GERARDO DE PAOLA - ZINO e MOLOK - Ambientazione

Ambientazione.
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        Laterizino, nascendo da una famiglia di tradizione laterizia, sembrava essere «predestinato» alla costruzione. Il suo nonno paterno, già proprietario di un forno a pane e di tre mulini ad acqua in batteria, sin dall'inizio del secolo si era distinto per la costruzione di una fornace di mattoni e tegole curve, a tipo artigianale, per cui fu soprannominato «mastro Laterizio», da cui prese il nome la famiglia.
        La tradizione familiare lo ricorda come un tipo faceto e sagace. Vale per 'atti uno dei tanti episodi tramandati in famiglia. Ad un compare che garbatamente gli rimproverava di aver molti figli, con molta arguzia aveva risposto: «crerim'| cumpà, basta c'appoggio la giacchetta in cimm'a lu lietto, ca miglierim caca figli = credimi, compare, basta che appoggi la giacca in cima al letto, che mia moglie caca figli...»1.
        Il paese in cui Laterizino vede la luce, povero ma immerso nell'esuberanza del verde di una regione meridionale, lo chiameremo, in gergo laterizio, Laterina. da non confondere con un paese dell'Aretino che, guarda caso, ha pure una tradizione laterizia.
        Già negli anni '30 i due fratelli maggiori, coinvolti dalla caparbietà del padre di voler ampliare ad ogni costo la produzione dei mattoni, crearono un vero e proprio impianto industriale, che avrebbe potuto dare al paesino un «volto diverso». Cosa veramente inaudita nel meridione, soprattutto in quel periodo di grama economia.
        Le poche pennellate, oltre ad offrirci il quadro socio-economico di questa regione del Sud, ci fanno già intuire l'aria familiare, in cui apre i polmoni il nostro Laterizino che, per comodità, chiameremo da questo momento ZINO. Sin dai primi anni della sua fanciullezza, comincia a fissare vivacemente nella memoria le immagini di quella entusiasmante esperienza laterizia. Tale memorizzazione diventa ancora più incisiva e profonda, nel passaggio dalla fornace di tipo artigianale a quella di tipo industriale, col suo altissimo «cacciafumo», i cui ruderi ancora resistono all'usura del tempo.


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       1 Le lettere di carattere più piccolo, in tutte le espressioni dialettali riportate nel testo, sono mute, per cui non vanno pronunziate; alla doppia "dd", usata in precedenza da altri, l'autore ha preferito la lettera "gh", la cui pronuncia rende meglio il suono dialettale corrispondente, che non è dentale ma gutturale.

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