Studi Sociali e Giuridici - Tommaso Mario Pavese

10. — Vampate.

         Vampate di paglia sono non di rado le vivaci esplosioni del sentimento degl’Italiani, facili a passare, senza seria ponderazione, da’ più entusiastici osanna ai più ingiustificati crucifige. Verità c’impone di dire che il popolo tedesco è più serio e più fermo ne suoi giudizi: esso, neppur quando fu sconfitto, si accani contro i suoi governanti o contro i suoi generali più illustri Gran parte della colpa di questa vertiginosa mutabilità di simpatie e di apprezzamenti va data alla stampa, specie giornalistica. Della mobilità di tal sentimento fecero, tra g1i altri, dolorosa esperienza Giolitti, Nitti, Cadorna, Capello, Wilson, prima quasi ritenuti novelli Bismarck, Napoleone, Moltke, Garibaldi, o addirittura Messia; e poi, in breve, ritenuti quasi traditori.
         In tal modo si smarrì il senso dell’equilibrio e della giustizia. Ogni uomo, invece, ha un complesso inscindibile di facoltà, secondo le quali dovrebbe essere giudicato costantemente, a prescindere da ire temporanee di sette o di partiti: per mutare di prevalenza di correnti politiche, non mutano parimenti i meriti, o demeriti individuali.
         Non può mai avvenire, come mai avvenne nella storia, che un uomo che fu veramente meritevole di considerazioni, di onori, di gloria, possa poi meritare ugualmente, da un momento all’altro, la disistima o l’obbrobrio. Chi fu dotato d’ingegno o di virtù non diventa, solo perchè così vogliono nuovi avvenimenti politici, stolto o indegno. Il nobile retaggio che si ebbe da natura o da studi, o dall’una o dagli altri insieme, non si perde d’un tratto, nè si cancella; onde avviene che individui non più stimati fra noi, perchè non più santi del giorno, sono poi, invece, stimati e ci sono invidiati all’estero.
         Ad onore della nostra stirpe, però, è anche giusto affermare che una volta gl’Italiani furono, ne loro sentimenti, più costanti e più giusti. Forse, anche per Mussolini il viso della fortuna si atteggerà mutevolmente, come già per Giolitti, Nitti, Cadorna, Capello, Wilson, ed anche per Salandra, Boselli, Orlando, Bonomi, uomini insigni per sentimenti patriottici e per eccellenti doti di intelletto. Tuttavia, è giusto riconoscere che male e bene avemmo dal fascismo, e che dell’uno e dell’altro furono causa unica gli stessi fascisti, anche perché i gregari sono spesso la rovina delle dottrine dè loro capi, come già ebbe a provare, tra gli altri, persino il Cristianesimo. Bene sarebbe stata, ad esempio, la soppressione della guardia regia attuata dal fascismo se, essa, organo di sicurezza pubblica nazionale, non fosse stata in gran parte sostituita con la milizia detta pure nazionale, ma, in verità, organo di partito. Bene sarebbe stato pure un risanamento del bilancio dello Stato, se questo fosse potuto avvenire — come promesso — con vere economie, anzichè con non utili soppressioni di importanti ufficii, con non giuste sostituzioni, più che limitazioni, di impiegati, col sopraccaricare di tasse i già oberati beni immobili, proteggendo invece sempre, come per lo innanzi, quelli in danaro ed in titoli, ancorchè provenienti da sfruttamenti e da altri abusi di guerra
         Il fascismo poi, per ottenere una più generale simpatia, deve essere meno partito, e cominciare ad essere più governo: in fondo, per il bene e per la fortuna dell’Italia, gl’Italiani non possono essere discordi. Mussolini che, pur essendo passato con una troppo rapida evoluzione dal socialismo al fascismo, termini antitetici, ebbe tuttavia alcuni meriti, dovrebbe compiere questa sana opera di governo e di pace, nell’interesse stesso della Nazione, dovendosi specialmente evitare l’ingiusta eliminazione di pregevoli impiegati e funzionarii, i quali non abbiano altra colpa, all’infuori di quella di non essere iscritti al partito. E’ meraviglioso, e non sarebbe, infatti, giusto che, specialmente per opera di alcuni capi e sottocapi di provincia (i quali, pur di mirare al loro tornaconto individuale, fingono di non accorgersi che, con la loro smania di eccessivamente volersi imporre e preponderare, anche senza veri meriti, fanno diminuire la simpatia che generalmente si ha per il nuovo partito), il programma dei fascisti si debba trovare, con quello di alcuni socialisti, perfettamente, eloquentemente di accordo, talvolta, in una nuova applicazione del ricordato «levati di lì, ci voglio stare io », mentre essi pure accanitamente si combattono fra loro, militando in partiti antagonisti.
         Detto questo in bene e in male del fascismo, Mussolini che ne fu non solo il più autorevole, ma anche il più serio ed il più ragionevole esponente, a prescindere dalle simpatie e dagli odii personali o preconcetti, resta sempre a ritenersi si come un capo di governo di rara energia che, se ebbe talvolta colpa di intemperanza di atti e di linguaggio, ebbe pure non piccolo merito quando, come primo atto di governo, dopo la certo incostituzionale e violenta conquista del potere, sciolse i corpi punitivi fascisti ed impedì all’esercito, con giusta motivazione, le manifestazioni politiche. Così pure, d’altra parte, non ostante il facile mutarsi dell’ entusiasmo italico in odio, Giolitti e Nitti, pur ciascuno con qualche colpa, resteranno sempre degli abili cani di governo, e mai traditori: Cadorna sempre un pregevole organizzatore di eserciti ed un sagace stratega; Capello sempre un intelligente, energico ed animoso generale; Wilson un qualsiasi presidente di repubblica, copiatore ed amalgamatore indigesto di punti di vista altrui, da lui proclamati e valorizzati in teoria, ed in pratica male applicati, dopo essersi atteggiato a pastore e duce di popoli, mentre non era che un mediocre ed astuto maestro di rettorica politica, credentesi di poter dominare il destino del mondo con la spada di oro dell’America, minacciando, mercè la pressione finanziaria, nuovo Brenno: «Guai ai Vinti!»
         Così la storia non partigiana dirà.
         Una massima anarchica afferma, d’altro canto, che l’autorità e 1’esercizio di essa corrompe anche gli uomini buoni. Mussolini, invece, non fu corrotto dall’autorità che ebbe, ma, con essa e per essa, finora, quasi si nobilitò, quando represse le violenze criminose e le spedizioni punitive. Egli in tal modo, — caso rarissimo — smentì, in parte, 1’osservazione, generalmente rispondente a verità e giustissima, degli anarchici. Nè poteva essere altrimenti, giacchè non poteva in tutto dimenticare il suo modesto passato di rivendicazione sociale e di attiva milizia proletaria.
         Intanto, le stesse simpatie fugaci che hanno per gli uomini, mostrano gli Italiani anche per i partiti. In auge anni or sono il socialismo, ora il fascismo. Ma la decadenza del socialismo non cancella e non distrugge affatto il sacro diritto a vivere de’proletari ed i sacri diritti, in buona parte già riconosciuti, de’massimi, se non unici, artefici di produzione: i benemeriti operai.
         Così la nostra franca, ferma e sicura coscienza, di uomini e di cose, imparzialmente giudica, sempre!

***

         Un giudizio costantemente e meritamente più benevolo ha dato però l’Italia del suo poeta Gabriele D’Annunzio. Sin da quando, vate supremo, si assise, nella lirica e nella letteratura italiana, Giosuè Carducci, questi e l’Italia giustamente si accorsero che pulsava in Gabiele D‘Annunzio un grande ingegno, e gli dettero fin d’allora il ben meritato plauso. Eppure, erano quelli appena gli anni giovanili, in cui non maturata si era ancora la coscienza del nuovo poeta: la sua arte dava allora i primi — forse non meno fulgidi — bagliori, ma non ancora si aveva la certezza dell’ingegno. che dette poi l’età più provetta. Si notarono, è vero, qualche astruseria di forma e qualche stranezza di concetti; ma, dopo il Carducci, 1’arte dei D’Annunzio si riannoda direttamente a Dante ed a Foscolo; e ha talvolta una musicalità rapita alla stessa aria, al cielo ed al sole d’ Italia, se, con immaginazione da satrapo, riavviva e riecheggia la sinfonia delle fontane ne cortili morti; se il rombo cupo ripete de’ vulcani; se canta l’elogio delle divine mortali, delle città venuste, le patrie gesta sul nostro suolo ed oltremare, la madre morta, o — nuovo spirto del nostro Rinascimento — la gloria antica e rinverdente d’Italia.
         Dopo e con questi poeti, non ha la poesia italiana lirici che volino tanto alto, sia che i giovanili versi del D’Annunzio inneggino a la bionda Isaotta, sia che, con rinnovate forme, celebrino poi Garibaldi, i re della melodia Bellini e Verdi o altri insigni, specialmente nelle «Laudi del Cielo del Mare della Terra e degli Eroi», e si ricordino le patrie giurie; sia che la sua prosa ritmica vibri, talvolta non meno alata, nelle pagine dell’Innocente, del Trionfo della Morte, delle Vergini delle Rocce, del Fuoco e del Piacere. E, come se il trionfo solo dell’arte non bastasse egli volle aggiungersi nuove corone di alloro, quando, oltre che poeta, si fece anche soldato e credente. Forse fu un delirio, che sconvolse l’Italia e la mise in cattiva luce all’estero, quello che lo condusse, quando gli eventi non erano ben maturi, dalla marcia di Ronchi a Fiume nostra; ma, se fu tale, fa certo uno splendido sublime delirio.
         Non è solo con l’occhio tuo leso, che tu vedi, o Gabriele, più che con 1’occhio tuo sano; ma è l’estro della tua mente fatidica che vede, come nei veri poeti, più dell’occhio sano ed anche più dell’occhio offeso.
         Nè è vero che tu hai solo quello che hai donato, ma hai ancora, e più, quello che quotidianamente ci doni coi tuo luminoso esempio di vita artistica e patriottica, pur dal placido Garda, dolce nella memoria. Dopo Quarto, non già più soltanto sul mare veleggiavano le navi latine, ma fendevano esse, ormai sicure, 1’aria, d’onde lanciavano sull’Austria messaggi di fermezza gentile, come già, dalla terra e dal mare, Roma lanciò, negli anni suoi memori, messaggi di forza. E la cannonata, che e intempestivo ed i baldi tuoi compagni scacciò da Fiume, non uccise, però, 1’idea. Questa — che fende i cieli ed all’infinito s’erge — violenza morale e d’armi non prostra. Ma, come un’evia bella sorride, anche se si respinge e si conculca. Intanto, daran poi gli eventi ragione e plauso.
         O fatidico poeta di nostra gente, o Maestro, senza del quale 1’Italia forse sarebbe stata da gran tempo sola, salve salve salve!

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