Negri che fu poi senatore ed autore di pregevoli opere tra cui la “Geologia d’Italia” composta con lo Stoppani ed il Mercalli. Negri, durante la sua permanenza a Vallata, scrivendo al padre, definisce Vallata “un paese di montagna, posta sui gioghi dell’Appennino Meridionale e il suo nome non deve far credere che sia sul fondo di una valle; è solo situato meno alto delle cime che lo circondano, ma ciò malgrado trovasi ad una grande altezza sul livello del mare (870 m)? lo spettacolo che si gode da queste alture è stupendo? si scorge un immenso panorama che comprende la provincia di Avellino, la Basilicata, la Puglia e finalmente l’Adriatico”3.
    Ai vari saccheggi e distruzioni nel corso dei secoli si sono associati, contribuendo a fare vittime e procurare danni ingenti, i tanti terremoti che hanno colpito Vallata e l’intera Irpinia; tra gli altri quelli del 1456, del 1688, del 1694, del 1702, del 1732, del 1853, del 1930, del 1962 per finire con quello del 1980 il cui ricordo doloroso è vivo ancora nella memoria di tutti.
    Questi i motivi principali per cui tante testimonianze del patrimonio edilizio storico vallatese non ci sono più, ma anche per una tendenza che negli ultimi anni ha preferito le ricostruzioni in cemento armato, nei posti più disparati, piuttosto che una attenta ristrutturazione e conservazione di piccole tracce di storia, tendenza purtroppo comune a tanti piccoli centri dell’Irpinia.

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1 Cfr.De Paola G., Vallata, rassegna storica, civile e religiosa, Vallata 1982, I edizione
2 Cfr.Saponara A., “Chianchione, l’asperissima battaglia de Vallata”, in Economia Irpinia, 1963
3 De Paola G., op. cit., pp.128-144

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