Studi Sociali e Giuridici - Tommaso Mario Pavese

8 — Socialismo giuridico.

        Molti scrittori, esaminando il diritto vigente, hanno trovato che esso mal corrisponde alle esigenze sociali dell’epoca nostra. Essi affermano che, pur avendo i codici sancito il principio di libertà e di eguaglianza, tale principio è solo astratto; perchè, nella pratica, il proletario ed i lavoratori si trovano in stato d’inferiorità, dovendo o accettare le condizioni imposte loro dal proprietario o, non volendo accettarle, morire di fame con la famiglia.
        Il codice civile in ispecie — come anche altre leggi, emanate sempre dalle classi più forti e più potenti —, mentre tutela con grande cura la proprietà, non si dà affatto pensiero dì regolare gl’interessi ed i contratti dei non abbienti e degli operai, che riguardano l’enorme maggioranza del popolo, cioè 95 per cento della Nazione.
        Varie disposizioni del codice civile sono state giustamente criticate. Così, ad esempio, quelle le quali stabiliscono che:
        1.° L’affittuario deve pagare sempre il fitto intero, se la perdita della raccolta è minore della metà, (art. 1618 cod. civ. ital.).
        2.° E’ enorme ingiustizia, come osserva anche il Gianturco, dichiarar valida, nella locazione, la rinunzia ai casi fortuiti previsti ed imprevisti, per cui, anche se la raccolta viene a mancare, il contadino deve pagare il fitto, (art. 1620 e 1621 cod. civ.).
        3.° L’enfiteuta non ha diritto a remissione o riduzione di canone, per qualunque insolita sterilità o perdita di frutti; cosicchè il contadino, dopo aver perduto il lavoro e le relative spese, deve pagare anche il canone, oltre ai gravi oneri dell’art. 1558 cod civ, (art. 1559 codice civile).
        4.° E’ proibita, per regola generale, la ricerca della paternità : disposizione che assicura alle classi possidenti una impunità morale ed economica, a danno delle non possidenti, (art. 189 cod. civ.). Si dovrebbe invece ammetterla anche in pochissimi altri casi speciali, prudentemente determinati.
        5.° La legge dovrebbe meglio tutelare i minorenni che non posseggono, provvedendo alla loro assistenza ed alla loro educazione morale e sociale. I genitori, poi, dovrebbero esser puniti, non solo quando non mandano i figli alla scuola (istruzione elementare obbligatoria), ma anche quando non li avviano ad un mestiere, essendo interesse sociale, come ben dice il Salvioli, che tutti sappiano lavorare.
        6.° E’ ingiusto che, mentre il codice civile, nella successione intestata, estende i diritti ereditari fino al sesto grado di parentela (art. 742); quando si tratta di alimenti, ne restringe l’obbligo non oltre ai fratelli ed alle sorelle, (art. 141 e 142 cod. civ.).
        7.° Mentre i fratelli e le sorelle hanno diritto di essere soccorsi, durante la di lui vita, dal fratello, questo può poi, per causa di morte, disporre di tutti i beni a favore di un estraneo, lasciando nella miseria i fratelli e le sorelle prima soccorsi, (art. 809 cod. civ.).
        8.° La successione intestata dovrebbe essere ristretta, come in altri codici, al massimo fino al 5° grado di parentela.
        9.° Non fu giusta la legge che stabilì sistematica mente l’esclusione della donna dalla tutela, dai consigli di famiglia, dal diritto elettorale, (art. 268 cod. civ ed art. 24 testo unico legge comun. e prov. 4 febbraio 1915).
        10.° Si dovrebbero stabilire per legge le ore di lavoro, le misure del salario, le norme del tirocinio e del licenziamento ; l’insequestrabilità e l’incedibilità della mercede degli operai, quando non si sia creditore per somministrazione di necessari alimenti.
        11.° Non si dovrebbero permettere i contratti usurari, e si dovrebbe stabilire, nel mutuo, il maximum dell’interesse, da non oltrepassarsi neppure per convenzione espressa, (contro art. 1831 cod. civ. ).
        12.° Nella vendita fatta permettendo il pagamento a rate e col pactum reservati dominii finchè noni se ne sia completamente sodisfatto il prezzo, il compratore che non ha mezzi per completare il pagamento, dovrebbe, col restituire l’oggetto comprato, aver diritto a ripetere dal venditore le rate pagate, detrattane solo una quota pei deterioramenti subiti dall’oggetto e pel godimento.
        13.° L’ignoranza di molte fra le leggi speciali, che non trovano eco e riscontro nella coscienza pubblica e collettiva e nel sentimento comune, dovrebbe essere di scusa a chi è in buona fede, e non e in grado di procurarsene la conoscenza. Specie in Italia, da poco tempo in qua, si sono venute promulgando leggi: che la coscienza collettiva, e quasi generale, non approva, perchè arrivano perfino a conculcare la più giusta e lecita libertà dei cittadini. Tale, per citarne un esempio, è la legge sul riposo festivo, che vieta persino al padrone di gestire personalmente il proprio negozio, nel giorno di domenica, (art. 11. Cassazione Roma, sent. del 6 e del 22 giugno 1908, e del 18 agosto e 9 settembre 1908). Chi non ha potuto avere, specialmente nei primi tempi della promulgazione, conoscenza di leggi simili dovrebbe essere scusato; tanto più se la giurisprudenza e oscillante.
        Il procedimento civile e penale non dovrebbe essere, com’è attualmente, troppo lungo, intricato, dispendioso, pieno di tranelli, sicchè, spesso in pratica, ne è precluso l’adito al povero. Riguardo alle riforme da apportarsi al diritto giudiziario civile, sono specialmente degne di menzione le pubblicazioni de’professori Mortara, Bruschettini, Chiovenda; e per quelle da introdursi nel diritto penale, le opere degli illustri professori Lombroso, Ferri, Garofalo, Lucchini, Manzini, Zuccarelli.
        Il diritto commerciale è stato pur esso vivamente accusato di permettere clausole angariche a favore dei commercianti, ai quali accorda notevoli privilegi, a danno degli inesperti, dei deboli e della società intera. I difetti sociali del dritto commerciale, di alcuni dei quali mi occuperò in seguito, furono ben rilevati, specie dai proff. Perrone, Pipia, Marghieri e Vivante.
        Il diritto penale è stato criticato perchè commina pene troppo gravi per le violazioni al diritto di proprietà, in confronto delle pene abbastanza lievi che commina per i delitti contro la persona, solo pei quali ultimi ammette un gran numero di scusanti. — E leggiere sembrano anche le pene per i delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie, dei quali sono quasi sempre vittime non vendicate abbastanza le giovanette povere. Non si dovrebbe infatti poter disporre del proprio onore, come non si può degli altri beni, prima che si siano compiuti gli anni 21. Chi viola carnalmente la donna, prima di tale età, dovrebbe esser sempre sottoposto a pena. E pur troppo, attualmente, non è così, (art. 331 capov. a 337 nostro cod. penale); fanno però lodevole eccezione gli art. 341, 345 a 347 del detto codice. Non ostante la latitudine in cui può il giudice applicarle, le pene pecuniarie sembrano ingiuste a gran parte degli scrittori, perchè, mentre ledono gravemente il povero, sono disprezzate dal ricco che non cura il danaro. La pena del confino poi, mentre costringe il povero ad abbandonare il lavoro e la famiglia, al ricco procura invece l’occasione per divertirsi viaggiando.
        E tralascio ora per brevità altri capi pur criticati dal socialismo. Aggiungere solo qualche breve osservazione su alcuni altri difetti, che dovrebbero anch’essi eliminarsi dal diritto positivo.
        La definizione della proprietà data dalle leggi derivanti dal diritto romano è troppo egoista ed individuale: ius utendi et abutendi! Quando il proprietario non trae dalla cosa sua i vantaggi che essa può dare, ma anzi la lascia incoltivata, la deteriora o la distrugge, l’interesse sociale dovrebbe prevalere ad una capricciosa, dannosa ed anormale volontà individuale (contro, in parte, artic. 436 cod. civ.).
        Si quid mihi prodest et tibi non nocet, io debbo avere il diritto di trarre vantaggi anche dalla cosa tua, quando tu non te ne servi ed io, servendomene, non ti arreco danno, anzi ti pago una giusta indennità. Conseguentemente , dovrebbero proibirsi gli atti che si compiono nella sfera del proprio diritto, senza utilità propria e con danno di altri, permettendo solo quegli atti che arrecano utilità collettiva o individuale. Inoltre, all’espressione utilità pubblica dell’ art. 438 cod. civ., dottrina e giurisprudenza dovrebbero dare un interpetrazione molto più estensiva, specialmente quando si tratti non di cessione o espropriazione di proprietà, ma di semplice uso temporaneo di essa.
        Bisognerebbe inficiare per vizio di consenso o per immoralità (artic. 1104, 1111, 1119 e 1122 cod. civ.) quei contratti civili o commerciali, donde risulti che il più potente si fece la parte del leone. — La facoltà che l’art. 1641 cod. civ. accorda al committente dovrebbe concedersi pure all’imprenditore; il quale, contro una erronea interpetrazione dell’artic. 1640 cod. civ., deve aver sempre diritto a congruo aumento di prezzo, quando il costo della mano d’opera o dei materiali sia effettivamente e rilevantemente aumentato.
        Nella locazione d’opera, il commerciante capitalista si fa parte da leone sull’operaio e sul commesso. Dovrebbe perciò regolarsi il contratto di salario, perchè il silenzio della legge dà all’ industriale la facoltà di compiere usure sulla quantità e sul modo del pagamento, sulle ore di lavoro, e così via. Il contratto in tali casi non è, come suol dirsi, equilibrio di volontà, perchè la grande industria impone la legge contrattuale ai saiariati, mediante regolamenti e schemi di contratto, che i lavoratori — contraenti più deboli — sono spesso costretti ad accettare, senza discuterli, con semplice atto adesivo.
        Un rimedio a questo inconveniente è il contratto collettivo di lavoro, col quale il singolo non tutela un suo interesse particolare, ma un interesse collettivo, sapendo che i suoi consoci dichiareranno concordemente e contemporaneamente la loro volontà nello stesso senso; e persuaso che, solo dalla uniforme volontà collettiva e dalla tutela dell’interesse di tutti, deriva la tutela del suo particolare interesse Con queste dichiarazioni di volontà, si crea una legge economica obiettiva e non subiettiva, che in certo modo limita per l’avvenire quella che si chiama, e non è, libertà di volere dei lavoratori. Così la volontà collettiva non è semplice riunione, ma è fusione delle volontà singole; è quindi formazione di una volontà nuova, che sola costituisce il negozio giuridico. Questo contratto collettivo formato da leghe di lavoratori potrebbe essere indirettamente obbligatorio anche per quelli che non vi aderirono; perchè esso farebbe sorgere usi commerciali o industriali concordi, i quali, per l’art. I del cod. di comm., sono fonti sussidiarie di legge. Inoltre, anche quelli che non parteciparono a leghe di lavoratori cercherebbero certo di raggiungere i limiti di salario minimo fissati dai contratti collettivi ed anche di sorpassarli, perchè essi così se ne avvantagerebbero. — Si dovrebbe imporre per certi mestieri l’assicurazione obbligatoria per la vita, per le malattie per la vecchiezza e per gl’infortuni, promovendo regolando e agevolando anche l’assicurazione sulla base della cooperazione o l’assicurazione mutua. Il diritto di licenziare i salariati si dovrebbe limitare a soli gravi e giustificati motivi da apprezzarsi dal magistrato, non essendo lecito per un nonnulla gittare il lavoratore sul lastrico; e dovrebbe imporsi la partecipazione dell’operaio agli utili del commercio che da lui derivano. Inoltre, ad evitare condizioni leonine imposte dall’assicuratore e spesso neppure comprese dall’assicurato, bisognerebbe con la legge stabilire dei moduli per ogni specie di assicurazione. E dovrebbero dichiararsi nulle la clausole delle compagnie assicuratrici che stabiliscono il diritto di ritenersi tutti premi versati dall’assicurato, se questo è in mora nei suoi pagamenti. — Nell’uso marittimo, sono ingiuste le disposizioni dell’articolo 576 e quasi tutte dell’art. 581 cod. comm.; né dovrebbero esser valide la convenzione contraria di cui tratta l’art. 577 cod. comm., nè tutte le altre clausole mercantili, che spesso quasi completamente esonerano i capitalisti da responsabilità, con o senza colpa. E’ noi ingiusto che, mentre le azioni contro il vettore derivanti dal contratto di trasporto si prescrivono (art. 926 cod. comm.) col decorso di sei mesi o di un anno, le azioni invece del vettore contro il mittente (artic. 915 cod. comm.) si prescrivono col decorso di dieci anni — L’ ignoranza di molte fra le leggi penali speciali non dovrebbe portare per effetto la punizione di alcuno. Invece, tanto per citare un esempio, la legge sul riposo festivo, proclama l’assurdo principio: il lavoro è reato! In proposito giova osservare che è enorme, contradittorio e non ben giustificato lo stridente distacco tra la disposizione dell’art. 1109 cod. civ., per cui l’errore di diritto (ignoranza della legge) produce la nullità del contratto, quando esso quando esso ne è la causa unica o principale; e — poichè detto articolo non fa restrizioni — chiunque sia in errore, sia pure un dotto che commetta un errore madornale, mentre poi l’art. 44 del cod. pen. stabilisce che tutti debbono sapere la legge penale. E quante sono le leggi penali?! Quante le contradizioni della giurisprudenza e della dottrina che, in fattispecie identiche, talora vedono, talora escludono il reato?... Diogene cercava l’uomo (e ve n’erano pur tanti); ma io cerco invece, e non so trovare ancora, chi sia stato mai il fortunato mortale che abbia conosciuto tutta la legge penale, pur attraverso le variabili opinioni di magistrati e di giuristi. — Il Ferri, per distruggere o far diminuire il numero dei vari reati, dei quali sono quasi sempre autori e vittime i poveri, propone, fra gli altri rimedi, i sostitutivi penali; dei quali alcuni, se attuati, — sarebbero utili, altri pericolosi, altri, per poterli attuare, richiederebbero che gli Stati avessero esuberanza di mezzi finanziarii, di cui purtroppo essi non dispongono. Ma non è il caso di addentrarmi ora in particolari. — Il Turati afferma che la causa prima ed universale dei delitti è la miseria, e che quindi unica soluzione radicale del problema penale è il socialismo che, togliendo la miseria, toglie ogni qualsiasi delitto. Il Ferri però sostiene la tesi che l’eliminazione della miseria non avrebbe segnato la scomparsa di ogni e qualsiasi delitto, perchè il delitto, oltre che da fattori economici e sociali, dipende, come ormai tutti sanno, in molti casi, anche da fattori antropologici ed etnici, il cui effetto una più equa ripartizione delle ricchezze certo potrà diminuire, ma non eliminare. Premesse tali osservazioni, gli scrittori socialisti deducono che la società e lo Stato sono quasi sempre essi i primi colpevoli, perchè puniscono senza cercare di eliminare le cause che fatalmente lo producono. A me non sembra che il delitto possa eliminarsi, oltre che per l’inevitabile esistenza de’fattori antropologici ed etnici, anche perchè, comunque si suddivida la ricchezza, questa non sarà sufficiente ad eliminare uno stato di relativo disagio, che esisterebbe sempre.
        Essendo dunque, come già dimostrai, almeno per ora inattuabili tutti i sistemi distributivi socialisti innanzi esaminati, queste sono alcune delle principali riforme da praticarsi urgentemente da tutti gli Stati, affinchè si alleviino i gravi mali certo esistenti a causa della cattiva distribuzione delle ricchezze.

***

        Queste (ed altre ancora)sono le ingiustizie del diritto vigente, che il socialismo giuridico cerca, a buon diritto, eliminare.
        Ma quali rimedi sono inoltre, nel frattempo, praticabili per leggermente modificare l’odierno assetto economico a prò delle classi derelitte, che minacciano sconvolgere la società tutta intera: senza che tali riforme producano più che un lieve turbamento, che torni pure a benefizio generale?
        Nello stato attuale delle società civili, non è consigliabile una rivoluzione violenta, perchè il regolamento odierno della proprietà è quasi completamente approvato, anche dalla coscienza di quelli che più dovrebbero vituperarlo.
        Non è consigliabile la rivoluzione violenta, anche perchè essa non altro produrrebbe, se non un esito momentaneo, che potrebbe poi far cadere, in breve, in uno stato peggiore.
        Per ottenere modifiche radicali, con vantaggio duraturo e generale, è necessario che prima una trasformazione del comune ed attuale modo di pensare si operi; ed a ciò, fa d’uopo d’una lunga educazione morale e di un maggior incivilimento dei popoli. — Però, un certo risveglio di menti e di animi si e già avuto; e prima che esso prorompa, come già se n’è avuto qualche esempio, a danno di tutta la società, sarà bene che si cerchi mitigarlo, concedendo sollecitamente varie altre riforme sociali, affinchè sia dato con mezzi pacifici, ciò che altrimenti potrebbe aversi dall’attrito e dalla violenza, con maggior danno.
        Alcune delle principali riforme, da praticarsi urgentemente da tutti gli Stati, sono:
        1.° Dovrebbero esentarsi dalle imposte dirette e da esecuzione forzata tutti i redditi annuali complessiva -mente inferiori ad un minimo necessario per procurare vestiario, alloggio e nutrimento ad ogni persona di ciascuna famiglia. Sarebbe un po’ arbitrario assegnare tale minimo con una somma determinata, perchè il costo del vestiario, dell’alloggio e del nutrimento varia, in modo notevole, per lo meno da regione a regione.
        2.° Si dovrebbe stabilire il minimo de’ salari, per ciascuna categoria di lavoratori.
        3.° Il diritto all’elettorato, all’eleggibilità e tutti gli altri diritti onorifici dovrebbero concedersi in base alla probità de’ costumi ed alla capacità intellettuale, mai in base al censo.
        4.° Diffusione ed incoraggiamento del cooperativismo.
        5.° Eliminare tutte le ingiustizie sociali delle leggi vigenti innanzi esaminate, nonchè altre tralasciate.
        6.° Le imposte dirette dovrebbero essere sempre progressive, aumentandone il tasso col crescere del reddito. La progressività non e contraria allo sviluppo della produzione, nè arbitraria, ne antigiuridica, nè impraticabile, come dimostrò brillantemente il Nitti, con la sua consueta freschezza e vivacità di stile. Solo a me sembra, però, contro l’opinione del Nitti e di altri illustri finanzieri, che l’imposta progressiva possa e debba applicarsi a tutte le imposte dirette, reali o personali che siano. Se la progressività colpisse, come crede il Nitti, solo i redditi personali e mobili, allora i capitali potrebbero facilmente investirsi nella compra di beni immobili, per sfuggire l’imposta. Inoltre, se due persone hanno un grande reddito, perchè colpire progressivamente solo chi ha quel forte reddito dal capitale in circolazione o dalla propria industria ed abilità, e non colpire allo stesso modo chi dai propri fondi, senza lavoro, ottiene un reddito uguale o maggiore? Ciò sarebbe una enorme ingiustizia. Ora però le leggi colpiscono già gravemente la proprietà fondiaria. Per non scoraggiare la produzione e le attività personali e per non assorbire il capitale, l’imposta progressiva dovrebbe colpire esclusivamente il reddito, senza oltrepassare, ad esempio, i tre quarti di esso, il 75% ne’ redditi massimi, tenuto anche sempre il debito conto del numero de’ componenti la famiglia.
        7.° Ben si è fatto a restringere al massimo fino al sesto grado la successione legittima, dopo, ne’ diritti del de cuius, sottentrando lo Stato.
        8.° Imporre gravi tasse sugli oggetti di lusso, nell’atto dei loro acquisto. Così si avrebbe un grande introito ne’ bilanci degli Stati; e potrebbero invece abolirsi le altre tasse su cose di prima necessità, le quali, oltre ad essere poco redditizie, sono da quasi tutti odiate, perchè colpiscono i poveri, più che i ricchi.
        9.° Siano progressive le tasse per successione e per altri acquisti gratuiti di beni. La progressione dovrebbe calcolarsi non sull’ammontare complessivo de’ beni ottenuti, ma sulla parte che spetta a ciascun erede; tenendosi però anche conto dell’ammontare dei beni che questi aveva già precedentemente, per conglobarli.
        10.° Dovrebbesi abolire l’acquisto della proprietà (non del possesso) pel semplice fatto dell’occupazione. Anche in questo caso, i diritti quesiti rimarrebbero validi; ma chi ha occupato beni immobili da meno di 30 anni, senza altro giusto titolo che il continuo possesso, dovrebbe rilasciarli, ed essi sarebbero coltivati per turno dai cittadini più poveri.
        11.° Le res derelictæ le cose smarrite appartengano allo Stato, che le usi sempre a beneficio dei meno abbienti.
        12.° Notevolmente diminuire le spese militari, formando un concordato per la pace fra le diverse nazioni, ed un arbitrato che abbia per iscopo di eliminare la guerra, facendo decidere le sorti degli Stati, non dalla forza militare, ma solo dalla giustizia e dalla inviolabile santità del diritto.
        13.° Con gl’introiti accresciuti nei modi precedentemente indicati, gli Stati regolino meglio e diffondano le cooperative, gli istituti di assicurazione e di previdenza per gli operai e quelli di carità e di beneficenza per gl’inabili al lavoro; e fondino (sempre liberi da tasse) istituti di arti e mestieri, scuole pratiche di agricoltura, e nuovi istituti di istruzione e di educazione, specie di università popolari, in cui, dopo l’istruzione elementare, sia impartita, a spese dello Stato, ad ogni disagiato cittadino anche un’educazione morale e politica; e si distribuiscano gratuitamente agli agricoltori ed operai più poveri concimi chimici agrari, attrezzi e strumenti di lavoro e tutte le merci necessarie alla coltura de’ fondi.
        Questi, ed altri ancora, i diritti, queste le aspirazioni subito realizzabili, dei socialisti moderati e di milioni di cuori gementi nella sventura, nella miseria e nel dolore: e nessun‘anima potrà rimaner chiusa e fredda all’udir simili giusti desiderii.

***

        S’aprono già intanto larga via nei cuori questi nobili moniti.
        Sia onorato e giustamente retribuito il lavoro, e diventi obbligo per tutti. Cessi fra uomo e uomo la feroce lotta per l’esistenza; cessi lo spargimento del sangue e l’odio fra le nazioni, perchè, a meglio raggiungere la felicità ed il progresso, occorrono gli sforzi concordi della razza umana. Queste che, già da tempo, erano aspirazioni sparse, divise e solitarie degli umili, ora sono il proposito fermo di moltitudini d’ogni paese, ordinate ed alleate, la scienza le formola e le sostiene, le forze che le comprimevano si attutiscono, la coscienza quasi universale le accetta; erano chiarori di lampo che solcavano la notte, ed ora sono l’alba che rischiara l’orizzonte; erano soffi di vita che scotevano a quando a quando un’atmosfera morta, ed ora sono la primavera che risveglia il mondo. Sorga, risplenda il grande e desiato giorno: con la mente e col cuore verso di esso protesi, attendiamo fiduciosi l’avvenire!
        Ma che è questo clamore immenso, simile a scoppio di tuono per vallee profonde? Non lo sentite voi? Una moltitudine che empie tutto l’orizzonte, estenuata e lacera, è rivolta tutta verso un punto, con le braccia protese a invocare il nuovo sole che le asciughi le lagrime, che le abbellisca la terra, che le faccia amare la vita.
        Essa fa quel clamore immenso, ed emette un grido formidabile, fremente, palpitante di angoscia e di desiderio, che trova un’eco concorde in tutti gli animi ed in tutti i cuori onesti e buoni. La stampa lo protegge e l’entusiasma; la scienza lo formola e lo feconda; i buoni lo incitano; gli operai, più che con l’opera della parola e della mente, lo sostengono con l’opera del vigoroso braccio, con l’ardore del sentimento, per mezzo degli scioperi e di altre proteste, a volte moderate, a volte violente, fino al sacrifizio cruento di sè medesimi.
        Ma che cerca, che vuole quel clamore e quel grido?
        Simile a quello antico, dei tempi di Nerone, quel grido vuole anch’esso: Panem, et circenses! Qual Petronio, mago dal bastoncello di avorio, qual Tigellino novello pacherà la turba immane, folle e fremente, di oggi? Non potrà essere altro, che la fratellanza e la giustizia, soli verso cui la moltitudine immensa tende ansiosamente e di continuo le braccia. Oh, questi soli splenderanno, abbiamone fede! E quando le razze umane avranno redento il lavoro e dato all’operaio ciò che gli spetta, ed al povero avranno pur dato nutrimento e vita, la turba griderà: Ancora! — Quando le classi saranno confuse, e solo distinte per le doti naturali, come la probità e l’ingegno; quando la lotta per l’esistenza sarà esclusivamente mutata in lotta contro la natura, la turba forte e fremente griderà: Ancora più avanti, excelsior ancora! Solo quando le classi e le nazioni saranno affratellate, e le destre dei ricchi cordialmente stringeranno quelle dei poveri; e la terra, con i suoi frutti, sarà fra tutti divisa, secondo il lavoro, il merito ed il bisogno, solo allora tutto il popolo del mondo, riunito idealmente insieme, con un palpito solo, emetterà un grido fremente di santa gioia e di entusiasmo, e dirà contento: Qui basta !...
        Ed allora soltanto, non più il sole risplenderà sulle sciagure umane, ma sulla gioia pia del lavoro, e cantici di gloria correranno per l’infinito azzurro.

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