SCRITTI VARI - Tommaso Mario Pavese - Elogi.

Elogi.

        In morte di Re Umberto I. — Rammenti eterno ai popoli, Se in lor memoria langue, Di quanto pianto e sangue Grondi lo scettro ai re.

        F. Cavallotti. — In morte di L. Napoleone.
        Egli è morto ! Il 30 luglio del corrente anno, quando dall'uno all'altro lembo d'Italia s'è ripetuto questo grido straziante di dolore, che le città italiane, attonite perplesse ed atterrite si sono andate ripetendo l'un l'altra, io mi sentii il sangue come fare un tuffo, corrermi un brivido per le ossa, ed il pensiero mi vacillò in modo strano e pauroso.
        Come ? E' morto Umberto ? Ma è possibile ? Pur troppo era vero !
        La terribile nuova si sparse in un attimo, come la vampa che si propaga per una striscia di polvere. L'Italia ne rimase un momento sbigottita; poi subito si commosse, si agitò, e fu invasa da quella inquietudine tormentosa che non consente nè riposo, nè occupazione. I cittadini uscirono fuori dalle case , dalle officine , dalle fabbriche; gli affari furono interrotti , le botteghe abbandonate, i negozi chiusi : su tutti i Comuni si issavano le bandiere tricolori, abbrunate da un drappo funereo; e le squille, solenni annunziatrici di grave sciagura, lanciavano nell'aria lunghi rintocchi lugubri. Chi non ha veduto l'Italia in quel giorno non saprà mai come, e in quale misura , il gran Re fosse amato , fosse adorato dal popolo. Dappertutto , un vagare inquieto di gente che domandava ansiosamente le ultime notizie : un correre, un fermarsi, un aggrupparsi in capannelli che, all'aria aperta, commentavano a bassa voce le circostanze più note della morte del sovrano; su tutti i volti lo sgomento, il raccapriccio; su tutte le bocche l'ingiuria, l'imprecazione per l'infame assassino.
        Morto è Umberto ! Era semplice il grido , ma d'un estesissimo significato. Con quella piccolissima espressione s'intendeva dire : il re prode, il re giusto, il re magnanimo è morto ! È morto chi tanta cura prendeva per la felicità, per la prosperità, pel benessere d'Italia.
        Umberto aveva ereditato dal padre ogni nobile e magnanimo sentimento di coraggio , di fortezza, di bontà, di generosità. In guerra , era lampo, era fulmine , che violentemente dardeggiava i nemici. Là dove ferveva più accanita la mischia, egli pronto accorreva; lanciavasi, combattendo, tra le prime file; incitava, col suo affascinante eloquio e coll'esempio, i suoi commilitoni a dar prove ammirabili di abnegazione e di valore; ridestava negli animi più abbattuti ed affranti il coraggio; era insomma pel popolo italiano quello che per i corpi è il sole. 1 soldati, sul campo di battaglia, avevano ammirato in lui il magnanimo e prode re che, sorvolando, trascorreva impavido per la miscea de' forti, spargendo intorno a sè la sconfitta de' nemici : duce sempre vincitore e mai vinto. Nella campagna di guerra contro gli austriaci per l'indipendenza d'Italia, a Custoza, a Palestro ed a Villafranca, tutti avevano riconosciuto in lui il degno figlio di chi, udendo il rombo del cannone, aveva detto a Goito:
        “Ah ! Questa è una musica che mi piace„ .
        Sono pure note a tutti le innumerevoli prove della sua bontà e della sua magnanimità. Saputa la nuova del terremoto, era subito accorso a Casamicciola, ed era stato colà immensamente prodigo di aiuto , e di soccorso. Nel 1884, a Napoli, era corso là dove il pericolo era più tremendo, dove il colera morbus infieriva di più e la morte era più inevitabile. Innanzi al pericolo non retrocedeva, anzi levava l'austera fronte impavida e sfidava la morte, recandosi nei più sozzi e miseri tuguri, nei tazzaretti più micidiali. Sovveniva tutti, stringeva la mano ai miseri ed agli afflitti, per confortarli a bene sperare; incessantemente mostravasi buono, liberale, generoso, e dettava nel petto di ognuno un sentimento indelebile di amore, di stima e di gratitudine. Questo era uno de' migliori re italiani, considerandolo sotto tutti i rispetti ; perciò sarà immortale la sua gloria, la stima, l'amore della Nazione. Gl'italiani si terranno sempre scolpita ne' loro cuori la sua nobile figura, ed egli eternamente sorviverà al suo cenere. L' Italia venererà sempre un sovrano che, per 22 anni di glorioso reame, ha assai splendidamente governato le sue belle contrade ; ha reso potente e temuta una nazione, che appena da poco era sorta e poteva chiamarsi tale; ed è stato, infine, fautore di ogni più ardita e gloriosa intrapresa.
        Ed ora un tal Re è morto ! Ora quell'uomo, anzi quell'idea, anzi quella fede, il cui nome all'aurora della mia intelligenza si era. affacciato di già riverberato e riverberante fra i nomi che illustrarono Italia e Roma; quell'uomo che io non vidi mai, ma la cui figura, uscendo dall'iride delle fantasie dell'adolescenza, mi si era delineata, nelle opere, sempre più grande e severa innanzi al pensiero; ora quel nume indigete della patria doveva essere morto? Possibile ? Pur troppo, lo era!
        Giustizia fu, però, assai losca con lui, poiché, sui valli combattuti, gli negava dividere, coi mille eroi prodemente morti pugnando, gli onori distinti d'una morte per la Patria; e lo rendeva invece infelice bersaglio de' proiettili di un infame assassino, da cui trucemente lo faceva strappare all'amore della Nazione. Ahi ! Perchè la sua vita doveva così presto spegnersi; perchè doveva finire così male quell' uomo ch’ era stato il terror de' nemici, l'orgoglio dello Stato, l'amante della prosperità e del benessere del suo popolo? Questa morte intempestiva faceva provare agl'italiani un dolore immenso, e produceva ne' loro petti una ferita irrimarginabile.
        Egli moriva ; e come dovettero essere terribili i suoi ultimi istanti di vita ! Il suo primo pensiero fu certamente rivolto al figlio, che doveva essere il suo successore; a quel Figlio, da lui amato tanto, a cui, morente, non poteva dare i paterni consigli sul modo di governare, l'ultimo addio, l'ultimo bacio l'ultimo amplesso !... E perciò, da che tristezza profonda non dovè sentirsi presa l'anima di quel' Grande, in quell'istante in cui si sentì spogliare dall'inviluppo terreno e venir meno sotto le profonde ferite del piombo micidiale ? Quali acerbi dolori dovettero assalire il suo nobile cuore, allorchè vide, accanto al suo letto di morte, adagiata, con la faccia pallida, con le pupille gonfie di lacrime, la figura soave della sua Margherita, le cui preghiere sarebbero bastate a far tornare indietro l'angelo della morte, se alcuna potenza umana fosse valsa a cangiare i decreti alti e imperscrutabili della Provvidenza. Eppure di lì a poco egli doveva abbandonare, tutto il suo popolo, che gli era stato prodigo di sì smisurato affetto, la sua famiglia, la sua patria, La sua mano cadeva inerte..., quella mano invitta che, sui campi di battaglia, aveva portato, come in pace, alta la bandiera de' destini ,d'Italia. E quando Vittorio Emanuele III si accostò al padre esanime, che dovette egli interpretare dal suo muto aspetto, quali avevan dovuto essere le sue ultime parole, i suoi pensieri? Egli ben lo intendeva. Il labbro del padre morente aveva articolato ancora distintamente l'ultima raccomandazione : “Sii forte, giusto, clemente ; ama l'Italia, il tuo popolo, la libertà„ .
        Così Umberto era morto, aveva chiusi al dì i fulgenti occhi , il secondo Re d'Italia libera non doveva più essere, la sua valida opera, il suo genio non doveva più adoperarsi per la grandezza e la potenza della nazione. Ma tu, augusto monarca, dall'avello, porgi ancora l'orecchio al tuo popolo, ai tuoi sudditi devoti. Io, ardente ammiratore delle tue virtù, e indegno più che altri mai di narrarle, son venuto oggi a temprare il mio duolo, esaltando i tuoi meriti insigni; io, augustissimo sovrano, ti saluto, e con me ti saluta ancora tutta la nazione, immensamente afflitta e costernata per la tua morte ; un popolo intero, di te rimasto orbo, per te prega, e ti compiange. Tu accetta le nostre preghiere ! Credilo, è il nostro amore vergine di servo encomio ; i nostri cuori non mentono il dolore; il nostro pianto, le nostre lacrime su questa amata tomba sono pure come quel lauro che ti cinge la veneranda fronte. Noi ammirammo fortemente il tuo valore, la tua abnegazione, la tua virtù, noi fortemente ti amammo e ti adorammo; accetta dunque i nostri suffragi, le nostre preci: Dormi, o Umberto ! E i placidi sonni tuoi consoli la corona di lauro e d'edera intessuta che noi, mesti, sulla tua augusta arca deponiamo. Noi reverentemente prostrati sulle urne degli eroi, supplici innalziamo all'eterno un cantico : Sia lieve — a te che ci amasti — il suolo che ti copre ; gli angeli veglino eternamente su di te, e colle loro auspici ali ti covrino e ti proteggano ; per te i loro mesti e fervidi concenti si elevino fino al Cielo, e t'intercedino la calma, la pace, la beatitudine perpetua; la nostra voce, anche nel Nulla, ti bandisca il nostro amore, la nostra stima, la nostra venerazione, e gratitudine perenne . (Agosto 1900).

        Margherita! — Se non potesse sembrare una mancanza di ammirazione e di affetto, o addirittura una irriverenza il non unire il proprio pensiero commosso a quello che ha sinceramente fasciato di dolore tutta l'anima italiana per la triste dipartita, in questa circostanza, io preferirei tacere.. Ma il sentimento ha, vivaddio, una forza ad ogni altra superiore, che avvolge, entusiasma e trascina.. Voglio perciò condensare il mio pensiero in questa affermazione che brevemente lumeggerò : Con Margherita di Savoia non passa una Donna, non muore una Regina ; ma vive e si eterna un simbolo, un'idea : il simbolo e l'idea del miglior fascino italiano, che si rivelò e si sintetizzò in Lei nella triplice manifestazione della leggiadria, dell'intelligenza e dell'amor patrio. Non passò quella donna, giacchè vigile ed eterno sopravvive il suo spirito nei memori animi. Non morì una regina ! Perchè il popolo italiano la chiamò, gran tempo, figlià e sorella, come veracemente poetò il nostro maggior vate contemporaneo :

       “Fulgida e bionda ne l'adamàntina
       luce del serto tu passi, e il popolo
       superbo di te si compiace
       qual di figlia che vada a l'altare;

       con un sorriso misto di lacrime
       la verginetta ti guarda, e trepida
       le braccia porgendo ti dice
       come a suora maggior — Margherita !—„

        Figlia e sorella, dunque ; ma io aggiungo ben altro : Madre del popolo italiano ! E non sembri un'incompatibilità ed un contrasto : perchè appunto — come per figlia — i vecchi si compiacquero di lei, che allora ascendeva il soglio; i coetanei ne gioirono come per sorella e, come madre, le vollero poi bene le nuove generazioni.
        Onde ne venne ? ! Portò nel sangue il biondo della razza germanica ; furono italiani , invece , il lampo della sua intelligenza, il suo spirito artistico, la sua gentilezza. E l'Italia fu l’unica grande Patria, che ella — doverosamente — riconobbe, vantandosi de' suoi antenati — eroi, martiri, santi — da quando Umberto Biancamano fondò la stirpe,. sino a quando Vittorio Emanuele III re - soldato, raccolse sui campi di battaglia, dai primi a gli ultimi, gli squilli delle nostre vittorie. E come già il suo augusto consorte, presenziando a romani ludi ginnici, aveva esalato la vita; cosí ella, presenziando a patriottiche commemorazioni, contrae la fiera malattia che la conduce gloriosamente alla tomba Amò le arti nella più smagliante loro espressione, la poesia e la musica. Onde il vate cantò:

       
       “Quando la Donna Sabauda il fulgido
       sguardo al liuto reca e su 'l memore
       ministro d'eroici lai
       la mano e l'inclita fronte piega,

       commove un conscio spirito l'agili corde„ .

        Interpreto qui un po' diversamente da qualche altro, e spiego così : persino le corde si commuovono al tocco della sua mano, mosse da uno spirito consapevole, e quasi consapevoli esse stesse dello squisito talento artistico della regina. E questo ritengo che sia stato il pensiero di chi scrisse.
        Quasi nessuno, tra i molti che hanno commemorato la stupenda Margherita , ha ricordato questa seconda alcaica del Carducci, quasi non meno bella della prima. Sarà stato per una non giusta dimenticanza; non sarà, certo, un indizio di scarsa coltura , tale da far credere che i più conoscano il Carducci solo attraverso le antologie. In essa , la Canzone, la Sirventese e la Pastorella sorgono per inviare alla regina un alto sospiro d'anime; per applaudirla col grido"

        “Avanti, Savoia ! non anche
        tutta désti la bandiera al vento„ ;

        per dirle : da ogni sito, a te

        “io reco il blando riso de' parvoli,
        di spose e figlie reco le lacrime
        e i cenni de' capi canuti
        che ti salutano pia madre. „

        Si compendiano così le virtù di Margherita in una triplice manifestazione di amore : per l' arte, per il popolo, per le patrie memorie. Ed Arte, Popolo e Patria abbrunano oggi i loro vessilli, intorno alla sua lagrimata salma : col cuore che non dimentica! Non dimentica lei splendida idea e mecenate delle arti più belle e più nobili ; lei amica di quelli che soffrivano nei tuguri, negli ospedali, nelle pubbliche calamità; lei che incoraggiò col suo sorriso soave i combattenti, e che dette il suo respiro quasi ultimo presso ai monumenti che ricordano gli eroi. I vecchi, gli adulti e le generazioni nuove avranno , quindi, sempre il pensiero rivolto a lei, per ricordare, anche col cuore in cui si incidono gli affetti più puri e più forti , che ella è un fulgido esempio e che, perciò , con Margherita di Savoia non passa una donna, non muore una regina ; ma vive e si eterna un simbolo, un' idea : il simbolo e l'idea del miglior fascino italiano, che si rivelò e si sintetizzò in lei nella triplice manifestazione della leggiadria , dell' intelligenza e dell' amor patrio.

        “Salve, o tu buona, sin che i fantasimi
        di Raffaello ne' puri vesperi
        trasvolin d'Italia e tra' lauri
        la canzon del Petrarca sospiri !„
                                                                  (1926)

*      *

        In morte del cav. V. G. — Tre note importanti risaltano in quella che fu la vita del dottor G.: istruzione, religione, amore alla famiglia. Mentre la molto agiata condizione sociale in cui nacque avrebbe quasi potuto distoglierlo dall'addottorarsi, egli, con fermezza, seppe ritrarsi dai facili allettamenti che da tale circostanza potevano venirgli, e darsi con profitto a gli studii, tanto che, nei tempi migliori della sua vita, riuscì valente nella sua professione. A nulla influì che un male crudele, da qualche tempo, gli avesse attenuato in parte i lumi dell'intelligenza. Come le cieche forze della natura, per mezzo di sconvolgimenti tumultuosi e desolanti, le cui cause sono ancora in gran parte sconosciute, in un attimo solo talora abbattono città fiorenti e, sui campi già sorrisi da splendori, diffondono la tristezza e la morte : così, anch'esse tolgono talvolta quei raggi d'ingegno che avevano prima elargito. Ma, come. la lampada, anche se vicina a spegnersi, dà di tanto in tanto de' guizzi di luce, che mostrano pur sempre la fiamma ardente: così, anche affievolita dalla malattia, l'intelligenza di V. G. talora riviveva in un'osservazione acuta e convincente, che dimostrava con evidenza i segni dell'intelligenza antica. — Il sub sentimento religioso, specialmente negli ultimi anni, fu così forte da poter sembrare bigottismo. Non è il caso di discutere ora se il sentimento religioso abbia ragion d'esistere, anche di fronte a gli assalti della critica scientifica e filosofica moderna: è certo però che la religione, intesa con fervore e con sennato consiglio, è la più grande spinta al bene, e di questo è il migliore baluardo, specialmente fra popoli in cui il sentimento morale non ha molto progredito. Comunque, la religione fu veramente sentita da V. G., senza alcuna ipocrisia : perchè, a parer mio, l'ipocrisia può, esser quella che si mostra in chiesa o in piazza, non .quella che, nel segreto di una stanza, invoca dal Cielo Dio e Madonne, Angeli e Santi. — L' amore per la famiglia fu da lui così fortemente nutrito che, da molti anni, appartatosi da ogni esplicazione di vita pubblica, viveva solo nell'affetto de' suoi ,e nella vita intima. In parte a ciò lo determinarono le sue condizioni fisiche, ma è pur doveroso riconoscere che, fin dai tempi della sua migliore giovinezza, l'amore per la famiglia fu il suo più nobile e più vivo entusiasmo.
        Di fronte a questa triplice manifestazione di virtù, ,cade nel fango ogni contumelia vile ed ogni livida accusa. Tutti gli uomini han dovuto pur troppo conoscere, specialmente in vita, gli strali della maldicenza e degl'invidi rancori. Ma poichè

        “non vive oltre la tomba ira nemica„ ,

        le critiche dall'odio lanciate in vita giacciono infrante dinanzi alla maestà della morte. E perciò, come qualche neo spesso contribuisce a rendere maggiore la bellezza del volto; come, squarciate le nuvole, più bello e più radiante si mostra il sole, così le vili calunnie insozzano solo chi le proferisce, e più bella e più luminosa risalta dalla tomba la figura morale e civile dell'estinto. - Sia dunque lieve, a te che lo meritasti, la terra che ti copre ; le lodi e le preghiere de' buoni, il santo affetto de' tuoi, la fede e la virtù della tua vita, ti guidino, come fu costante tuo desiderio, in Cielo. (Agosto 1909).

        In morte dello studente G. D. G. — Signori, quasi messaggera di sventure, da vari giorni la caligine occupa il nostro cielo, e questo si stempera continuamente in lagrime, che invocano, conciliano, chiedono dolore. Ma , piú che pianto e dolore, la morte di G. D. G. ha seminato in noi tutti lo sgomento ed il terrore. Morire nel fior degli anni, quando l'animo si schiude appena alle più belle speranze, e la gagliardia, la giovinezza del corpo sembrano di per sè stesse un'irrisione ed una sfida alla morte, è cosa tanto improvvisa, tanto inaspettata, tanto truce, che non può l'animo umano contentarsi solamente del solito sfogo del pianto.
        E' comune e giusto il detto che la morte tutti annienta ed agguaglia, ricchi e poveri, miseri e potenti: ma non interamente è giusta la sentenza oraziana, che — cioè — essa batte con ritmo equo alle casette de' poveri ed alle torri de' re. Quando, senza distinguere le età e le condizioni diverse, essa atterra inconsultamente i nati di ieri, ed arrossa la turpe falce nera nel giovin sangue; quando tronca il sorriso e la speranza nel cuore delle madri, spegnendo il vagito sulla rosea bocca de' bimbi, che alla vita si affacciano or ora; quando spezza le giovinezze nel pieno rigoglio, prima che abbiano attuato le loro fiorenti promesse : mentre lascia invece continuamente vivere coloro che nel male continuamente si corrompono, s'insudiciano, s'infangano ; coloro cui la vita stessa è ormai in uggia, perchè troppo essa si prolunga tra infermità' ed altre disgrazie : oh, allora non può dirsi che risponda troppo al vero quel che crede il Venosino, che, cioè,

        “pallida Mors aequo pulsai pede pauperum tabernas regumque turres „ !

        Più vera e più efficace è l'elegia carducciana nell'epidemia difterica:

        “Ahi tristi case dove tu innanzi a' volti de' padri,
        pallida, muta diva, spegni le vite nuove !
        Ivi non più le stanze sonanti di risi e di festa
        o di bisbigli, come nidi d'augelli a maggio :
        ivi non più il rumore de gli anni lieti crescenti,
        non de gli amor le cure, non d'imeneo le danze :
        invecchian ivi ne l'ombra i superstiti, al rombo
        del tuo ritorno teso l'orecchio, o dea. „

        Anche con lirismo che ritrae molto la realtà, esattamente ragiona il Leopardi e canta:

        “Natura, illaudabil maraviglia,
        Che per uccider partorisci e nutri,
        Se danno è del mortale
        Immaturo perir, come il consenti
        In quei capi innocenti?
        Se ben, perchè funesta,
        Perchè sovra ogni male,
        A chi si parte, a chi rimane in vita,
        Inconsolabil fai tal dipartita ?

        E, prima ancora, anche meglio, Omero aveva già osservato : Quale la generazione delle foglie; che nascono, vegetano , appassiscono , ed il vento subito le porta via; tale è la generazione degli uomini: nascono, brevemente vivono, muoiono.
        Muoiono e lasciano negli animi lo sconforto ed il dolore, tanto più atroce, quanto più presto le ,giovani vite sono recise. Può dirsi che G. D. G. non fosse ancora entrato nella vera vita : quella fatta di lotte, di battaglie, di ansie, di disillusioni, d'ingiustizie arrecate e subite, che noi quotidianamente viviamo. La vita aveva solo cominciato a conoscerla, con sincerità di carattere e nobiltà di sentimento, che gli facevano liberamente esprimere le proprie opinioni, ed amare le classi povere non meno delle potenti, la giustizia più che il sopruso, la verità, più che la viltà e la menzogna: aveva,cominciato a conoscerla solo attraverso un fervido amore allo studio, in cui si era sempre, sin da' primi anni, egregiamente distinto. Intanto, a nulla son giovati gli anni spesi nello studio : una grave e penosa malattia l'ha in pochi giorni minato e, nel breve recinto di una stanza, l'ha soffocato, l'ha violentemente distrutto, lasciando i suoi genitori e la famiglia tutta in angoscioso pianto, in opprimente dolore. — Ben furono, in confronto, avventurati quelli che, pur giovani e rigogliosi, perdettero la vita nell'ultima guerra: questi almeno non chiusero inutilmente i loro occhi tra il pianto, la desolazione e lo strazio de' genitori e della famiglia, ma tra il rombo del cannone e lo strepito della mitraglia, per il trionfo di un santo ideale. Ma, se per questo sacro e santo ideale non potè spendere e dare la vita colui che oggi rimpiangiamo, anche la sua morte ci lascia tuttavia un utile monito, facendoci pensare che Dio volle presto chiamarlo a sè, per averlo più immune da quelle colpe, nelle quali vien sempre, più o meno, involto fatalmente il protrarsi della vita. Sono passati appena pochi giorni da quando, l'ultima volta che lo vidi vivo, mi accompagnò, verso sera, per una via che menava ad un solitario Crocifisso, che sempre ci ammonisce come, vittima Egli stesso del pianto e del dolore, non poteva sottrarre e risparmiare al pianto ed al dolore l'umana famiglia. Eravamo soli, di lì a poco tornammo, e lo lasciai lungo la strada, sotto casa sua. Chi avrebbe mai, neppur lontanamente immaginato, pensato, creduto, se pur mi tosse stato detto, che non lo avrei più rivisto vivo ? ! Se questo avessi potuto sapere, non lo avrei lasciato così presto, perchè chi è sull'orlo della tomba, ed è per giunta quasi innocente, si trasforma, starei per dire, in un profeta, in un savio, in un veggente, che può dare utili consigli ed ammaestramenti ai superstiti, anche quando sono più di lui inoltrati negli anni; giacchè pure queste fiorenti giovinezze avrebbero forse illuminato il nostro avvenire, sarebbero forse state purissime fiamme di fede nel buono e nel vero, e sono state invece rese dalla morte forze di bene soppresse, ali d'ascensione spezzate, tesori d'amore, di lavoro, di sacrifizio, dispersi, violati, infranti... Il ricordo della semplicità della sua vita, intanto, il suo carattere aperto e franco, i suoi anni spesi nell'assiduo studio siano di mesto conforto a' suoi genitori ed alla sua famiglia : tanto più che la morte, anzichè un distacco da' propri cari, rappresenta solo una temporanea, momentanea separazione. Potremmo, perciò, manzonianamente esclamare : Domani verremo anche noi, quando, “col fiorellino ancora in boccia„ , cadrà insieme “il fiore già rigoglioso sullo stelo, al passar della falce, che pareggia tutte l'erbe del prato„ ! — Ed ora, amico, tu ci richiami e rinnovelli, così, ancora una volta l'acerbo dolore che provammo per tanti diletti compagni e congiunti, a noi precocemente, nel fior degli anni, come te, rapiti: tu riapri le ferite, ancora dolorosamente sanguinanti, di tanti padri, di tante madri, di tanti amici e congiunti, per cui i volti amati de' loro estinti rappresentano ormai solo un ricordo. Come a tutti i nostri cari sia a te il Cielo propizio !...
                                                                                (Novembre 1921).

        Lutto.--Dove movevi ieri, a passo affrettato, o G.? Quale interna voce accelerava il tuo cammino ed agitava il tuo spirito ? Forse che nel tuo cuore riecheggiava il noto richiamo di un tempo lontano, allorchè, in un ben tristo giorno, tu perdesti, bambino, la madre tua ? Tu. correvi ad un Tettuccio bianco, dove, in armonia col candore del lino, un cereo viso si andava componendo alla morte. Questa, in agguato, non vista, irrideva al dolore tuo e dei congiunti tuoi; e preparava il suo strappo finale a colei che, per tutta la vita, più che nel corpo, visse nell' ardente sua anima.
        Quindi è che, per quest'anima eletta, non un discorso io qui farò oggi nei modi che prescrive la retorica, ma cercherò piuttosto di interpetrare e di ritrarre, almeno in parte, il sentimento dell'addolorata famiglia e di quanti qui, veramente commossi, ,con sincerità si associano al suo lutto ed al suo pianto.
        Gentilezza e modestia — tanto più emergenti, .quanto più , con semplicità esemplare di costumi, -cercava quasi di nascondere lo splendore de' natali — furono le doti personali particolari di E. A.. Visse per la sua casa e per la sua famiglia, quasi un po' segregata dal resto del mondo, tutt'altro che per superbia, ma perchè forse le ripugnava quanto vi è di lurido nella vita, e perchè più fosse rimasta raccolta nelle sue memorie ultrasemisecolari di .questi luoghi e nel culto delle tradizioni avite.
        Non la vidi mai portare gioielli, nè ve n'era bisogno, appunto perchè gioiello era la stessa sua .anima. Non le vesti, gli ori e le gemme dovevano, nè potevano, infatti, adornarla e nobilitarla, quando il suo portamento, i suoi atti, le sue maniere squisitamente signorili erano, senza paragone, assai superiori allo sfarzo ed al lusso pettegolo ed attaccaticcio.
        Del resto, nessun ornamento sarebbe stato pari alla dignità innata del suo vivere e del suo sentire. In ogni esistenza umana, alle vicende liete si intrecciano anche quelle dolorose. Ma E. A. contro il dolore lottò da forte e non si abbattè, sin da quando rimase vedova in ancor giovane età. Come nei suolo più profondo , sotto il peso del terreno, delle rocce e degli oceani, si forma , a strato a strato, il cristallo, la perla ed il granito, essa formò, così, unicamente col fervore della sua volontà, la tempra adamantina del suo animo e del suo carattere.
        Divisa tra l' affetto dei suoi tre figli , viventi in località diverse , andava talvolta a visitarli e , or non è molto, la mesta rondine, la pellegrina appassionata tornò qui, da Flumeri , al nido delle sue memorie, dove aveva trascorsa la maggior parte della sua palpitante vita. Non l'unico affetto per il suo figlio V. la richiamava a Vallata, ma altri figli qui erano, i figli del figlio, qualcuno poppante ancora, ed altri più adulti, G. e R. , ai quali ultimi, per tanti anni , un destino crudele volle che essa fosse, come infatti fu, non la nonna, ma la madre.
        Tornò, dunque, l' appassionata pellegrina, tornò, — e non lo sapeva — per improvvisamente morire: e muore , mormorando un nome , come in uni frammento di elegia: E.! — E. , il suo nome, che essa affida, come un monito e come un pegno esemplare , a più giovanili membra; E., nome in cui compendiala sua storia, la bellezza, la dignità semplice e proba della sua vita.
        Pertanto, i figli ormai vecchi, insieme con quelli sin troppo giovani, depongono uniti la loro corona d'amore sul capo di quest' esile vecchietta che repentinamente scompare, addormentata nel mirifico sogno dell'Eternità: scompare. ma lascia la sua casa ed il suo paese saturi di quell'effluvio soave e profondo che, dalle tombe degli spiriti eletti, perennemente a noi manda natura.

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Dal Corriere dell'Irpinia, Avellino, 9 ottobre 1924.

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