Studi Sociali e Giuridici - Tommaso Mario Pavese

7. — Ingiuste accuse.

        I socialisti — fu detto — sono nemici della civiltà!
        O come mai saranno nemici della civiltà e del progresso quelli che vogliono elevare le moltitudini ad una vita più umana; quelli che vogliono attenuare la lotta per la vita con l’organizzazione del lavoro e una migliore distribuzione dei beni; quelli che a una civiltà odiata e disprezzata dai più come un privilegio dei meno, vogliono sostituita una civiltà amata da tutti come un bene ed una gloria comune? Sarà nemico della civiltà chi vuole che cessino finalmente in ogni nazione civile di perdurare in milioni di uomini superstizioni da medio evo, ignoranze da selvaggi, miserie da paria? Sarà nemico della civiltà chi vuole che questo cessi, e amico della civiltà chi consente che questo duri ?
        Negatori della patria, nemici della famiglia e della religione! In questi casi si vogliono considerare come articoli del programma socialista idee di pochi o di molti, contro le quali ogni socialista che non le accetti si può ribellare con ogni sua forza, senza cessare perciò di esser socialista.
        Non è poi rinnegare la patria il voler allargarne i confini sino ad abbracciare tutta l’umanità, eliminando l’antagonismo, la guerra e l’odio fra le nazioni, con le conseguenti sanguinolenze e con le enormi ed improduttive spese militari. Questa, tenuto conto della grande diversità di sentimenti e di condizioni esistenti fra i popoli, sarà, almeno per ora, un’utopia; ma è pur doveroso riconoscere che è una bella e nobile utopia quella di voler che i cittadini dell’umanità, strettesi cordialmente le mani attraverso i confini delle nazioni, siano affratellati insieme nella lotta per il conseguimento del progresso e di una felicità maggiore.
        Nè è voler abolire la famiglia il voler sciogliere un coniugio divenuto insopportabile, ed il vituperare il matrimonio mercantile che fa degenerare la razza il combattere lo sfruttamento industriale degli operai, appunto perchè alla famiglia è funesto; il voler dare alla donna una più equa condizione legale; il volere un più ampio intervento sociale nella famiglia, per assicurare lo svolgimento integrale e l’educazione del fanciullo.
        La religione poi per il socialismo è un affar privato, ossia un affar di coscienza, in cui la cumunità non ha diritto d’intervenire. Anzi, come già accennai, la religione cristiana ed il socialismo sono intimamente connessi, ed a nulla vale che preti farisaici travisino gl’insegnamenti del divin Maestro. Al contrario, non è da buon cristiano, in mezzo a tanti bisogni e conflitti umani, fissare li occhi al cielo per non vedere la terra; invece il soccorrere gli oppressi ed il combattere gli oppressori sono il miglior mezzo per far salire al cielo l’anima credente.
        Eccitatori di odio fra le classi sociali, nemici della proprietà! Anche queste accuse sono ingiuste, perchè i migliori socialisti hanno interesse a spegnere non ad attizzare gli odi sociali essi non vogliono far dei violenti, ma vogliono far dei convinti, dei risoluti, dei tenaci. Non sono seminatori di odio, essi che Portano fra gli uomini la Parola della fratellanza e della pace: la loro forza non è l’odio, nè l’ira; la loro forza è la ragione, la fede, l’entusiasmo, l’amore.
        — Così pure i migliori socialisti non vogliono sopprimere, ma trasformare l’istituto della proprietà che, come già dissi, si modificò variamente nel corso dei tempi, e che è per natura sua soggetto a trasformarsi, secondo le condizioni ed i bisogni della società che l’ha fondato. Nè è poi ragionevole negare il carattere di proprietà alla forma collettiva, che fu la prima forma di proprietà del consorzio civile, e di cui sussiste e si riproducono mille esempi parziali anche nei tempi presentì.
        Un’obiezione contro il socialismo combattuta efficacemente dal Colaianni, viene lanciata dal pessimismo filosofico, che fa capo a Schopenhauer. L’ Hartmann però, pur rivolgendo amare parole ai socialisti, consiglia i miglioramenti sociali. Altri pessimisti invece affermano che, se l’umanità progredirà allargando il benessere e la coltura, la infelicità psicologica non potrà che aumentare, perchè l’uomo diventerà più adatto a misurare la distanza che lo separa dai più felici, e sentirà maggiormente le sofferenze alle quali è condannato dalla natura. Ma è evidente però che, portando la giustizia sulla terra, le sofferenze umane dovranno diminuire, se non cessare del tutto. Ed a questo mira il socialismo, il quale è logicamente ottimista, perchè, riconoscendo l’origine sociale di certi mali, stabilisce la possibilità della loro diminuzione. Del resto, le masse lavoratrici hanno già assaporato li frutto proibito — istruzione e benessere —, e il sapore di esso pare che sia tale, non da scoraggiare coloro che lo provarono, ma da eccitare sempre più il desiderio di goderne una dose maggiore. La valanga si è messa in movimento; chi potrà trattenerla? I reazionari di ogni risma ci si sono più volte provati colle fucilazioni in massa, cogli imprigionamenti, colle persecuzioni ora brutali, ora raffinate; sempre invano. Questo insegna l’esperienza; perciò è assai meglio far sì che l’ineluttabile si verifichi nel modo più utile a tutta la società. — E’ vero che la felicità è solo relativa; ma la relatività appunto dimostra chiaramente la distanza grandissima che passa tra la relativa felicità dell’ uomo ricco ed istruito, e l’infelicità dei pezzente ed ignorante. Felicità assoluta, dunque no! Ma diminuzione d’infelicità coi progressi del benessere e dell’istruzione, certamente sì. Eterno è il dolore; ma non può negarsi che esso molto si accresce nel proletario che lavora per molte ore in un malsano opificio, riuscendo appena a sfamare sè, la desolata consorte e la numerosa figliolanza; mentre è assai attenuato nel ricco che dedica il tempo a divertirsi ed a godere la vita in tutti i modi, non escluse le voluttà reclutate anche tra le figlie del popolo che, per miseria, vendono l’onore.
        Nè poi, se anche fosse possibile, sarebbe desiderabile una felicità psicologica generale, perchè il cercare con ogni lecito sforzo una dose sempre maggiore di felicità è lo stimolo, la leva, la condizione sine qua non del progresso. Inoltre, i proletari, ritorcendo l’argomento, potrebbero domandare alle classi dirigenti che parlano loro di aumento d’infelicità psichica conseguente all’aumento di benessere e d’istruzione: perchè conservate le vostre ricchezze, e vi sforzate con ogni mezzo lecito ed illecito di aumentarle; perchè mandate i vostri figli ad istruirsi, se le ricchezze ed il sapere non aumentano la somma dei vostri godimenti, ma aumentano invece l’infelicità; perchè insomma non scambiate con noi la vostra condizione, che chiamate infelice?

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