SCRITTI VARI - Tommaso Mario Pavese - Per la Festa del Libro in Avellino.

Per la Festa del Libro in Avellino.

        Proemio — Gentili signore, illustri signori, sento innanzi tutto il dovere di ringraziare le rappresentanze del bel sesso qui intervenute e le Autorità che, con la loro presenza, accrescono lo splendore e l'importanza di questa “Festa„; gli attivi dirigenti e componenti del Comitato esecutivo che, con l'opera loro, hanno alleggerito, dirò anzi persino raddolcito, il lavoro per organizzarla, il quale, stante la mia lontananza da Avellino, senza il loro lodevole zelo, mi sarebbe riuscito ben più arduo. Ringrazio il professor Giacomo Melillo, per aver accettato il mio invito ad essere anche oratore in questa festa: egli vi parlerà dei vantaggi che dalla lettura del libro si ricavano, mentre io vi parlerò specialmente, con rapidissimi cenni, della storia e del libro irpino. Ringrazio i rappresentanti della stampa locale che, con i loro comunicati, hanno diffuso dappertutto le notizie di quanto noi andavamo svolgendo, nonché i librai ed i tipografi locali che, con le loro pregevoli ed artistiche mostre edicole, hanno partecipato alla festa nel modo più fattivo e concreto; ringrazio, infine, tutti quelli che hanno aderito, o che qui sono intervenuti, con la sublime coscienza che ad una “Festa del Libro„ nessun intellettuale deve considerarsi estraneo. E ringrazio il professor d'Amato per le belle parole che: ha avuto per me, che non le merito e che forse per una svista, certo per un atto di grande benevolenza, mi trovo qui designato Fiduciario per la provincia di Avellino, in questa bella Festa nazionale, quando altri ingegni del mio, oh ! ben più possenti, nel perimetro della natia regione, avrebbero potuto e dovuto meritamente avere tale onorifico incarico.
        Ebbene, io penso che, oltre a mostrarmi una benevolenza per la quale sono assai grato, si volle in me premiare piuttosto, con tale designazione, il mio amore incessante a questa verde Irpinia, per cui sento l'ardore, il crucio della passione, per non vederla a quel posto, che sorriso di natura, virili opere di mano e d'ingegno, d'antichi avi e di figli recenti, avrebbero dovuto assai meritatamente farle raggiungere. Quindi è che assai grato mi riesce innanzi tutto parlare di avvenimenti e di persone care, che al lustro della nostra Provincia grandemente contribuirono. Perchè chi, come me, è appena informato della storia di questa cara nostra terra, non può fare a meno di considerare quale sublime, costante teoria di opere egregie i padri ci tramandarono.
        Storia irpina. — Infatti, le aquile romane avevano appena fortemente già impennate le ali al volo, quando questo rude, fiero e montano popolo sannita, su in corsa per i clivi delle sue rocce, giù per i pendii e gli anfratti, nel solco profondo scavato nel terreno, nel taglio della adusta quercia secolare, in faccia al sole, alla pioggia, alla neve o alla tempesta, temprava i garetti ed i muscoli d'acciaio. E il fragore delle armi risonò nel Sannio fiero che, da forte, si azzuffò col Lazio forte. Ed il popolo romano, sia che lo avesse alleato nelle ardue guerre, sia che contro lui combattesse in strenua lotta, polso contro polso, petto contro petto, coraggio contro coraggio, eroismo contro eroismo, risentì ad un tratto come un sangue fraterno; e comprese che l'Irpino si chiamava così, perchè, come esso, aveva originariamente bevuto lo stesso latte della lupa dì Romolo: latte sacro pei Romani, che nel lupo simboleggiavano Marte.
        Diffusosi il Cristianesimo, la nostra regione ebbe poi i suoi martiri, i cui corpi si conservano ancora, nell'ipogeo della Chiesa di Atripalda; e persino vi è, presso Prata, un cimitero cristiano ed una catacomba, che risale al secondo secolo, quando i Cristiani erano perseguitati dai romani imperatori.
        Nel medio evo, invece, sembrò che un velo, quasi di inedia, si attardasse sulle nostre terre; ma forse più si attese, allora, all'opera feconda de' campi, e così la gioia del fecondo lavoro dovette formare, a quei tempi, il sorriso come canta Alfonso Carpentieri —

               “di queste terre tanto benedette,
               tanto ricche di belle forosette.„

        Teatro delle ultime resistenze dei Goti, sconfitti due volte da Narsete, il periodo storico più importante per l'Irpinia, in relazione coi popoli barbari, è quello .dei Longobardi e dei Normanni, sotto la cui dominazione ebbe origine la maggior parte de' nostri paesi. Come scrive il D'Amato, in “La Verde Irpinia„ dal quale attingo varie notizie, i Longobardi, impadronitisi di Benevento, occuparono Avellino, e poi i nostri monti, sui quali costruirono, da vincitori, rocche e castelli, e divisero il territorio in distretti amministrativi, che si raggruppavano intorno a una città, come a proprio centro (gastaldati). Per opera di Arechi 1 (591), Avellino divenne capoluogo di un gastaldato; e gastaldati furono anche Conia e Montella.
        Opera della permanenza dei Longobardi ad Avellino, — come scrive Alfonso Carpentieri —

               “ Ne vide quel Castello di splendori,
               di Corti ricche, di beltà famose,
               di guerrieri temuti e trionfatori !
               E ne sepper del Parco le ombre ascose
               di dame e cavalieri i cauti amori
               fra i cespi de le acacie e de le rose! …
               Ora i segreti custodisce amica
               fra le rovine la pungente ortica. „

        I Saraceni, chiamati dallo stesso principe longobardo Radelgiso, devastarono poi le nostre terre, verso 1'851.
        Venuti i Normanni, che, nel 1140, inaugurarono il loro dominio nell' Italia meridionale col parlamento generale di Ariano, si sostituirono a poco a poco ai Longobardi, e ai gastaldati seguirono le contee.
        I Normanni ebbero di contro i Bizantini, che lasciarono intatte le istituzioni locali.
        Federico II, geloso della suprema autorità impeciale, richiamò al dovere i signori e i baroni; non volle sentir parlare di podestà e di consoli e, temendo il risveglio popolare, appena permise che i rappresentanti delle città demaniali, i vescovi ed i feudataria intervenissero ai parlamenti generali.
        Con i re angioini, i baroni, cresciuti di potenza e di numero, ostacolarono le libertà comunali, intenti solo ad esigere prestazioni, collette, tasse, sovvenzioni al re; le condizioni storico - naturali del regno ostacolarono il formarsi della piccola proprietà e, favorendo invece il sistema del latifondo, crearono un sostrato indistruttibile dell' organizzazione feudale.
        I re aragonesi, nuovi padroni del regno, aggravarono di tasse le Università ed aumentarono la potenza dei baroni, che divennero quasi indipendenti.
        I duecento anni, che durò la mala signoria di Spagna, sono il periodo storico più duro ed infelice delle nostre regioni: pretese di donativi da parte del vice re, bilanci poveri, ingiustizie, arbitrii e, come se tutto questo non bastasse, terremoti, peste, carestia. I baroni erano tenuti a freno, anche brutalmente, dai vice re. La rivolta di Masaniello ebbe un contraccolpo nelle nostre province, e l' odio contro i baroni e i ricchi si manifestò finanche con uccisioni.
        I Borboni, e principalmente Carlo III, tendono, ad abbassare la potenza dei baroni, e ordinano che abbiano a cessare le irregolari ed ingiuste provvigioni, nonchè i loro abusi e le loro oppressioni. Per tanto, nel 1740, i beni feudali ed ecclesiastici erano sottoposti al pagamento delle imposte.
        Ma, la rivoluzione francese fu quella che preparò il colpo decisivo al feudalismo. La rivoluzione francese e poi la venuta dei Napoleonidi nel Napoletano segnano, anche per noi, un periodo di storia luminosa. In vari Comuni furono piantati alberi della libertà, ma il popolo rimase fedele ai Borboni, e accolse con entusiasmo le orde sanfediste del cardinale Ruffo ; che, sfruttando gli errori dei repubblicani irpini, ricchi di magnifiche idee teoriche, le quali s' infransero dinanzi alla realtà, aizzò contro questi ultimi la plebe.
        Giuseppe Napoleone, con la legge del 1806, abolì la feudalità, e la vita dei Comuni risentì subito di queste riforme.
        Funzionarono i decurionati (consigli comunali), si ebbero ufficii di registro, poste, insomma tutte quelle istituzioni che, maggiormente sviluppate, formarono le pagine più belle del regno d'Italia. L'8 agosto 1806 — pure — il capoluogo della provincia passò definitivamente da Montefusco ad Avellino, dove i suoi stessi principi non avevano permesso che i giustizieri presidi risiedessero, per non veder menomata la loro autorità feudale. E questa è, dunque, una data molto importante per l'Irpinia.
        Si formavano intanto delle società segrete, che facevano capo alla Carboneria; e carbonari vi erano in tutti i paesi della provincia.
        La notizia della Costituzione, largita agli Spagnuoli da Ferdinando VII, aveva entusiasmato gli abitanti del regno delle Due Sicilie. Spuntava ormai l'alba del Risorgimento nazionale. L'avellinese Lorenzo De Concili, del quale ha tessuto la storia, con competenza di studioso e con amore di concittadino, il professor Vincenzo Cannaviello, si mette a capo delle aspirazioni popolari e, d' accordo coi carbonari e coi liberali della provincia, crede giunto il momento che, anche ai discendenti dei fieri Sanniti, sia concessa quella libertà alla quale anelavano da tanto tempo.
        Le notizie bellicose di Avellino giungono a Nola, e spingono all'azione i sottotenenti Morelli e Silvati, che sono incoraggiati dal De Concili. Siamo così al luglio del 1820.
        Re Ferdinando dette la Costituzione, che giurò sul Vangelo, avendo, in tal modo, gl' irpini assai contribuito a quell' atto solenne, degno di popoli civili. Perciò, come ricorda il professor Cannaviello, in quel tempo il dire sono un irpino faceva tale impressione, che in tempi remoti avrebbe fatto il dire sono romano. Fu chiamato Squadrone sacro lo squadrone di cavalleria che primo inalberò il vessillo della rivolta; Avellino e Monteforte, che furono il teatro d'azione, furon detti Campo d'onore, e lo storico Colletta non potè fare a meno di osservare: gli Avellinesi han ripigliato il nome di Irpini e ne son degni.e lo storico Colletta non potè fare a meno di osservare: gli Avellinesi han ripigliato il nome di Irpini e ne son degni.

        Il libro irpino. - Così operarono i padri, ed il libro — oh ! già non dovevo parlarvi della “Festa del Libro„? —, il libro narra la loro storia perchè, nel libro appunto, è sintetizzata la vita, la storia, la gesta dei popoli. E se, nel campo dell' azione, tale fu la vita dei padri irpini, non meno fulgida essa risplende nel campo del libro, del pensiero.
        Io non vi tratterrò qui con una lunga disamina di codici, di manoscritti e di libri antichi regionali, perchè chi ha vaghezza di conoscerne i nomi, degli autori e dei titoli, può trovarli raccolti nelle varie “Bibliografie ragionate della provincia di Avelllino„ , che l'amico professor Antonio D'Amato viene diuturnamente raccogliendo, con incessante lodevole zelo. Tralascio, quindi, il resoconto dettagliato dei libri antichi, per accennare più particolarmente ai principali scrittori regionali, non solo moderni, ma anche recenti.
        E tre astri, sovra tutti piú luminosi, a me prima si presentano nella vita del pensiero irpino. Signori, ho nominato Francesco De Sanctis, Pietro Paolo Parzanese, Pasquale Stanislao Mancini.
        E qui mi pongo un problema, per me, a taglio netto, sicuro, deciso, risoluto: fu Francesco De Sanctis il più grande critico italiano, o il piú grande dei poeti della critica? Per me, fu senza dubbio il maggior poeta della critica, di cui egli quasi tralasciò il lato storico, nel quale fu poi così grande ed autorevole maestro Giosuè Carducci; e piú si intrattenne ad esaminare, con eletta anima di artista, con profondità di sentimenti, le anime fraternamente poetiche di Dante Alighieri, di Francesco Petrarca e d'altri minori.
        Così Francesca da Rimini e Farinata degli Uberti, Ugolino e Beatrice, Laura ed il suo immortale cantore ebbero nuovi inni nella prosa semplice ed armoniosa di Francesco De Sanctis ; che i esteticamente, con profonda ed acuta analisi psicologica,. ne ritesseva in nuovi canti la passionale vita.
        Ma, se Francesco De Sanctis fu il poeta della critica, il maggior poeta, in senso stretto, - e più multanime - dell' Irpinia fu, senza dubbio, Pietro, Paolo Parzanese, visto non solo nei suoi quasi improvvisati, freschi e sonanti carmi popolari, inneggianti all'amore santo, alla famiglia, alla patria, alla religione, cioè ai migliori sentimenti umani, ma anche nelle dotte e meditate traduzioni da vari poeti stranieri, o in altri poemi, o in analisi di critica artistica e letteraria, o nella prosa oratoria, dove l'anima del poeta più assurge nel campo del pensiero, ed è più presso a Dio.
        Pur nel campo della letteratura, con pubblicazioni in versi o in prosa, ma più specialmente nel campo del diritto, non italiano soltanto, ma anche interstatale, fu valente maestro Pasquale Stanislao Mancini che, a Torino, ebbe, dal D'Azeglio la cattedra di diritto internazionale, donde combattete la pena di morte, propugnò l' arbitrato delle nazioni e Ia libertà di tutti i popoli, in base al principio di nazionalità, preludendo sin d'allora a ciò che é stato attuato solo nei tempi più recenti.
        Vengo ai tempi attuali e, chiedendo venia per qualsiasi possibile involontaria dimenticanza, il mio reverente pensiero va innanzi tutto al senatore professor Enrico Cocchia, nato in Avellino e oriundo di Lesinali, che, per varie opere insigni di filologia classica, onora l'Irpinia e l'Italia nel mondo; ed elette tendenze, a questa affini, ha il valoroso professore Aurelio Giuseppe Amatucci da Sorbo Serpico, anch'egli pregiato autore di alcuni volumi riguardanti la letteratura latina.
        Negli studi filosofici, in cui già si erano prima valorosamente distinti Tommaso Rossi—meditando sull' immortalità dell' anima contro Epicuro e Lucrezio, e su la “Mente sovrana del mondo„ contro lo Spinoza —, ed Antonio Galasso da Avellino, confutatore di Hegel, per quanto ardente ammiratore del poderoso pensiero di Vico, sono stati, poi, emeriti maestri Paolo Raffaele Troiano da S. Angelo all' Esca, fervoroso credente, autore di “Le basi dell'umanismo„ , “I primordi della filosofia del diritto e della morale„ , “Rapporti tra l' Etica e la Metafisica di Aristotile„ , premiati dall' Accademia dei Lincei; ancora più recentemente, Aurelio Covotti da Ariano di Puglia, autore di profondi studi sulla storia della filosofia greca, su Pestalozzi e su Schopenhauer; ed Alfredo Bartolomei da S. Angelo dei Lombardi, acuto indagatore di sistemi di filosofia del diritto.
        Per pubblicazioni di storia e di geografia regionale, meritano lode Scipione Bellabona da Avellino, autore dei “Raguagli ,, con erudite note stoiche intorno alla nostra provincia ; Alessandro di Meo da Volturara Irpina, il Muratori dell' Irpinia, autore di “Annali critico-diplomatici del regno di Napoli della mezzana età„ studiati e lodati da Michele Amari, dal Capasso, dal Mommsen, dall'Hirsch, dallo Schipa; Tommaso Vitale, che pubblicò una esatta e critica “Storia di Ariano,, ; Ramondo Guarini da Mirabella Eclano, autore di importanti lavori topografici, riguardanti specialmente l'antico municipio romano di Eclano; Scipione Capone di Montella, autore di un “Saggio di bibliografia per la storia della provincia di Avellino„ ; Gabriele Grasso da Ariano di Puglia, che scrisse importanti e dotte memorie storiche; Giuseppe Pennetti, pure da Volturara Irpina, autore di una “Bi- blioteca storica della provincia di Avellino„ ; mons. Angelo Maria Iannacchini da Sturno, autore di una “Topografia dell'Irpinia „ ; Nicola Flammia, che pubblicò una “ Storia di Ariano„ e quattro libri di notizie riguardanti “P. P. Parzanese,, ; Francesco Scandone da Montella, autore di una “ Storia di Avellino „ e di “ L' Alta valle del Calore,, in tre volumi; Vito Acocella, che ha da poco pubblicato tre volumi intorno alla storia della sua “Calitri„ e notizie su “Conza„ .
        Nel campo delle scienze, ricorderemo tra i migliori Vincenzo Maria Santoli da Rocca S. Felice, acuto studioso di fenomeni vulcanici nella sua opera “De Mephiti et vallibus Anxanti„ ; Giovanni Gussone da Villamaina, autore di una classica opera intitolata “Synopsis florae siculae„ , in onore del quale si dette il nome al genere botanico gussonea ed all' altro gussonia; Salvatore De Renzi da Paternopoli, che scrisse di storia della medicina e specialmente della Scuola salernitana, dimostrardola derivata dalla civiltà latina, fecondata dal Cristianesimo; Luigi Amabile da Avellino, valente professore di patologia chirurgica e cultore di studi storici, tra i quali notevole quello su Tommaso, Campanella; Modestino. del Gaizo da Avellino, valente scienziato e maestro pure di storia della medicina; Angelo Maffucci da Calitri, instancabile nei suoi studi di patologia medica, specialmente per la lotta contro la tubercolosi; Alfonso del Re, anche da Calitri e Federico Amodeo da Avellino, autori di numerose e lodatissime pubblicazioni matematiche.
        Luigi Masucci, da Serino, compilò dotti e notevoli volumi di diritto penale; Francesco Pepere, da Avella, fu autore di una lodata enciclopedia e storia del diritto italiano; Francesco Tedesco, da Andretta, fece interessanti pubblicazioni intorno al “Codice delle strade„ a gli “Appalti di opere pubbliche„ ed a “Le tramvie„ ; Alfredo De Marsico, irpina per adozione, se non per nascita, è autore di scritti giuridici e di brillanti discorsi.
        Carlo Del Balzo, da S. Martino Valle Caudina, scrisse romanzi, discorsi ed accurati studi danteschi. Fra gli adoratori della Musa, ricorderò, col Parzanese, Marciano di Leo da Frigento, autore erudito e volenteroso, per quanto prolisso e assai .scarsamente originale, del poema “Il Tempio della Sapienza„ ; Carmelo Errico da Castel Baronia; che ebbe lodi dal Guerrazzi, per una giovanile poesia in onore dei morti di Mentana, e dal Carducci, per la facilità, il calore, l'affetto, il sentimento d'armonia e la fantasia. In occasione delle nozze dell'Errico con l'umbra Giulia Costantini, Gabriele D'Annunzio scriveva il “Trittico delle Sibille„ salutandolo poeta ibleo. Carmelo Errico, pei suoi “Convolvoli„ viene, per merito, subito dopo il Parzanese; egli vede e sogna sorrisi d'aria e di fanciulle e profumo di fiori. Nè dimenticherò il forbito e spesso elevato Angelo Acocella da Andretta, il semplice e spigliato Annibale Cerulli da Bellizzi, l'allegro Alfonso Carpentieri, vivace nel verso e nella novella.
        Francesco Lo Parco, da Ariano di Puglia, è autore di notevoli studi, specialmente su Dante, sul Petrarca e sul Parzanese. Il professor Filippo Visconti, da Atripalda, ha pubblicato studi critici intorno alla letteratura italiana, Francesco Branca una monografia storica su l'antica Lucera, Luigi Fedele una su Ariano di Puglia e Giuseppe Mercurio qualche libro scolastico.
        Due romanzi e commenti a, classici greci ha, fatto pubblicare Raffaele Onorato da Lacedonia. Giuseppe Bortone, pure da Lacedonia, ha pubblicato varii libri didattici; Francesco Galdenzi è autore di novelle (realistiche e idealistiche); io ho dato alla stampa versi, qualche novella , studii critici e sociali, discorsi.
        Del giornalismo e dei giornalisti irpini taccio, sia perchè non è qui luogo opportuno a parlarne, sia perchè di essi assai meglio potranno, anche in seguito, trattare quelli che, da tempo, li seguono più da vicino, come valenti colleghi, o quali 'infaticabili bibliofili, cioè Giuseppe Valagara, Vincenzo Boccieri, Alfonso Tino, Salvatore Pescatori.

        Il libro italiano. — Ed ora avrei finito di parlare, per quanto riguarda la provincia di Avellino, se non mi pungesse pur vivo il desiderio di conchiudere con un cenno del libro in genere, e del libro italiano in ispecie.
        Il libro — voi lo sapete — per essere utile, come scrisse il Giusti, dovrebbe innanzi tutto, per quanto più può, “rifar la gente„ , in caso diverso, “è meno che niente„. Rifarla intellettualmente o moralmente; istruirla, insomma, o educarla essere diretto alla mente o al cuore. Rifare, formare uno spirito nuovo nel popolo cui, indirizzato. Deve essere pei genitori il cibo intellettuale e morale, che dovrà nutrire e far germogliare la nuova progenie futura.
        E tale, in verità; fu di regola, il libro in Italia, se Dante Alighieri incise col maschio verso i tre regni dello spirito; se Petrarca, Ariosto e Tasso parlaron d'amore, di armi e di crociati; se Guicciardini ne tessè, l' imperitura storia; se Colombo, Galilei e Volta dettero alla vita le immortali scoperte; se Foscolo versò sui tumuli lagrime e fiori sempre verdi e venusti; se Leopardi penetrò nei profondi meandri del dolore umano; se Vittorio Alfieri calzò atleticamente i coturni; se Alessandro Manzoni, Giuseppe Parini e Giuseppe Giusti, dannaron alla gogna la lussuria imbelle ed insegnarono patriottiche virtù; se Giotto, Leonardo da Vinci; Raffaello, Michelangelo Buonarroti, Rossini, Bellini e Verdi ammaestrarono a dar fulgida espressione all'arte; se Antonio Rosmini e Vincenzo Gioberti scrissero di “Filosofia del diritto e della politica„ o del “Primato degli Italiani„ ; se Giosuè Carducci dette impeto alla storia, per trarne poesia; se Gabriele D'Annunzio espresse, con lirica multanime, sentimenti geniali e profondi; se Niccolò Machiavelli e Benito Mussolini pensarono a dare sana forma di governo ai popoli, freno ad inconsulti scioperi, nerbo alla Patria , i cui confini potranno oltrepassare il Brennero, indietreggiare mai.
        Ma, quando ci imprimeremo indelebilmente nella memoria, che il libro per gli Italiani deve essere pensato da scrittori italiani, stampato solo da tipografi italiani ? Oli ! io saluto con gioia la nascente “Accademia d'Italia„ perchè, se non pel grano e per il carbone, per il cervello almeno dobbiamo, e ne siamo sicuri! bastare a noi stessi.
        Cominci da oggi questa volontà nuova, oggi che per la prima volta si festeggia in Italia il libro, eterno maestro dei popoli, per incoraggiamento di S. E. Fedele che , in questi giorni, ha emanato in proposito una bella ed opportuna circolare.
        Ma, più della “Commedia„ , più del “Canzoniere„ più del “Furioso„ e della “Liberata„ più delle istorie, della politica e dell' arte italiana, il più bello, il migliore dei libri, qual' è, per gl'Italiani ?
        È quello ancora non scritto, ma che i seicentomila morti dell'ultima guerra, e gli altri tutti che valorosamente la combattettero, non scrissero, come nessun poeta ha mai scritto, ma vissero, per un'Italia imperiale.
        O sacri giorni del santo maggio rinnovellantesi,. in cui qui svestii le umili spoglie del borghese, per indossare quelle gloriose del soldato. O crisma nuovo degl' Italiani nuovi !
        Sembrava che, pur su dalle cime del Partenio, dove il monaco non tristo s' ascose, ma accumulò, pagina su pagina le notizie alla storia, pur su dalle cime eccelse dei nostri monti, gli antichi eroi risorgessero e vampassero nei petti delle falangi nuove.
        O nostalgici giorni, in cui la forza del cannone che frantumava le rocce, sprizzava scintille emulanti in luminosità il raggio di Dio.
        E fortemente pugnarono e vinsero; perchè Trento e Trieste non rappresentano l’espansione di una maggiore potenza politica ed economica, ma la Patria, il complemento necessario, storico, geografico fatale di quella stessa Italia, che i nostri padri ricercarono sui campi di Magenta, di San Martino Solferino, di Marsala e di Mentana; di quella. Italia, non più splendida genialità di fantasia soltanto, ma possanza di concreto volere.
        Quest'Italia nuova che, dopo avere incontrato sempre, dall'Alpi ai suoi mari, dappertutto lo stesso nemico, l'Austria, lo prostra infine, per sempre, con la forza delle sue armi.
        Questa Patria che, dopo Vittorio Veneto, non è più il prodotto, come talvolta apparve, di varie forze politiche internazionali, ma solo creazione de' suoi figli migliori, giacchè gli spiriti intellettivi suoi avevano improntato il popolo tutto a nuova vita.
        È questo il maggior fatto della storia d'Italia non, solo, ma anche uno de' più grandi fatti della storia del mondo. E il più bel libro nostro è questo. E la nostra fu la più grande vittoria, per numero di combattenti, per efficacia di bellici mezzi e pei risultati conseguiti. E questa fu vittoria di libertà dei popoli, principio fondamentale di tutta la vita moderna, contro il militarismo tedesco, che insidiava appunto quella libertà che é prima condizione essenziale di progresso, sia nel campo della quotidiana vita pratica, che in quella del pensiero.
        Questa vittoria, che segna la data più fulgida, l' ambita corona del nostro Risorgimento, l' invocammo, l'ottenemmo ricordandoci di essere figli di Roma : di quella Roma, dopo tanti secoli, sempre viva nei nostri cuori e nel culto delle anime nostre; protettrice per tanto tempo del sacro nome d'Italia; che dette immortale vita a chi morì per lei.
        O Roma o morte ! fu il grido dei caduti per la sua liberazione; ed il mare che a Caprera mormora presso una vigile urna, perennemente ripete: Roma; e mantien desta un'eco che è tutta un sonante peana, una passione, un culto, un entusiasmo, una fede imperitura e ardente : Italia!
        Con la mente, col braccio, col cuore, col libro: Italia!

15 maggio 1927.

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Da L'Irpinia Fascista, Avellino, 17 Maggio 1927 (V),Il Messaggero, Roma, 18 Maggio 1927, Corriere d'Italia, Roma, 18 Maggio 1927 – V, il Mezzogiorno, Napoli, 18 Maggio 1927, V, Roma, Napoli, 20 Maggio 1927, Il Mattino, Napoli, 20 Maggio 1927 – V, Don Basilio, Avellino, 20 Maggio 1927, Corriere dell'Irpinia, Avellino, 21 e 28 Maggio 1927, Il Giorno, Napoli, 27 Maggio 1927, Il Giornale d'America, Boston, Massachusetts, 1 Luglio 1927.

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