Vallata - brevi cenni storici -
Relazione 1765.

      V. è unita alla diocesi di Bisaccia; la sua chiesa è dedicata... il suo rettore è l'Arciprete, che per la nomina viene presentato dal barone del luogo. Ha rendite sufficienti anzi superflue per la provvista della cera e delle sacre supellettili... Le anime di questa Terra ascendono a quattromila.
      Quindi a distanza di oltre un secolo dalla peste del 1656, la popolazione di V. ha raggiunto il numero di 4.000 abitanti.

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      Le pennellate offerteci da questi preziosi documenti, finora inediti, ci hanno fornito notizie interessanti, per aiutarci a fissare già le linee di fondo del quadro socio-politico della nostra Parrocchia, dalla fine del '500 alle soglie dello '800.
      Possiamo quindi tentare una prima sintesi.
      I documenti riportati hanno soprattutto puntualizzato che la Parrocchia non era ridotta ad un semplice centro anagrafico con servizi vari (battesimi, matrimoni, funerali, ecc.), ma era un centro propulsore di attività religiose e sociali, che avevano certamente una loro incidenza nella maturazione umano-cristiana della comunità, impegnata responsabilmente in tutte le espressioni della vita ecclesiale.


      Clero e Associazioni laicali, pur con tutti i limiti cui si è fatto riferimento, avevano nella comunità cristiana una funzione di stimolo e di animazione interna, per una crescita culturale e religiosa di tutto il popolo. Nel fenomeno della religiosità popolare, l'entusiastica e massiccia diffusione delle confraternite rappresentava non solo uno dei connotati distintivi più evidenti, rispetto alle altre forme di associazionismo laicale, ma anche uno dei principali motivi della loro vitalità ed attività, nel periodo storico in cui si vennero formando e consolidando. L'Assistente ecclesiastico animava queste confraternite dall'interno, preoccupandosi soprattutto di sollecitare nei singoli membri la formazione di una coscienza cristiana, che si esprimeva nelle varie devozioni, e che aveva la sua verifica nelle attività caritative, liturgiche e sociali.
      In molti paesi veramente alcune di queste confraternite, per un senso di autonomia esasperata ed esasperante, hanno finito per vivere ai margini delle chiese locali, come dei corpi separati, alle volte in contrapposizione alla Parrocchia (quasi dei contro altari), ma nella nostra ricettizia non si sono verificate queste esagerazioni, perché le confraternite si sono sviluppate all'interno della Parrocchia stessa, sotto la guida pastorale del clero, in una dimensione di maturazione cristiana e di apertura sociale e culturale.
      Dai documenti abbiamo infatti rilevato che, alla base della crescita cristiana, c'era una profonda esigenza di cura dei poveri, degli ammalati, dei pellegrini, per i quali avevano messo su un comodo ospedale; provvedevano al seppellimento dei "fratelli" e dei poveri, curando in chiesa il proprio cappellone e rispettiva fossa, con tutto l'occorrente; svolgevano nella comunità azione stimolatrice nelle espressioni essenziali di culto allo Spirito Santo, all'Eucaristia, alla Madonna, alla Passione di Cristo, ai morti, senza sfociare in superstizioni e riti paganeggianti.
      Inseriti in questo fervore di vita cristiana e di attività, si preparavano al sacerdozio moltissimi giovani che, in loco, avevano la possibilità di maturare la propria vocazione, a contatto con l'esuberante clero locale, e coinvolti pienamente nella vita socio-religiosa della comunità cristiana.
      Era questa un vero vivaio di vocazioni, se il clero locale è stato sempre esorbitante, e se tantissime piante di questo fecondo vivaio sono state trapiantate altrove, sia in Italia che all'estero ed in terre lontane di missione, facendo ovunque onore a Vallata. Ne ricordiamo alcuni.

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      Il primo Sacerdote di cui abbiamo notizie storiche sicure è D. Antonio De Cozza, Arciprete di V. all'inizio del '400, nominato Vescovo di Lacedonia nel 1428.
      Avendo chiesto notizie di questo Vescovo alla Curia vescov. di Lacedonia, mi è stato riferito, con mia grande sorpresa, che il Can. Pasquale Palmese di Lacedonia, cultore di storia locale, facendo riferimento nei suoi manoscritti ad una notizia dell'Ughelli (confermata poi anche dal Moroni) che dice testualmente: "Antonius de Cozza, archipresbyter Vallatae Bovianensis Dioecesis", aveva interpretato che si trattasse di un paese omonimo "Vallata, della diocesi di Boia-no, negli Abbruzzi". Gratuite interpretazioni, fatte con estrema leggerezza!
      Diciamo anzitutto che non si tratta della diocesi di Boiano, ma di Bovino nelle Puglie, da cui in quel momento la diocesi di Bisaccia dipendeva, perché sede vacante: il Vescovo Guglielmo infatti fu eletto a Bisaccia il 20/12/1428, per cui nell'ottobre 1428 la sede era ancora vacante. Una circostanza analoga per Bisaccia, come abbiamo ricordato nel cap. II, si era verificata anche nel 1282, per cui la diocesi fu affidata ugualmente a Bovino.
      Ma, a parte questa precisazione, siamo in condizione di eliminare definitivamente ogni dubbio, circa Porgine di questo Vescovo di Lacedonia.
      Lo schedario Garampi dell'Archivio Segreto Vaticano, al tomo 51 - ind. 495, f. 32 r., riporta testualmente:
      "1428 - 11 8bris Martinus V providit Eccles. Laquedonien vacantem per obitum... (Nicola d'Antonio predecessore) de persona Antoniy de Coza Archipresbyt. Vallatati Basatiensis dioecesis".
      La stessa notizia è riportata in A.S.V. Acta Misc. I, folio unico 188: "Die lunati - V idus Octobris prouisum est Ecclesiae Laquedonien^ vacanti per mortem... de persona d/ni Antony de Coza Archipresbyteri Vallatati Basatien^dioecesis".
      L'Eubel in Hierarchia Catholica, pag. 294, conferma:
      "Antonius (de Cozza), archipresb. Ecc. S. Bartholomei (in nota: de Vallata,, dioec. Bisacien) 1428 Oct. 11, Martinus V a. 11 Lat. pr. f. 183".
      A conferma di tutto, siamo in possesso anche della Bolla di nomina di Pp. Martino V, che riproduciamo in fotostatica dall'originale.

      Ne diamo una traduzione in sintesi:
      Martino V,... al diletto figlio Antonio eletto alla chiesa di Lacedonia, salute... Desiderando di esercitare l'ufficio dell'apostolato a noi concesso dall'alto, sebbene per insufficienti meriti, e col quale presediamo, per concessione del Signore, al governo di tutte le chiese, solleciti di provvedere al governo di dette chiese siano preposti pastori, i quali vogliano e possano guidare il popolo, non solo con la parola ma soprattutto guidarlo con l'esempio e reggere le chiese a loro affidate, con l'aiuto del Signore nella pace e nella tranquillità... Da poco, mentre presiedeva la chiesa di Lacedonia il def. Vescovo Nicola, Noi ... ci riservammo di designare al momento della vacanza il successore con una persona adatta, e usando tutta la prudenza della S. Sede, dichiarando invalida qualsiasi altra nomina fatta diversamente... Ora essendosi resa vacante la sede... per la morte dello stesso Nicola... Noi, volendo provvedere celermente... per non esporre la chiesa a inconvenienti e incomodi causati da una lunga vacanza,... dopo esserci consigliati con i. nostri fratelli,... abbiamo rivolto gli occhi a te, arciprete della chiesa di S. Bartolomeo Ap. in Vallata, diocesi di Bisaccia... avendo avuto testimonianza della tua dottrina, purezza di vita, onestà di costumi, prudenza e serietà-nell'amministrazione delle cose spirituali e temporali e di altre molteplici doti.. col consiglio degli stessi fratelli... provvediamo alla chiesa di Lacedonia'e con l'autorità apostolica ti proponiamo come vescovo e pastore, affidandoti la piena cura e amministrazione delle cose spirituali e temporali.
      Confidando in Colui che dà le grazie e concede il premio, siam convinti che, con la tua guida e con l'aiuto del Signore... quella chiesa sarà incrementata.




      Accetta dunque volentieri il giogo che viene messo sulle tue spalle... e oltre alla fiducia nel Signore... puoi contare anche sulla nostra benevolenza.
      Dato a Roma, ai SS. Apostoli, il dì 11 ottobre, undecimo del nostro pont. Allo stesso modo al Capitolo cattedrale di Lacedonia... raccomanda di accettare con benevolenza il nuovo vescovo,... di prestargli riverenza e ubbidienza... Allo stesso modo... ai diletti figli della città e della diocesi di Lacedonia...
      ... al clero della diocesi... al venerabile fratello l'Arciv. di Conza, di cui Lacedonia è suffraganea... lo aiuti nell'espletamento del suo dovere...
      Il citato Ughelli in "Italia sacra", libro XIII, pag. 839, così lo ricorda: "Antonius de Cozza, Archipresbyter Vallatati, Bovianensis Dioecesis eligitur 5-Id. Octob. 1428".
      Il suddetto è stato il XIV Vescovo della diocesi di Lacedonia.
      Un'altra rigogliosa piantina, trapiantata dal vivaio ecclesiastico vallatele in quello della famiglia francescana, è stato Antonio Geremia del Bufalo, figlio di Nicola Angelo e di Francesca de Hippolito.
      Lo sched. Garampi N. 63, ind. 507, f. 175 riporta:
      "8 agosto 1661 Antonio Geremia di Vallata, dell'Ordine dei Frati Minori Osservanti, fu nominato Vescovo di Temne".
      In Hierarchia Catholica, pag. 330, troviamo testualmente:
      "Antonius Hieremias de Vallata, O.M. Obs. - 8 aug. 1661 - AC. 20 f. 158^".
      Nella nota è ricordato: Gli viene assegnato una congrua di 500 ducati napoletani per il suo sostentamento (Ac. 20 f. 158^ et bulla provisionis apud S. Br. 1373 f. 582); nato e battezzato in Vallata nel Regno di Napoli, di anni 41, figlio naturale di Nicola Angelo del Bufalo e di Francesca Hippolito. Predicatore generale dell'Ordine dei Riformati di S. Francesco, adesso Custode della sua provincia di S. Angelo nel regno di Na. (P. Cons. 59 ff. 725-727^, 751), nominato dall'imperatore Leopoldo come re di Ungheria il 5 marzo 1660 (ib. f. 744).


      Riportiamo il testo fotostatico degli Acta Camerarii N. 20, ff. 157^ - 58 in A.S.V., in cui è ricordato il discorso dal Pp. Alessandro VII nel Concistoro segreto dell'8 agosto 1661.

      Della Bolla di nomina da parte del Papa, diamo soltanto una traduzione in sintesi:
      "Provvista della chiesa di Temne nelle regioni dell'Ungheria, vacante per la morte di Metro Orosco di f.m., ultimo Vescovo di questa chiesa, a favore di Antonio Geremia da Vallata, presentato da Leopoldo quale re di Ungheria- (A. S. V. Bulla Provisionis apud Secreteria Breve N. 1373 ff. 582 ss.).
      "Alessandro vescovo, servo dei servi di Dio, al diletto figlio Antonio Geremia di Vallata, eletto alla chiesa di Temne, nei territori dell'Ungheria, che gode del diritto di patronato del carissimo in Cristo Leopoldo... rimasta vacante per la morte di Pietro Orosco...
      Per provvedere a detta chiesa in modo celere e felice... ci siamo consultati con i nostri fratelli... e abbiamo rivolto la nostra attenzione a te, nato da cattolici e onesti genitori, uniti in legittimo matrimonio, nel regno di Napoli, che non sorpassi i quarantuno anni di età, sei stato ordinato sacerdote da oltre dodici anni, hai insegnato teologia e appartieni all'Ordine di S. Francesco della stretta osservanza, hai professato la fede cattolica secondo gli articoli proposti dalla sede Apostolica... doti tutte che il re Leopoldo ci segnalò nelle sue lettere... zelo per la religione... purezza di vita, onestà di costumi, prudenza... Considerato tutto, col consiglio degli stessi nostri fratelli, intendiamo provvedere con la tua persona alla chiesa di Temne_ con l'Apostolica Potestà provvediamo e ti preponiamo quale vescovo e pastore e... ti affidiamo la cura e il governo di detta chiesa... nelle cose spirituali e temporali... Accetta dunque con pronta devozione... fidando non solo nell'aiuto del Signore, ma anche nella nostra benevolenza..."
      Il nuovo vescovo viene raccomandato, oltre che a clero e fedeli, anche al re di Ungheria e Imperatore dei Romani, e all'Arcivescovo di Colo, di cui Temne è suffraganea. Per la sostentazione gli vengono assegnati 500 scudi.


      Dato a Roma, 8 agosto 1661.
      Dal processo Concistoriale istituito nella città di Madrid, il 26 maggio 1660, dall'Ill/mo e Rev/mo D. Carlo Bonelli, Arcivescovo di Corinto, Nunzio e Collettore Generale nella Spagna di Sua Santità, desumiamo pure utili elementi, che ci aiutano ad approfondire la spiccata personalità di questo nostro illustre conterraneo, che esercitò i primi anni di ministero in Spagna.
      Diamo una sintesi delle testimonianze raccolte dal Nunzio predetto: Il Rev. P. fr. Antonio Geremia di Vallata.
      "... è uomo di vita esemplare, e visse sempre molto rettamente, fedelmente, cattolicamente e con ogni purezza di fede... di vita ottima ed esemplare, di provati fama e costumi, e sana comunicativa... è uomo molto grave, erudito, prudente, ed esperto in molte cose di grande importanza, come appare dagli uffici che occupò... predicatore generale del suo Ordine, e fu esaminatore nel vescovado di Torino, come al presente è nella diocesi di Toledo... è un esimio predicatore, è teologo, e da poco custode della sua provincia nel regno di Napoli; nei quali uffici si comportò molto bene e con soddisfazione della sua religione... le cose sono note a tutti... il sopraddetto è degno, anzi merita di essere presentato e promosso a qualche chiesa cattedrale, ed è sicuro che la chiesa cui sarà promosso ne riceverà non. poca utilità e profitto, perché è un uomo tanto erudito e di tanta esperienza... Tutto quello che è deposto è vero, pubblico e notorio, e di tutto c'è voce e fama pubblica... Tutto confermato, ratificato, sottoscritto..." (Processo Concistoriale N. 59, anno 1660 - ff. 710-722).

      Nel maggio 1668 il nostro del Bufalo fu trasferito da Temne a Gallipoli, una cittadina di circa 8.000 ab., ugualmente sotto il dominio temporale del re cattolico, dove c'erano 7 dignità e 9 canonici, ed una mensa episcopale che fruttava 2.000 ducati all'anno.
      Riportiamo pure da A. S. V. Acta Camerarii, 21 f. 203^quanto segue:
      "A Roma, nel Palazzo Apostolico del Quirinale, il lunedì 14 maggio 1668, si tenne il Concistoro Segreto...
      ... Referente l'Em/mo Card. Sforza, S. Santità assolse il Rev. P. D. Antonio Geremia dall'incarico che lo legava alla chiesa di Temne e lo trasferì per la nomina del Re Cattolico alla chiesa di Gallipoli, vacante per la morte di Giov. Mantoia; decretando che istituisca le prebende di Teologia, e la Penitenzieria e il Seminario e curi l'erezione del Monte di Pietà, onerata la sua coscienza ...".
      Il Gams (882) ricorda che morì a Gallipoli il 25 settembre 1677. Pandzic Basilio, in Annales Minorum, tomo XXXI, pag. 46 (Bibl. Naz. Cent. Roma) dà questa sintesi:
      "Antonius Hieremias de Vallata, Reformatae Provinciae S. Angeli in Apulia, ab imperatore Leopoldo die marzii 1660 episcopus temnensis est institutus. S. Congragatio Conc. die 8 anni currentis istam nominationem confirmat. Neoelectus episcopus inter alla "fuit examinator pro eminentissimo domino cardinale Toletano in toto illius archiepiscopatu".
      Cum vero dioecesis Temnensis sub dominio Turcorum esset neoelectusque episcopus ad residendum proficisci non posset atque reddidibus mensae episcopalis careret, Vitalianus Fabianus "advocatus Supremi Consilii ltaliae, praefectus arcis Capuanae et iudex carcerum curiati vicariati Neapolis", et eius uxor Anna Vasquez, neoelecto episcopo dono dederunt "quingentos ducatos argenteos monetati Castellae anni redditus".
      Die 14 mali 1668 P. Antonius translatus est ad ecclesiam Gallipolitanam, ubi 25 septembris 1677 diem estremum clausit".

      L'Ughelli in "Italia Sacra" così lo descrive tra i vescovi gallipolitani, a pag. 109 del Vol. XVI:
      "Fr. Antonius Hiermias de Bufalo, franciscanae familiae, Episcopus Temnensis, hoc dimisso titulo, Gallipolitanus evasit 14 maij 1668.
      Inter aevi sui doctissimos virus habitus est, Graecae Latinaeque linguae peritia, Philosophiae atque Sacràe Theologiae scientia excultissimus. Creditam sibi ecclesiam summa pietate, ac vigilantia rexit ad ann. 1677 quo die 25 septembris haec caduca dereliquit spolia" ricordato come il 42° vescovo della diocesi di Gallipoli.
      Passiamo adesso al profilo di un altro illustre ecclesiastico, completamente sconosciuto, in quanto anche il cognome è definitivamente scomparso in V. Si tratta di Giovan Battista Capuano, nato a V. il 20 maggio 1669, ordinato sacerdote il 16 giugno 1696, laureato in utroque a Roma (graduato nella Sapienza di Roma) il 19 febbraio 1700, vicario generale a Mottola (1704), prot. apost. e vicario gen. a Bari, poi a Terracina ed infine a Sezze e Priverno (1727), consacrato vescovo a Roma dal Card. Querini il 31 dic. 1729. Morì a Belcastro nel luglio 1752.
      Per conoscere qualcosa della sua personalità, abbiamo il testo di una procura del Vescovo G. Mastellone, che lo autorizzava a rappresentarlo a Roma per la visita ad limina nel 1717, essendo egli impedito. La procura è certo stilata con tono elogiativo, ma quelle notizie prese "cum mica salis" ci offrono un chiaro profilo della personalità del Capuano.
      Ne stralciamo una sintesi:
      "Appaia e sia noto a tutti che, a tenore delle presente procura... noi Giuseppe Mastellone Vescovo di S. Angelo e Bisaccia... confidando nella fede, dottrina, legalità e prudenza dell/mo e Rev/mo Dottore in utroque iure e Professore di Sacra Teologia, D. Giovan Battista Capuano, Sacerdote di Vallata, ... e soggetto alla nostra giurisdizione, ma abitante a Roma, lo nominiamo e deleghiamo per questa volta soltanto, come nostro fedele, prudente ,idoneo e legale procuratore... per il compimento di detta sacra e canonica visita ...".
      Anche per il Capuano, siamo in possesso delle copie fotostatiche del Processo informativo, degli Acta Cam. e della cerimonia di Consacrazione, che evitiamo di riportare, per motivo di brevità.
      Trascriviamo invece l'atto di battesimo dello stesso (R.B.V, 63): "A. D. 1668 die mensis maij in V. T. Ego D. Bartolomeus Carusius Primicerius et Vice Curatus M.E.S.B. baptizaui filium eodem die natura ex magnifico Joanne Petro Capuano patre et ex magnifica Lauinia Ciufra matre coniugibus cui impositum est nomen Joannes Baptista Gaetanus, patrinus vero Rev. D. Bartolomeus Vella Terrae Vallatae".
      All'atto fu aggiunta successivamente questa nota:
      "Fatto Vescovo di Belcastro ai 23 dicembre 1729 - uenuto in Vallata nel 1730"

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      Passiamo adesso a fare una rapida carrellata del contributo che V. ha dato all'incremento delle varie famiglie religiose.
      Cominciamo con i Verginiani perché, come abbiamo ricordato in precedenza, già nel 1261 ai Benedettini di Montevergine era affidata la chiesa di S. Giorgio.
1) P. Innocenzo da Vallata, Verginiano a Candida nel 1585 e ad Ascoli Satriano nel 1592.
2) D. Lorenzo (Francesco) Barra, che prese l'abito verginiano il 9/5/1643, emise i voti religiosi il 5/6/1644; compì gli studi a Montevergine, a Casamarciano, a Candida; fu sacerdote a Castel Baronia, al Goleto, a S. Agata di P., a Capua, a Napoli, a Bagnoli; vicario a Montefalcione e Viceabate a S. Agata di P. - Morì nel 1681.
3) D. Paolo (Arsenio) Cautillo, che emise la professione religiosa il 4/7/1664 e fu sacerdote a Napoli, a S. Agata di P.


      Anche nella Compagnia di Gesù abbiamo avuto una bella figura di Sacerdote, P. Angelo Oliveto, proveniente da una delle più antiche famiglie nobili di V., cui fu dedicata anche una strada "Via Oliveto", forse per le benemerenze della famiglia verso il paese.
      Il Necrologium Coll. Neapolis dell'Arch. Romano della Compagnia di Gesù, al tomo 175, f. 114^ , ci offre una significativa sintesi biografica del suddetto, che riportiamo integralmente da una copia fotostatica del manoscritto.


      "P. Angelo Oliueti da Vallata in tutto il tempo di sua uita da che entrò alla Compagnia non ebbe altro pensiero in testa, né altro esercitio che d'aiutar l'anime con assidue confessioni, né ad altra parte, né ad altra ricreazione si trouò mai che al confessionale, carceri, galee, arsenale. Era il rifugio comune di tutti. Tutte le assoluzioni che dipendevano da Roma erano richieste a lui, e con gran zelo, e carità le procuraua. Tutti li più disperati e dissoluti peccatori ricorreuan da lui, i quali egli rimetteua in strada, hauendo uno special dono di Dio in riacquetar ed accomodar le coscienze. Faceua molte paci; molte donne di mondo collocò bene, ridottele prima dal peccato.
      Senza numero sono li giouani fatti per lui religiosi, de' quali ha ripieno ogni religione. Non confessaua mai donne, massime Sig/re, ma sempre huomini, e li più bisognosi, a' quali daua aiuto, e nelo sp/le e nel temporale; il Sig/r Cardinale li portaua grand'onore e uener/e e concedeuagli tutta la sua autorità.
      Dormiua pochiss/o. La mattina si leuaua un'hora, e più, prima degli altri, e fatta la sua orat/e, diceua ben presto la Messa, e poi si confinaua al confessionale tutta la mattina doue co' maggior feruore che mai stette esposto in tempo de/a pestilenza, e con tutto che stesse attualm/e lui con la peste, e col bubbone, pure seguiua a star esposto. Si predisse il dì, e l'hora della sua morte, e il giorno precedente  accomodò ogni cosa, facendo disposiz/e d'alcuni depositi, che teneua . La mattina che fu l'ultima, calò a dir messa, si mise a seder per qualche tempo al confessionale, e poi ritiratosi in camera si pose in  agonia, e spirò alle 14 hore, come appunto si haueua predetto. D'an. 70 - Della Comp/a a 35 - Professo di 3 uoti." - II testo parla da sé.
      Nell'Ingressus Novitiorum - annua 1587-1678 Coll. Neap. tomo 178, f. 90, troviamo:
      "Examinatus die 8 maggio 1621. P. Angelo Oliueto di V.  Princ. Ultra di anni trentasette incirca entrò nella Compagnia a 9 di Maggio 1621, contento d'osservare le regole, costitutioni et mododi uiuere di detta Compagnia et esser obbediente in qualsivoglia cosa propostagli et in confirmatione di cui s'è sottoscritto di propria mano

Angelo Oliueto
aet. 70
ingr.
9 mali 1621
Juris
Utriusque
Doct.
Coadiutor
Spirt.
formatus
12 Jun. 1633
in Esercizi
Spir/li 30
Peregrinatio 16
Hospedale 20
Officii Humili 46

      A conferma del grande zelo e del profondo spirito missionario, che animava la vita di questo nostro concittadino, abbiamo anche il piacere di leggere quattro lettere scritte di suo pugno, dalle cui espressioni possiamo cogliere ancora oggi l'effluvio profumato della sua santa vita.
      A.R.C.G. Coll. Fondo Gesuitico - tomo 737 f. 235 ..........
             "           "           "           "           "      "    "  280 ..........
             "           "           "           "           "      "    "  336 ..........
             "           "           "           "           "    739 "    60 ..........

      In Ingressus Novitiorum, l.c. fol. 287^ , troviamo notizie anche di un fratello laico di V. presso la stessa Comp. di Gesù:
      "Hora Giuseppe Annibale Pauese di V., terra appresso alla città di Treuico, di anni 23, di professione intagliatore, entrò nella Comp. di Gesù alli 30 di Xbre 1632, non hauendo impedimento alcuno, contento d'osservar le regole, costituzioni e modo di uiuere di detta Comp/a nel grado di Coadiutore temporale in offitii humili e bassi come è stato esaminato et in confirmatione di ciò si è fatto scriuere

Gio Pietro Sparano, per Annibale Pauese"

      Nei secoli XVII e XVIII, tutta la Baronia è fecondata dalla presenza edificante dei Figli di S. Francesco che, dal vicino Convento di Castel Baronia, rinomato centro di vita francescana, sollecitavano le nostre popolazioni alla radicalità evangelica.
      Anche Vallata offre alla Famiglia Francescana i suoi figli migliori. P. Cherubino Martini in "Volti di chiostro" (Bibl. Naz. Centr. Roma, 242 C. 439), a pag. 26 così si esprime:
      "Vallata, a quei tempi, era tutta francescana. I figli del Poverello d'Assisi erano di famiglia tra il popolo. Vi venivano dal vicino Convento di Castelbaronia, sede di studentato filosofico e teologico, edificando il popolo con le loro eminenti virtù. Basta ricordare il beato F. Bartolomeo da Montealbano e F. Isidoro da Baselice ... Segnaliamo il Servo di Dio F. Tommaso da Vallata, morto in preghiera
il Servo di Dio F. Tommaso da Vallata, morto in preghiera il 31 marzo 1684 (Secondo il Mícr. 31 marzo 1685), uomo di austera penitenza, di veglie continue, missionario per 43 anni nella Macedonia, nell'Epiro, al Cairo, nell'Arabia, ripetutamente battuto a sangue fino alla morte.








      Ricordiamo Mons. Antonio Geremia Bufalo, vescovo, e l'altro non meno celebre P. Tommaso da Vallata, Ministro Provinciale, che nel 1745 scrisse il Micrologium della provincia di S. Angelo".
      Il Pandzic, in Annales Minorum, vol. XXXI, pag. 79, così ricorda il missionario: "P.Tommaso da V., era già 5 anni missionario in Terra Santa, quando, su proposta di P. Marco de Luca, fu nominato dalla S. C. di Propaganda Fide il 1° ottobre 1663 Prefetto della rinnovata missione dei Frati Minori Riformati in Egitto". Nel vol. XXXII, pag. 62, così completa: "In questo ufficio di Prefetto della missione in Egitto rimase 7 anni. Vecchio, stanco e ammalato rinunziò all'ufficio nel 1670, con intenzione di ritirarsi in Italia, nella propria provincia religiosa di S. Angelo di Puglia. La S. C. di Prop. Fide acconsentì al suo desiderio e gli nominò il successore nella persona di P. Daniele di Arezzo, il 12 gennaio 1671 ".
      In "Bibliografia della Terra Santa e dell'Oriente Francescano" di Golubovich Girolamo et Somigli Teodosio Coll. Oriente, presso la bibliot. Apost. Vaticana, vol. XXVII, parte III, f. 368, è ricordato come l'azione missionaria di questi eroici francescani è ostacolata, fino alla persecuzione, da parte dei Maomettani, tanto che fra Ludovico da Benevento è costretto a lasciare l'Egitto, per tornare in Terra Santa: "Tornato che fui nel Cairo, consegnai a P. Tommaso di Vallata, Prefetto della missione di Egitto, 150 reali di Spagna, un calice, missale, camise, due lampade e piside con altre cose di divozione... più dentro, in quelle parti vi sono grandissime spese, e bisogna comprare sino un bicchier d'acqua, non essendo in quei paesi fontane né fiumi... Questo dì 5 aprile 1670". Possiamo quindi immaginare in quali condizioni abbiano essi dovuto agire.
      Tornato in Italia il nostro P. Tommaso continuò certamente a trasfondere i tesori del suo zelo apostolico sulle nostre popolazioni irpine, trascorrendo gli ultimi anni della sua vita nella pratica più assidua di quelle eminenti virtù esercitate in missione per tanti anni. Chiuse la sua vita nel Convento di S. Francesco in Ariano il 31 marzo 1685, come aveva predetto. La tradizione francescana lo venera come servo di Dio, per il suo profondo spirito missionario e per le sue eroiche virtù.
      Ricordiamo ugualmente anche l'altro P. Tommaso da V., Ministro Provinciale, che nel 1745 scrisse il Micrologium frane. della prov. di S. Angelo, in cui figurano parecchi vallatesi, rivelando così la florida ubertosità del vivaio vocazionale di V.
      P. Giordano, in un suo libro dei Frati Minori a Serino, a pag. 189, ricorda un P. Giambattista Cerrecchia da V. 1847.
      Ma colui che ha lasciato un'impronta indelebile proprio nell'Irpinia e nel Sannio, per la sua opera evangelizzatrice e rinnovatrice, è stato P. Erminio Colella da V., morto in concetto di santità.
      Era nato in Napoli da Nicola Colella, dottore in medicina, e da Maria Paletta il 18 ottobre 1823 ed aveva ricevuto al battesimo i nomi di Ernesto, Luigi, Francesco. La famiglia, di origine vallatele, viveva in Napoli, ma ben presto tornò in paese, a causa di alcune vicende familiari. La serenità di vita in casa Colella fu turbata dalla morte del genitore, per cui il giovane Ernesto, che già nell'adolescenza aveva sentito forte l'anelito alla virtù, ebbe l'occasione di maturare maggiormente la vocazione alla vita consacrata nell'Ordine francescano.
      Nel 1842 entrò nel Convento di Ariano Irp., ed il 21 novembre 1844 emise la professione solenne, pigliando il nome di Fra Erminio da Vallata, cui si sentiva legato; nel 1847 ebbe il Suddiaconato e Diaconato nel Convento di S. Giorgio del Sannio; fu consacrato Sacerdote a 25 anni, il 5 marzo 1848.
      Una rivista francescana "Fiorita", anno V, N. 2 febbr. 1932, pag. 5, così lo ricordava:
      "Come era stato modello di osservanza ai suoi compagni di chiericato, lo fu sempre meglio da Sacerdote, nelle comunità dove i Superiori lo destinarono. Fervido nella devozione, lo si vedeva lungamente meditare e pregare, gustando con dolcezza di asceta ogni orazione, che le sue labbra pronunziavano. Era amante della ritiratezza; nella cella, tra la lettura della Sacra Scrittura e dei migliori mistici, si sentiva veramente vicino al cielo. Se ne allontanava per adempiere i suoi doveri religiosi o per ufficio del ministero sacerdotale. L'orto e il bosco del Convento gli serviva per onesta ricreazione, durante la quale coltivava fiori per il SS. Sacramento, piantava alberelli, ricuciva siepi o zappava i grani di fresco germogliati".
      A Paduli, nell'orto del Convento, ancora si conservano dei cipressi da lui ritirati, come annota egli stesso in un suo scritto, dal vivaio di Montecalvo nel 1856, piantati di sua mano e innaffiati nei periodi estivi.
      Ben presto si rivelò un valente predicatore. P. Ludovico Ventura, suo discepolo, così scrisse di lui: "Non v'era arte nei suoi discorsi ma c'era l'anima innamorata di Dio. Ognuno l'ascoltava come se parlasse particolarmente e direttamente a lui, tanta era l'immediatezza del suo linguaggio. Che poi più che essere suo, era il linguaggio dei Libri Santi e dei Padri della Chiesa. Il suo pensiero si snodava ricamato felicemente in continuo intreccio di sentenze, immagini e fatti scritturistici" (Fiorita, l.c.).
      Durante il periodo della soppressione, che portò all'eliminazione di tanti conventi anche da noi, egli, con l'autorità della vita zelante e santa, divenne ben presto il centro d'unione dei Religiosi dispersi, che gli meritò il titolo di Restauratore del francescanesimo nel Sannio e nell'Irpinia. La sua opera divenne molto più incisiva quando nel luglio 1889, nel Capitolo celebratosi nel Convento di Paduli, fu eletto Ministro Provinciale a pieni voti, pur avendo egli tentato, nella sua umiltà, di sfuggire a tale incarico.
      Ebbe fiducia nel Signore ed intraprese il nuovo lavoro con zelo instancabile. In quella circostanza scriveva: "ho speranza che il Signore vorrà aiutarci e permettere che questa nostra provincia risorga a novella vita. Sento il dovere di adoperare tutte le forze, affinché risorga riformata allo spirito di stretta osservanza". Suo pensiero fu la formazione dei giovani: apri la casa di Noviziato a Casalbore, e ben presto il Chiericato a Paduli, cominciando ad avere un aumento di vocazioni.
      Badò alla formazione di nuovi laici, raccogliendo ben presto frutti di una rifioritura di vita francescana ovunque nella zona, tanto che i Superiori maggiori di Roma guardavano alla provincia con viva compiacenza: "Non posso non lodare il di lei zelo per introdurre l'esatta osservanza della regola. Prosegua con alacrità, fidando nell'aiuto del Signore e nella Benedizione di S. Francesco, che non potranno mancare" (Lettera di P. Raffaele D'Aurillac, Delegato Gen/le, del 1° sett. 1891).
      Nel Capitolo del 25 Luglio 1895 fu riconfermato Ministro Provinciale ed egli si affrettò a dare le dimissioni, che non furono accettate; si rimise pertanto al lavoro con rinnovato impegno, concentrando la sua attenzione su tre punti basilari: formazione dei giovani, vita comune, riscatto dei conventi.
      Una nuova primavera trionfava ovunque: Paduli, Casalbore, Montecalvo, Ascoli Satriano, S. Bartolomeo in Gaddo, S. Martino Valle Caudina, Castel Baronia, Circello. I giovani erano affascinati dalla -sua virtù e dalla sua bontà, e formati da ottimi maestri, che egli prepose nelle varie case.
      Il fondamento di tanta operosità fu la sua vita interiore, percorsa da un grande amore di Dio, che si esprimeva nell'amore per gli altri: i confratelli nel Sacerdozio, i giovani che si preparavano ad esso, le popolazioni sannito-irpine, alla cui promozione umana e cristiana, dedicava la sua opera di predicatore, di confessore, di asceta.
      Il suo amore sprizzava scintille particolarmente verso l'Eucaristia, la Passione di Cristo, la Madonna. Viveva nello spirito della povertà serafica; con se stesso fu austerissimo, tanto da digiunare a pane ed acqua più volte la settimana e sul volto rispecchiava la purezza della sua vita.
      Si spense serenamente il 14 febbraio 1904 a Paduli, "in quella cella che era stata testimone di tutte le sue vigilie spirituali, colle labbra in preghiera, santamente, come era vissuto. Il suo ricordo rimane in benedizione ed il profumo soave delle sue virtù inondò i cuori che lo conobbero ed amarono" (Martini Cherurbino - Volti di chiostro, pag. 45).
      Il nostro stimato Mons. Vincenzo Gallicchio, Vic. Gen. di S. Angelo L/di, così lo ricordava: "Ho 82 anni e fin dall'infanzia ho avuto sempre il concetto che egli avesse raggiunta la perfezione dei santi.
      Quando veniva a V., spandeva intorno il profumo delle sue elette virtù e tutti rimanevano edificati dal suo contegno dignitoso e serio, stimandolo e venerandolo come uomo di santa vita".
      I resti mortali di P. Erminio, conservati per alcuni anni nel cimitero di Paduli, per vivo desiderio di alcuni suoi discepoli e per interessamento di P. Ludovico Ventura, furono trasportati e murati sulla parte destra della chiesa del Convento di Paduli, con una lapide marmorea che riporta questa iscrizione:

CORPUS A R.P. Herminii a Vallata
hic a fratribus compositum
A.D. MCMXXVII
In pace Christi quiescit.

      Il citato P. Cherubini gli dedica tutto un capitolo intitolato "Il restauratore", da cui il lettore può attingere maggiori dettagli.

      Ricordiamo brevemente infine un'altra simpatica figura di religioso, il cui ricordo è ancora vivo nel cuore di tanti Vallatesi: il Venerabile Vito Michele Di Netta, nato il 26 febbraio 1787 a Vallata da Platone e Rosa Villani, battezzato nello stesso giorno dal Sac. Vincenzo Monaco, sotto l'arcipretura di Giuseppe Maria Pali.




     
      Fu il primogenito di dieci figlie e l'anno della sua nascita coincise con l'anno della morte di S. Alfonso M. dei Liguori (+ 2/8/1787), quasi un segno indicativo del Cielo, che faceva dono alla Congregazione dei Redentoristi di un figlio che, emulando lo zelo e la santità del padre, sarebbe divenuto l'Apostolo delle Calabria.
      Per un primo approccio al Di Netta, lasciamo la penna a P. Antonio Di Coste del SS. R., che nella lettera dedicatoria del suo libro sul nostro Venerabile, così si esprime a pag. 7: "Bisognerebbe passare almeno qualche giorno colà, specialmente nei luoghi che furono dal Venerabile più frequentati, quali Tropea, Nicotera, Oppido, Mileto, Squillate, Gerace, Reggio, ecc. per accorgersi della fama che esso vi gode, colossale e vasta.
      Tutti ne parlano del ceto nobile e plebeo, sacerdoti, devote, signore, e lo hanno tutti per santo davvero. Ognuno sa raccontare qualcosa, una profezia, un atto straordinario di virtù, una grazia riportata, un'opera di zelo... e il Di Netta in mezzo di loro è una figura viva, una figura tuttora parlante".
      Dallo stesso libro ricaviamo una sintesi biografica del Venerabile.
      Dai genitori che non erano ricchi di beni materiali, ma tanto ricchi di fede viva e profonda, egli attinse quel senso cristiano della vita che fu il seme fecondo, da cui germogliò la sua santità. A quei tempi, un sacerdote intraprendente, D. Onorio Colella (non il Vicario Curato, vissuto nel secolo successivo), aveva aperto a V. una scuola, che era poi l'unica in paese, ed i genitori di Vito M. furono ben lieti di affidare il loro piccolo a questo colto Sacerdote, per l'apprendimento delle prime nozioni.
      Ma colui che incise profondamente nella sua formazione culturale e spirituale fu lo zio materno, D. Felice Villani, un ecclesiastico che univa alla dottrina un grande zelo e fervida attività pastorale, al quale dobbiamo la realizzazione del pregiato altare maggiore, tuttora esistente, anche se riattato alle nuove esigenze liturgiche, con preziosi arredi sacri e paramenti; questi fu un valido collaboratore dell'Arcip. D. Giuseppe M. Pali, spesso impedito per motivo di vecchiaia, cui successe nell'arcipretura nel 1808. Questo colto e zelante Sacerdote, intuendo nel ragazzo una predisposizione alla vita ecclesiastica, prese ad istruirlo nei primi elementi del latino e della grammatica, per prepararlo ad entrare nel Seminario di S. Angelo dei L/di, dove lo mandò più tardi a sue spese.
      Qui, pur trovando un ambiente adatto alla sua formazione, e pur riscuotendo stima dai compagni e benevolenza dai Superiori, notando in sé una grande aspirazione a vita più perfetta, maturò la sua vocazione religiosa, di cui subito mise al corrente lo zio, il quale pensò di orientarlo verso i Missionari Liguorini, già noti nella zona per le continue missioni popolari. In quel frattempo capitò a V. il Rev. P. Tannoia, futuro biografo di S. Alfonso, il quale dopo aver celebrato la messa, assistita con tanta devozione dal chierico Di Netta, fissandolo in volto, e come ispirato, gli disse: "il Signore ti chiama nella nostra Congregazione, per divenire uno zelante missionario nella sua mistica vigna".
      Fu una vera profezia, che eliminò ogni dubbio circa la scelta della congregazione: lo zio provvide ad espletare le prime pratiche per l'ammissione al convento di Deliceto ed inviò pure una lettera di presentazione al P. D. Nicola M. Laudisio, che fu poi vescovo di Policastro, in data 7 ott. 1804. La lettera così si esprimeva: "Avendomi scritto il Sig. Duca di Bovino, che oggi sarebbe venuto alla Consolazione (così si chiamava la casa di Deliceto), ho stimato col medesimo incontro mandare il mio nipote, affinché il P. Tannoia, come mi fu scritto, l'esaminasse, e scandagliasse il talento del figliolo. Con la sua mediazione, la quale prego adoperare con tutta l'efficacia perché venga ricevuto, mi auguro l'intento. Il giovane, benché non perfezionato nella umanità, ha buon talento, onde nel ritiro farà certamente dello sviluppo. Dunque si cooperi con impegno, ed attenda farlo ritirare consolato ...".
      L'esame ebbe esito positivo ed il giovane, fuori di sé per la gioia di poter realizzare il suo sogno, rientrò in Seminario, in attesa che il Rettore Maggiore D. Pietro Blasucci lo chiamasse per l'ammissione al Noviziato. Intanto passava del tempo e l'ammissione al Noviziato non giungeva, procurando al nostro Vito M. una terribile sofferenza interiore, perché non si rendeva conto di. questo inspiegabile ritardo.
      In quei tempi, tristi per il noto regalismo, c'era una legge che proibiva al Rettore maggiore di accettare giovani nel proprio Istituto senza dispaccio reale, che glielo avesse consentito. E tale dispaccio tardava a venire.
      Intanto venne a sapere che un suo coetaneo di V., Gaetano Monaco, era entrato nello Istituto, e non sapendosi spiegare il mistero, scrisse allo zio: "Ho inteso che Gaetano Monaco sia stato ricevuto nella religione dei PP. Missionari. Com'è possibile? Per me ci voleva il dispaccio, e per il detto no? Forse vi saranno stati più impegni? Come si sia non deggio affligermi. Ma vi prego di impegnarvi fortemente: che almeno io sia ricevuto per il 21 maggio, piacendo al Signore".
      La verità era che il Monaco aveva si richiesto di essere ammessi in Congregazione, ma non avendo ottenuto il regio placito, aveva rivolta la sua domanda per interessamento forse di D. Vincenzo Monaco, non più ai Redentoristi del Regno di Napoli, ma a quelli dello Stato Pontificio, ai quali presiedeva il P. Francesco Di Paola, residente in Frosinone, e questi l'aveva accettato, credendo di poterlo fare in forza di un rescritto pontificio. Saputo ciò, scrisse anche lui al P. Di Paola, pregandolo di essere accettato colà. Riuscì ed il 14 marzo 1805 egli da S. Angelo a Cupolo, ov'era il Noviziato per lo Stato Pontificio, poteva scrivere soddisfatto allo zio D. Felice: "Domani ad otto, venerdì ventuno, speriamo nel Signore di entrare nel Noviziato...". Ma non fu così. L'ingresso nel Noviziato, per circostanze sopravvenute, fu differito al 1° aprile 1805. La data giunse finalmente ed egli, col cuore alla gola, iniziò il suo lavoro di perfezionamento con impegno e responsabilità, sotto la guida dell'ottimo P.
      Fastaglia, insigne maestro nelle vie dello spirito.
      Ne danno testimonianza le sue stesse parole: "Vito Michele, egli scrisse, a che fare sei venuto nella Congregazione? Perché tanti impegni e tanta sollecitudine hai posto per sfuggire dal secolo e ritirarti in religione? Forse per menare una vita comoda ed agiata, per sfuggire i patimenti ed i disprezzi? Ah! certamente no... lungi sia dal tuo pensiero un tal fine. il tuo soggiorno e la tua vita in Congregazione dev'essere lo studio d'imitare più da vicino le virtù e gli esempi di Gesù Cristo. Esso dev'essere il tuo modello, imitandolo in tutte le tue azioni, se vuoi godere pace in questa vita e la beatitudine nell'altra, godendolo da faccia a faccia. Onde se sei stato sollecito di ritirarti nella sua casa, devi essere anche sollecito d'imitare e praticare le sue santissime virtù".
      Per attuare questo programma di vita, prese a modello S. Stanislao Kosta, e giunse poi alla determinazione "che il mondo doveva essere per sempre crocifisso a lui, ed egli al mondo, e come S. Paolo essere sempre confitto alla croce del suo Signore".
      Nel suo cammino di perfezionamento, attraverso l'amore al silenzio, alla solitudine, alla meditazione, alla preghiera assidua, egli si vide maggiormente impegnato nella pratica dell'umiltà, della modestia, della mortificazione, che saranno poi le caratteristiche della sua santità.
      La gioia che riempiva la sua vita, traspariva anche dal suo volto, tanto da poter scrivere allo zio, in una lettera del 27 sett. 1805:
      "... Mi rattrovo al sommo contento, grazie al Signore, dello stato abbracciato, e di aver quivi preso il sentiero della vera saviezza ...".
      Con fervore emise la sua professione religiosa il 29 genn. 1806, proponendo di "consacrarsi totalmente ed irrevocabilmente all'amore e al servizio di Gesù Redentore".
      Ma una dura prova lo attendeva prima di andare oltre. Aveva appena ripreso gli studi, dopo la sua professione, quando nel giugno 1806, Napoleone I, avendo strappato al Papa lo Stato di Benevento, soppresse conventi e monasteri, disperdendone i beni e scacciandone i religiosi. Il nostro Venerabile, con le lacrime agli occhi, dovette riprendere la via di Vallata.
      Qui si sentiva come sbalzato d'un tratto fuori del suo centro, disorientato, incerto su quanto il futuro gli potesse riservare. Ma ben presto si riprese dal colpo, fidando nel Signore. Si conservò fedele all'orario ed alle pratiche della comunità, inserendosi facilmente nella vita della Parrocchia e della famiglia naturale. Non gli mancarono certamente l'aiuto del Clero ed il sostegno di una famiglia esemplare, ma non mancarono nemmeno insinuazioni da parte di qualcuno ad abbandonare la vita religiosa e ad orientarsi per altra meta. Egli non vacillò mai, ed a chi gli sussurrava di lasciare l'abito religioso protestava energicamente "che lo avrebbe smesso soltanto con la morte".
      C'era poi al suo fianco colui nel quale egli aveva riposto tanta fiducia, il sempre attivo zio D. Felice Villani, che oltre a guidarlo spiritualmente, in questo periodo di prova, lo avrà certamente iniziato alle prime esperienze pastorali, rivelatesi poi tanto utili per il suo futuro apostolato. Lo zelo instancabile di questo santo sacerdote e per il decoro della casa di Dio, di cui conserviamo tante testimonianze, e per la salvezza delle anime, avrà certamente lasciato nel cuore del giovane nipote un'impronta indelebile, che caratterizzò pure il ministero sacerdotale di colui che sarà chiamato lo "Apostolo delle Calabrie".
      Essendo il medesimo anche preparato culturalmente, si preoccupò di non fargli interrompere gli studi, insegnando personalmente al nipote tutto il corso di logica e metafisica del Capocasale, aritme- tica e geometria con un po' di fisica, e il Diritto di natura e delle genti di Einnecio. Possiamo quindi dedurre che la formazione spirituale e culturale del nostro Di Netta, non subì interruzioni in questo periodo di prova, ma ne uscì collaudata.
      Finalmente, sul principio del 1808, quando lo zio divenne Arciprete di V., il nostro Novizio ebbe l'invito dai Superiori di portarsi a Pagani, dove fu accolto con tanta cordialità, come comunicò allo zio. Da Pagani passò a Ciorani per qualche mese di Noviziato ancora, e poi a Deliceto, dove emise la sua professione definitiva e solenne il 25 aprile 1808.
      Molto significativo il programma di vita che si stabilisce in questo periodo, come risulta dal suo Diario Spirituale, in cui divide le sue pratiche di perfezione secondo i giorni della settimana. Per ognuno di questi egli si prefigge una meta da raggiungere: ha un pensiero centrale di base, cui indirizzare la mente, ed ha ogni giorno atti speciali di virtù, con opportune mortificazioni, giaculatorie e preghiere...
      Cerca così di impegnare mente, cuore e corpo in modo che nessun momento della giornata gli possa rimanere infruttuoso.
      Per motivo di brevità, trascriviamo soltanto quanto egli aveva stabilito per la Domenica:

      I) Offrirai tutte le tue opere a Dio, tuo Creatore e Padrone ed in onore dei tuoi Santi avvocati protettori.
      II) Il tuo pensiero deve occuparsi nel considerare i grandi benefizi ricevuti da Dio, e specialmente della tua vocazione, e col piangere i tuoi misfatti, e domandar perdono delle offese fatte; e per questo effetto reciterai tre Salve Regina a Maria SS., affinché ti ottenga il perdono dei tuoi peccati, ed insieme ringraziare il tuo Signore di non averti fatto morire.
      III) In questo giorno ti occuperai altresì di far bene le opere e gli esercizi comuni, pensando di tenere avanti gli occhi Dio assistente. E preparati bene con esaminarti e correggerti dei mancamenti, e insieme procura di avere un dolore perfetto.
      IV) Farai spesso in questo giorno atti di fede, di speranza e di carità, e ti impegnerai, più di ogni altra, di acquistare quest'ultima.
      V) La tua mortificazione sarà di portare le catenelle fin dopo il ringraziamento.
      VI) Le giaculatorie saranno: Signore, misericordia, perdonate al peccatore più ingrato che avete sulla terra! Maria SS/ma ottenetemi voi il perdono dal vostro Figlio!
      E così, con la stessa minuziosità, stabilisce per gli altri giorni della settimana. Fa seguire delle massime scritturistiche e patristiche, cui ispira la sua vita. Ne riportiamo alcune soltanto sulla fede, speranza e carità:
      a) Omnia possibilia sunt credenti (S. Marco).
      b) Ecce spes laetat nos, nutrit nos, confirmat nos, in ista laboriosa vita consolatur nos (S. Agostino).
      c) Caput sine membris, fides sine operibus (S. Agostino).
      Inoltre: "Il Divin Redentore chiamò gli Apostoli suoi "sale della terra e luce del mondo". Su tali parole poggiato, l'Angelico disse che all'Apostolo non basta la sola santità della vita, adombrata nel sale, ma si richiede altresì la competetente dottrina, adombrata nella luce. La santità e la dottrina sono le due gemme, che devono fregiare l'Apostolo". E nel nostro Venerabile, accanto all'amore per la virtù, vediamo crescere l'amore per la scienza.
      A questo punto lasciamo la penna ad un suo discepolo, e successivamente compagno di apostolato, P. Fimmanò, che così descriveva le qualità intellettuali del suo maestro:
      "Il P. Di Netta, che ad occhi meno avveduti sembrava uomo mezzanamente istruito, aveva invece ricevuto dalla prodiga natura uno spirito pronto, esteso, attivissimo, un ingegno perspicace e penetrante, un'ammirabile facilità di apprendere le cose, le forme, le relazioni di ogni maniera, una avidità incredibile di sapere, ed una memoria assai docile, vigorosa e tenace... Perciò appena bilustre, era abbastanza inoltrato nello studio dell'Umanità, e dopo il noviziato fece rapidissimi progressi nel corso intero dell'amena letteratura".
      Rientrato nella Congragazione all'inizio del 1808, dopo la forzata vacanza vallatele, in cui però aveva espletato con lo zio il corso di Filosofia, con le altre discipline proprie della cosidetta Alta Umanità, sotto. la guida di P. Migliaccio, si applicò allo studio della Teologia dommatica e morale, del Diritto Canonico e degli elementi del Diritto Civile. Si distinse per la serietà d'impegno, per cui fu subito ammesso agli Ordini Minori, che ricevette dal Vescovo di Lacedonia, il dì 11 giugno 1808. Il Suddiaconato lo ricevette il 17 dic. 1808 e il Diaconato il 23 sett. 1809.
      Ormai si avvicinava il giorno .radioso della sua Ordinazione sacerdotale, che costituiva l'ideale appassionato della sua vita, ed alla quale cercava di prepararsi nel migliore dei modi. Non faceva egli uso di molti libri. Come più tardi da superiore e da missionario egli aveva sempre a portata di mano la Bibbia e l'Imitazione di Cristo, da cui attingeva luce, forza ed altri carismi di cui era desideroso.
      Il tempo che gli rimaneva libero dagli studi, lo passava davanti al Crocifisso in camera, o davanti al SS. Sacramento in cappella. "Man mano che si avvicinava la data stabilita e sospirata, lo si vedeva più assiduo, più raccolto, più silenzioso, più raggiante altresì e più assorto" (Di Costa).
      In questi suoi lunghi colloqui con Dio, stabiliva nel solito Diario quanto segue: "Risoluzioni e propositi:
      I) Altra strada non vi è di giungere alla perfezione che di eseguire perfettamente le disposizioni divine. Sii dunque disposto ad abbracciare tutto ciò che Dio vuole.
      II) La tua orazione sarà di piangere i tuoi peccati, e di estirpare dal tuo cuore le passioni, e di evitare quanto più puoi i difetti.
      III) Devi sperare la vita eterna più peri meriti di G. C., e non Biffi- darti della misericordia di Dio.
      IV) Quanto farai di bene dalla mattina alla sera, tutto devi offrirlo al tuo Dio, in isconto dei tuoi peccati; e nel principio, metà e fine di ciascheduna opera dirai: Ad maiorem Dei gloriam et Beatae M. Virginís honorem!
      V) Il tuo prossimo devi stimarlo della stessa maniera che la tua persona, e perciò, né col pensiero, né con le azioni, devi punto disgustarlo, rimirando in esso la stessa persona di G. C.
      VI) Il tuo nemico capitale dev'essere il tuo medesimo corpo, e mai devi concedergli tregua.
      VII) Devi nell'orazione assodarti nella verità, toccarla a fondo a mezzo di una viva fede, per averne profitto da essa; devi masticar le pillole per trarne salute, e non inghiottirle a cagione de I l'a mareggia mento, e quindi fuggire le dolcezze, e mettere in praticai desideri santi, dovendoti essere ciò di grande importanza ...".
      Queste risoluzioni parlano da sé, in quanto pregne di radicalità evangelica, per cui ci lasciano intuire profondo impegno e senso di responsabilità.
      Il 30 marzo 1811 ricevette l'Ordinazione sacerdotale dal Vescovo di Lacedonia. Non ci permettiamo di scandagliare i sentimenti del suo cuore in tale circostanza, noti solo a Dio, ma non possiamo fare a meno di riportare la testimonianza viva di un teste oculare, che così depose nel processo informativo:
      "Il modo di celebrare la S. Messa, afferma il teste, era come di estatico, era da serafino, ed il suo volto spirava santità... nell'apparecchio che premetteva, e nel lungo e fervoroso ringraziamento che seguiva, genuflesso avanti al Sacro Ciborio, con le mani giunte al petto, ti commoveva l'animo, appariva fuor di sé, come fosse rapito... ti sembrava ravvisare un santo".
      La Messa e il Divin Sacramento divennero il centro della sua vita sacerdotale.
      "Fu chiamato il Ven. Di Netta, ricorda il citato Di Coste, - Un tipo di perfezione ecclesiastica -. Tale realmente apparve dal primo momento di sua ordinazione sacerdotale fino all'ultimo dei suoi giorni, ed in questa frase si compendia l'elogio di lui più bello".
      Dai contemporanei del Venerabile si è potuto sapere che a Vallata si fermò soltanto due giorni, dopo l'ordinazione, tale era l'ansia d'iniziare il suo lavoro apostolico. Ben presto infatti fu destinato alla casa di Catanzaro; con poche parole ne rese partecipe lo zio Arciprete: "Domani appunto (10 ott. 1811) partiremo per le Calabrie, piacendo al Signore. lo ne vado contento, ci scopro in questo la volontà di Dio! La città di Catanzaro formerà ...".
      Ma ben presto lasciò Catanzaro, per stabilirsi a Tropea, dove rimase quasi ininterrottamente fino alla morte. Qui si manifestò la sua meravigliosa operosità, a beneficio di tutte le popolazioni della regione, che raggiunse ovunque, nei grandi centri e nei paesi sperduti fra le montagne: lo spirito di Dio lo investe, dalla sua bocca erompono fiamme di eloquenza, semplice e profonda, che scuote e commuove, costringendo quasi tutti ad inginocchiarsi, a pregare, a convertirsi.
      Basta scorrere le pagine del suo processo, per cogliere dal vivo un coro di voci esaltanti l'immenso bene da lui operato in tutte le zone della Calabria, per cui ben a ragione è ricordato come l'Apostolo delle Calabrie, "l'uomo votato al vantaggio spirituale di quelle anime, fino ad esaurirsi per esse".
      Era impegnato nelle Missioni per otto mesi all'anno, e gli altri mesi erano riservati allo studio, alla meditazione, alle confessioni, alla predicazione sporadica, ecc. - E questo per ben 37 anni. Durante le missioni trascurava persino di dare sue notizie ai familiari, ed allo zio che tanto stimava così scriveva, scusandosi, nel sett. 1816: "... nel novembre prossimo usciremo in missione. In questo anno per sette mesi abbiamo faticato. Le richieste sono innumerabili, non essendoci in queste Calabrie che pochi operai nella vigna del Signore, e quei quattro mesi che siamo dentro, siamo sempre applicati per panegirici, per discorsi e per novene. Da ciò vedete se ho tempo di scrivere; la sola necessità mi costringe qualche volta. Tutto ad maiorem Dei gloriam!".
      Come spiegare tanta fecondità di apostolato?
      Una prima, sicura chiave d'interpretazione ce l'offre egli stesso in un proposito così formulato: "Rinnovo il proposito di essere fedele osservatore delle mie regole, e d'imitare per quanto potrò la vita del mio B.P. Alfonso". E sotto tanti aspetti il Ven. Di Netta fece rivivere in sé lo spirito del suo Fondatore: questi vedeva G.C. nel prossimo, e da ciò i grandi prodigie le meraviglie di un apostolato senza riscontro nel Regno di Napoli; e l'emulo discepolo esclamava: "Propongo di riguardare G. C. nel prossimo, e di non fare cosa alcuna che disgusti lo stesso nel confessare, nel predicare e nel trattare", e altrove ripete: "Risolvo e rinnovo il proposito di considerare G. C. nel prossimo, e trattarlo come dovrei trattare lui medesimo". Da ciò comprendiamo come il nostro venerabile abbia operato prodigi e meraviglie nelle Calabrie, ripetendo ciò che S. Alfonso aveva fatto in Campania.
      Penetrò in quasi tutti i paesi delle diocesi di Tropea e Nicotera, di Mileto, di Oppido, di Gerace, di Squillate, di Reggio, e in molti paesi anche della diocesi di Cosenza. Eppure non aveva doti eccezionali di grande predicatore di missioni: non aveva una statura imponente e robusta, né voce molto forte e sonora, ma la sua parola, a detta dei contemporanei, era incisiva, penetrante, scultoria e toccante, accompagnata sempre da una sua unzione particolare che, come calamita, attirava a sé i cuori e, come dardo, li penetrava e spezzava.
      I due poli della sua vita erano: la gloria di Dio e la salvezza delle anime, per cui non ci poteva essere posto per sublimità di discorsi o di dottrine peregrine, per frasi scelte o periodi torniti, ma c'era solo il linguaggio penetrante e tagliente della convinzione interiore, del "contemplata tradere". Il tutto poi era fecondato da fervida e costante preghiera e da rigide mortificazioni: discipline, cilizi, polveri amare nei cibi, astinenze, sonni disagiati, veglie, ecce.
      Per dare poi una certa continuità ai frutti della missione, cercava di stabilire ovunque l'uso della meditazione quotidiana, grande devozione al SS. Sacramento ed alla Madonna, consuetudine delle Quarantore, zelo per ricostruzione di Parrocchie e manutenzione delle chiese, esercizi di carità, istruzione religiosa, pie unioni di ragazze, che spesso orientava per la vita religiosa o di consacrazione al Signore nel secolo, trasmettendo alle più sensibili l'impulso per la verginità, associazioni di uomini, di giovani, di operai, per animare dall'interno le varie comunità. Un santo non può appagarsi dei frutti di una circostanza straordinaria, come la missione, ma mira al sempre, alla totalità della donazione a Dio ed agli uomini.
      In tutte queste realizzazioni avrà certamente contribuito l'esperienza fatta nella Parrocchia di Vallata che, soprattutto in quel periodo, era particolarmente sensibile, come abbiamo avuto modo di evidenziare, a tutte queste opere formative, caritative e sociali, nonché allo splendore della casa di Dio, sentita come casa comune di tutti.
      Questa sua prima esperienza giovanile, fatta in Parrocchia alimentata dal suo profondo spirito interiore, e fecondata dal suo spirito profetico, lo ha sollecitato a diventare il precursore dei tempi moderni: oggi più che mai è avvertita infatti l'esigenza di un animazione dall'interno della società, nella prospettiva evangelica del "lievito nella massa".
      In lui, vita interiore e vita apostolica s'intrecciavano e s'integravano in una sintesi meravigliosa; la vita interiore alimentava e fecondava la vita apostolica, e la vita apostolica verificava ed incrementava la vita interiore.
      I suoi contemporanei sono concordi nell'affermare: "Ore intiere passava inginocchiato e con le mani giunge innanzi al Sacro Ciborio, stando senza appoggio, tanto da destar meraviglia a chi l'avesse osservato... quando stava innanzi a Gesù Sacramentato con le braccia conserte (in lui è abituale questa posizione, anche di notte) e con il volto tutto acceso, sembrava un serafino d'amore".
      Per il nostro Venerabile non c'era separazione o conflittualità fra dimensione "verticale" ed "orizzontale", ma le due dimensioni formavano in lui una "croce" (richiamata anche dalla sua posizione abituale delle braccia incrociate al petto, com'è anche raffigurato nelle immagini) su cui, con profonda e sincera umiltà (si stimava un "nulla", un "peccatore", e si autodefiniva "ciucciariello" o "fango"), univa il sacrificio della sua vita a quello di Cristo: con grande spirito di abnegazione, vinceva tutti nel lavoro e, all'occorrenza, suppliva tutti.
      Il citato P. Di Coste, che scriveva la biografia nel lontano 1914, quando la fama di santità del nostro Venerabile era ancora più viva e diffusa, a pag. 116 afferma al riguardo: —— fu la grande mortificazione esteriore ed interiore del P. Di Netta, che portarono le popolazioni ad ammirarlo e seguirlo. Egli giunse alla totale abnegazione, alla perfetta distruzione di sé, e visse tutto per gli altri, fino a riuscire, per usare una parola tutta moderna, un vero altruista".
      Queste mortificazioni, con astinenze e digiuni vari, con uso di erbe amarissime nei cibi (aveva sempre con sé una provvista di brundulia, erba che abbonda iri Calabria), aveva portato il Venerabile ad una perfetta padronanza di sé, tanto da apparire sempre sano, vegeto, robusto.
      In questi lunghi anni di apostolato, un'unica volta tornò a Vallata, ed i parenti nella emozione della gioia cercavano di trattarlo con qualche distinzione a tavola. Egli se ne lamentò, e non lo permise, protestando bastargli un tozzo di pane ed un po' di rozza minestra.
      Per questa dedizione totale ed incondizionata al popolo calabrese, il Di Netta era ritenuto non solo l'Apostolo delle Calabrie, ma il vero "Padre" di quei popoli, e come tale essi continuano a riverirlo e ad amarlo, essendo stato "tutto per tutti".
      Verso i 60 anni la sua fibra, messa a dura prova per il lungo lavoro di 37 anni di apostolato e di missioni, con tutti i disagi che ciò comportava, cominciò a cedere ad un malessere generale ed a forti crisi di asma, che tanto lo facevano soffrire. Ma egli esclamava: "Sia fatta la volontà di Dio... Dio ha sofferto tanto per me e io è poco quello che soffro per Lui ..." - In casa non smise di confessare se non quando fu costretto a rimanere a letto, confidando al Padre Primicerio: "lo morrò nel giorno di S. Francesco Saverio, l'Apostolo delle Indie".
      Quando la notte del 1° dic. 1849 le condizioni si aggravarono in modo preoccupante, egli ripetè al P. Mazzei: "Figlio, andatevi a coricare, che io stanotte non muoio... deve arrivare il giorno di S. Francesco Saverio".
      E così il tre dicembre il P. Di Netta, secondo le testimonianze di quanti erano presenti nella sua camera, esclamando a fil di voce: "Eccomi qui, Gesù mio... Eccomi" si addormentò sereno nel Signore, verso le nove del mattino. Aveva 62 anni e 9 mesi. Nel 1910 il Papa S. Pio X nominò la Commissione dell'introduzione della Causa di beatificazione.
      Dopo pochi anni, il 25 marzo 1935 il Papa Pio XI, nel proclamare la eroicità delle sue virtù, affermava: "la sua anima si rivela con una grandezza di proporzioni che annunzia un'anima gigante. Venerabile Sacerdote, venerabile Apostolo, e Missionario del popolo".
      Da allora il P. Di Netta è chiamato col titolo di "Venerabile Servo di Dio".
      In questi ultimi anni più vivo si è acceso il desiderio di vederlo elevato all'onore degli altari, per cui accogliamo, con profonda gratitudine e con vivo compiacimento, l'iniziativa presa dai Padri Redentoristi di Tropea di organizzare nella Chiesa del Gesù, dove il Venerabile è sepolto, delle celebrazioni commemorative di questo degno e venerato figlio di Vallata, inaugurando per quella circostanza anche un Museo dei suoi ricordi personali.
      Il Signore voglia confermare con nuovi miracoli la santità del suo Servo fedele, perché possa continuare a trasmettere ancora a noi il messaggio, quanto mai attuale, di una vita spesa per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime, nel segno della "croce": una croce piantata al centro del suo cuore ardente di amore, per sentirsi crocifisso con Cristo alla ricerca dei "crocifissi" di sempre.

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      Dopo aver ricordato alcuni figli di V., che hanno onorato il nostro paese ovunque sono giunti, cerchiamo di ricordare pure, almeno con lo stato nominativo, quelle persone che, nel silenzio e in piena solidarietà con la gente, soprattutto nei momenti difficili, hanno dato il loro umile contributo per la crescita umana e cristiana della popolazione sul posto.
      L'elenco di questi sconosciuti è il risultato di un lungo e paziente lavoro di ricerca, elaborata personalmente sui registri, che si conservano nel nostro archivio parrocchiale, dal quale abbiamo già ripor- tato alcune interessanti notizie. La compilazione e conservazione di questi registri, sono dovute alla paziente opera del clero nel passato, che ha rivelato impegno ed efficienza, anche nel campo anagrafico, spesso ravvivato di preziosissime chiose che, come sprazzi di luce, ci aiutano a scoprire il passato ed a conoscere meglio noi stessi.
      Peccato che i primi registri, risalenti al Mille circa, siano andati smarriti per le vicissitudini storiche o, probabilmente, per un incendio dell'archivio insieme alla chiesa, perché il primo registro dei Battesimi che abbiamo attualmente era il decimo della serie, per cui gli altri nove sono andati smarriti. Comunque, anche questo in nostro possesso rimonta al 1593, una data di tutto rispetto.
      Cominciamo quindi con lo stato nominativo del Clero per passare poi anche ad altre categorie.

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