GERARDO DE PAOLA - ZINO E... MISTERO - b) Trasvolata nel Mistero, nella Chiesa e con la Chiesa, sotto la guida dello Spirito

b) Trasvolata nel Mistero, nella Chiesa e con la Chiesa, sotto la guida dello Spirito
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        Lo Spirito di Cristo Risorto continua la Sua opera nella Chiesa per guidare l'umanità intera in questa esaltante avventura della salvezza universale.
        La Chiesa è il luogo in cui ci è dato di leggere la nostra storia e la storia del mondo in questo meraviglioso piano di salvezza.
        Il Concilio ha evidenziato che la Chiesa si manifesta nella sua originalità, senza lasciarsi ridurre a realtà sociologica e collettiva, quando lasciandosi guidare dallo Spirito, in ascolto della Parola, si fa Eucarestia, per diventare corpo di Cristo nel mondo, in pellegrinaggio verso il Regno.
        La storia quindi non è lo scenario della rivelazione, ma essa stessa è rivelativi del progetto che Dio ha in mente riguardo alla storia, divenendo elemento costitutivo della salvezza.
        Il progetto del Regno di Dio viene ad abbracciare tridimensionalmente le tre fasi del tempo, di tutta la storia: è un passato che sta alle nostre spalle (Gesù di Nazareth); è un presente ancora attivo, perché l'effetto del Cristo è ancora ora presente, nella attesa della sua piena venuta e attuazione.
        La Chiesa alla luce del Concilio è stata stimolata a riscoprire sempre più la radicalità evangelica, che la pone al servizio dell'umanità, scrutando i segni dei tempi e dei luoghi, facendo emergere la profezia nell'esperienza vissuta, attendendo, con fedeltà alla terra, il ritorno glorioso del Signore.
        Dopo tanti anni dalla conclusione del Concilio, la Chiesa avverte sempre più profondamente l'esigenza di invocare dal Padre la conversione piuttòsto che la conservazione, ad accettare una condizione sempre meno stabilita, autorevole, magisteriale, guidata soltanto dal fascino della povertà evangelica che è l'unica, vera e autentica identità di Gesù, e che perciò non può non essere l'identità della sua Chiesa.
        Quante remore nella Chiesa italiana nell'aprirsi alla radicalità evangelica, cui invitavano D. Milani, D. Mazzolari, P. Turoldo, Maria di Campello, Fratel Carretto, P. Balducci?... Quante posizioni di diffidenza nei loro confronti o addirittura di persecuzione?
        Ma di fronte all'accelerata secolarizzazione e al dilagante consumismo, c'è stato tutto un rifiorire di centri spirituali (da Sotto il Monte a Spello, da Bose a Monteveglio e a molti altri), caratterizzati da impegno di radicalismo evangelico, di fedeltà alla Parola e all'uomo, di condivisione dei disagi della povertà, di fraternità e di rifiuto dei privilegi.
        In forza di questi fermenti dello Spirito, l'Episcopato italiano, dopo la deitalianizzazione del papato, superando una condizione di tutela nella quale viveva da secoli, e pur vedendosi negata la possibilità di eleggersi il proprio presidente e di contribuire alla revisione del Concordato, sotto il pungolo sia del profetismo di base che dei Vescovi "in attacco", trova la capacità di riscoprire e "concepire" l'immagine originaria della "Chiesa locale", testimoniandola nella sua dimensione universale di fronte al mondo intero.
        Il concepimento di questa immagine dà inizio ad una gestazione difficile e dura, in seno al popolo di Dio, dove fermentano energie preziose, le più impensate, aperte all'impegno di evangelizzazione che, come ha affermato la stessa CEI nel 1974 esigeva di uscire da una situazione di "cristianità", cioè di privilegio, di conservazione dello "statu quo ante", di routine, di sacramentalizzazione, per cogliere finalmente la sfida conciliare di fedeltà all'Evangelo da riguadagnare giorno dopo giorno.
        D'altra parte, Pastori di "punta" e Pastori di "difesa" (il calcio ha bisogno anche di questi!...), debbono sentirsi confortati da autentiche comunità. Ogni Pastore deve essere stimolato, sostenuto, pungolato da comunità autentiche e vive, che sentono e vivono in pienezza la loro funzione sacerdotale, regale e profetica, senza lasciarsi confondere col mondo, assumendone la mentalità, ma conservandone il ruolo di "coscienza critica".
        Sono queste le comunità autentiche che vivono una comunione "attiva", per creare insieme stili pastorali di annuncio "kerigmatico" della Parola, di celebrazione "corale e gioiosa" dell'Eucarestia, di testimonianza "semplice e povera" della fede, di condivisione "viva e profonda" dei bisogni dell'umanità.
        Si arriva così, fra entusiasmi e scoramenti, fervori e remore ad Evangelizzazione e testimonianza della carità, l'impegno della Chiesa italiana per gli anni '90.
        Urge ri-creare, re-inventare, sotto l'azione dello Spirito, queste antiche comunità ecclesiali, in cui Pastori e fedeli si aiutino reciprocamente a riconoscere la propria povertà di peccatori, per arricchirsi solo della povertà del Servo di Jahveh, in attesa della pienezza definitiva: l'umanità, oggi più che mai, non ha bisogno di certezze metafisiche, ma di promesse escatologiche, che aprano alla speranza di Cieli nuovi e Terra nuova.
        In questa luce il Vaticano II non è solo memoria, ma anche annunzio e chiamata, non è solo ieri, ma anche oggi e domani, per una Chiesa che, nel mondo disorientato, deve accendere un faro, rendendo visibile "nella sua carne" la povertà di Cristo: povertà di potere e libertà dal potere. L'opzione di Dio infatti per i poveri è così assolutizzante, che Lui non si limita ad essere Dio per i poveri, nemmeno un Dio con i poveri, ma in Gesù Dio si è fatto povero.
        Fra tante difficoltà e contraddizioni, il Concilio è ancora davanti a noi per stimolarci ad una continua ricerca di radicalismo evangelico, che diventi profezia per tutta l'umanità. Questa deve essere aiutata dai cristiani a cogliere l'esistenza di un Regno di Dio nella storia, alla cui costruzione ogni uomo è chiamato a contribuire, purificando e animando la storia dall'interno: il sale dà sapore al cibo non quando è conservato nella saliera, ma quando è buttato nel cibo, per sciogliersi in esso, scomparendo; il lievito rivela la sua azione fermentatrice non quando è conservato nella madia, ma quando è stemperato e buttato nella pasta, fino a diventare un tutt'uno con essa.
        L'autonomia tante volte invocata tra religioso e profano, tra Chiesa e Stato, in una parola tra fede e politica, in forza del detto di Gesù: "Date a Cesare quello che è di Cesare, date a Dio quello che è di Dio", non deve portare a fratture tra loro, perché una fede senza politica sarebbe spiritualismo evasivo e una politica senza fede (in Dio o soltanto in ideali umanitari) sarebbe politica di sfruttamento dell'uomo sull'uomo: profitto, violenza, guerre, tangentopoli... sono quanto mai significativi! La fede cristiana deve aiutare ad interpretare gli eventi storici, nella luce del Regno da costruire col contributo di tutti.
        Il compito primario del cristiano nel mondo è di interpretare, diceva Papa Giovanni XXIII, i "segni dei tempi", analizzare gli avvenimenti nella loro profondità teologica. In questo modo saremo vicini all'agire di Dio, per essere strumenti disponibili nelle Sue mani, per aiutare l'umanità a non fermarsi alle apparenze che tante volte ci separano, ma andare al cuore, dove tutti, credenti e non, potremo scoprire la mano di Dio che guida la storia.
        L'umanità è convinta che, all'interno della vicenda umana, la storia è maestra di vita, e noi cristiani dobbiamo pure essere convinti che, nella prospettiva biblica, la storia è anche "maestra di Dio", trasparenza di infinito, trasparenza di un Mistero sempre da scoprire, lasciandosi guidare dallo spirito di discernimento.
        La rivelazione, come avviene all'interno del tempo, lasciandosi quasi coprire dalla polvere della storia, così si annida nell'interno dell'uomo, caricandosi quasi della sua caducità, ma una caducità che proietta verso l'eterno. Pertanto la risposta dell'uomo non può essere a-storica, astrale, magica e nemmeno soltanto cultica, ma una risposta esistenziale, vitale, che incida, nella storia e nel mondo. Noi siamo soliti fermarci all'esteriorità, mentre dovremmo, per così dire, effettuare degli "scavi", come dice il filosofo ebreo Martin Buber nel suo famoso libro 'Io e tu", che saranno con assoluta certezza coronati da successi. Non disimpegno quindi nel piagnucolare la fatalità delle cose, non separazione di fede dalla vita, ma impegno cosciente, libero, creativo, frutto di analisi lucida delle situazioni, per assumere con tutti i mezzi disponibili il compito di liberare il mondo dall'ingiustizia e dalla disuguaglianza. Un impegno che è nella linea del messianismo di Gesù. Egli con l'esempio e con la Parola suggerisce una scala di valori in cui Dio e Cesare sono su piani diversi: né la fede a servizio dello Stato, né lo Stato custode della fede. Missioni e compiti diversi, ma non opposti, perché il fine dello Stato e della Chiesa, madre della fede, è l'uomo concreto, cittadino del mondo e, coscientemente o no, figlio di Dio e fratello di Cristo.
        E' sull'uomo concreto che si misura la credibilità del nostro messaggio, della nostra volontà di servizio. E' un servizio di supplenza su dei problemi che, se teoricamente possono essere attribuiti a questo o a quel potere, quando diventano concretamente piaghe da fasciare, bocche da saziare, uomini da amare, non permettono più di rimandare la soluzione del problema.
        Le necessità del mondo, finché rimangono una parola evanescente e vaga, ci possono lasciare indifferenti, quando invece le vediamo come necessità di persone concrete, ci accorgiamo che è indispensabile il nostro aiuto, che il dare non è un dono di chi si concede il lusso di fare un'offerta, ma il dovere di chi crede che Cristo vive nell'affamato ed ha bisogno di noi, per far tacere i crampi della fame o per lenire i dolori di malattie, o peggio ancora di sfruttamento e di guerra... bisogna imparare ad interpretare la storia per trasformarla.
        Del resto, la storia interpretata alla luce della fede, ci insegna continuamente che avvenimenti di segno negativo, nelle mani di Dio, diventano strumenti positivi.
        Le persecuzioni si trasformano in fattori di crescita e di espansione. Le invasioni barbariche facilitano l'unificazione dell'Europa, sotto il segno cristiano. Lo scisma d'oriente sollecita la formazione di forti chiese nazionali. La riforma protestante trascina la Chiesa a purificarsi nel movimento spirituale e missionario della controriforma. La perdita del potere temporale aiuta la Chiesa a diventare un autentico ed universale segno di salvezza nel mondo, un faro di luce dello spirito in tanta materialità. Il movimento marxista del nostro secolo spinge la Chiesa ad una maggiore fedeltà a Dio, attraverso una riscoperta fedeltà all'uomo.
        Oggi poi, le conseguenze negative del consumismo più accanito del solo progresso materiale, del primato dell'avere sull'essere, della cultura dell'una e getta, dell'effimero, del look, della civiltà costruita "senza o contro Dio", rivelatasi civiltà "contro l'uomo", della stessa tangentopoli ci stanno pungolando (anche questo un segno provvidenziale) al ripensamento, per essere più riflessivi, critici, responsabili...
        La Chiesa è stata quasi "costretta" da questi eventi ad assumersi il ruolo, ad essa congeniale, di essere la "coscienza critica" del mondo, della storia, ma nella "povertà" di mezzi, ancora tutta da riscoprire.
        La descrizione che Luca ci offre negli Atti degli Apostoli, sulla faticosa crescita delle prime comunità cristiane, può costituire un modello di riferimento nella lettura attuale della presenza del Regno di Dio negli eventi della storia.
        La Chiesa di Gerusalemme, come ha momenti di esaltazione, così ha momenti di difficoltà, che la mettono in stato di crisi, di oscurità, di trepidazione, superati in povertà di mezzi, ad opera dello Spirito di Cristo risorto.
        La crisi dell'egoismo e dell'ipocrisia (At 5,1-11) è superata con l'autorità profetica di Pietro e per l'autorità apostolica.
        La crisi della divisione tra Giudei ed Ellenisti convertiti al cristianesimo (At 6,1-6) è superata con l'intervento dei dodici, che puntualizzano la situazione e la risolvono con la novità dell'istituzione del diaconato, riportando la normalità.
        La crisi della dispersione (diaspora), in conseguenza sia dell'autoritarismo di quella comunità che diventava sempre più egemone, forte anche potenza economica, sia dell'uccisione di Stefano, della persecuzione e della fuga di tutti "ad eccezione degli Apostoli", sembrava trascinare quella Chiesa nella dissoluzione (At 8,1), ma, al contrario, permette alla Parola di Dio di diffondersi in Samaria, Cipro, Antiochia, pur correndo il rischio di tanti "piccoli cristianesimi", a seconda delle varie dispersioni.
        Gli Apostoli, in quella drammatica situazione, rimanendo a Gerusalemme, salveranno l'unità, in quanto continuano ad essere un punto di riferimento unitario e assumono collegialmente un nuovo ruolo di verifica a Samaria (At 8,14) e di invio di delegati ad Antiochia (At 11,22-25), per cui un movimento dispersivo, che poteva trascinare alla frantumazione, si rivela ricco di una fecondità sorprendente, con nuove esperienze molto diverse, garantendo continuità e unità. La crisi di opposizione delle comunità pagane, coscienti ormai della loro originale ricchezza, in frizione e contrasto con le comunità osservanti giudaiche, è superata ugualmente, come rivela il cap. 15.
        Il nuovo, pericoloso rischio del cristianesimo che non aveva ancora raggiunto la maggiore età, poteva trascinare o nella radicalizzazione di due gruppi giudeo-cristiani e cristiani ellenici, oppure alla "proscrizione" dei greci, con conseguente suicidio della Chiesa primitiva.
        I greci invece portarono un nuovo fermento nella Chiesa, sotto l'impulso carismatico del "focoso" Paolo, anche per la diffusione del cristianesimo in Occidente.
        Il primo Evangelista Marco, che ha probabilmente inventato il genere letterario "Vangelo", con la sua duplice esperienza comunitaria tra cristiani di origine pagana, in Oriente e in Occidente a Roma, facilita il "connubio" coi cristiani di origine giudaica, che pure erano presenti, anche se in percentuale minima, nelle sue comunità.
        E' il miracolo, pur in mezzo a tante difficoltà e contrasti, dello Spirito attraverso Pietro che, invocando la sua esperienza carismatica "conferma i fratelli" di quelle Chiese ancora minorenni, facendo notare che né la separazione fra Giudei e Greci, né l'ostracismo dei greci può essere una soluzione praticabile: la Parola di Dio (ecco il primato della Parola!) comanda che vengano superate con umiltà e fermezza (altro che esaltazione o fanatismo!) le due posizioni opposte, attraverso una libertà e un riconoscimento delle diversità comuni, come poi suggerisce Giacomo (ecco l'autentica collegialità, ancora tutta da ri-scoprire nel nostro post-Concilio) attraverso un accomodamento pratico su alcuni punti tecnici di comportamento quotidiano.
        In sintesi, la collegialità apostolica è quella che garantisce l'unità della Chiesa, una unità da non basare su schemi prefabbricati, o attraverso applicazione di norme precostituite, ma attraverso la ricerca continua, ansiosa e difficile delle scelte più opportune per tutti.
        Pietro stesso si è trovato a volte in difficoltà e disagio (At 10,9-17) quando deve capire dal cielo che cosa bisogna fare. Nei momenti difficili l'intervento dello Spirito, attraverso la mediazione apostolica, riporta la Chiesa, che sta per dissolversi, all'unità che costituisce la comunione del corpo di Cristo. La rigenerazione del rapporto autorità e carismi sulla base del N.T. è garanzia della nostra fedeltà alla genuinità del messaggio, che annunciamo come Chiesa.
        In essa, i singoli membri, lasciandosi sempre guidare dallo Spirito, potranno acquisire una personalità generatrice di comunione, per portare il proprio mattone nella costruzione di una comunità, in cui tale comunione è vissuta.
        L'azione autentica di ciascuno, illuminata e sostenuta dalla preghiera, deve scaturire dalla comunione con Dio, "da soli non potete far nulla" e con gli altri, rinunciando ad ogni assolutizzazione del proprio modo di vedere, di valutare le cose, per confrontarsi con gli altri e giungere alla collaborazione.

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