GERARDO DE PAOLA - ZINO e MOLOK - La Pasqua porta a novità di vita in Cristo VIA VERITÀ VITA

La Pasqua porta a novità di vita in Cristo VIA VERITÀ VITA.
__________________________________________

        La novità del Risorto deve essere per tutti uno stimolo costante per il risorgere con Lui a vita nuova.
        Credere che Gesù ha vinto la morte, vuol dire rifare nella nostra vita l'esperienza della Sua Pasqua, passando dalla morte del peccato, dell'egoismo, alla vita della grazia, dell'amore, sotto l'azione dello Spirito, dono del Risorto.
        Perciò Gesù afferma di essere la VIA, che conduce al Padre, la VERITÀ, che rivela il volto del Padre, la VITA, che il Padre offre a tutti gli uomini.
        Pertanto, chi vede Gesù vede il Padre, chi ascolta Gesù ascolta il Padre, chi crede in Lui arriva al Padre, attraverso lo stesso cammino pasquale di liberazione: Gesù risorto, apparendo agli Apostoli, si era rivelato come colui che aveva, trionfato sulla morte.
        Nel tempo della Chiesa, in cui noi viviamo, Egli continua ad essere presente con il Padre e con lo Spirito. Questa presenza si realizza per tutti coloro che si aprono a questo mistero di comunione: una presenza più intima, più profonda, più efficace di quella realizzata coi discepoli, durante la vita terrena, il cui messaggio continua a risuonare nella storia: «Abbiamo veduto il Signore, Egli vive!».
        Ma la presenza attuale del Risorto è pure assenza: noi vediamo e non vediamo. Non vediamo Gesù direttamente, come lo videro i discepoli, e, d'altra parte, non possiamo ancora vederlo, come lo vedremo nell'ultimo giorno.
        Oggi, il nostro sguardo spazia retrospettivamente sulla vita storica di Gesù, sulla sua missione di salvezza, di cui lo Spirito ci rivela il significato. Spazia anche sulla presenza attuale, ma velata, di Gesù, percepita solo da coloro che credono nel Signore, e che amano i loro fratelli: il Signore si lascia raggiungere soltanto da uno sguardo illuminato dalla fede e dall'amore. Sono precisamente questa fede e questo amore, che ci aprono alla presenza dello Spirito, alla sua testimonianza ed alla sua assistenza.
        L'apostolo Pietro anche a noi, oggi, fa giungere il suo pressante appello: «Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (I Pt. 3,15).
        Come sapremo spiegare agli altri il nostro essere cristiani? Con la nostra pratica religiosa? Con la nostra onestà? Non può essere. È il Vangelo stesso a spiegare a noi la nostra speranza, il nostro essere cristiani: il punto di partenza è che noi siamo, vogliamo essere i «discepoli» di Gesù.
        Seguire Gesù, un uomo che non abbiamo conosciuto direttamente, che sappiamo essere stato crocifisso, ma che crediamo «Vivente» e professiamo «Signore» della nostra vita: «Voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete» (Gv. 14,19).
        Ciò è bello. Certo, ma qui sta il punto: troppo bello per essere vero. Come possiamo continuare a credere in ciò nel travaglio della vita, con le sue difficoltà e contraddizioni? Spesso, di fronte ad un dolore innocente, ad una ingiustizia subita, all'ipocrisia e alla menzogna, spacciate per verità, ci sentiamo impotenti ed incapaci a trovare una via d'uscita. Di fronte a situazioni di oppressione, di sfruttamento, di sofferenza, di violenza della nostra società, sorgono spontanei interrogativi, che mettono in discussione e a dura prova la nostra scelta evangelica.
        Come possiamo mettere in atto la nostra «violenza non violenta», la nostra «rivoluzione dell'amore», per creare la solidarietà «planetaria» del genere umano; per abolire la povertà «materiale» di due terzi dell'umanità, e la povertà «esistenziale», non meno rovinosa, dell'altro terzo; per vincere la disperazione, la violenza delle strutture contro la libertà e la dignità dell'uomo, superando discordie, pregiudizi, interessi egoistici, per conquistare la pace, la gioia?
        Come è possibile non rendere male per male, né ingiustizia per ingiustizia, né ingiuria per ingiuria, senza perdere il coraggio e la tenacia, senza cadere nell'indifferenza e nel disimpegno, che, di fatto, avallano sempre il male e l'ingiustizia?
        Come si può osservare la Parola, «fare la verità», senza correre il rischio di vivere fuori della storia, lontano dagli uomini che «contano», dagli uomini che, accanto a noi o lontano da noi, vivono una vita «allettante», e muoiono... «senza speranza»?
        Di fronte a queste e a tante altre « contraddizioni», il credente ha soltanto la realtà storica di un uomo, Gesù, il Cristo «...morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito» (I Pt. 3,18).
        La prospettiva della fede ci porta a considerare il futuro, come qualcosa di già presente, di già realizzato, ma non ancora compiuto.
        Credere è rifiutare un atteggiamento che guarda al futuro, solo in prospettiva di efficienza e di produttività, come pretende la cultura dello «avere» o del «look». Credere è accettare la logica paradossale della croce. Credere è attendere, sperando contro ogni speranza, la «liberazione futura», che nessun «avvenire migliore» può assicurare; un futuro che «si costruisce nell'oggi».
        Gli umanesimi atei puntano unicamente sull'uomo e sul suo sforzo per realizzare il «paradiso» in terra; ma il loro atteggiamento finisce per sfociare nella presunzione o nella disperazione. La presunzione di Prometeo, che dà la scalata al cielo e sfida gli dei, strappando loro il fuoco sacro; la disperazione di Sisifo, che vede inutile la sua lunga fatica, vanificato il suo sforzo. E allora si accascia, in un cinismo scettico e stanco, rinunciando alla speranza.
        Ebbene, proprio a questi uomini, il cristiano deve testimoniare con la «vita nuova» di risorto, che la salvezza è solo in Cristo: Egli è l'unico salvatore. Il resto serve, è necessario, si deve fare, ma non può essere contrabbandato come «surrogato» della vera salvezza.
        Ma, se è vero che il «totale» è dono gratuito di Dio, è anche vero che il «parziale» è compito dell'uomo.
        L'annuncio specifico che la comunità cristiana deve fare è quello di una «speranza» di una «liberazione», che superi la dimensione puramente umana, denunciando la precarietà e la provvisorietà di ogni realizzazione storica.
        Questo annuncio però non è autentico, e non può essere credibile, se la comunità cristiana stessa non si impegna nella realizzazione delle speranze «parziali» dell'umanità di oggi, per aiutarla a liberarsi da ogni forma di schiavitù, quella dipendente dalle strutture ingiuste, ma, soprattutto, quella del peccato, radice di ogni male: questo cancro, che corrode l'uomo nel suo profondo, che intacca i tessuti della vita sociale, che avvelena i rapporti umani e spezza la comunione.
        Cristo risorto è venuto a garantirci questa liberazione, radice e base di ogni liberazione. Dove questa liberazione, dalla più radicale alienazione che insidia l'uomo, non è avvenuta, si è visto che il crollo di strutture ingiuste, ha troppo spesso aperto lo spazio per altre strutture, che non hanno saputo rispettare l'uomo.
        L'uomo «nuovo» è soltanto l'uomo pasquale, che ha ricevuto da Cristo, in uno sforzo di collaborazione feconda, la sua liberazione. E le comunità dei credenti, la Chiesa, sono chiamate oggi a prolungare l'opera di Cristo liberatore.
        Questa liberazione, che non può restare puramente interiore, se è autentica, si riversa ed investe tutti i settori, tutto l'uomo, superando ogni visione «spiritualistica», che finirebbe per tradire la liberazione, dono del Risorto.
        Il numero dei credenti della Chiesa primitiva cresceva perché il mondo ne «vedeva il Segno»: non tanto i segni-miracoli, ma il Segno per eccellenza, che rendeva possibile gli altri segni: cioè la presenza del vivente.
        La mancanza di fede nell'uomo d'oggi è sì, il risultato dell'incapacità di saper vedere l'opera del Vivente nel mondo, ma anche perché la Risurrezione non sempre è, visibile nella Chiesa, pur essendo adulta di 20 secoli, in quanto spesso noi «anestetizziamo» l'azione del Risorto, nascondendolo ai fratelli che oggi, come ieri a Filippo, chiedono: « Vogliamo vedere il Signore».
        Possiamo corrispondere a questa attesa degli uomini, come discepoli di Cristo, soltanto se nelle vicende quotidiane della nostra vita, facciamo come ha fatto Lui. Se come Lui, senza timore di perderci ci doniamo, in ogni circostanza, per aprire vie alla vita, all' amore, alla speranza...
        Gesù molte volte ci ha messo in guardia dal mondo; non che sia male o cattivo! Molte cose può fare il mondo, e noi abbiamo bisogno del progresso, delle scoperte, delle invenzioni. Ma questo non è tutto.
        Per vivere c'è bisogno di fede, di speranza, di fiducia: è necessario l'amore. Il mondo non comprende nulla di ciò, né è in grado di darcelo.
        Uno Stato ben organizzato potrà creare strutture perfette, che non risponderebbero ai bisogni effettivi dei fruitori, se gli uomini che le devono animare, non fossero mossi da profondo amore. E tutti possono essere capaci di questo amore per l'uomo, anche atei, miscredenti, o appartenenti ad altre fedi religiose.
        L'originalità e lo specifico dei cristiani, impegnati a fianco degli altri uomini nello sforzo di creare un mondo migliore, è la certezza della presenza dello Spirito del Risorto in ciascuno di loro e nella comunità, che li spinge ad agire, ad operare, a vivere nell'osservanza dei comandamenti, un'osservanza che nasce dall'amore, e che sviluppa vincoli di amore verso il fratello vicino e lontano, nella comune ricerca dell'Amore-Agàpe, senza del quale lo stesso progresso può ritorcersi contro l'uomo e distruggerlo o alienarlo. Compito difficile? o addirittura impossibile?
        Dove l'uomo fallisce con le sole sue forze, il cristiano, forte del dinamismo pasquale, è in condizione di annunziare e testimoniare l'avventura di questo Amore che, partendo da Dio, lo raggiunge in Cristo, per tornare al Padre, sotto l'azione dello Spirito, nella concreta obbedienza alla «Parola», che continua a farsi «Carne» nel nostro amore fraterno.
        Maggiormente, nel momento della prova, il Risorto è vicino a noi: il suo Spirito, il Consolatore è addirittura in noi, per renderci testimoni di «speranza» nel mondo, in una realtà umana e sociale che, oggi soprattutto, sembra avvolta da una spirale di morte.
        Si sta diffondendo un senso di impotenza di fronte a mali oscuri, fra loro intrecciati, molto organizzati, penetrati nelle strutture e nella mentalità, che sembrano essere la nota dominante della nostra esperienza quotidiana: violenza, terrorismo, mafia, corruzione, tangenti, immoralità, aborto, droga...
        La nostra società sembra colpita da necrosi: organizzata in base alla logica del profitto e dell'avere, moltiplica condizioni che schiavizzano l' uomo, negandogli la possibilità di una vita piena, della gioia di vivere, o soltanto di una vita... umana.
        Segni evidenti di questo dominio della morte si riscontrano ovunque, nella freddezza calcolatrice dei rapporti sociali mercificati, nello sfruttamento del lavoro, nella miseria delle masse emarginate, nelle donne violentate e nei bambini maltrattati, negli anziani abbandonati, nella spoliazione dell'ambiente, naturale e culturale, a fini speculativi...
        Di fronte alla morte nelle sue varie espressioni, riaffiora il rischio dello scoraggiamento e la tentazione di chiudersi negli spazi privati familiari, lasciandosi assalire dalla paura. E la paura è la peggiore delle schiavitù, perché, oltre a togliere la libertà, paralizza la progettazione del futuro e impedisce la gioia di vivere.
        In questo contesto di peccato e di morte, il cristiano deve ancora far risuonare l'annuncio inaudito: Cristo vivo, ha vinto la morte.
        Il nemico dell'uomo è stato sconfitto, per cui la paura non ha più ragione di esistere. La liberazione dell'uomo dal male radicale che lo attanaglia, la morte, è stata compiuta.
        È vero che Satana continua a servirsi dei suoi «emissari» nel mondo, i Molok di sempre, per far sentire ancora i suoi sussulti di morte, ma sono i «...rantoli» della fine!
        Pertanto, pur nellasofferenza, (siamo ancora nella sala-travaglio!) possia- mo già esultare e gioire in CRISTO NOSTRA PASQUA, che continua ad esserci accanto nel «travaglio» del parto, per farci «pregustare la gioia della vita», da offrire anche al mondo, come saggio della «vita eterna».
        Ma come può il mondo d'oggi accettare questa verità?
        Soltanto se noi cristiani la renderemo «credibile» con la nostra testimonianza di portare la Vita laddove c'è la Morte, sia a livello personale, vincendo la paura, lo scoraggiamento, la tristezza, la rassegnazione alle abitudini peccaminose, l'indifferenza... sia a livello comunitario e sociale, impegnandoci nella costruzione «mattone su mattone» di autentiche comunità ecclesiali, cellule vive di una società da coinvolgere nel dinamismo della Pasqua a servizio della vita.
        Dobbiamo soltanto deciderci a far nostra e vivere, in un continuo esodo, la Preghiera Semplice del Poverello di Assisi.

__________________________________________

Pagina Precedente Indice Pagina Successiva
Home