Studi Sociali e Giuridici - Tommaso Mario Pavese

Il — Il divorzio come finalità sociale

         Una delle più gravi obiezioni, che si crede potersi addurre contro l’introduzione del divorzio, è questa: Che si farà dei figli di genitori divorziati? La risposta non è difficile. Ammesso il divorzio, i figli non saranno più testimoni dell’odio scambievole dei loro genitori; le cui lagrime, ire e turpitudini si potrà cercare di far scomparire dalla loro memoria. In nome della vera e sana morale, si tolgano i figli a tanto scempio! Si affidino invece a quello tra i coniugi che è più affettuoso e meno colpevole; ed entrambi i genitori contribuiscano al mantenimento della prole, che conservi sempre il diritto di ereditare da entrambi quelli che, avendole voluto dare la vita, hanno pure l’imprescindibile dovere di renderle, per quanto più possono, lieta l’esistenza. Anche con la separazione permessa dalla nostra legge, infatti, non si fa che affidare i figli ad uno dei coniugi o — solo eccezionalmente — ad un istituto di educazione od a terza persona (art. 154 cod. civile). Inoltre, talora il matrimonio non dà figli: in questi casi, quando gravi motivi di rancori e di discordie vi sono, perchè non concedere il divorzio? In omaggio forse al vieto e tanto discusso quod Deus coniunxit homo non separet? Ma si mantenga allora, se ciò si vuole ad ogni costo, solo l’indissolubilità del matrimonio religioso. Le anime timorate potranno così conservare la loro fede ed il loro culto, non essendo esse d’altronde mai costrette ed obbligate per legge a divorziare. Ed anche quando dal matrimonio si sono avuti figli, è da affermare che questi troverebbero certo una condizione migliore in una nuova famiglia regolata dalla concordia e dall’affetto, in un istituto di educazione o presso terza persona, anzichè rimanere in una famiglia decrepita e dissoluta, testimoni e vittime innocenti di odii, di delitti di sangue, di scandali e d’altre vergogne. Del resto, quando un coniuge infelice, per metter fine ai mali procuratigli dall’indissolubilità del matrimonio, ferisce gravemente, uccide od abbandona moglie e figli, lasciandoli in balìa della sorte, quale rovina non arreca, in tali circostanze, alla società ed alla famiglia il pregiudizio giuridico, filosofico e religioso del vincolo indissolubile? Quindi il divorzio non farebbe altro che dare una condizione morale e legittima ai coniugi che vivono separati, e che forse per l’indissolubilità matrimoniale continuano a vivere in gran colpe; esso ha perciò tutti i pregi della separazione personale, senza averne alcuno dei gravi difetti. L’indissolubilità del matrimonio è inoltre contraria al principio fondamentale della libertà umana, pel quale non è lecita una rinunzia perpetua ad ogni esplicazione di volontà, quando la convivenza dei coniugi diventi impossibile o pericolosa. La possibilità del divorzio, ponendo nell’animo dei coniugi un sentimento più profondo di morale responsabilità, farebbe sì che molti, per evitare le conseguenze di un divorzio, si asterrebbero dal menare una vita dissoluta.

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