GERARDO DE PAOLA - ZINO E... MISTERO - Il Giudizio di Dio sul suo popolo

Il Giudizio di Dio sul suo popolo
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L'immagine della vigna
        ... il compito della Chiesa dopo la morte di Gesù. La Chiesa è il nuovo popolo che ha la missione di "portare frutti". Per questo essa ha preso il posto di Israele e l'ha preso a Pasqua quando «la pietra che i costruttori avevano rigettato, è diventata testata d'angolo». Questa pietra è Gesù che, respinto e crocifisso, è ora risorto, E diventa il fondamento stabile su cui ogni costruzione futura dovrà poggiare... le opere che sono richieste: opere che esigono la morte, che passano attraverso l'accettazione del mistero di Cristo morto e risorto.

Elezione e riprovazione
        Il vecchio Simeone aveva previsto che Gesù sarebbe stato un "segno di contraddizione", e che era posto "per la rovina e la risurrezione di molti" (Le 2,34). La parabola di oggi è una interpretazione di questa profezia e un annuncio della vicenda pasquale di Gesù.
        Il popolo eletto rifiuta Gesù come messia, continuando la tradizione di rifiutare i profeti, perché il loro messaggio non coincide con le sue attese e i suoi interessi di potenza. Ma nonostante ciò l'iniziativa di Dio giunge a compimento, proponendo il rifiutato come Signore vivente ad un'altra "nazione". Israele rifiuta Gesù, Dio ripudia il suo popolo, la storia della salvezza continua, in un modo nuovo.
        L'immagine della storia di Israele e il suo misterioso destino chiamano anche noi, oggi, al mistero di una elezione che si cambia in riprovazione mentre emergono e si fanno avanti nuovi eletti, nuovi predestinati. Nessuno di noi cristiani si sente al di fuori di questo tremendo e insondabile mistero perché la vicenda del popolo eletto si può ripetere nella storia e nella coscienza di ciascuno di noi, in quanto l'elezione da parte di Dio esige sempre una risposta personale.

        La Chiesa morte del futuro
        Certo noi abbiamo la promessa che il "nuovo popolo" non sarà riprovato e che le potenze del male non prevarranno contro la Chiesa, ma è sempre impressionante pensare come parecchie delle fiorentissime comunità cristiane dei primi secoli (le Chiese di Africa e dell'Asia Minore) sono state cancellate dalla faccia della terra e di esse non rimane che il nome ed il ricordo.
        Che cosa sarà delle comunità cristiane dell'Occidente fra qualche secolo? Saranno Chiese fiorenti, comunità fervorose e vivaci, o la fiaccola della fede
        e dell'elezione passerà nelle mani delle nuove Chiese africane, asiatiche o dell'America Latina?
Si parlerà delle Chiese delle nostre attuali città come noi ora parliamo della Chiesa di Pergamo, di Filadelfia o di Ippona? Cioè come di Chiese del passato, il cui ricordo sopravvive solo nella memoria e nei monumenti?
        Il processo di secolarizzazione e di secolarismo,che in molti casi ha già ridotto la Chiesa in stato di diaspora e di presenza poco significativa, cancellerà dalle nostre regioni ogni vestigio di tradizione e di cultura cristiana, o sarà l'occasione per la riscoperta di un nuovo modo di essere cristiani e di vivere il Vangelo?".

        Come poi non collegare ancora questo imprevisto ed imprevedibile messaggio (sono le fila invisibili del mistero in cui tutti siamo immersi!) al messaggio rivoltoci dal S. Paolo nella liturgia del giorno, venerdì della XXX settimana anno dispari: Fratelli, dico la verità in Cristo, non mentisco, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne..." (Rom. 9,1 ss).
        Non dovremmo tutti, pastori e fedeli, sentire profondamente questa pena, di fronte alla situazione odierna?
        Il "susurro" dello Spirito, a mala pena percepito prima del Concilio, successivamente diventa sempre più forte, sino al "grido di allerta" del recente Sinodo Africano, un segno dei tempi che rivela l'eterna giovinezza della Chiesa, "nonostante noi", affetti da sclerosi multipla.
        In questo Sinodo, che anche al problema femminile ha sorprendentemente riservato uno spazio senza precedenti per un'assemblea di uomini, una coraggiosa suora zairese, Sr. Bernadette Mbuy Beya, vicepresidente della prestigiosa Associazione ecumenica dei teologi del Terzo Mondo, ha gridato forte alla Chiesa l'urgenza impellente di far sentire alle donne (io direi ai laici in genere), di essere a casa loro nella Chiesa di Dio.
        Per far meglio recepire questo messaggio a chi di dovere, ha riportato in assemblea una significativa esperienza personale.
        "Quando da bambina sono stata mandata a imparare le buone maniere in un collegio di religiose, mi hanno insegnato a camminare in punta di piedi e a sedermi occupando meno spazio possibile.
        La prima volta che sono tornata a casa, mi sono comportata secondo questi insegnamenti. Mia madre mi ha presa a schiaffi. "Questa è casa tua. Tutti devono saperlo. Non sei figlia di schiavi".

        Questo Sinodo, ha commentato la religiosa, ha detto alle donne africane che la Chiesa è casa loro e che non devono camminare in punta di piedi o sedersi in un angolo.
        D'ora in poi, quando noi donne africane cammineremo nella Chiesa tutti sentiranno che vi camminiamo.
        I laici, e con essi le donne, a trent'anni dal Concilio, possono dire oggi di sentirsi a casa loro, camminando nella Chiesa?
        Anche il Card. Ruini ha recentemente ammesso che la Chiesa deve fare un'autocritica riconoscendo "lentezze ed errori" commessi nei confronti dell'inserimento della donna nella vita apostolica. Dopo questo invito egli giunge, con molta lealtà, a puntualizzare che "alcune delle più acute aspirazioni del movimento femminista, liberate dalle loro unilateralità ed intemperanze, sono da considerare come una terapia nella storia della crescita dell'autocoscienza dell'umanità".
        Dopo questa parentesi, dal... Mistero pre-disposta, possiamo riprendere il discorso.
        Zino, pienamente convinto che la Parrocchia è una delle famiglie della grande famiglia diocesana, avendo fatto per sua comodità la surriportata sintesi di quanto detto al Convegno, integrandola con suggerimenti colti da varie riviste, accetta volentieri l'invito del Pastore, di offrirne una copia in ciclostilato ai con-fratelli, per stimolare un confronto fra loro, nella programmazione pastorale diocesana.
        I risultati di questa sua... ingenuità sono noti a tutti: disponibilità di pochi al confronto; indifferenza da parte della maggioranza; rifiuto da parte degli autosufficienti; frizzi mordaci da parte degli altezzosi; ed anche volgare prosaicità da parte di un malato di sicumèra, che, senza tradire la sua congenita ipocrisia di non parlarne con l'interessato, come del resto ha continuato a fare in altre circostanze, ne fa oggetto di derisione in una discussione "riservata", venuta poi a galla, involontariamente, ad opera di uno, (esperto questi in equilibrismo, ma non in... segretezza) che aveva partecipato, col suo sornione e compiacente sorrisetto, alla... irrisione.
        E' proprio vero che il diavolo sa fare solo le... pignatte! Si verifica poi sempre così, quando si toccano certi tasti... dolenti!
        Gesù stesso non è stato più fortunato!... Ed è per questo che Zino, pur non essendo tante volte capito, si dimostra ancora più "ostinato" nell'approfittare di ogni occasione, per battere il chiodo, col martello (disegnato inconsciamente nella sua infanzia), sulla riscoperta della radicalità evangelica: è quasi un, anche questo inconscio, "vendicarsi" di quell'inspiegabile rifiuto al confronto.
        Si era nella delicata fase di coscientizzazione della comunità locale a vedere e giudicare la situazione del dopo terremoto con l'occhio di Dio, e ad affrontarla, "in povertà" nello spirito delle Beatitudini.
        Ma, riflettendo, Dio non è stato da meno nel "vendicarsi" di questa ostinazione al rifiuto, perché, immediatamente dopo, con precisione il 6 ottobre, tramite un'appassionata testimonianza della vedova Moro, offre alla comunità una significativa immagine del catechista, paragonato al Battista e ai primi discepoli di Gesù, dietro indicazione del Battista.
        Facendo riferimento a Gv 1,35-42, sulla base di un'esperienza vissuta in Parrocchia e mai interrotta, nemmeno dopo il triste evento ben noto, la signora precisa così l'identità del catechista: E' uno che prepara la strada al Signore, sull'esempio del Battista.
        E' uno che si mette al seguito del Maestro, sull'esempio dei due discepoli che, dopo ber passato una giornata con Gesù, cambiano vita. Anzi uno dei due, Andrea, trascina il fratello Simone a fare la stessa esperienza.
        Quando si è fatto l'esperienza di Cristo, s'incontra il fratello, chiunque sia, e lo si invita a fare la stessa esperienza.
        Il catechista è una persona che fa una scelta precisa: Dio soprattutto, per portarlo ai fratelli...
        "Rimanete nel mio amore...": se egli si mette all'ascolto di Dio, resta legato come tralcio alla vite e quella Parola ascoltata produce frutti.
        Il catechista a servizio della Parola, dopo che questa ha operato in lui una trasformazione, una conversione. Ascolto della Parola con la disposizione interiore di un profondo silenzio, disposti a fare tutto quello che la Parola può esigere da noi... disponibilità a fare tutto quello che la Parola richiede...
        L'identità del catechista è stata proposta molto incisivamente da questa testimonianza vissuta.
        Ma la "vendetta" di Dio non si ferma qui perché, si creda o non si creda, quel riferimento alla Parola, solo accennato dalla sig.ra Eleonora, alla fine del suo discorso, resta da sviluppare, per completare la puntualizzazione delle due scelte fondamentali del Convegno di Posillipo su Parola e Catechesi.
        Ebbene, dopo alcune settimane, nel consiglio presbiterale del 17 dicembre, questo non lieve incarico, dal Pastore è affidato (ironia della sorte!) al membro "meno giovane" del consiglio, Zino, con una meditazione da fare il 28 dic. in occasione del ritiro per sacerdoti e suore.
        Come regalo per Natale, una... tegola in testa (si fa per dire!), dai cui cocci il Signore tira fuori un messaggio, quanto mai attuale ancora oggi, servendosi della disponibilità di Zino, caparbiamente fedele al suo motto: "non recuso laborem". Ecco il testo integrale, frutto di molte ore di riflessione sottratte al già poco sonno.

 
28 dicembre 1982

Lettura breve di Terza Lam. 1,16
        "Io piango, dal mio occhio scorrono lacrime, perché lontano da me è chi consola, chi potrebbe ridarmi la vita; i miei figli sono desolati, perché il nemico ha prevalso".
        Nella riunione del consiglio presbiterale del 17 c.m. S.E. l'Arcivescovo ha espresso il desiderio che nei nostri incontri mensili ognuno di noi a turno, dettasse un pensiero di meditazione. La proposta ci ha trovati consenzienti a questo servizio reciproco, ed oggi è toccato a me iniziare.
        Non vi nascondo che quando ho notato la lettura breve del giorno, tratta dalle Lamentazioni, ho avuto la tentazione di sostituirla, ma al pensiero che la Parola di Dio è sempre attuale, ed inserendo il versetto citato nel contesto biblico e storico, ho scoperto la validità di un messaggio che ci può venire da questo breve libro della Bibbia, per la situazione particolare in cui ci troviamo.
        Il versetto proclamato nella festività odierna dei SS. Innocenti, questi primi martiri, sebbene inconsci, che circondano la culla del Bambino, richiama la nostra attenzione sul problema della sofferenza e della morte, che percorre tutta la Bibbia. Esiste però un periodo nel quale il popolo ebraico ha dovuto fare il conti con questa realtà in modo particolarmente duro, nel periodo della cattività babilonese: crogiuolo del dolore in cui la fede verrà provata, per essere purificata.
        Le Lamentazioni fanno giungere a noi l'eco di questa drammatica esperienza. La collezione delle cinque elegie, di cui l'ultima si espande in fiduciosa preghiera, è attribuita, come sappiamo, a Geremia, ma le caratteristiche di stile e certi indici storici fanno pensare, ci precisano i biblisti, ad un autore più tardivo, che riassume però il messaggio del profeta ed è sotto il suo influsso.
        La raccolta esprime la profonda desolazione per le sciagure abbattutesi sul popolo di Dio e vibra di sentimenti di protesta, di penitenza e di fiducia in quel Dio, che non smentisce le sue promesse, qualunque cosa accada. Sembra di cogliere in quelle espressioni le reazioni della nostra gente nel dopo-terremoto...
        L'autore si prolunga a descrivere lo stato miserevole di Gerusalemme. Sion, personificata, prende la parola nel v. 9: "Guarda, Signore, la mia miseria, perché il nemico ne trionfa", continua nei vv. 11-16 per un lamento, e poi nei vv. 18 ss per una preghiera, che è nello stesso tempo una confessione, una speranza ed anche un'imprecazione.
        Questi sentimenti sono ripresi e descritti più dettagliatamente negli altri capitoli.
        Il 2° puntualizza l'ira di Dio contro Gerusalemme, con le conseguenti tristissime condizioni degli abitanti, su cui "la vergine figlia di Sion" ha da piangere, vv. 18-19: "Grida dal tuo cuore al Signore... muoiono di fame all'angolo di ogni strada".
        Nel cap. 3°, analogo a parecchi salmi abbiamo un lamento individuale che si allarga al lamento collettivo, aprendo però il cuore alla speranza, poiché v. 22 "Le misericordie del Signore non sono finite, non è esaurita la sua compassione... " ed orientandosi verso una profonda conversione: v. 40 "Esaminiamo la nostra condotta e scrutiamola, ritorniamo al Signore", sicuri di trovare ascolto in Lui: vv. 52-58 "Mi han dato la caccia... Tu hai difeso, Signore, la mia causa, hai riscattato la mia vita".
        Il 4° Cap. offre un'impressionante descrizione delle condizioni di fame del popolo e delle punizioni cui sono sottoposti i suoi capi.
        Il 5° Cap. si effonde in preghiera di filiale fiducia nel Signore, in cui trova
        fondamento la nuova speranza del "piccolo resto" d'Israele: v. 1 "Ricordati, Signore, di quanto è accaduto, guarda e considera il nostro obbrobrio" perché: v. 19 "Tu, Signore, rimani per sempre" e perciò: v. 21 "Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo".
        L'attualità di questo messaggio, che abbiamo cercato di cogliere attraverso la breve carrellata del libro delle Lamentazioni, potremo meglio puntualizzarla, inserendo il messaggio nel particolare periodo storico, vissuto dal popolo ebreo, tra l'attività profetica di Geremia a Gerusalemme, e quello di Ezechiele in Babilonia: vi troveremo tanti punti di analogia con la nostra situazione.
        Sappiamo che il re Giosia, nel 622 a. C. aveva intrapreso una imponente riforma religiosa, che avrà tanta importanza nella storia successiva: la riforma ha la sua motivazione nel "libro della legge" ritrovato nel tempio e il suo punto di partenza nella lettura pubblica che ne viene fatta. Come conseguenza di questa lettura il re per primo e con lui tutto il popolo si impegnano a vivere secondo le esigenze espresse nel libro della legge.
        Da questo notiamo come la Parola di Dio non soltanto convoca la comunità, ma la costringe a cambiare modo di comportarsi, la spinge ad un impegno futuro, diventa essa stessa programma di vita.
        Il re Giosia cercherà di creare anche nuove strutture per esigere l'osservanza dell'impegno assunto. Ma il suo fervore di rinnovamento rivela ben presto il suo punto debole nel fatto che trascurava l'uomo, la singola persona: egli aveva ottenuto l'adesione della massa, non convincimento e il consenso di persone libere. Perciò la riforma intrapresa da Giosia crolla rapidamente, appena viene a mancare il supporto dell'apparato statale.
        La comunità nata dalla riforma di Giosia era solo apparentemente osservante degli impegni assunti, soprattutto su un piano cultuale, per cui il Signore sollecita Geremia a denunciare l'ipocrisia dei giudei, che continuano a salire al tempio del vero Dio, pur vivendo nell'idolatria e nella corruzione: 7,8-11 "Voi confidate in parole false e ciò non vi gioverà... vedo tutto questo".
        Il profeta insiste sulla trasformazione autentica della vita, al di là di ogni formalismo o atto di culto esteriore, pena anche la distruzione del tempio, in cui essi fondavano la loro sicurezza. Ma l'invito alla conversione risuona invano ed il castigo diventa ineluttabile: 7,34 "Io farò cessare nelle città di Giuda e nelle vie di Gerusalemme le grida di gioia e la voce dell'allegria, la voce dello sposo e della sposa, poiché il paese sarà ridotto un deserto".
        Nel 597 Gerusalemme viene espugnata la prima volta da Nabucodonosor, che manda in esilio a Babilonia una parte dei suoi abitanti.
        Attraverso queste prove maturano i tempi per un'accoglienza della Parola di Dio più personale e problematica: il luogo dove viene annunciata da Geremia è ancora il tempio; l'occasione, le grandi solennità liturgiche; i destinatari, la folla indistinta. Ma la reazione differenziata al messaggio di Dio apre la prospettiva nella linea della responsabilità individuale e della riflessione, che conduce a decisioni sofferte e responsabili.
        Il messaggio del profeta suscita reazione da parte dei capi religiosi e della gente: perseguitato, incarcerato e malmenato, egli resta fedele al suo messaggio; fedeltà che a lui, d'animo mite e timido, costa sacrificio e amarezza indicibili. Numerosi profeti sono stati perseguitati, ma nessuno ha espresso la sua sofferenza come Geremia. Lo ha fatto in maniera sconvolgente, sotto forma di dialogo con Dio, confessandogli e il suo tormento e la sua fiducia: 15,10-11 "Me infelice... Forse, Signore,... non mi sono rivolto a te... nel tempo dell'angoscia?"
        Talvolta tuttavia il tono cambia. Geremia non ne può più; allora implora: "Signore,... vendicati per me dei miei persecutori" (15, 15). E sente che Dio gli risponde: "Se tu ritornerai a me, io ti riprenderò e starai alla mia presenza... " (15,19). Così rinfrancato, Geremia prosegue il suo ministero. Ma spesso gli capita di ritornare al suo lamento, ed anche di maledire i suoi persecutori, quando la misura è colma: (18,19-23) "Prestami ascolto, Signore,... non lasciare impunita la loro iniquità".
        Possiamo anche capire i desideri di vendetta che in certi momenti lo sommergono; soffre troppo, è vittima di tropppe ingiustizie, per cui grida verso Dio con tutti gli sventurati e sfruttati della terra: (12,1) "Tu sei troppo giusto, Signore, perché io possa discutere con te; ma vorrei solo rivolgerti una parola sulla giustizia. Perché le cose degli empi prosperano? Perché tutti i traditori sono tranquilli? ".
        Accettare un castigo meritato sembra normale per Geremia: non cessa di ripeterlo agli abitanti di Gerusalemme. Ma perché lui, che si sforza di obbedire al Signore, deve soffrire tanto e più degli altri, gli empi, gli infedeli a Dio?
        La risposta che riceve è stupefacente: (12,5) "se, correndo con i pedoni, ti stanchi, come potrai gareggiare con i cavalli?... " quasi a dire: Come ti stanchi presto!... Altre lotte ti attendono, più dure, che porranno maggiormente alla prova la tua forza. Tale forza il profeta troverà soltanto in Dio, in un continuo sfogo di preghiera: (20,7) Mi hai sedotto, Signore, ed io mi son lasciato sedurre..."
        E' qui il segreto della sua vita: afferrato da Dio, come lo sarà più tardi S. Paolo, "sedotto", posseduto da quell'amore, ha attinto il coraggio di un'esistenza tutta offerta al Signore, rinunciando anche al matrimonio. Ha sempre trovato la forza di essere il portavoce del Signore, fino in fondo, a dispetto di tante ingiustizie e persecuzioni, di tanti disagi e contraddizioni.
        Quale esempio mirabile per noi, cari confratelli! Siamo disposti a tanto, nel dire il nostro "sì totale", anche a costo di pagarlo così caro? Ci lasciamo veramente sedurre da Dio, anche nei momenti più duri?
        Per secoli, si è attribuita a Geremia la cattiva fama di profeta piagnucoloso, di uomo senza vigore e coraggio. Abbiamo persino no inventato inventato il termine "geremiadi" per designare i lamenti lacrimosi dei deboli. Altro che debolezza!
        Nella sua predicazione troviamo la rude denuncia del peccato, 1 'appello appassionato alla conversione, l'ardente e sofferta sottomissione a una parola
        che ne anima l'intera personalità, come un fuoco che non riesce a contenere (20,9) "nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo ".
        Nonostante tutto, Geremia non ha mai perso la speranza, maggiormente espressa nei capp. 30-33. Qui continua a parlare della sofferenza, che presenta come inevitabile, ma commenta soprattutto l'amore e il perdono di Dio, il quale ricondurrà il suo popolo, lo riunificherà e gli restituirà la felicità: le piaghe saranno guarite, le case ricostruite... Un discendente di Davide farà regnare su tutto il paese il diritto e la giustizia. Si preannunciano tempi nuovi, con una conversione che viene dal cuore e l'accoglienza della Parola di Dio: (31,33) "Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo".
        L'attività profetica che Geremia ha esercitato a Gerusalemme, il profeta Ezechiele l'esercita a Babilonia dove gli ebrei non hanno la possibilità di organizzare grandi assemblee liturgiche, ma si incontrano in piccoli gruppi per studiare la Parola, che Dio aveva comunicato ai loro padri in precedenza. Da questo incontro con il passato essi ricavano luce per dare un significato al presente, e forza per sperare in un futuro migliore.
        La grande massa radunata nel tempio cede il posto al piccolo gruppo, dove però si discutono i grandi problemi della collettività. Si pongono così le basi per una comunità nuova, fatta di persone capaci di dialogare fra di loro, perché aperte al dialogo con Dio. Dio viene così a raggiungere ungere il suo popolo in esilio, o meglio a garantire a questi scoraggiati esiliati che è lì, presente, con loro.
        Il profeta aiuta la pietà ebraica a meglio percepire il proprio Dio; la sua missione consiste nel dare un senso alla vita dei deportati e soprattutto alla loro sofferenza, chiamandoli alla conversione, che li porterà all'unità ritrovata, al perdono del Signore, alla rinascita ad opera dello Spirito. Come Geremia, anch'egli intravvede un avvenire, una possibile speranza.
        Dopo queste brevi riflessioni, non ci sarà difficile scoprire tanti punti di analogia tra l'esperienza del popolo ebreo in questo periodo storico particolare e l'esperienza che stiamo vivendo noi con le nostre comunità, in seguito al terremoto, per cui anche noi posti a "sentinella" di queste comunità, siamo chiamati sull'esempio di Geremia e di Ezechiele, ad aiutare la nostra gente a dare un senso alla vita, alle proprie sofferenze e disagi, ad aprirsi, nonostante tutto, alla speranza: le sofferenze accettate e la stessa morte nella luce cristiana si rivelano feconde e portatrici di vita.
        E' il dolore del parto, dirà Gesù, che prepara la gioia di una nuova vita; è la morte del chicco di grano che, proprio attraverso il marcimento, porta alla moltiplicazione della vita.
        Tutta l'esperienza biblica ci assicura che, nel disegno di Dio, SOFFERENZA E MORTE ALLA LUCE DELLA RISURREZIONE, OCCUPANO UN RUOLO ED UN VALORE DI SALVEZZA PER IL MONDO, come il sacrificio, sebbene inconsapevole, dei SS. Innocenti, di cui celebriamo la festa.
        Siamo noi chiamati ad aiutare la nostra gente a fare una lettura di fede del misterioso segno del terremoto con le sue conseguenze, ritrovandoci intorno alla Parola, che conserva la sua forza profetica di aiutare a capire la storia, che Dio sta scrivendo con noi, oggi, tempo di disagi, di interrogativi, di contestazioni, ma anche tempo di speranza in un futuro migliore.

        Mah! ancora un particolare significativo che aiuta a passare di sorpresa in sorpresa: Zino, completando la lettura del testo di questa meditazione dall'agenda appunti del 1982, e riflettendo sul suo significato, si è ricordato di alcune espressioni lette mezz'ora prima, nell'anticipare il mattutino dell'indomani, sabato della XXX settimana T.O., va a controllare nel breviario e vi trova alla 1a lettura:  "Tu, Signore, hai tutto disposto con misura, calcolo e peso... Tutto il mondo davanti a te, come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra. Hai compassione di tutti,... Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato... Non c'è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose,...
        Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza; ci governi con molta indulgenza,... Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini; inoltre hai reso i tuoi figli pieni di dolce speranza, perché tu concedi dopo i peccati la possibilità di pentirsi" .
        Nella 2a lettura vi trova delle infuocate riflessioni di S. Caterina da Siena: "... voglio mostrare la mia misericordia al mondo e in ogni necessità provvedere alle mie creature ragionevoli in tutte le loro aspirazioni... tutto ciò che io ho dato all'uomo è somma provvidenza.
        Con provvidenza lo creai... mi innamorai della mia creatura... mi feci premura di darle la memoria perché ritenesse i benefici miei...
        Le diedi l'intelletto. Le diedi la capacità e la volontà di amare,.. Gli diedi il Verbo cioé l'Unigenito mio Figlio e l'ho liberato dalla sua condizione con grande sapienza e provvidenza...
        Cristo, mosso dall'amore, accettò l'ubbidienza e corse alla morte obbrobriosa della croce e con la morte restituì la vita... ".
       
E, come se ciò non bastasse, queste espressioni gli hanno richiamato alla mente tutta la pregnanza delle due letture del mattutino del giorno corrente, venerdì recitate di buon'ora, prima della Messa. Se ne riportano alcuni flash, perché anche il lettore abbia la possibilità di gustarne la dolcezza contemplativa.
        "La sapienza si estende da un confine all'altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa... Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza... essa conosce le cose passate e intravede le future, conosce le sottigliezze dei discorsi e le soluzioni degli enigmi, pronostica segni e portenti, come anche le vicende dei tempi e delle epoche. Ho dunque deciso di prenderla a compagna della mia vita... riposerò vicino a lei, perché la sua compagnia non dà amarezza, né dolore la sua convivenza, ma contentezza e gioia..." (dalla 1a lettura).
        La Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio... parola nel Padre, parola nella predicazione, parola nel cuore.
        Questa Parola di Dio è viva,... E' quindi vita e può dare la vita. ... viva nel cuore del Padre, viva sulla bocca del predicatore, viva nel cuore di chi crede e di chi ama...
        E' efficace nella creazione, è efficace nel governo del mondo, è efficace nella redenzione... E' efficace quando viene creduta ed amata...
        Quando parla questa Parola, le sue parole trapassano il cuore,... entrano in profondità... e penetrano tanto dentro, da raggiungere le intimità segrete dell'anima... "
(dalla 2a lettura).

        Il lettore avrà capito che questi agganci di attualizzazione servono al Signore come "stimoli" per aiutarci a VIVERE LA MEMORIA COME PROFEZIA, DA CUI LASCIARCI GIUDICARE ANCORA OGGI, in piena e totale disponibilità all'azione dello Spirito, che ci fa gustare l'originalità della concezione biblica del tempo, ininterottamente "riempito" di Dio, sempre contemporaneo a tutti ed a ciascuno.
        Conseguentemente, per fare profezia, basta prestare attenzione al presente, basta svolgere il seme ivi depositato da Dio, accorgendosi della seminagione divina, ed accompagnare la sua azione nella storia che ci coinvolge.
        Sarebbe interessante seguire le varie fasi di approfondimento, intorno alla Parola ed alla Catechesi, sotto la guida del simpatico don Di Donna nei ritiri del l° semestre '83, ma la digressione sarebbe troppo lunga, per cui qualcuno più esperto in lavoro di "segreteria", se ne potrebbe assumere l'onere.
        Non posso però non fare a questo punto un rapido accenno al tema del ritiro di giugno:


Catechesi biblica e liturgica

        Primo annuncio: Evangelizzazione.
        Approfondimento dopo il l° annuncio: Catechesi.
        Dove non c'è stato il primo annuncio, la Catechesi assume la funzione evangelizzatrice.
        La fede ha un suo dinamismo interno in base al quale:
        - va annunziata, suscitata... l° annuncio = Kerigma;
        - va approfondita = Catechesi;
        - va celebrata = Liturgia con Parola (proclamazione, omelia) e Sacramenti;
        - va testimoniata = Carità.
        Il principio cui bisogna rifarsi ogni volta che si annuncia la Parola:


fedeltà a Dio e fedeltà all'uomo

        Dobbiamo convincerci che:
        a) siamo uditori e annunciatori di una Parola che porta alla salvezza, non padroni ma servi della Parola;
        b) la Parola deve essere significativa per l'uomo di oggi incarnata nel discorso sull'uomo...
        In un'intervista del Prof. Lazzati al Card. Pellegrino si parla anche dell'omelia, intesa come attualizzazione: la Parola proclamata ha bisogno di essere incarnata, perché abbia significanza per l'uomo di oggi; attualizzazione autorevole, all'interno della celebrazione, con riferimento alla Parola proclamata, che non può essere sciupata, in quanto questa è in vista della conversione.
        L'omelia non è una conferenza più o meno dotta, ma attualizzazione della Parola, in vista di un fine: vita nuova.
        Una Parola che è profezia, giudizio: beati i poveri... gli afflitti... esortazione: venite a me voi tutti...
        speranza: la salvezza è vicina.
        - Una Parola dura, sferzante: rimprovero di giudizio sulla storia: guai a voi...


        g) Tensioni teologiche postconciliari all'interno della Chiesa universale

        L'esigenza di comunione avvertita da Zino, sempre in totale trasparenza critica, non può essere limitata agli avvenimenti della Chiesa locale,ma si allarga anche a situazioni ecclesiali di più vasta portata, come alle tensioni verificatesi nella Chiesa nel 1989.
        Subito agli inizi dell'anno ha luogo la "famigerata" dichiarazione di Colonia, firmata da 163 teologi dell'area linguistica tedesca (Austria, Svizzera, Germania Occidentale, ma anche Olanda), il 6 gennaio 1989 e diffusa il 26. Le firme ben presto passano a oltre 170, insieme a 50 che hanno condiviso ma non sottoscritto il documento (la pianta della pavidità attecchisce ovunque!).
        Sorprendentemente Zino trova conferma delle idee espresse circa il surricordato trasferimento di "stile prefettizio" del Vescovo, con questa ferma presa di posizione dei teologi, come si può notare da alcune affermazioni della dichiarazione, prese da Regno-attualità di aprile '89.
        " ... Da parte della Curia romana viene ostentatamente attuato a livello mon- diale il piano di occupare sedi episcopali senza tenere presenti le proposte delle Chiese locali e trascurando unilateralmente i diritti da loro acquisiti...
        L'apertura della Chiesa cattolica alla collegialità tra Papa e Vescovi - che pur è stato uno degli avvenimenti centrali del Concilio Vaticano II - viene soffocata attraverso un nuovo centralismo romano.
        L'esercizio del potere che si manifesta nelle recenti nomine dei Vescovi contraddice la fraternità del Vangelo, le positive esperienze fatte nel processo di attuazione dei diritti di libertà, nonché la collegialità dei Vescovi...
        La Chiesa è a servizio di Gesù Cristo. Deve pertanto resistere alla continua tentazione di abusare del suo Vangelo di giustizia, di misericordia e di fedeltà, ricorrendo a dubbie forme di dominio a salvaguardia del proprio potere. Essa viene intesa dal Concilio come il popolo itinerante di Dio e come relazione di vita esistente trai fedeli (communio) - non è quindi una città assediata e costretta a innalzare ancor più i propri bastioni, difendendosi con forza contro quanto le è interno ed esterno ...".

        Il Vescovo di Salisburgo in Austria, Mons. Berg, in una telefonata alla direzione del "Regno" dichiara esplicitamente: "... di certo c'è che le nomine dei Vescovi fanno discutere. La procedura non va proprio. La base ecclesiale è mortificata. Certo bisognerebbe evitare che si producano questi fatti. Sono momenti delicati per la Chiesa. Si corre il rischio di operare fratture ".
        Le reazioni dei Mass Media in Italia sono le più varie, a seconda dell'indirizzo ideologico di ciascuno, ma ciò che mi ha letteralmente sconvolto è stata la valutazione "a senso unico" data da un quotidiano che si ritiene espressione della cattolicità e, nel caso, attraverso la "forbita" penna di un fecondo scrittore cattolico, il Messori.
        Da Avvenire 5/02/1989 Vivaio - 168 "Stupisce un poco lo spazio che i media hanno riservato al manifesto di Colonia con cui 163 teologi, soprattutto tedeschi, hanno rinnovato le accuse di sempre contro il Papa, il Vaticano, il Centralismo romano.
        Stupisce, perché promotori dell'iniziativa sono gli ormai anziani professionisti della contestazione storica, da post-concilio e da sessantotto: a cominciare da Hans Kung al quale, tra l'altro, da anni è stata ritirata ufficialmente la qualifica di teologo cattolico.
        Da giornalista riesce difficile capire perché dovrebbe far notizia da prima pagina quella che sembra in gran parte una manifestazione di reducismo, da come eravamo...
        ... pur accettando di parlare di popolo, oltre vent'anni di esperienza postconciliare ci rendono perplessi sulle affermazioni di coinvolgimento popolare del manifesto di Colonia e dei suoi commentatori. Ci è dunque chiaro perché, per essa, si usassero istintivamente termini significativi: gruppi, gruppetti... All'interno dei quali, i gruppettari favoleggiavano, certo, di popolo ma era spesso, per essi, una realtà lontana e spesso sconosciuta: si dicevano interpreti della base popolare, ma quella base non c'era, né si riuscì mai a catturarla.
        Come tutte le rivoluzioni anche quella prima del postconcilio e poi del '68 vide come protagonisti studenti, professionisti, teologi, intellettuali, preti, frati, ma pochi o punto popolani...
        ... Al contrario di quanto afferma la demagogia, il popolo è conservatore (sempre, chiamato a votare, esprime maggioranze moderate, di centro) e va costantemente a rimorchio, spesso recalcitrante, di elites intraprendenti se non prepotenti.
        Per venire alla situazione religiosa, è indubbio che non fu il popolo a reclamare il Concilio: anzi, i pastori ben sanno quanta fatica ci volle a interessarlo a dibattiti che non aveva chiesto e in cui, forse, vedeva complicazioni e sfizi di teologi sfaccendati.
        ... sempre, quando i preti litigano tra di loro, la gente (che non ha le conoscenze, il tempo, forse nemmeno la voglia per scegliere e militare) manda tutti a quel paese, e se ne va via"
.
       

       L'indignazione di Zino a queste "vergognose" valutazioni di uomini e fatti è stata immediata.

        Vallata, 6/2/89

        Caro Messori,
        sono un sacerdote dell'Altirpinia, divoratore dei tuoi libri, divenuti oggetto di ricerca anche da parte dei giovani del Liceo Sc. in cui insegno Religione da molti anni, avendo trovato in essi uno stimolo di approfondimento critico per tante tematiche. Leggo con piacere anche "Vivaio" su Avvenire, in cui spesso mi ritrovo per la tua puntualizzazione di uomini e cose, anche se più di qualche volta (e non potrebbe essere diversamente!) non mi sento di condividere tout court quanto vai affermando. VIVAIO di ieri, 5 c.m. mi ha poi letteralmente sconvolto per l'analisi da te fatta del "Manifesto di Colonia", per cui ho sentito il bisogno di farti pervenire immediatamente qualche mia riflessione... a caldo!
        Sono d'accordo con te nel pensare che i 163 Teologi abbiano potuto sbagliare sul modo di proporre certe idee, quasi da... spot pubblicitario!, che ha trovato subito risonanza nei media (come poteva non verificarsi?), ma questo non esclude che il contenuto del discorso vada affrontato con lucidità critica e non rifiutato pregiudizialmente, col dire che viene da "... ormai anziani professori della contestazione storica da post-concilio e da sessantotto... manifestazioni di reducismo, da come eravamo". Stupisce questo licenziamento immotivato, che viene proprio dall'autore di "Inchiesta!... ".
        Per quanto affermi circa la categoria di "popolo", ti rinvio alla Lumen Gentium, un documento del Vaticano II (non una diatriba teologica da "manifesto"!) che, dopo oltre un ventennio, resta di "bruciante attualità": abbiamo ancora da riscoprire (anch'io insieme a te) tutta la pregnanza biblico-teologica del "popolo di Dio", di cui fai parte anche tu, come battezzato, in prima persona e responsabilmente, per portare il tuo contributo di riflessione critica in questo cammino di "comunione" da fare insieme a tutti verso Cristo: altro che "sfizi da teologi sfaccendati. o di preti che litigano... o di cammino verso luoghi di apparizione mariana!"
        La tua analisi circa la scristianizzazione della Francia e l'indifferentismo religioso è, a dir poco, riduzionistica e semplicistica... e stop! perché sono le ore 2,15 del 7 febbraio...). Ti allego comunque un mio contributo di riflessione che ho già inviato a S.E. Mons. .... nella speranza che solleciti un "confronto" sulla e con la Chiesa locale. Se avrai la pazienza di leggermi, ti sarei grato di una tua valutazione.
        Ti considero un amico, anche se conosciuto solo attraverso le pubblicazioni, e ti abbraccio in unione di ideali e di preghiera

Gerardo De Paola

 
        22/2/89

        Caro Don Gerardo,
        grazie per la Sua lettera e per le Sue osservazioni. Sono molto grato ai lettori sia quando mi manifestano il loro consenso sia quando mi danno bacchettate sulle mani. Anzi, resto sempre sorpreso per la "passione" e l'attenzione con cui seguono quello che scrivo. Mi sono assai utili e il consenso e il dissenso perché mi permettono di approfondire la riflessione. Anzi il secondo, a ben pensarci, assai più del primo.
        E' chiaro che i libri, scritti e riscritti più volte, sono maggiormente meditati e limati. Gli articoli sono quasi sempre accompagnati da una certa fretta e soprattutto dalla impossibilità, spesso, di esprimersi a freddo su certi argomenti. Qualche "Vivaio" più di altri, può risentire di questi fatti. Per questo mi appunto sempre le osservazioni in vista della raccolta in volume dei pezzi che, come per "Inchiesta sul cristianesimo", subiranno un grosso lavoro di revisione. Il "Vivaio" sul manifesto di Colonia era probabilmente troppo sintetico.
        Ed io, scrivendolo, presupponevo alle spalle sedi in cui i concetti che esprimevo avevano avuto uno sviluppo più ampio e chiarificatore, per esempio quel "Rapporto sulla fede", l'intervista al Cardinal Ratzinger che ha fatto tanto rumore. I temi sono sempre gli stessi. Ma forse, da impaziente quale sono, davo per scontato troppe cose. Ma avremo modo di riparlarne.

Con amicizia, suo
Vittorio Messori

 
        Vallata, 10/3/89

        Cristo regni!,
                Caro Vittorio,
        graditissima mi giunge la tua del 22 u.s., cui mi affretto a rispondere, per esprimerti il mio grazie circa la tua disponibilità al dialogo, ma resto sempre in attesa di conoscere una tua puntualizzazione critica del Manifesto di Colonia, che puoi trovare integralmente su "Il regno-attualità" del 15 febbraio u.s., e sul tuo giudizio affrettato (per usare un eufemismo!) circa "... gli anziani professori della contestazione storica".
        Uno stimolo di valutazione critica del Manifesto di Colonia, lo puoi trovare anche in un articolo di SETTIMANA = Attualità del 1912 che, per tua comodità, accludo in fotocopia alla presente.
        Attendo pure una tua valutazione circa il mio articolo, che ti autorizzo ad utilizzare anche sulla stampa, se ritieni opportuno.
        Perché il nostro discorso non resti un fatto "privatistico", se, da una tua verifica più approfondita dell'argomento, ti dovessi convincere di aver preso una "gaffe" nello stendere quel famigerato "Vivaio" del 5 febbraio u.s., mi attenderei un atto di coraggio, anche per onestà intellettuale, di ritrattare in un altro "Vivaio" quanto detto allora con "una certa fretta...".
        Se poi le esigenze redazionali, che spesso arrivano a "plagiare" (venia sic dicco!) anche le migliori intelligenze, non ti permettessero questa pubblica "autocritica", in leale e costruttivo confronto con i lettori, non potrei certo suggerirti il da farsi, ma, per quanto mi riguarda, ti delegherei, sin da questo momento per tale ipotesi, a disdire il mio abbonamento ad "Avvenire".
        Scrivendomi, ti prego di darmi del "tu", come ho fatto io confidenzialmente
        sin dal primo momento, e comunicami il tuo numero telefonico. Il mio è: 0827- 91056. Con tanta cordialità

Aff/mo in Cristo
Sac. Gerardo De Paola

1/6/89

        Caro Don Gerardo,
        ho ricevuto solo pochi giorni fa una tua lettera datata 16/3, ma ancora di attualità dato che il tema a cui si riferiva è tornato prepotente alla ribalta.
        Che dirLe? Che esistano divergenti opinioni in proposito è apparso manifesto nelle divergenti reazioni di cui la stampa ha dato eco nei giorni scorsi di fronte alla lettera dei 63 teologi italiani. Io ho espresso le mie opinioni e la mia sofferenza nel "Vivaio" di Domenica 25/5.
        A chi dare ragione? E' arduo dirlo. E, soprattutto, chiunque riesca a far prevalere il proprio punto di vista, ciò non avverrà senza lasciare il segno. Io, da "convertito" che ha praticato prima e a fondo "le vie del mondo", resto cauto nell'abbandonare o nel sottovalutare la Tradizione che è giunta fino a noi. E, se devo giudicare dalla quantità di lettere di incoraggiamento che ricevo, non sono il solo. Ma non pretendo, ovviamente, di avere ragione. Tuttavia non posso che esporre con sincerità (e senza paura di non essere nel giro "progressista") quello che mi sembra giusto. Poi, Dio provveda a colmare gli errori e le lacune di tutti noi, indirizzando tutta la storia (compresa quella della Chiesa) all'esito positivo che la comune speranza ci fa intravvedere.

Con amicizia, Suo
Vittorio Messori

        Molto comprensibile, ma non giustificabile, la licenza non poetica ma "giornalistica" di ricorrere, in questa lettera, ad una "bugietta" per giustificare una
        "tardiva" risposta, oltretutto "telecomandata" dalla mia ostinazione nel tornare " direttamente o indirettamente, alla "carica", alla mia del 10/3, (non 16/3), con un, questa volta giustificato, errore di date, dovuto solo alla fretta.
        La logica invece mi ha aiutato a "scoprire" che le cose siano andate diversamente (è proprio vero che il diavolo sa fare solo le pignatte e non i... coperchi!) come risulta "lapalissianamente" dai seguenti... documenti, fruendo di una briciola di fiuto... canino! Basta osservare le date.
        Il 21 maggio '89 il "testardo" Zino invia un plico a Mons. D. Tettamanzi, presso la Direzione di Avvenire, con questo bigliettino di accompagnamento:

        Vallata, 21/5/89

        Carissimo D. Dionigi,
        sono un tuo assiduo lettore e uditore in vari convegni, per cui mi ha maggiormente sorpreso la tua puntualizzazione su "Avvenire" del 14 c.m., in cui parli di fedeli "sconcertati e scandalizzati dai contrasti delle opinioni e dei giudizi dei teologi", che si esprimerebbero "con atteggiamenti rivendicazionisti". Proprio dalla "cattedra" di Avvenire, che prima di fare critica dovrebbe fare autocritica?!?
        Il malloppo che ti allego (inviato a suo tempo anche a Messori, (dal quale attendo sempre una risposta alla mia del 10 marzo) può forse esserti di aiuto.
        Anche la lettera aperta di P. Gheddo allo amico teologo meriterebbe una lettera di risposta allo amico missionario, invitandolo a non fermarsi a un cristianesimo... anagrafico, per evitare valutazioni riduzionistiche... e a non accusare di "poca missionarietà" chi sente vivamente l'ansia di una Chiesa meno istituzione e più comunione, ma pur sempre amata con tutti i suoi limiti!... Resto in attesa di fraterno riscontro e cordialmente ti abbraccio in unione di preghiera

Don Gerardo

        L'attesa di riscontro è stata vana perché Mons. Tettamanzi, ormai già Vescovo "in pectore", si era liberato della "patata bollente", passandola nelle mani di Messori.
        Questi, per la coerenza che rivela nei suoi scritti "più meditati", assume ammirevolmente un tono diverso, sia in Vivaio del 28 maggio (si noti la data!) sia nella surriportata lettera del 1° giugno, per riparare al lungo ma... riflessivo silenzio.
        Perché il lettore abbia la possibilità di confrontare personalmente quanto il Messori di Vivaio 214 sia diverso da quello (quam mutatus ab illo!...) di Vivaio 168 si trascrive qui il testo completo.
        Il lungo cammino fatto insieme, a cominciare dallo scontro iniziale, è sfociato, in umile atteggiamento di ricerca, con un reciproco aiuto a non perdere di vista quanto ci ha ricordato recentemente il Catechismo della Chiesa Cattolica, citando continuamente i documenti conciliare.
        La Sacra Scrittura e la Tradizione "sono tra loro strettamente congiunte e comunicanti", interpretate dal Magistero che "... però non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve... Piamente la ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone... Tutti i fedeli sono partecipi della comprensione
        e della trasmissione della verità mediante il senso soprannaturale della fede..." (CCC nn 80 ss).
        Pertanto esprimo al caro Messori da queste righe la mia commossa gratitudine per il suo profondo senso di umiltà, espresso in questa puntualizzazione di Vivaio 214, che ci fa riprendere il cammino insieme, pur nella diversità di opinioni: Cristo ci vuole così!

 
        "AVVENIRE" - Domenica 28 maggio 1989 -

        Vittorio Messori: VIVAIO (214)
        Fastidiosa, certo, la parte del grillo parlante. Il quale, dicendo cose insopportabili, giustamente finisce sotto il martello del Pinocchio. Ma, come dicono po' buffamente• po amente i "duri" da telefilm americano: "Qualcuno deve pur fare questo mestiere ".
        Continuiamo a farlo, almeno per ora, dicendo, chiaro e tondo - magari con brutalità, più salutare forse di certe furbesche ambiguità ecclesiastiche- quella che, a noi almeno, sembra essere la verità in quel dramma della Chiesa attuale che talvolta sembra venarsi di aspetti da farsa.
        E' dunque con libera franchezza che ci sembra di dover avvertire:
        nessuno si illuda che si possa andare avanti in eterno con tattiche dilatorie per procrastinare, di scaramuccia in scaramuccia, lo scontro inevitabile e risolutivo attorno all'obiettivo vero. Non sappiamo se, tra le letture dei pastori della Chiesa attuale, ci sia anche Karl von Clausewitz, il teorico prussiano della strategia e il cui studio è ora in n grandissimo onore nelle scuole per i manager e, in genere, per chiunque abbia responsabilità di uomini e cose. Se accanto ai libri di teologia e di spiritualità dei vescovi, c'è posto anche per il Della guerra di quel grande maestro di realismo, anch'essi sanno che nessuno il cui servizio sia guidare uomini può sperare, in caso di crisi, di sfuggire per sempre alla battaglia campale. Generale illuso, dice von Clausewitz, quello che si immagina che la questione potrà decidersi con zuffe tra avanguardie, tecniche manovriere, piccole ritirate e piccole avanzate, proclami concilianti, parole rassicuranti. Prima o poi, il nodo principale verrà al pettine. E chi ha cercato di evitare la battaglia, di negarne la necessità stessa, finirà per subirla.
        Ora: bando finalmente alle retoriche che tutto vorrebbero risolvere e pacificare col volemose bbene di "diverse sensibilità" di "differenti accentuazioni ", ripetendo, come giradischi inceppati, le consuete invocazioni a un "dialogo" taumaturgico. Da più di vent'anni c'era guerra civile nella Chiesa; ora, quella guerra è ufficialmente dichiarata, con proclami firmati da centinaia di "ufficiali" anche se i pronunciamientos hanno ora toni dichiaratamente bellicosi, ora, almeno in apparenza, pacati. Lode comunque, al coraggio e alla sincerità finalmente ritrovati. Se, anche qui, la Chiesa delle istituzioni non avesse smarrito il suo tradizionale realismo, la cosa sarebbe stata del tutto prevedibile: tra le conseguenze di quel peccato originale che proprio la fede dovrebbe confessare, c'è la nostra ineliminabile aggressività che occorre indirizzare, ma che non si può ignorare. Togliere a quel gruppo di uomini che è la Chiesa ogni antagonista al di fuori, significa rivolgere l'aggressività dall'esterno all'interno. Se per il nostro istintivo bisogno di opporci, non c'è più l'ateo, l'eretico, l'infedele, il miscredente (in una parola il "mondo" in senso giovanneo), ecco che - fatalmente - l'avversario diventa il fratello nella fede, da combattere perché "di destra" o "di sinistra", "progressista" o "conservatore", "aperto" o "integrista". Quale che sia il giudizio sulle sue sempre mutevoli posizioni, non si possono negare a Gianni Baget Bozzo sprazzi di acutezza intelligente. Difficile dargli torto quando osserva che poté opporsi con vigore al modernismo degli inizi del secolo una Chiesa che alle spalle aveva, indiscussi, il Concilio di Trento, il Vaticano I, il Sillabo e tutto il resto. Ma quel modernismo divenne fiume carsico e riemerse alla grande approfittando del Vaticano Il. Pur venerato, prima, da parte "progressista", Jacques Maritain, nei suoi ultimi anni, ripeteva che "il modernismo Belle Epoque era un raffreddore rispetto a quella polmonite che è il modernismo post-conciliare". Ma c'erano le riserve di una tradizione sempre fermamente riconfermata nelle retrovie della Chiesa di S. Pio X. Da Paolo VI in poi, alle spalle c'è il Vaticano II. E si ha un bel distinguere tra "Concilio vero" e "Concilio immaginario", tra "lettera" autentica dei documenti e "spirito" abusivo che verrebbe loro attribuito da dei teologi. Questi non avranno tutte le ragioni, ma non hanno nemmeno torto se traggono certe conseguenze da certe premesse. E quanto a lungo potrà una gerarchia essere (o sembrare: ma è la stessa cosa nella società delle apparenze) "in contraddizione con se stessa", come appunto osserva impietosamente il Baget Bozzo? E' davvero coerente - come è successo adesso, ma come da copione ripetuto da 25 anni - contrastare il corpo di ufficiali che scende in rivolta "in nome del Concilio" (e che quegli insorti abbiano torto non è così facile da dimostrare, proprio alla luce di quei documenti), ribadendo proprio nel testo di condanna che "il Vaticano II è la massima grazia del secolo"?

        Che la cosa non possa continuare all'infinito, lo riconoscono coloro che, ai massimi vertici ecclesiali, hanno abbandonato la posizione quasi insostenibile del "vero" e "falso " Concilio, arretrando su una precaria Maginot, derubricando il Concilio stesso, cercando di banalizzarlo, di disinnescarlo, dichiarandolo "non dogmatico, solo pastorale". Ma è proprio o contro questa estrema linea fortificata -lo dicono chiaro e tondo nei loro documenti- che va ora all'assalto quella intellighenzia cattolica.
        Ed è qui che il vecchio stratega prussiano scuote il capo: non illudetevi, prima o poi dovrete sedervi al tavolo della "mano" decisiva. E la posta della battaglia è tanto chiara quanto terribile: è il Concilio stesso, non solo le sue interpretazioni; è il suo significato e la sua opportunità nella Storia della Chiesa, non solo le schermaglie su suoi aspetti specifici; è, addirittura, certa sua lettera stessa, non soltanto le letture "abusive ' (se davvero lo sono). Prospettiva lacerante. Ben comprensibile che, al vertice, si tenti di negare fin che dura - che questa è, nuda e cruda, la vera posta. Con qualche eccezione, ché talvolta il card. Ratzinger ricorda che, nella lunghissima storia della Chiesa, c'è di tutto: anche il caso di Concili di cui non è restata traccia, tacitamente surclassati da decisioni susseguenti. Né mancano teologi "tradizionali" che, giudicando caotica la situazione, ricordano che il dogma del Vaticano I sull'infallibilità papale permetterebbe di mettere al riparo almeno un nucleo di verità oggi in continua ridiscussione. (E non chiedetemi che cosa mi auguri. Se sapessi da che parte sta davvero Cristo e il bene della Sua Chiesa, non soffrirei come so di soffrire. Consapevole che, comunque vada, la guerra sarà devastante, la carità in pericolo, la fede di quel che resta di "popolo di Dio" ancor più minacciata).

        Come si può notare da tutte le espressioni del "succinto e compendioso" articolo, il Messori "giornalista" è stato magistralmente integrato dal Messori "scrittore", per cui, anche senza dircelo esplicitamente, ci si è accorti che, alla base dei nostri scontri c'era una sofferenza "comune", alla ricerca di "ciò che unisce", come amava dire Papa Giovanni, per giungere, superando però ogni forma di idiosincrasia, ad una simbiosi più viva, più profonda, più trasparente, più feconda, nella prospettiva di un comune ideale di fede e di vita.
        Il 27 agosto '93 gli inviavo una copia di "Zino e Molok" con questa dedica:
"Al carissimo Vittorio, un segno tangibile di simpatia critica sempre viva, nella continua ricerca di simbiosi per comuni ideali".

G. De Paola

        Il 25 ottobre egli, gentilmente, mi rispondeva con una "calda" lettera su carta intestata, riportante in greco il versetto 51 del Cap. 12 di S. Luca: "Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione".


Ottobre '93

        Caro don Gerardo,
        ho letto con attenzione e con piacere "Zino e Molok". Le sue pagine mi hanno portato a conoscere il cuore di una comunità e di un sacerdote che, tra gioie e dolori, tra fatiche e soddisfazioni, cerca di servirla con umiltà e costanza, con giusto amore per le proprie radici.
        Mi piacciono questi ricordi, che fissano nello scritto informazioni ed esperienze che altrimenti finirebbero per perdersi. E che permettono di trasmetterle anche a chi è cresciuto e vive in ambienti diversi ma accomunati dall'impresa affascinante e insieme faticosa del vivere.
        Grazie dunque ancora.
        Con amicizia, mi creda suo Vittorio Messori
        Tornando al nostro discorso, occorre precisare che, dopo la lettera aperta di 63 teologi italiani, in conformità delle dichiarazioni di Colonia, le reazioni all'interno della Chiesa italiana, come riconosce anche il Messori, sono le più svariate, recepite e amplificate dalla stampa cattolica.
        Dalla reazione di Avvenire del 14 maggio, in cui il Tettamanzi parla di fedeli "sconcertati e scandalizzati" e P. Gheddo di "poca missionarietà", a tante altre risonanze di stampa.
        Logicamente quella di Avvenire era l'espressione della reazione della CEI ai "ribelli", giudicata in un'Assise Interconfessionale Mondiale a Basilea (quindi non da singole e sparute teste calde!) come una "idiosincrasia della Chiesa italiana ad accettare critiche".
        A questo severo giudizio il carissimo Cardinale Martini, con tutta la sua convinta veridicità, si trova, questa volta "costretto" a riparare in... calcio d'angolo, dichiarando in quella sede che: "bisogna dare tempo al tempo, sviluppando la capacità di ascoltarsi senza scomunicarsi".
        Ma c'è stata pure una significativa e ferma presa di posizione a favore dei 63 da parte di Famiglia Cristiana e di Jesus, attraverso i rispettivi direttori, cui Zino fa giungere immediatamente la sua "piccola" ma convinta adesione di solidarietà.

 
Vallata, 19/5/89

Al Direttore di FAMIGLIA CRISTIANA: D. Leonardo ZEGA
Al Direttore di JESUS: D. Stefano ANDREATTA

        Carissimi,
        mi affretto a farvi pervenire fraterne espressioni di vivissime congratulazioni per la ferma presa di posizione a favore dei 63 teologi (finalmente si sono scossi anch'essi!) e contro AVVENIRE, "portavoce a senso unico" di quanto sarebbe "in sintonia con il retto sentire e agire ecclesiale", dando voce solo a chi valuta come "accuse ingiuste" tematiche affrontate in "serena costruttività"
        da teologi e con "simpatia critica" da chi alla base vive con travaglio questa crescente tensione in una Chiesa, che porta ancora tanto "della figura fugace di questo mondo... ".
        Vi accludo un mio modesto contributo di riflessione, di cui potete far l'uso che ritenete più opportuno, come espressione di chi non trova spazio nelle strutture di potere per dar voce a ciò che gli brucia dentro.
        Il lavoro è stato sollecitato da una "decisione " di burocrazia ecclesiastica, con conseguente servilismo di chi non riesce a parlare liberamente della Chiesa alla Chiesa... come persone mature e corresponsabili. Diamoci tutti una mano per aiutarci a raggiungere la libertà dei figli di Dio!
        Con cordialità e simpatia in unione di cordata

Sac. Gerardo De Paola
Arciprete di
83059 VALLATA (AV)

 
        Due giorni dopo, contemporaneamente alla lettera di accompagnamento del plico a Tettamanzi facevo lo stesso col Direttore di SERVIZIO DELLA PAROLA don Luigi Della Torre e p.c. al Direttore Editoriale QUERINIANA, col seguente biglietto:

 
Vallata, 21/5/89

        Caro D. Luigi,
        sono un vecchio abbonato di Servizio della Parola ed assiduo lettore dei tuoi scritti, soprattutto sulla riforma liturgica, cui attingo continuamente spunti di riflessione per la predicazione...
        Il presente... malloppo è per metterti al corrente di un mio travaglio che mi porto dentro da qualche mese e per esprimere a te ed a tutti i firmatari del documento la mia viva e fraterna solidarietà, perché non sia vanificata una istanza comunitaria, molto sentita alla base, anche se giudicata ai vertici un "magistero parallelo o alternativo".
        Lo Spirito ci sollecita a tener duro e non mollare!...
        In attesa di fraterno riscontro ti abbraccio

D. Gerardo

 
        Nella lettera ho fatto riferimento ad una "istanza comunitaria, molto sentita alla base" non soltanto da parte di sacerdoti, ma anche di semplici fedeli, messi al corrente di queste problematiche ecclesiali.
        Perché il riferimento a questi ultimi non sia recepito come un'affermazione di "comodo", posso assicurare che essi, avendo recepito dalla stampa e da discussioni intercorse tra me e loro, l'urgenza di questo problema ecclesiale, oralmente e per iscritto, hanno espresso il loro pensiero, con molta spontaneità, e sincerità. Valga per tutti la testimonianza di un operatore scolastico, molto sensibile ai problemi dell'uomo.

 
16/6/89

        A don Gerardo De Paola

        La lettera ai cristiani firmata, a titolo personale, da teologi, storici e filosofi di spicco, rappresenta, credo, una nobile presa di coscienza-posizione, nei confronti di talune "spinte regressive" della Chiesa Cattolica.
        Connotazione pastorale e discussione dottrinale del "Vaticano II" vanno considerate come unità, se si vuole rimanere nell'ambito di un'interpretazione fedele della "verità" calata nell'esistenza storica della comunità ecclesiale.
        Può, oggi, la mentalità del privilegio ispirare il cammino di quella Chiesa che si pone come sacramento di unione con Dio e di unità tra popoli?
        Gesù Cristo Nostro Signore risponderebbe di no.
        Porre con forza queste domande, lanciare spunti di riflessione così semplici ma così importanti, elaborare e sottoscrivere un documento di questo tipo, deve far riflettere quanti si professano "cristiani".
        A Vallata, con don Gerardo, risuona l'eco di una "musica nuova", la "simpatia critica" e 1'"accusa" IN-giusta contro certe strutture di potere e certe forme di servilismo che caratterizzano, purtroppo, questa nostra tumultuosa epoca anche nell'ambito della Chiesa.
        Insieme verso la libertà dei figli di Dio: questo è sollecitazione che viene da chi avrebbe potuto a pieno titolo sottoscrivere la "lettera ai cristiani".

Lettera firmata

 
        Ovviamente, non poteva mancare da parte mia l'assicurazione di solidarietà ai firmatari della lettera aperta dei 63 teologi, tramite Don Luigi Sartori, per l'Italia settentrionale, ed il mio bravo ex professore di Sacra Scrittura al Regionale di Salerno D. Settimio Cipriani per l'Italia centromeridionale. Il carteggio con il primo si è svolto in questi termini:


        Vallata, 21/5/89

        Caro don Luigi,
        ti conosco solo per comunicazione di pensiero, ma dopo la firma al "famigerato documento", ci troviamo insieme in cordata, come puoi notare da questo malloppo, per vincere la "grande paura degli uomini" e per aiutarci reciprocamente a non mollare nel tentativo di dare alla Chiesa un'autentica dimensione di comunione.
        Resto in attesa di un fraterno riscontro. Con cordialità e simpatia, in unione di preghiera.

Sac. Gerardo De Paola

        Il riscontro è stato immediato con molta gentilezza.

Padova - Seminario Maggiore
1° giugno '89

        Carissimo don Gerardo,
        grazie per tutto ciò che mi hai trasmesso. Informazioni preziose; ma soprattutto testimonianza di ecclesialità conciliare piena. Complimenti e congratulazioni.
        Il suo affetto a distanza mi commuove e mi sprona a restare fedele alla mia vocazione di credente-teologo per la Chiesa ma soprattutto per Cristo e per Dio.
        Restiamo uniti nella preghiera

Dev/mo
Don Luigi Sartori

        Anche il mio ex-professore, cui scherzosamente dicevo nella presentazione del plico di "meritare almeno un... sette!", mi rispondeva:

2/10/89

        Carissimo don Gerardo,
        ho ricevuto la tua lettera di solidarietà per il documento che alcuni teologi e studiosi abbiamo elaborato e sottoscritto, sottoponendolo alla riflessione "critica" di tutti i cristiani in Italia.
        Ti sono grato per la solidarietà e anche per la "passione" con cui segui certe vicende ecclesiali, che certo non riflettono la trasparenza e lo spirito di servizio e di dialogo che il Vangelo esige dai credenti. Ti saluto con amicizia ed apprezzo il tuo scritto
Tuo aff/mo in Domino
Settimio Cipriani

 
        Al Prof. Bof ad Urbino scrivevo:

Vallata, 21/5/89

        Caro professore,
        sono tuo ammiratore, conosciuto attraverso gli scritti da un pezzo e, da qualche anno, attraverso l'entusiasmo di una mia parrocchiana, che frequenta il
        Corso di teologia per corrispondenza presso l'Ut unum sint,... che ti ossequia.
        Questa volta è la... riscossa dei 63 che ci accomuna, anche se giunta con... ritardo! Siamo in cordata e teniamo duro, perché nella comunità ecclesiale non venga mai a mancare una interazione creativa.
        Ti sarei grato di una valutazione critica di queste mie varie prese di posizione sul problema che ci accomuna.
        Con simpatia e cordialità

Sac. G. De Paola


        Il Bof, tramite la suddetta alunna, mi aveva dato assicurazione che, in estate, sarebbe venuto a Vallata, per passare una giornata insieme e riprendere il discorso. Purtroppo, per tanti impegni, non ha potuto mantenere la promessa.
        Pur sembrando distaccate dalla realtà, queste problematiche di vita ecclesiale e civile, in quell'anno di grazia 1989, trovano a Vallata una loro articolazione di sensibilizzazione e coinvolgimento della gente, anche attraverso la scuola, con tutta una serie di iniziative e di collaborazione tra Parrocchia, Scuola e Famiglia, di cui si è parlato diffusamente in "Zino e Molo" (Cfr Pagg. 193 ss).
        Quando poi, in occasione del Natale di quell'anno, è stata notificata la nomina del nuovo Arcivescovo in Diocesi, nella persona di S.E. Mons. Mario Milano, le due comunità, la parrocchiale e la scolastica, si premurano immediatamente di far giungere al neo-eletto vive e sentite espressioni augurali, unitamente ad una raccolta documentaria di queste esperienze svoltesi in paese.
        Voleva essere un semplice ed affettuoso aperitivo per il neo-Pastore, ma pare che sia andato di... traverso!
        Eccone il testo:

Natale 1989

        Cristo regni!
        Carissimo D. Mario,
        la Sua nomina a Pastore della nostra Chiesa locale, da parte di Sua Santità Giovanni Paolo II, ci è giunta graditissima in questo Natale '89, trascorso già in filiale simbiosi di fede, di preghiera e di comunione in Cristo.
        Motivi di ordine pastorale non ci permettono di essere fisicamente presenti a Roma, per la Sua Consacrazione episcopale, ma Le assicuriamo fin d'ora una nostra presenza spirituale, viva e profonda, in unione di preghiera, per chiedere a Cristo Pastore Supremo gioiosa e lunga fecondità di apostolato in mezzo a noi.
        Per una prima conoscenza della Comunità cristiana vallatese, Le inviamo un po' di materiale documentario di alcune iniziative svolte nella Parrocchia in questi ultimi anni, in fattiva collaborazione con la Scuola, e una Rassegna socio-religiosa su Vallata, frutto di un decennio di lavoro "notturno!..." del nostro parroco, da cui potrà cogliere qualche flash dell'anima popolare irpina.
        Stiamo "agghindando il nostro cuore" per accoglierLa con filiale e devota simpatia.
        A presto!... Con tanta cordialità in Cristo sotto la protezione di Maria

La Chiesa che è in Vallata

Vallata, 29/12/1989

        Eccellenza carissima e reverendissima,
        nel coro polifonico bene augurante della comunità parrocchiale vallatele, voglia con simpatia distinguere le chiassose "voci bianche" della famiglia scolastica, diretta dal sottoscritto, Vallatele di adozione da qualche anno e "fratello siamese" del carissimo Don Gerardo, come avrà modo riscontrare dal "corpo del reato", che Le inviamo, per un primo approccio di stima e di affetto.
        In unione di ideali, di fede e di preghiera.
       

Il Direttore Didattico
(Dr. Giovanni Formato)

 
        Al contrario di quanto preannunziato nella lettera, col piacere di tutti si ha poi la possibilità, il 6 gennaio '90, di partecipare a Roma alla Consacrazione episcopale, "regalata" all'interessato poi in... "videocassetta", con un significativo "sotto-fondo" di commento biblico-teologico sulla figura del Pastore nella comunità.
        Mi è gradito concludere questa parte, riportando anche una mia lettera di risposta ad una piacevole testimonianza "missionaria" di un fratello nel sacerdozio, col quale, in precedenza, Zino aveva avuto momenti "duri" di... frizione.
        Anche i sacerdoti, quando è necessario, debbono sapersi "scontrare", per... "incontrarsi sempre in Cristo", sull'esempio di Paolo che a Pietro, primo Papa, "restitit in faciem eius".

        "... fondandoci sull'Evangelo, noi abbiamo la certezza che Dio vuol condurre la Sua creazione alla redenzione... " (dal messaggio finale di Basilea).


Vallata, 25/11/89

        Carissimo Don ....
        graditissima mi è giunta questa mattina la tua del 16 c.m., con cui ci metti al corrente della tua nuova esperienza, insieme al giovane cantore, a Gigi e Maria, ai nove figli (anche quello in arrivo è già parte attiva dell'équipe), segno evidente di una Chiesa, chiamata ancora oggi a dare prova di audacia e di immaginazione, pur in mezzo alle contraddizioni della nostra epoca. Vivissime grazie a te ed agli amici per la bella testimonianza, che riempie di gioia e di speranza anche la nostra Chiesa locale, di cui anch'essi fanno parte.
        Mi è caro ricordare a te ed ai tuoi collaboratori un pensiero del Card. Suhard, (sai che sono un patito di Suhard, che mi ha affascinato nei verdi anni della mia preparazione al sacerdozio) che nel 1947, in una delle più belle lettere pastorali, che io conosca, sulla Chiesa "Progresso o declino della Chiesa?" così scriveva testualmente:
        "Come l'arca, la Chiesa ha attraversato il diluvio nel corso delle epoche e, ogni volta, ha trovato nuove sponde per ampliare i suoi confini. Oggi come un tempo, il mondo non si salverà dal diluvio senza l'arca.
        Oggi come allora, lo spirito di Dio che passa sulle acque gli invia la colomba, il suo simbolo vivente, col suo ramo di olivo. E questo fedele testimone di un continente inesplorato non assomiglia affatto alle foglie morte: ha la grazia e la freschezza umida della primavera".
        Anche nella casa europea disegnata a Basilea nel maggio scorso, dopo tanti anni dal Concilio della divisione del 1431, si è proclamato: OGGI E' PRIMAVERA, OGGI E' PENTECOSTE, per una casa a dimensione mondiale e cosmica.
        In questo profumo di primavera, ad un mese di distanza dal Natale, auguro a tutti di portare al mondo la gioia natalizia, perché Cristo nasca nel cuore di tutta l'umanità, che ne ha tanto bisogno.
        A te ed ai tuoi collaboratori un fraterno e cordialissimo abbraccio con tanti bacioni ai piccoli, in unione di preghiera

aff/mo in X° Don Gerardo

        A conclusione di questa prima parte della nostra avventura comune verso il... mistero, mio caro amico lettore, possiamo ricavare una riflessione fondamentale per la nostra vita.
        Tra le nostre "povere" righe umane, ognuno, che sia veramente libero da pregiudizi e preconcetti, può leggervi sicuramente una verità di luce meridiana:

TANTE VOLTE LO SPIRITO AGISCE TRAMITE NOI,
MA IL PIUDELLE VOLTE AGISCE
NONOSTANTE NOI
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