- Profili architettonici nella storia dei manufatti edilizi a Vallata. - Tesi di laurea di Moriello Antonella

Il palazzo gentilizio: Palazzo Netta

    Il palazzo, abbandonato dopo il terremoto del 1980, è stato la residenza di un’importante famiglia gentilizia, i Netta11, il cui capostipite, certo Tommaso, vi si trasferì da Gravina di Puglia durante la prima metà del 1600 al seguito degli Orsini, duchi di Venosa, principi d’Altamura e di Taranto che possedettero Vallata fino a Filippo Bernualdo Orsini II al quale fu fatta l’ultima intestazione di principe della Terra di Vallata (1789).
    Così come si presenta oggi è il risultato di successivi ampliamenti, legati alla fortuna economica e politica della famiglia12, la datazione dei quali, purtroppo, si può solo ipotizzare non esistendo documentazioni storiche.
    L’edificio sorge lungo un pendio e si sviluppa su quattro livelli, tre dei quali parzialmente interrati ed accessibili anche esternamente tramite tre ingressi distinti. Il primo di questi è adibito a cantina ed è caratterizzato per essere in parte realizzato in grotte, scavate nel terreno, sorrette da un sistema di archi, pilastri e paratie in pietra.
    Una rampa di scale collega internamente questo livello a quello superiore adibito a granaio e dispensa. In realtà questo livello si articola su due quote diverse; la porzione di piano sopra le grotte è rialzato di 113 cm. Frutto di un successivo ampliamento sono la realizzazione di una galleria (scavata nel terreno) e di una rampa di scale che portano al terzo livello e precisamente nell’androne del palazzo. Da quest’ambiente, il cui accesso principale è il portale d’ingresso, si accede (entrando dal portale) a sinistra alle stalle, parzialmente interrate, a destra alla zona giorno comprendente l’ingresso, la cucina, la sala da pranzo, un piccolo studio, accessibile anche dall’androne, ed ad una serie di stanze all’interno di una delle quali è stato realizzato,tramite tamponature, un bagno. Dall’androne, ancora, un sistema di scale, opposte all’ingresso, porta all’ultimo livello. Queste scale, collocate nel vano della loggia, elemento tipico dell’edilizia gentilizia vallatese, sono l’unico sistema di raccordo tra il terzo ed il quarto livello destinato alle camere da letto e ad un gran salone.
    Com’è stato già detto, il palazzo è il risultato di trasformazioni e d’ampliamenti successivi, legati alla fortuna economica e politica della famiglia, la datazione dei quali, purtroppo, si può solo ipotizzare non esistendo documentazioni storiche.
    È probabile, dato che il palazzo si trova nel nucleo più antico del paese vicino a quello che resta del vecchio palazzo Orsini13, che quando Tommaso Di Netta si trasferì da Gravina di Puglia in Vallata sia andato a vivere in una delle abitazioni già esistenti aggregate lungo il pendio, successivamente acquistate ed inglobate nel palazzo. Una di queste abitazioni, anche se trasformata, è ancora facilmente individuabile al primo ed al secondo livello. Questa era la tipica costruzione locale posta in terreno acclive14 in modo che il dislivello tra i due piani fosse compensato dalla pendenza del terreno.
    La forma attuale del palazzo si deve ad una serie d’interventi effettuati nel corso di tutto il 1700. Il primo di questi, sicuramente quello più importante, agli inizi del secolo, consistette in parte, appunto, nel trasformare alcune costruzioni precedenti, ognuna con proprie caratteristiche plano volumetriche, in un palazzo dotato di un unico fronte principale e ridistribuito fondamentalmente su tre livelli.
    Fece parte dell’intervento, anche, la costruzione di un nuovo corpo di fabbrica affiancato, alla fine del pendio, come testata di quello trasformato. Questa fase costruttiva è ancora testimoniata al secondo livello e, soprattutto, al primo, dove è evidenziata sia dalla strombatura del vano della porta dove la caduta dell’intonaco fa chiaramente vedere i due muri affiancati, sia, nell’altro ambiente, dai due archi di diversa geometria affiancati. In questo livello è evidente anche la trasformazione di una delle costruzioni precedenti: il muro originario che separava i due ambienti fu quasi del tutto abbattuto e ricostruito allineandolo con quello della parte nuova per realizzare il nuovo muro di spina del palazzo.
    E’ invece della fine del secolo (XVIII) la sopraelevazione di un piano dell’intero edificio e la realizzazione del sistema di scale in un nuovo corpo di fabbrica, quello della loggia, affiancato al precedente.
    Il palazzo è stato costruito su un suolo compatto costituito da puddinga15, che permise ai costruttori, una volta livellato il terreno scavando nella roccia, di far partire i muri direttamente da questo piano.
    Esso è quasi interamente realizzato con una muratura di ciottoli legati con malta di calce e sabbia misti a pietrame, scaglie di pietra e pezzi di laterizio.
    La chiattarola utilizzata è di circa 12÷18 centimetri di spessore e 25÷35 di larghezza, il pietrame, invece, è costituito da ciottoli notevolmente più piccoli dalla forma tondeggiante di circa 10 cm, chiamati zavorre.
    Gli spessori murari rilevati sono diversi variando piano per piano sia in base al tipo di parete, perimetrale o interna, sia anche in funzione della tipologia del piano di calpestio superiore, in quanto gli ambienti con volte a crociera hanno, per compensare la spinta, pareti più spesse rispetto a quelle degli ambienti con solai lignei.
    Per le pareti perimetrali si passa dai circa 60 cm dell’ultimo piano a spessori variabili tra i 75?100 cm dei piani intermedi per arrivare a quelli del piano più interrato che variano da circa 110 centimetri ad oltre 160 agli angoli del palazzo.
    Le pareti interne hanno, in genere, spessori che variano dai circa 55 agli 85 centimetri. I vani di porte, balconi e finestre, in questo tipo di muratura, sono stati eseguiti con le tecniche dell’arco in pietra o mattone e dell’architrave in pietra o legno.
    La tecnica dell’arco in pietra, che garantisce una maggiore resistenza del foro, è stata utilizzata per realizzare i vani delle porte ai piani inferiori adibiti a deposito, mentre è stato impiegato l’architrave di legno, per ottenere delle aperture rettangolari, ai piani nobili. In realtà l’architrave di legno non è altro che una serie di tavole (quercia o castagno) affiancate di 3?4 cm di spessore sulle quali sono state disposte le pietre ma è comunque sempre realizzato un arco nel muro per alleggerirne il carico.
    I vani di finestre e balconi sono rifiniti esternamente con mattoni o con elementi lapidei, internamente il resto del muro è sostenuto o da un architrave di legno o con un arco in pietra o in mattoni. Altre parti dell’edificio sono invece realizzate con una muratura mista di ciottoli e pietre, come la precedente, ma listata con due ricorsi di mattoni circa ogni 50?60 cm. Questa muratura ha uno spessore di circa 60 cm e fu utilizzata dopo il sisma del 1930 per ricostruire al penultimo e soprattutto all’ultimo piano parte dei prospetti destro e posteriore. I vani dei balconi e delle finestre, in questo tipo di muratura, sono realizzati con un architrave di conglomerato cementizio armato con semplici barre di ferro in zona tesa. Sono infine presenti delle pareti in mattoni ad una o a due teste utilizzate, in tempi recenti, per ulteriori ripartizioni di alcuni ambienti. Questi setti non sono portanti; solo su quelli realizzati nell’ambiente sopra l’androne con uno spessore di circa 20 cm si scarica il peso della struttura lignea del controsoffitto.
    I pilastri sono tre: due al primo livello ed uno al secondo. I due del primo livello, realizzati in pietra grossolanamente sbozzata, hanno una dimensione di circa 105x80 cm e concorrono, insieme ad una seria d’archi, a puntellare la volta della cavità sulla quale sorge una porzione del palazzo.
    Gli archi longitudinali hanno la stessa dimensione del lato minore del pilastro, mentre quella degli archi trasversali varia tra i 60 e 75 centimetri.
    Il pilastro del secondo livello è di dimensioni più piccole circa 80x55cm e realizzato con maggior cura; le pietre sono molto più lavorate, quasi squadrate, ed intervallate da elementi in laterizio per la formazione di piani di posa regolati.
    Per realizzare gli orizzontamenti, che possiamo classificare in elementi di primo calpestio ed elementi di calpestio intermedio, sono state impiegate più tecniche.
    Per gli elementi di primo calpestio, in quegli ambienti a diretto contatto con il terreno, è stato utilizzato un semplice battuto di terra; fanno eccezione solo l'ambiente rialzato del secondo livello e l'androne del palazzo che presentano rispettivamente un mattonato in cotto e un acciottolato.
    Per gli elementi di calpestio intermedi sono stati utilizzati solai e volte. I solai in origine erano tutti lignei ma nella ristrutturazione dopo il sisma del 1930 in alcuni ambienti furono sostituiti con dei solai in ferro e laterizio realizzati con putrelle a doppio T (NP 140) di luce massima di 390 cm, posizionate a interasse tale da poter inserire tra le ali dei tavelloni di dimensioni 80x25x6 cm. Superiormente il solaio è completato con uno strato di sabbia e pietrisco sul quale è realizzata, con un massetto di calce, la base per il mattonato.
    I solai lignei (quercia o castagno) presentano un'unica orditura di travi sulle quali è disposto un assito di tavole larghe circa 30 cm, spesse 3?4 cm e lunghe due interassi. Sul tavolato c'è un riempimento di materiale inerte spesso circa 20 cm, forse un po’ troppo pesante, ma ottimo sia come isolante sia come ripartitore di carico. Superiormente il mattonato è realizzato in cotto o in graniglia. Le travi, per la maggior parte semplicemente sbozzate, hanno una sezione di circa 20x20 cm, luce massima di 450 cm e posizionate a interasse di 100?110 cm per la realizzazione dell'ultimo piano di calpestio, mentre, per gli altri intermedi, per aumentarne la capacità di carico in locali adibiti a depositi, l'interasse diminuisce a 70?80 cm.
    Per la realizzazione delle volte, tutte in pietra, è stata utilizzata soprattutto la tipologia a crociera, ma è presente anche quella a botte in pochi ambienti di ridotte dimensioni.
    Le volte a crociera, coprendo nella maggior parte dei casi ambienti dalla forma rettangolare irregolare piuttosto allungata, sono esapartite, generando due crociere di circa 3x3 m in alcuni locali e circa 4,5x3 m in altri. Ad eccezione di quelle in locali seminterrati, dove la quota di imposta è più bassa del piano di campagna, le volte sono impostate su pilastri di varie grandezze addossati alle pareti perimetrali. Le spinte delle volte trovano in questo modo il contrasto dei pilastri oltre quello del muro laterale, per cui l'effetto spingente è efficacemente assorbito dal sistema dei muri d'appoggio attraverso il carico trasmesso dalle murature sovrastanti. Dai pilastri, in alcuni casi, partono anche degli arconi in pietra o in mattoni per irrigidire la volta.
    Le notevoli differenze dimensionali tra i vari ambienti hanno impedito l'utilizzo, per le volte, di un'unica quota d'imposta che, di conseguenza, varia da un minimo di 110 cm ad un massimo di 225 cm. La quota in chiave, invece, varia sostanzialmente solo piano per piano da un minimo di 293 cm ad un massimo di 355 cm, con uno spessore minimo tra intradosso e piano di calpestio di circa 35 cm. Gli spessori effettivi delle singole volte, essendo realizzate con elementi in pietra, andrebbero determinati tramite saggi sul posto. E' però possibile ipotizzare uno spessore di circa 20 cm in quanto è quello che maggiormente compare, per le realizzazioni delle volte, rilevandone i resti in alcuni ruderi dell’area. E' importante però evidenziare la differenza tra gli elementi in pietra che costituiscono le volte del palazzo da quelli riscontrati nei ruderi che, invece, appartengono ad un'edilizia più economica. Quelli del palazzo sono stati, infatti, lavorati in modo da ottenere una forma piatta ed allungata simile al mattone, mentre nell'edilizia popolare era frequente l'uso di semplici ciottoli dalla forma affusolata che necessitavano di molta malta per la realizzazione dei letti di posa.
    Gli elementi lapidei del palazzo sono disposti con un apparecchio a filari secondo le generatrici, che in alcune unghie secondarie hanno un andamento ad arco. Le direttrici delle volte presentano, invece, un sesto più o meno ribassato a seconda delle dimensioni del vano che coprono.
    E' possibile ipotizzare, anche, che il rinfianco delle volte sia simile a quello riscontrato nei ruderi, composto essenzialmente da ciottoli di piccola e media grandezza legati con malta di calce e sabbia.
    Le scale che collegano i primi tre livelli, anche se realizzate fra due setti murari, uno dei quali è una parete perimetrale, ne sono completamente indipendenti. Infatti, gli elementi lapidei che costituiscono i gradini sono fissati direttamente sulla puddinga che era stata precedente grossolanamente modellata.
    Più complesso ed articolato è, invece, il sistema di scale che porta all'ultimo livello. Inserito in un nuovo corpo di fabbrica, affiancato a quello già esistente quando quest'ultimo fu sopraelevato di un piano, ha la struttura portante realizzata con una serie di volte a botte, rampanti e a collo d'oca.
    Non è stato possibile effettuare il rilievo della copertura sia per la limitata accessibilità del piano, dovuta al crollo di parte d'alcuni solai lignei per l'infiltrazione d'acqua piovana dal tetto crollato anch'esso in più punti, sia, soprattutto, per la presenza dell'impalcato di sottotetto al quale in alcuni casi è fissata la struttura lignea del controsoffitto per realizzare delle volte a schifo. Il crollo, però, d'alcune parti dell'impalcato ha permesso di costatare la conpresenza di strutture di copertura di tipo diverso. La copertura di ambienti che presentano una luce ridotta tra i setti ortogonali alla facciata è composta da un'orditura principale orizzontale, perpendicolare ai timpani, sui quali si appoggia, e parallela alla facciata, ed un'orditura secondaria inclinata sulla quale è disposto un assito di tavole affiancate che reggono il manto di copertura. Per migliorare l'appoggio delle tavole le travi dell'orditura secondaria, a differenza di quelle dell'orditura principale semplicemente sbozzate, hanno una sezione più regolare e per questo chiamate localmente chianelle16.
    Quando, invece, la luce tra i setti diventa più importante si ha un'inversione: la struttura principale è inclinata ed ortogonale alla facciata, agganciata a quest'ultima parete e a quella di spina, e l'orditura secondaria orizzontale.
    Purtroppo nonostante la presenza di un ben strutturato solaio di sottotetto, con travi di notevoli sezioni, queste non sono state utilizzate per eliminare l'effetto spingente che la struttura principale inclinata produce sulla sommità della parete perimetrale.
    Il manto di copertura è realizzato parte con coppi (l'elemento tipico dell'edilizia storica vallatese) parte con marsigliesi.
    Il tetto è completato, per evitare che l'acqua scivoli sui muri, dalla romanella17.
    Il palazzo uscito quasi indenne dal sisma del 1980, che provocò alcune lesioni solamente in prossimità della apertura della loggia e sul fronte corto di Vicolo Netta, in corrispondenza della connessione tra la vecchia muratura in ciottoli e quella listata utilizzata per la ricostruzione di parte dell'ultimo piano dopo il sisma del 1930, non ha, invece, retto all'ingiuria del tempo. Infatti, disabitato, proprio a partire dal 1980, e completamente privato di un qualsiasi tipo di manutenzione, è andato incontro ad un generale degrado, anche strutturale, che in alcuni casi è d'entità rilevante.
    La prima parte a deteriorarsi è stata il tetto, il cui manto di copertura, parte in marsigliesi e parte in coppi, poggiato direttamente sul tavolato, senza interposta nessuna guaina impermeabile, non ha potuto impedire, una volta scompostosi, che le infiltrazioni d'acqua piovana deteriorassero il tavolato ed alcune parti della struttura portante del tetto che cedendo e coinvolgendo nel crollo parte della struttura del controsoffitto si è schiantata sugli orizzontamenti sottostanti provocando l'ulteriore crollo parziale di alcuni solai lignei già precedentemente compromessi dalle abbondanti infiltrazioni.
    In buono stato di conservazione, non presentando dissesti, sono, invece, le volte il cui unico degrado è il distacco parziale dell'intonaco in alcuni degli ambienti del secondo livello e la presenza di macchie dovute alle infiltrazioni d'acqua piovana in quelle dell'androne e delle stalle.
    Degradate sono, anche, vaste aree esterne della muratura dove al distacco dell'intonaco, è seguita la polverizzazione della malta dei giunti che, come nel caso della parete prospiciente Vicolo Piazza di Sotto, ha provocato il distacco d'alcuni elementi lapidei.
    Crolli parziali interessano, invece, le due strutture realizzate successivamente a sbalzo dalla parete esterna per ottenere dei disimpegni.

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11 Il cognome originario Di Netta fu successivamente ridotto per differenziarlo, divenuti dei grossi latifondisti, da quello usato dalla popolazione per indicare quelle famiglie di contadini che “lavoravano” per loro.
12 Nei secoli più recenti si hanno notizie di Felix e Michael medici nel 1700, di Nicola sindaco destituito dal Re delle Due Sicilie perché carbonaro (1827), del dott. fisico cav. Michele e di Vincenzo, figure di spicco della Carboneria vallatese (1848), del notaio Felice capitano della Guardia Nazionale Vallatese, sorta a favore dell’esercito per la repressione del brigantaggio (1861-1863),di un altro dott. Michele anch’esso capitano della Guardia e sindaco (1878). In seguito membri della famiglia hanno continuato a prendere parte attiva alla vita del comune fino al loro definitivo trasferimento ad Avellino.
13 Posto in prossimità di Porta Rivellino, una delle tre porte storicamente accertate di Vallata, seguiva per un lungo tratto l’andamento della strada di crinale, interna al paese, che collega, appunto, Porta Rivellino con Porta Tiglio. Composto da più corpi di fabbrica (il più antico del XIV secolo, era originariamente appartenuto ai Del Balzo), alcuni direttamente collegati tra loro altri tramite cortili interni, è stato nel corso del ‘800 frazionato e venduto a vari proprietari tra i quali anche i Netta, che acquistarono la parte prospiciente il proprio palazzo.
Danneggiato, ma non restaurato, dal sisma del 1962, abbandonato a se stesso, è stato abbattuto dopo il successivo terremoto del 1980. Del palazzo restano solo alcuni locali seminterrati con volte a crociera in pietra della parte più vecchia vicina a Porta Rivellino.
14 Costruzione in muratura di pietrame non squadrato di spessore variabile tra i 50 e 60 cm, con solai lignei (travi + tavolato + riempimento sciolto + pavimento) e con copertura ad unica o doppia falda con trave di colmo parallela al fronte aereoilluminante. Il seminterrato è quasi sempre adibito a stalla e deposito.
15 Vedi § Il borgo medievale
16 Vedi § Tecniche costruttive
17 Vedi § Tecniche costruttive

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