GERARDO DE PAOLA - ZINO e MOLOK - Piccozza e... Piccone!

Piccozza e... Piccone!.
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        Zino tuona dall'altare, ma inutilmente per tanti, ormai cristallizzati in una mentalità secolare.
        Cominciano così a smorzarsi gli entusiasmi iniziali per il neo-pastore, accusato di stramberie. La solita arma dei vigliacchi!
        Zino, edotto dall'esperienza del Maestro, non si sorprende del repentino cambiamento di tanta gente e continua «deciso» per quella strada. Dei giovani, alcuni cedono alle pressioni dei familiari o al linciaggio dei benpensanti, ma altri, controcorrente, tengono duro con lui, trovando la forza nella Parola e nei Sacramenti, e dandosi una struttura organizzativa in Azione Cattolica, sia per esigenza di reciproca integrazione, sia per una testimonianza comunitaria di fede operosa.
        I giovani offrono pure la loro disponibilità per la preparazione dei bambini ai Sacramenti e per la vivacizzazione liturgica in parrocchia; gli adulti di A.C., accogliendo dai giovani uno stimolo di sensibilizzazione ai problemi sociali, offrono loro un valido sostegno, per fare insieme il cammino profetico di cui sopra. Significativa questa integrazione generazionale; i giovani con il loro entusiasmo e gli adulti con la loro matura costanza.
        Incontri di A.C. e iniziative varie parrocchiali mirano non soltanto a smussare angolosità e diffidenze generazionali, ma anche a facilitare reciproca conoscenza e amicizia fra gli stessi giovani, abituati alla distanza «reverenziale» fra i sessi, imposta dalla società e «sacralizzata» dalla Chiesa. Fu questo un altro doloroso punto di frizione.
        I soliti farisei della politica separatista, del «fuggire le occasioni pericolose», consenzienti parecchi genitori, fanno del tutto per sabotare le varie iniziative comuni, col sistema del buttare la pietra e nascondere la mano, o addirittura con battute calunniose.
        Zino, immunizzato dalla vita, a queste contraddizioni, cerca di orientare la sua azione su due fronti: quello dei genitori, per aiutarli a liberarsi da una umiliante schiavitù dai «benpensanti» e da pregiudizi secolari; quello dei giovani, per stimolarne la crescita in piena libertà e responsabilità.
        Il discorso educativo è portato avanti con fermezza e costanza, attraverso tutta una serie di iniziative, realizzate caparbiamente sempre insieme tra ragazzi e ragazze: riunioni e incontri formativi e ludici, veglie di preghiera e serate danzanti, spettacoli musicali e teatrali, scampagnate di immersione contemplativa nella natura ed escursioni mattutine, alla scoperta delle meraviglie del creato, pellegrinaggi e gite a conclusione di corsi, gare sportive e carnevalate, testamenti di carnevale e manifesti caricaturali, raccolte varie di stracci, carta e vetro, scorribande estive per le campagne e «gratuite» prestazioni di lavoro ai contadini, per strapparli al loro complesso di inferiorità. Ancora oggi alcuni, non più tanto giovani, ricordano con piacere i «bagni turchi» di quelle esperienze lavorative d'estate, ma anche i fragranti spuntini con salame e formag- gio, innaffiati dal vino di Iazzano e conditi di scroscianti risate di familiarizzazione coi contadini, cui si offre una evangelica testimonianza di uguaglianza, pur senza «parlare» di Vangelo.
        Tutte queste iniziative hanno eroso, quasi impercettibilmente, quella mentalità separatista fra categorie, età, culture e sessi diversi, che «puzzava» tanto di razzismo, facilitando al massimo conoscenze reciproche e rapporti di amicizia, molti dei quali sfociati in riusciti matrimoni, in cui si spera che non si respiri «aria segregazionistica».
        L'esigenza di una comunione sempre più profonda e di una più viva testimonianza, guida la parte più sensibile della comunità a continuare ad aprirsi all'esterno, evitando così il pericolo sempre ricorrente della «ghettizzazione».
        Pertanto, senza trascurare i precedenti impegni, una particolare attenzione è rivolta agli adolescenti ed alla famiglia. Nel piccolo gregge del popolo di Dio ci si accorge subito della fondamentale importanza, che assume nel cammino di crescita di tutta la comunità, la fascia adolescenziale e la famiglia.
        Per gli adolescenti si organizzano «settimane adolescenziali» a base di escursioni mattutine, ai primi albori della giornata, sulle circostanti colline, con momenti di preghiera e di riflessione, stimolate da Parola e Salmi, facilitate dal risveglio della natura e da moderni canti ritmati, che sfociano in allegri girotondi e danze, sulle ali della melodia del creato e del carezzevole vento mattutino, al caloroso bacio dei primi raggi solari, inneggianti alla vita.
        L'incontro pomeridiano, con approfondimento di problematiche esistenziali, ha carattere formativo.
        Queste indelebili settimane hanno il loro naturale sbocco finale nella Messa da campo, avente come scenario i meravigliosi orizzonti della natura, che si perdevano all'infinito, in congiunzione con la volta celeste. La Messa a sua volta, sfocia nell'allegra «agape», preparata e consumata sul posto, ma spesso talmente sovrabbondante che qualche piatto di spaghetti va a finire sotterra, senza la speranza di vederli... rinascere. Zino, nelle sue scorribande personali, avvertendo a volte il richiamo del «corpo del reato», si porta sui punti di inumazione, ma gli spaghetti non li ha visti più nascere.
        Al pranzo segue l'immancabile caccia al tesoro o la «scatenata» gara di danza, infiammata spesso di amore... di-vino, pur non essendo le coppie sempre al completo, perché i ragazzi, più succubi alla mentalità corrente, non sempre riescono a superare la... vergogna di partecipare a manifestazioni del genere, pur intuendone la validità.
        In una di queste settimane, alla vigilia del giorno conclusivo, un venerdì, una delle ragazze scherzosamente esprime il desiderio di concludere con un pellegrinaggio-gita a Montevergine. E siccome per un vero educatore, il desiderio dei ragazzi deve trovare sbocco in un impegno di disponibilità pedagogica al loro entusiasmo, Zino si fa «in quattro» per trovare un pulman da noleggio e per predisporre la celebrazione al Santuario. Solo verso le dieci di sera, avendo avuto conferma del tutto, informa la ragazza, oggi mamma di 4 figli, che aveva espresso quel desiderio soltanto come una battuta scherzosa, per cui non dissimula la sorpresa, anche se tanto gradita.
        Si riprende subito e, detto-fatto, la sorprendente notizia raggiunge il gruppo in un batter d'occhio, che, in poche ore, si organizza per l'improvvisata sortita.
        Di buon mattino, tutti sono in piazza per la partenza in «volata». È una giornata indimenticabile, anche se impegnativa per tutti perché, dopo la Messa al Santuario e uno «spuntino di lavoro», tutti, zaino addosso, si mettono in marcia per raggiungere, pungolati dal podista di classe, il campo sciistico, dove consumare l'abbondante pranzo.
        All'andata, l'entusiasmo della novità mette le «ali» a tutti, ma al ritorno, la stanchezza ha il sopravvento, per cui Zino è costretto a dare fondo a tutte le sue esperienze podistiche ed alpinistiche, per fare opera di salvataggio dei più provati. Sente però risuonare ai suoi orecchi, ancora oggi, le grida disperate di una ragazza che, nel tentativo di accorciare la strada, si era avventurata per una scorciatoia molto ripida e sdrucciolevole per cui, a un certo punto, non si sente più in grado di andare né avanti né dietro, e, assalita dal panico, dà in pianti e urla disperati.
        Solo quando sente il calore della forte mano trainante dell'esperto di alpinismo in libera, e il sollievo del suo sorriso rasserenante si calma, per proseguire il cammino tra le risate un po' furbesche degli amici.
        Questa ragazza poi, inconsciamente, forse per esorcizzare quel panico, sposa un... cardiologo! Non si potranno certo dimenticare queste entusiasmanti esperienze di alpinismo, materiale e spirituale, con la parte più «vulcanica» della famiglia parrocchiale, che ha sempre contagiato di adolescenziale vulcanismo la propria guida, le cui capacità alpinistiche allettano un gruppetto, a continuare l'allenamento sulle colline del paese, per tutta l'estate, sempre alle prime luci del mattino.
        L'attenzione alla famiglia invece ha la sua migliore espressione in incontri di preghiera, prima zonali, per facilitarne la partecipazione, nei periodi forti dell'anno liturgico, con riflessioni su problemi educativi, presentati anche col sussidio di filmine e diapositive. Non è mancata alle volte la gradita sorpresa di qualche cenetta improvvisata.
        Questi incontri, successivamente, sono stati centralizzati in parrocchia, con una caratterizzazione biblica, che nel 1991 ha portato alla lettura continua del Vangelo di Marco, rivelatosi ai più sensibili una miniera inesauribile di luce e di forza, nel cammino di riscoperta del Vangelo di Gesù, il Cristo, Figlio di Dio, nella comunità e con la comunità, proiettata verso il Regno di Dio.
        L'esperienza che il pastore aveva fatto nella sua vita personale di preparazione al sacerdozio, trova conferma e verifica nella vita comunitaria, dove, tutti insieme, lasciandosi guidare dallo Spirito di Cristo risorto, si edificano in comunione ecclesiale, autocostruendosi attraverso tutti gli avvenimenti della Storia della comunità, mattone su mattone, in famiglia del Popolo di Dio, in cammino verso la pienezza del Regno.
        La riflessione teologica aiuta a capire meglio questo processo, distinguendo il tempo con tre espressioni greche, pregne di significato: Krònos-Kairòs-Aiòn.

        1) Il tempo inteso come Krònos, il tempo cronometrabile, misurabile cioè con il cronometro, che ha un principio e una fine, un segmento che di fatto corrisponde alla storia, al tempo personale della nostra vita e al tempo della vita di una comunità.

        2) Il tempo inteso come qualità del tempo stesso, il Kairòs, il tempo opportuno (un’ora passata in un’attività piacevole, non è come un’ora passata in qualcosa di annoiante, anche se cronologicamente è la stessa). C’è bisogno di un aggettivo, per qualificare questo tempo, che può essere un’occasione, un momento particolarissimo fra tutti gli altri, un momento di opzione fondamentale, un periodo esaltante che cambia la vita, come quello di due fidanzati che, innamorandosi, danno una rotta diversa alla vita, o come quello di una comunità che, facendo delle scelte decisive, si gioca il suo futuro.

        3) Infine il tempo inteso come Aiòn, come futuro e definitivo che, in qualche modo, coincide con il tempo al di là del tempo, in cui potremmo vedere lo spazio abitato da Dio, il Regno di Dio. È il tempo a cui noi cristiani ci riferiamo, quando concludiamo le nostre preghiere con l'espressione: «nei secoli dei secoli».

        La distinzione di questi tre aspetti significativi del tempo, che può sembrare astratta ed «estemporanea», soprattutto a quelli abituati a vivere «alla giornata», è importantissima per utilizzare bene il Krònos, la storia, lo spazio della nostra vita individuale e comunitaria. Ciò che decidiamo «qui e ora», nel Krònos, divenuto momento opportuno, Kairòs, tempo qualitativamente forte, ha ripercussioni anche per il tempo futuro, Aiòn, per noi e per altri.
        Del resto, già nell'antichità del mondo biblico, si distinguevano un tempo prima della creazione, il tempo presente della creazione, e il tempo futuro, dopo la fine del mondo, quando avrà inizio il nuovo tempo, che noi identifichiamo con l'eternità.
        In questa triplice dimensione del tempo, il centro dell'attenzione era portato verso la fine, identificato col tempo messianico, il tempo in cui finalmente ci sarebbe stata sulla terra la giustizia, il tempo dei «Cieli nuovi e della Terra nuova».
        Con la venuta di Gesù, si comincia a percepire una centralità che non sta più soltanto nel tempo futuro, ma sta già nel tempo presente. Con l'incarnazione è arrivata all'interno della storia, il Krònos, una realtà che dà pienezza, totalità, il Kairòs. L'Evangelista Marco usa l'espressione: «il tempo è compiuto», per ricordare che è arrivato ormai l'evento centrale di tutta la storia, antecedente e susseguente a questo frammento costituito dalla creazione-storia; un tempo preziosissimo, che non possiamo prendere superficialmente, perché in esso si decide della nostra sorte definitiva, lo Aiòn.
        Di qui la preziosità della nostra vita, qui su questa terra, in cui abbiamo la possibilità di giocarci il futuro, l'altro tempo, quello definitivo.
        Di qui pure l'importanza del nostro incontro personale con Gesù di Nazareth, dal quale la battaglia decisiva è già stata vinta, per cui si può cominciare a parlare di una vicinanza del Regno di Dio, puntualizzata ugualmente da Marco con l'espressione: «II Regno di Dio è vicino», in quanto l'azione salvifica, realizzata in Cristo, continua ancora nel presente, sotto l'azione dello Spirito di Cristo risorto. È nella Risurrezione che si fonda la nostra speranza, la nostra gioia cristiana di armonia ritrovata.
        A Dio però deve rispondere l'Io dell'uomo, con la conversione e la fede: «Convertitevi e credete al vangelo». Convertitevi alla radicalità del Vangelo, facendo non solo una inversione ad U, ma anche andando oltre, rompendo gli schemi della pura razionalità e superando i confini troppo ristretti dell'egocentrismo. Pertanto fidatevi, gettatevi nel Vangelo con tutta la vostra vita, abbandonandovi alla «Bella Notizia», a Gesù di Nazareth, la roccia sicura su cui mettere salde radici.
        L'uomo è invitato a fare la sua scelta: o fidarsi della propria intelligenza e del proprio modo di guardare le cose, la propria storia e quella dell'umanità, oppure fidarsi del Vangelo, della Bella Notizia = Gesù Cristo, che Dio continua a dare all'uomo. Qui è l'alternativa, implicita o esplicita che sia, in base alla quale si verificherà automaticamente quella separazione, che porterà gli uni alla sinistra, e gli altri alla destra del Pastore Supremo del «...gregge che Egli conduce» (Sal. 94, 7), del quale fanno parte fedeli e pastori.
        Ma come l'uccello non può volare con un'ala sola, così il cristiano, per spiccare con la tutta la sua vita il volo verso il Regno di Dio, oltre all'ala della Parola, deve munirsi dell'ala dell'Eucarestia, in cui è lo stesso Gesù ad offrirsi a lui in modo diverso, ma ugualmente essenziale, perché l'uno è integrativo dell'altro.
        Parola ed Eucarestia sono le due mense imbandite da Cristo, per nutrire di sé la comunità dei credenti, la famiglia del Popolo di Dio, peregrinante verso la meta finale. Di qui la centralità della Messa nella vita cristiana, dove la Chiesa continua ad offrire ai suoi figli il duplice alimento della Parola e dell' Eucarestia, per aprirsi totalmente a Cristo ed al Cristo totale.
        Di qui pure la necessità di sfrondare la mentalità «precettistica», che fa della Messa un precetto da osservare, un dovere da soddisfare, piuttosto che un «festoso» incontro, unico ed irripetibile in modo diverso, con Cristo, insieme ai fratelli, per «costruirsi» famiglia, incentrata su questa azione sacra bipolare, Parola e Sacramento, sfociante nella carità, che sola può cambiare la vita di ciascuno in una Messa esistenziale.
        Parola di Dio e Pane di vita quindi portano, in forme differenti, allo incontro vivificante con il Signore «presente», come puntualizza il n. 7 del S.C., nella sua Parola e nel Sacrificio della Messa, in vista di un'altra presenza da realizzare quotidianamente, sotto l'azione dello Spirito, nella «comunione» con Dio e con i fratelli, incentrata nel Verbo Incarnato.
        Da ciò comprendiamo che nella Messa, non solo si realizza il Mistero della presenza reale del Signore, ma si rende presente la stessa «Azione di Cristo», che ha redento l'umanità con la Sua immolazione sulla Croce e la Sua glorificazione in cielo. Questa presenza operante del Cristo Salvatore è in vista della nostra salvezza.
        Perciò nella Messa i cristiani si incontrano con lo stesso Signore, che si è immolato sulla croce, e che continua dal cielo l'opera Sua sacerdotale di culto al Padre e di santificazione degli uomini. Questo incontro, logicamente, non è con il corpo fisico di Gesù di Nazareth, bensì con il «Corpo del Risorto», che abbraccia anche il «Corpo ecclesiale». «Riconoscete il Corpo del Signore», ricorda S. Paolo alla comunità di Corinto, riferendosi ai fratelli che «in Cristo costituiscono la Chiesa».
        Offrendo al Padre la Vittima Santa, nei segni sacramentali, la Chiesa offre se stessa, in intima unione col sacrificio del suo Capo. L'art. 48 del S.C. così sintetizza: «i fedeli, offrendo la Vittima immacolata, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi...» L'atto dell'offerta sacrificale è compiuto da tutta la comunità cristiana riunita in assemblea, e quindi da ciascun fedele.
        Comunità e singoli fedeli, lasciandosi penetrare dalla dinamica della Risurrezione, di Eucarestia in Eucarestia, debbono «costruirsi» corpo del Signore, trasferendo nella vita l'esperienza cultuale: una liturgia che aiuti a dare un significato alla vita, ed una vita che verifichi continuamente l'autenticità della liturgia, attraverso il superamento di sé, l'obbedienza alla divina volontà, e il dono di sé agli altri.
        La Risurrezione non ci pioverà addosso magicamente alla fine dei tempi, ma si realizza gradualmente nell'oggi, nella misura in cui ci si apre a Cristo Risorto, permettendogli di rinnovare e trasfigurare la nostra vita, fino alla risurrezione finale e definitiva.
        Zino ha sempre cercato di ispirarsi, nella sua azione pastorale, a queste fondamentali verità biblico-teologiche, ancora più evidenziate dalla riforma liturgica voluta dal Concilio, per cui «ostinatamente» ha preteso una partecipazione devota e responsabile, da parte dei praticanti alla Messa domenicale e feriale, come alle messe nuziali e funebri.
        La partecipazione responsabile alla Messa domenicale si limitava a poche persone, perché per tanti adulti si riduceva a momento di comunicazione coi vicini di banco dei fatti della settimana, oppure a valutazione di «moda», ma non solo, dei presenti in chiesa, servizio di... taglio e cucito!; per una parte di giovani e adolescenti invece era un momento di «puntellamento» delle colonne, o di «passerella», di ammiccamenti compiacenti o invitanti ad uscire di chiesa per... galanterie ed espansività; qualche persona più «devota» ripiegava, nel migliore dei casi, a recite meccaniche di formule di preghiera, come un disco in movimento...
        La Messa comunitaria feriale non si concepiva nemmeno, perché non esistevano orario e posto fissi per la celebrazione, o per colpa dei sacerdoti abituati alle loro comodità, o per colpa dei devoti che, facendo celebrare la «loro» messa, erano in diritto di scegliere posto e colore della celebrazione (abitualmente al cimitero, con pianeta nera), ma anche di «farsi attendere» dal celebrante e da qualche fedele, perché «pagavano».
        Sin dai primi anni di sacerdozio, Zino aveva duramente reagito a questa mentalità secolare, accettando una libera offerta e stabilendo egli stesso un orario fisso, cui attenersi scrupolosamente, fino al punto da far «smorzare le candele» ai ritardatari.
        A fare questa esperienza, proprio nelle prime settimane di sacerdozio, capita anche la mamma, cui Zino aveva precisato l'orario per una Messa di suffragio al cimitero per la nonna, celebrata puntualmente in orario, anche se la «notabile devota» ritardasse a venire. La Messa termina e, di ritorno dal cimitero, egli incontra alcune vicine di casa e la mamma che, dolcemente ma fortemente, gli fa notare: «Aggio tenuto che fare, ma tu, Gelà'rdo, nu'mmi putivi aspettà nu pech = ho avuto da fare, ma tu, Gerardo, non mi potevi aspettare un poco!». Il figlio, rispettosamente ma decisamente, le contraddice: «Mi rispiace mamma, la lègge è p'ttutti accussì = Mi dispiace mamma, la legge è per tutti così».
        Il tono deciso della risposta non le permette di proferire più sillaba, perché è dalla parte del torto; ma proseguendo, alquanto risentita, il suo cammino verso il cimitero per una visita ai morti, non rinuncia al diritto di una «sbuffata» con le amiche: «che buie fa're, cresci figli, cresci puorci = che vuoi fare, cresci figli, cresci porci!».
        L'episodio corre sulla bocca di tutti in paese, con la conseguenza che Zino non ha più ritardatari per la Messa, confermandosi nell'idea che, al momento opportuno, un gesto deciso vale più di mille discorsi.
        La mentalità aveva radici secolari, in quanto sviluppatasi in un clima «concorrenziale» tra vari sacerdoti, impegnati ognuno a formarsi la propria clientela.
        Di qui la conseguente cultura «commercialistica», che faceva della messa una prestazione privata, comprabile dai più abbienti, a suon di denaro sacro: i poveracci sarebbero stati condannati in questa vita ma anche nell'altra, a secco di... suffragi.
        Eppure la teologia ha sempre insegnato che il Signore non è «tenuto» ad applicare i meriti della Messa, oltre tutto di valore infinito, per la persona in suffragio della quale viene celebrata. Ma questo insegnamento resta «incartapecorito» sui testi scolastici, per paura di perdere la clientela e, conseguentemente, una fonte di sicuro guadagno, non perseguibile nemmeno dal fisco perché, a detta dei moralisti, che trovano sempre la... «pezza a colore», in combutta coi politici, si tratterebbe di offerte libere, provenienti anche da messe a «gettoniera», binate e trinate, e non solo... non mancherebbero nemmeno i... messoni!
        Meno male che il Signore è ben «corazzato», per immunizzarsi da questi pregiudizi di discriminazione razziale, cui facilmente vanno soggette persone religiose, paragonabili più a «prèfiche», che a servi del popolo.
        È stata così offuscata l'autentica dimensione comunitaria della Messa delle origini, in cui i cristiani coi ministri erano «un cuor solo ed un'anima sola», trasferendo l'esperienza comunionale di culto nella vita quotidiana di tutta la comunità e ricordando insieme i fedeli defunti, che li avevano preceduti nella fede, a suffragio dei quali facevano «fiorire» opere di bene.
        Le Messe nuziali poi erano limitate ad una stretta cerchia di familiari, mentre la maggioranza degli invitati attendeva fuori della chiesa, disturbando con un chiasso, a dir poco, vergognoso, per poi ricomporre il corteo sfociante al banchetto... «vero!»
        Le Messe funebri subivano una sorte peggiore, con l'allegro e festoso vociare fuori chiesa, che copriva i lunghi (soprattutto per i funerali di prima classe) e tediosi canti di Mattutino e Lodi, quelli della messa, seguiti dalla nenia finale del «Libera me Domine», e con la benedizione finale intorno al catafalco, innalzato da terra e illuminato da «colanti» candele, in proporzione del... pagamento! Cose orripilanti!
        Un'altra tiritera si verificava per le messe quotidiane di suffragio, da celebrare sempre in nero e col nome del defunto ben conclamato, più di qualche volta. Molte persone, tra le quali anche uomini di cultura, per giustificare questa loro pretesa, accusavano Zino di «insensibilità» al sentimento dei familiari, che avrebbero trovato conforto nel sentir nominare il proprio caro, tanto che a Napoli, ancora oggi, si arriva a nominare il defunto nella stessa celebrazione, a detta di testimoni auricolari, per ben... sette volte!
        In questa valutazione il motivo sentimentale ha la sua parte, oltre al plauso dei presenti, per il ricordo che si conserva dei defunti, ma vi gioca soprattutto una «congenita» diffidenza, conscia o inconscia che sia, trasmessa di generazione in generazione, nei confronti del prete, che raccoglierebbe varie intenzioni di applicazione in un unico «messone», all'insaputa dei devoti.
        Onestamente, si può anche ammettere che qualche incosciente faccia qualcosa del genere, ma questo non autorizzerebbe a generalizzare: sarebbe ingiusto ed avvilente per tutta la categoria e per l'intera comunità ecclesiale.
        Zino ne aveva di materiale contro cui cozzare, per svolgere la sua opera di «educatore», insieme a quella di pastore: la sua indole, integrata dall'autoeducazione alla scuola della vita, l'aveva già immunizzato a queste contraddizioni, per cui si dà subito all'opera, in piena coscienza di mettersi «contro corrente», ispirandosi, pur con tutti i suoi limiti, all'esempio del maestro.
        Non ci vuole molto, per eliminare gli abusi verificantisi alla messa, domenicale, in tutte le fasce di età: per i servizi di «taglio e cucito», da parte soprattutto degli anziani, è sufficiente indicare la «deviazione» ad altre sedi più consone al tagliuzzamento; mentre per «svolazzamenti» di farfalline e «trasmigrazioni» di colombina passerellanti, ci vuole tutta la fermezza tenace del «mastro», per impedirne l'accesso in chiesa, orientando la rotta o verso l'aria aperta di campagna o verso la piazza. Qui altre squadre, impegnate nella missione di... puntellamento della Vittoria alata, protesa nel gesto di porre la corona di alloro sui «fedelissimi», attendevano il «cambio di guardia», per assicurare, con impeccabile continuità, il servizio diurno, insieme a quello notturno, di vigilanza cittadina e di controllo movimentistico.
        Per i «titubanti» che, come cani frustati, rimanevano in fondo alla chiesa, con un piede dentro e uno fuori, è stata molto utile la collaborazione di avvenenti giovani e di sorridenti religiose, che, con molto garbo, li invitavano a sedere nei numerosi e comodi banchi.
        Una volta assicurato il servizio d'ordine in chiesa, si è potuto iniziare un cammino di partecipazione liturgica, attiva, cosciente e responsabile, in cui ognuno., almeno nelle intenzioni del presidente dell'assemblea, avrebbe dovuto sentirsi «attore» per la migliore riuscita della celebrazione, dagli animatori liturgici alla schola cantorum, dai lettori ai chierichetti, dai giovani agli adulti.
        Il presidente avrebbe voluto riservare per sé il solo ruolo di «stimolo» al dialogo con Dio e all'interno della comunità. Ed effettivamente, soprattutto nei giorni di maggiore afflusso, ha gustato la bellezza esaltante di essere «servo della Parola e dell'Eucarestia», sostenuto e sollecitato dalla comunità a reinventare continuamente il suo sacerdozio.
        La partecipazione dei fedeli, anche se, «quantitativamente», si è ridotta nel tempo, ha avuto, «qualitativamente», un crescendo continuo, suscitando stupore nei «pasqualini e natalini», e nelle persone che ne hanno fatto l'esperienza dall'esterno.
        A ciò hanno contribuito soprattutto i vari gruppi di schola cantorum e animatori liturgici, succedutisi negli anni, pur con periodi di «alta e bassa marea», mentre la base ha lasciato sempre a desiderare, su un piano di collaborazione coinvolgente, contentandosi di una partecipazione da «spettatori», anche se attenta e interessata.
        Un punto fermo della pastorale programmata da Zino, è stata la «Messa comunitaria» feriale, celebrata alla stessa ora del mattino, senza attese di sorta, alla chiesa parrocchiale, con il colore liturgico del giorno, usufruendo, dopo brevi riflessioni di presentazione, dell'abbondante varietà di letture bibliche, previste dalla riforma liturgica, senza proclamazione «notarile» del nome del defunto, e con offerta libera.
        La gente ha fatto dura fatica ad accettare queste innovazioni, suggerite non da assolutismo dottrinale o da testardaggine di qualcuno, ma solamente da una profonda esigenza di educare all'essenzialità delle cose, liberandosi da tanti «fronzoli», da tanta polvere... secolare.
        L logico che queste innovazioni non si facevano piovere magicamente, dalla sera al mattino, sulla testa della gente, ma dopo una paziente e costante opera di informazione, mirante alla formazione delle coscienze, di quelli disponibili al discorso educativo.
        I refrattari trovano solo un pretesto, come al solito, per accusare la chiesa di... far perdere la fede (chissà quale fede!) con tanti cambiamenti, o per accusare il «nuovo arrivato» di agire a «testa sua», perché tanti altri continuavano a fare come sempre.
        Quello che, ancora oggi, è duro a morire per alcuni, è l'accanimento per il nome da... esplicitare al Signore, conniventi tanti sacerdoti, per... «convenienza!»
        I frutti di questa ostinazione educativa non si fanno attendere, perché almeno una cinquantina di persone frequentano la messa comunitaria quotidiana. Quello che commuove, ed è un punto di riferimento per tutta la comunità, è che anche nei giorni più proibitivi dell'inverno, non manca un gruppetto di persone, veramente encomiabili, che raggiungono con fatica nella neve la chiesa. Quelle messe di «rappresentatività», in quelle circostanze, diventano più toccanti per chi vi partecipa, e più significative per quelli che in chiesa non ci vanni mai, perché, ...impossibile raggiungerla anche nella normalità, senza potervi accedere con la macchina. Uno schiaffo morale per quelli che, al pensiero di trovare in chiesa un pavimento arroventato da questi autentici testimoni di fede, si guardano bene dall'entrarvi, per paura di bruciare le suole delle scarpe!
        A risentire dei vantaggi di questa costante azione educativa sulla messa, sono anche le celebrazioni matrimoniale ed esequiali: le prime nel recupero del clima conviviale del banchetto eucaristico, anche come preparazione al banchetto nuziale, e le seconde nel recupero del clima pasquale della morte, alla luce della fede, e della vita, alla luce della morte, nel ricordo dei trapassati ed in comunione con loro.
        Il recupero di prospettiva è stato stimolante per tutta la comunità, sollecitata così a vivere momenti di gioia e di dolore di ciascuno, come occasione di verifica della comunione ecclesiale. Solo in questo modo è stato facile eliminare gli abusi di cui sopra, ed altri ancora più aberranti che, pur nella loro negatività, hanno avuto una funzione di stimolo per pastore e gregge. Quegli è stato subito sollecitato ad aprirsi ai problemi concreti di questo, per farsene carico e, in un comune impegno di soluzione, cominciare a condividerli, come era stato educato «dalla vita», sin dagli anni della fanciullezza. Sinceramente è stato «duro» cercare di riconvertire il tutto in «progetto», non più di «mantenimento» ma di «missione».
        Il pastore a sue spese, ha capito che la pastorale nuova, già in fermento nel pre-Concilio, soprattutto in Francia, o è «personalista», o non esiste. In tale prospettiva, con tutto il comprensibile travaglio, scopre gradualmente, con gratificante gioia, che la gente gli diventa «famiglia-chiesa» in cui, insieme, con i piedi sul pianeta terra, ma con lo sguardo e con il cuore in alto, cercano di andare... oltre!
        Un primo «cozzo» l'ha con la mentalità di «computisteria» della Curia che, pur con tutte le scusanti, gli è sempre apparsa più un «Ufficio d'Imposte» sia pure sacre, incassate tramite parroci ridotti ad esattori parrocchiali, che un Ufficio pastorale.
        A distanza di poco più di un anno, dalla presa di possesso della parrocchia. Zino inviava all'Arcivescovo dell'epoca una lettera che, letta oggi a 28 anni di distanza, ha sorpreso lo stesso autore, per il «fuoco» con cui, sin d'allora. affrontava i problemi della comunità, facendosene appassionatamente carico.

Testo della lettera

Eccellenza Reverendissima,

        vengo con la presente a sottoporre alla sua paterna e benevola attenzione un abuso, che ho trovato in questa parrocchia, da poco affidatami.
        In occasione di matrimoni, la quasi totalità degli sposi, per non pagare la tassa di £ 5.000 dovuta alla Curia, per autorizzazione di matrimonio nelle ore pomeridiane, sposano privatamente in mattinata, e nel pomeriggio si portano in corteo in chiesa, per una semplice visita, dopo la quale, tornando a casa, offrono un rinfresco agli invitati.
        Tale tassa, quando fu introdotta, se non erro, fu motivata dalla mancata possibilità di celebrare la Santa Messa nel pomeriggio; ma adesso che la Messa vespertina è così largamente concessa, quella tariffa diocesana non avrebbe più motivo di esistere, anche perché continuerebbe a favorire soltanto i benestanti, che non trovano difficoltà a pagare, permettendosi così una solennità, che verrebbe negata ai meno abbienti.
        Quanto male continuano a fare queste distinzioni nella Chiesa di Dio, che pure dovrebbe essere la Chiesa dei poveri!
        Chiedo pertanto a V.E. Reverendissima di autorizzarmi a permettere il matrimonio anche nelle ore pomeridiane, dispensando gli interessati dal pagare quella tassa, dovendo essi già sostenere altre spese per processetto matrimoniale, per stato libero (da chiedere alle volte in varie località e con spese naturalmente moltiplicate), per Santa Messa ecc.
        Mi creda, Eccellenza è veramente penoso per un parroco ridursi a fare l'esattore di imposte varie! Per mia tranquillità di coscienza, le comunico che in qualche caso, in cui non ho potuto fare diversamente, ho dispensato da quella tassa di mia iniziativa, interpretando così lo spirito della legge, nella luce del rinnovamento voluto dal Concilio.
        In attesa che la presente istanza venga benevolmente accolta, ringrazio anticipatamente anche a nome di quelli che verranno beneficiati.
        Prostrato al bacio del Sacro Anello, Le chiedo la Pastorale Benedizione, estensibile ai miei filiani, e mi professo con profondo. filiale ossequio.

        Laterina, 12/12/1964

Dev.mo figlio in G.C.
(segue firma)

La formula di chiusura della lettera, suggerita e quasi imposta a suo tempo dalla disciplina militareggiante del Seminario maggiore, rivela chiaramente che Zino non si era ancora «liberato» da certe forme «untuosamente ossequiose» cui era stato «educato».
        Ancora un elemento di puntualizzazione, per capire che è stata la vita a liberare il nostro Zino da «umilianti orpelli» imposti addirittura dalle strutture educative, confermando la validità dell'asserto di «liberare liberandosi».
        La risposta, per la sensibilità del pastore, giunse puntualmente come «dono natalizio» in questi termini:

...21 dicembre 1964

Rev.mo e caro Arciprete,
        Ricevo la Sua del 18 e L'assicuro che il problema mi sta a cuore. Ho presentato la questione alla S.C. del Concilio, visto che la tassa cui Ella fa riferimento è stata approvata dai Vescovi della Regione.
        Quindi attendiamo la risposta. Per qualche eccezione, dispensi pure con facoltà delegata da me.
        Cordiali auguri e benedizioni (segue firma).

        Purtroppo (ma si sa che la Chiesa è... secolare!) l'altra risposta cui la lettera fa riferimento non è mai giunta, per cui Zino, come in coscienza si era regolato dal primo momento, così in virtù di quella facoltà delegata «per qualche eccezione», ha esteso la dispensa a tutti i casi di bisogno, con la certezza di non trovarselo a debito sul «conto personale», all'altra sponda, a meno che, per qualche «diavoleria curiale», non si riesca ad «imbrogliare» anche il Giudice Supremo, come nel V.T. il sacerdote di Betel, Amasia, aveva tentato di fare contro quel mandriano del profeta Amos (Cfr. Am. 7, 12-15).
        Per ironia della sorte, provvide il... terremoto a far decadere quella «pretestuosa» tassa, discriminatoriamente vessatoria.
        Il sisma '80, creando una condizione di «azzeramento», poteva essere per tutta la comunità ecclesiale diocesana un'occasione provvidenziale, come Zino in tutte le fasi successive ebbe a puntualizzare, per una «coinvolgente scelta di povertà evangelica», nell'opera di ricostruzione materiale e spirituale delle chiese locali.
        Si è verificata invece, connivente la politica clientelare, e, compiacente la comunità locale, una corsa vergognosa ai miliardi che, oltre tutto, a quanto si dice, avrebbero pigliato anche vie traverse, col pretesto di costruire cattedrali. che Zino si augura vivamente non vengano a trovarsi nel «deserto», già sul nascere.
        Questa presa di posizione nei confronti della Curia non poteva essere un episodio a se stante, ma rientrava in una linea pastorale mirante, dall' interno stesso della chiesa, a purificarla da quel «vergognoso rumore» di denaro intorno all'altare, sollecitandola non al disimpegno, ugualmente diseducativo, ma alla partecipazione attiva e generosa, con libere offerte per i servizi sia di Ufficio che di Culto, per la vita della comunità e per i bisogni dell'umanità.
        Logicamente si dava al popolo un «preciso e meticoloso» resoconto delle entrate e delle uscite, in modo che, senza dare adito alle «male-lingue» di interpretare la libertà di offerta come un sottile trucco, per intascare di più. avesse la funzione di uno strumento educativo di sensibilizzazione ai bisogni della grande famiglia umana.
        La forza profetica del gesto di rottura, checché ne dicano vicini e lontani, ha sollecitato la crescita sia del pastore che del gregge, per un recupero faticoso della dimensione comunitaria della Chiesa locale.
        In parrocchia si conserva un «geloso libro cassa», che non ha nulla di computisteria e che Zino ama chiamare un ormai ingiallito (per l'usura del tempo) «album di famiglia», a testimonianza di un lungo cammino in salita, di condivisione coi poveri del mondo, dei pochi beni, materiali e spirituali, disponibili «nei piatti» della famiglia parrocchiale, come imaginificamente fa capire la traduzione interconfessionale di Le. 11, 41: «Date ai poveri quel che si trova nei vostri piatti». Altro che farisaico superfluo!
        L'album registra i primi «barcollanti passi» della comunità, sino a quelli più decisi di oggi, anche se ancora in «fase adolescenziale», come rivelano alcune pagine qui integralmente riportate.
        Per l'addobbo, in occasione di matrimoni, Zino si è visto costretto a «sferzare a sangue» coloro che si ostinavano a pretendere sfoggio di sontuosità, imponendo un addobbo dignitoso, accessibile alle tasche di tutti, preparato fino a qualche anno fa, con molta semplicità dalle suore, ed oggi dagli stessi fiorai, obbligati a uniformarsi a criteri pastorali, senza prestarsi al bisogno di ostentazione dei cristiani da «parata».
        Quanta responsabilità, nelle accomodanti e interessate permissioni a ridurre le chiese in sfarzose e discriminanti serre di «salatissimi» fiori, cui sarebbero costretti anche i meno abbienti, per non apparire da meno, almeno in quel giorno! Il tutto con la... benedizione della Santa Madre Chiesa!
        Un altro punto di stridente frizione, nella celebrazione dei matrimoni, è stato il facile slittamento di orario, preteso anche nei giorni festivi, con comprensibili difficoltà pastorali. Zino, dopo aver tentato inutilmente la strada persuasiva, passa alle minacce, cui segue, e non poteva mancare, un «clamoroso» gesto di rottura, per smuovere le acque stagnanti di... secoli.
        Una coppia, giungendo in chiesa con notevole ritardo, con sorpresa di tutti reazione furibonda dei familiari, è invitata a... smorzare le candele, essendo la messa quasi al termine, ed a fare un po' di penitenza alla fine, in attesa che il sacerdote si metta in... cotta e stola.
        Dopo una breve liturgia della parola, con fredda calma, più incisiva di qualsiasi rimprovero, è celebrato il matrimonio in un clima non certo festivo. La coppia, «freddata» in quel modo, diviene inconsapevole protagonista dell'eliminazione di una mentalità «radicata nei secoli», per cui da quell'episodio, che fa epoca in paese e fuori, in forza della magia di «rottura», non si sono verificati più ritardi.
        Eliminato quell'inconveniente, negli ultimi anni è sopraggiunto un altro, a causa di una «asfissiante» concentrazione di matrimoni nel periodo estivo, con conseguente corsa alla prenotazione, a distanza di molti mesi dalla celebrazione, da parte dei più furbi, per farla «in barba» ai meno previdenti, in modo da usufruire del diritto di «primo-genitura».
        Zino, col suo fiuto canino, subdora subito «puzzo» di sfida, di vanesia ostentazione, di smanie arrivistiche, cui reagisce energicamente. Non si presta mai a «binazioni» di gettoniera, con messe in orari diversi, e comincia a fare opera di educazione, come già faceva per Battesimi e Prime Comunioni, alla celebrazione «comunitaria» anche del matrimonio, che al capo-famiglia sembrava «esaltante», ma ai figli risultava «umiliante», perché con un unica messa si celebrassero due matrimoni.
        Gli interessati, come era prevedibile, cominciano a scovare tutte le scuse. per rifiutare il suggerimento di vedere accomunati nella stessa gioia, contemporaneamente, due coppie di sposi con tutto il «seguito».
        I pretesti addotti sono: eccessiva confusione di partecipanti, difficoltà di foto e di scelta di fiori, contrattempi nello svolgimento del rito, ecc. Le motivazioni erano prive di fondatezza, perché alla base di tutto, anche se nessuno aveva il coraggio e la coerenza di dirlo, c'era soltanto la «spòcchia» di essere in quel giorno... «oggetto unico» di attenzione da parte di tutti, in quanto: «... una volta ci si sposa!».
        Il «mastro» non è proprio il tipo da prestarsi a questi «giochetti furbeschi». Aveva una scelta precisa da fare: o rinunciare alla sua «funzione educativa», riducendosi al ruolo di un accomodante funzionario, per guadagnarne in popolarità; o rinunciare a tutti i vantaggi, non escluso quello economico. conservando il ruolo di «guida», e guadagnando in... impopolarità.
        È facile intuire per quale «corno» del dilemma egli avrebbe orientato la sua scelta, pur sapendo di «imboccare», ancora una volta, una strada in... salita.
        Tra le righe, un particolare emozionante.
        Zino era arrivato a questo punto del racconto verso la mezzanotte del 4 luglio '91, quando decideva di andare a... nanna. Ma alle 4,50 svegliatosi, si ricordò che quello era il giorno anniversario dell'Ordinazione sacerdotale, per cui volle «approfittare» dell'occasione offertagli, per pregare Lodi.
        Come al solito, ha la gradita sorpresa di dover «ascoltare», più che «parlare», fermandosi a lungo soprattutto sul Salmo 99, che invita ad «acclamare al Signore ed a servirlo nella gioia... poiché buono è il Signore, eterna la sua misericordia, la sua fedeltà per ogni generazione». Alla prima invocazione dell'Inno di Terza, acclamante a Cristo, «sole di giustizia!...», subito un salto sul terrazzo per la continuazione, con l'altra sorpresa:

Salmo 118, 30-32

Ho scelto la via della giustizia,
mi sono proposto i tuoi giudizi.
Ho aderito ai tuoi insegnamenti, Signore,
che io non resti confuso.
Corro per la via dei tuoi comandamenti,
perché hai dilatato il mio cuore...

Salmo 25, 1-3

...confido nel Signore, non potrò vacillare.
Scrutami, Signore, e mettimi alla prova,
raffinami al fuoco il cuore e la mente.
La tua bontà è davanti ai miei occhi
e nella tua verità dirigo i miei passi...

        Prima della celebrazione della Messa delle 7,30, un'altra gradita sorpresa da parte di Don..., dalla Calabria, forse per riparare alla mancata risposta ad un augurio fatto pervenire in precedenza da Zino, proprio a quel posto... con lo «stesso titolo», unitamente ad un grande e significativo... «malloppo!». Il simpatico ed esplosivo augurio telefonico, forse inconsciamente, ha voluto compensare quella mancata risposta ad un augurio fatto con «simpatia critica», anche perché affidato ad una... Mamma (questa parola meravigliosa, pronunciata sempre con due «baci»). Il Signore come si diverte!
        In un primo anno di esperimentazione, aveva cercato di consigliare la celebrazione comunitaria, facendone capire la portata pastorale, ma lasciando come alternativa la facoltà di trovare un altro sacerdote, disponibile a celebrare il secondo matrimonio, in orario diverso.
        Qualcuno, sfruttando questa alternativa, si mostra «non disponibile» nemmeno al consiglio di concordare fra le due coppie un «unico addobbo», almeno nella essenzialità, avanzando il diritto derivante dal solito: «ci si sposa una volta sola», e «costringendo» a cambiare tutti i fiori, nel giro di pochi minuti.
        Un vero scempio «gridante vendetta al cospetto di Dio», che, purtroppo, si verifica normalmente anche, e, direi soprattutto, per la connivenza, non sempre disinteressata, della chiesa, che ama definirsi dei poveri... Il prof. La Pira ancora oggi fa giungere a questa Chiesa così «cartellinatasi», il suo profetico appello: «C'è da temere la fine, se alla collera dei poveri si unisce la... collera di Dio».
        Una Chiesa «dalla pancia piena» non può essere la «coscienza critica» dell'umanità, affamata e denutrita, e le comunità sedicenti cristiane non riescovo ad «inquietare le coscienze», se non danno un'autentica testimonianza di povertà.
        Zino non può «rassegnarsi» a questa situazione, né come educatore, e tanto meno come responsabile di una comunità, che aveva scoperto ancora «refrattaria» ad ogni discorso di pastoralità e povertà, in momenti così importanti.
        Confida il suo dramma, in un convegno, alla comunità diocesana, nella speranza che si prenda una decisione insieme, però si trova di fronte ai soliti: «si... ma», invitanti a pazienza, tolleranza, quieto vivere... Una vera «staffilata», che lancia il «cavallo strepitante» nella corsa ad «imporre» in parrocchia la celebrazione di due matrimoni, con un'unica messa.
        Si grida allo scandalo, perché solo in questa parrocchia è in vigore una «legge» del genere, e si ricorre a tutti i mezzi perché il «dittatore» (che vuole... «mangiare da solo», escludendo altri sacerdoti) receda dalla sua decisione accentratrice. A dare corda a questi denigratori, contribuisce anche l'atteggiamento «sornione» di qualche «confratello» dal facile... paternalismo o perbenismo.
        Zino, da incassatore «incallito», cui la vita l'aveva abituato, resistendo ai colpi anche «bassi» di vicini e di lontani, riesce, nel giro di pochi anni, pur con alcuni che mordevano rabbiosamente il freno, a convincere della funzione educativa alla «comunitarietà» di quella scelta, non certo per motivi di vantaggio personale.
        In tutti questi anni si sono verificati solo due casi di ostinato rifiuto. risolti, uno con conseguente... migrazione e l'altro, con testardo slittamento di data della celebrazione.
        Il primo, pur essendo più... eclatante, è «incassato» dal pervicace educatore, nel rispetto della libertà di scelta del luogo di celebrazione; ma il secondo. sinceramente, lo fa soffrire maggiormente. Questo infatti, pur risolvendosi nella «ordinarietà» di cambiamento della data di celebrazione, con i salti... mortali dello sposo, proveniva da una coppia, da cui si sarebbe atteso, per tanti motivi. un atteggiamento di convinta e fattiva collaborazione, nel sostenere un gesto profetico, che ormai veniva accettato, con convinzione dalla maggioranza e, con passività, dai cristiani di... parata.
        Egli trova conforto e forza solo al pensiero che Cristo non fu più... fortunato, proprio con i più vicini.
        Si sa che la radicalità di certe scelte, in conformità del Vangelo o dell'insegnamento conciliare, non trova facile rispondenza in noi, sacerdoti o laici. vittime del meccanismo di autodifesa, in base al quale riteniamo non rivolta a noi, in prima persona, l'invito ad aprirsi alla «Buona Notizia» del Regno. Cristo, e Cristo Crocifisso, direbbe S. Paolo.
        Un altro punto «dolente» di pastorale parrocchiale è stata la prevista celebrazione dei funerali nei giorni festivi, con la liturgia del giorno, dalla riforma liturgica che, pur salvando il «ritualismo», non ha, nel caso specifico, per nulla considerato l'aspetto-«pastorale» : una delle solite decisioni di «tavolino»!
        Certo, la morte, nelle luce della Pasqua, non disdice al «giorno del Signore», però è, a dir poco, «lapalissiano», che la liturgia domenicale sia da vivere in un clima diverso dalla liturgia funebre, sia per un fattore psicologico del giorno festivo, sia, più di ogni altra cosa, per la programmazione pastorale dell'anno liturgico, delle iniziative attinenti al giorno del Signore, della logicità e organicità della Parola di Dio, nei vari «tempi liturgici», e nelle varie domeniche, collegate l'una all'altra con un «nesso logico» di catechesi.
        Ad usare un eufemismo, è soltanto «puerile» non tener presente poi che la liturgia funebre ha una sua incisività specifica, cui sarebbe ridicolo rinunciare, per familiari e partecipanti, ma soprattutto per coloro che hanno in essa l'occasione unica di riflettere sulla vita, alla «luce» della morte cristiana.
        Zino aveva già trovato in parrocchia la consuetudine di non fare i funerali nei giorni festivi, però col «gravissimo e vergognoso» abuso di conservare in chiesa, la bara dal pomeriggio del sabato al mattino del lunedì, per la celebrazione della messa.
        Per eliminare l'indecorosa consuetudine di ridurre la chiesa ad una sala mortuaria, propone «varie» possibilità di scelta: fare il funerale al sabato sera, quando si può conciliare con i tempi «legali», o alle prime ore del lunedì, rese libere, di proposito, da impegni scolastici. Nell'impossibilità di risolvere così il caso, che diviene, ridicolmente, addirittura «casus belli», ad evitare una lunga permanenza della salma in casa, è proposta anche la soluzione, accettata però solo da qualcuno, di accompagnare alla domenica, con regolare corteo, la bara al cimitero, dove, dopo una breve celebrazione della Parola e benedizione, si sarebbe depositata nell'apposita sala mortuaria, in attesa di celebrare la messa funebre, alle prime ore del lunedì, al cimitero stesso «presente cadavere» o in chiesa «assente cadavere».
        A fil -di logica, umana e cristiana, anche l'ultima soluzione proposta, senza differenza alcuna, in autentico spirito cristiano, spogliato da ogni visione «ma- gico superstiziosa», che sa di paganesimo, o anche soltanto «sentimentale», di presenza o non presenza di cadavere, il suffragio al defunto era assicurato ugualmente, con un coinvolgimento di tutta la comunità a «liberarsi» totalmente da ogni visione paganeggiante, alla scoperta dell'autentica «dimensione pasquale» della morte.
        L'idea non è accettata da tutti, perché alcuni, ma soprattutto quelli che non sanno nemmeno dove la parrocchia «sta di casa», avanzano la «pretesa di fare come negli altri paesi, dove i funerali si svolgono anche nei giorni più solenni, come Natale e Pasqua. Hai voglia di parlare di «spirito cristiano» o di «motivazioni pastorali», quando si toccano «certi interessi» di fedeli, che avanzano il «diritto» a determinati servizi, nella dimensione «privatistica della loro fede», o anche di... pastori di «agenzie funebri» che, nella logica del «ritualismo» o del «quieto vivere», non si peritano di far trovare una bara in chiesa anche nelle maggiori solennità: «tanto, basta che la messa sia celebrata col colore liturgico del giorno!»
        Immiserimento non solo liturgico-pastorale, ma anche culturale, cui il nostro «testardo» mastro non intende arrendersi, pur subendo vessazioni e minacce da parte di «rassetti» di paese, cui sa opporsi per le rime, o «calde» richieste di amici. Non mancano persino «patetiche suppliche» di giovani «non praticanti», che tentano di ricattarlo promettendo... «assidua frequenza» o «maggiore deferenza» cui, con tono mordace e quasi «sprezzante», mai abbocca, dichiarando «orgogliosamente» di non saperne che fare. Questo deciso rifiuto al «ricatto», li ha poi aiutati a capire meglio le motivazioni «educativo-pastorali» della scelta, con il risultato di reciproca e conseguente simpatia, più viva e profonda.
        L'annuncio della Buona Novella «cozza» continuamente contro il muro dell'indifferenza o della pretesa a gestire «privatamente» la propria fede. Lo atteggiamento « accomodaticcio » poi dei pastori contribuisce a scavare un solco ancora più profondo, tra proposta evangelica e vita reale: non è rifiuto, non è accoglienza, è generale, passivo disinteresse. Questo non può non suscitare «maggiore inquietudine», che dovrebbe sfociare, nelle situazioni più difficili e ristagnanti, in «scomode» decisioni personali. Si evangelizza con ciò che si è, e si opera a favore di tutti: non si può far «finta» di niente.
        È sempre Gesù che «chiama e invia» e manda i suoi discepoli «a due a due», in prospettiva comunitaria, con il compito preciso di prolungare il suo annuncio, a testimonianza del Regno di Dio, pagando di persona: essi non sono dei «turisti» o dei «funzionari in trasferta», né debbono preoccuparsi del «nome della ditta» o della «espansione e consolidamento» dei quadri organizzativi, ma della «liberazione reale e vera» degli uomini.
        Il mondo è caro a Dio, fino al punto. di mandargli il Figlio; a noi nulla dev'essere più caro di Gesù, che, a sua volta, ci chiama ed invia ad entrare «dentro» alla vita della gente: «Va e profetizza al mio popolo» (Am. 7,15).
        «Ascoltino o non ascoltino, perché sono una genia di ribelli, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro» (Ez. 2,5). Come si può notare. in questa e nelle pagine successive, alcune citazioni sono prese dalla liturgia delle domeniche XIV e ss. dell'Anno B, con riflessioni prese dalle omelie. appuntate nel lontano 1976.
        Oggi la Chiesa è inviata ad annunziare questa Parola fatta Carne: come Cristo è Parola di Dio, così la Chiesa deve essere Parola di Cristo.
        Purtroppo si ha l'impressione che tanti pastori parlino una lingua straniera all'uomo di oggi, come i cristiani hanno la sensazione che c'è un divario tra la loro vita di tutti i giorni e la Parola proclamata dalla Chiesa.
        Forse alla base di questo c'è un errore di prospettiva, per cui non si riesce a trovare una giusta lunghezza d'onda: nella vita della Chiesa, la teologia ha messo l'accento quasi esclusivamente sulla «proclamazione» della Parola. Essa è stata oggetto di predicazione e di catechesi: un dato da consegnare fedelmente, trasmesso come un prezioso deposito, cristallizzato nel tempo.
        La vita del singolo cristiano o della comunità, nella sua esperienza quotidiana, era vista solo come un terreno, in cui la Parola veniva messa in pratica. L'esperienza, la vita, l'esistenza concreta, la quotidianità non erano viste come «parlanti o segni», e neppure come rivelatrici di nuovi aspetti e significati della Parola. Dio parlava soltanto là dove la Parola era proclamata, là dove le Scritture (nemmeno integralmente) erano lette e commentate.
        Lo Spirito Santo, soprattutto dal Concilio Vat. II, sta operando una svolta decisiva in cui si scopre che il Dio della fede «parla» anche attraverso l'evento, attraverso la storia, la vita di ciascuno e la vita vissuta del Popolo di Dio, imbarcato nell'unica avventura dell'umanità.
        Una catechesi, intesa solo come un parlare di Dio ed un'ascoltare dell'uomo, viene gradualmente integrandosi con una catechesi più incarnata nelle situazioni, più attenta ai problemi dell'uomo, per cui l'uomo interroga, come Giobbe, e Dio risponde.
        È vero che la Parola illumina l'esistenza, per conferirle tutta la significazione che ha nella fede, ma è anche vero che l'esistenza diventa essa stessa Parola «risonante» nell'umanità, come una pioggia benefica che, scendendo dal cielo, porta vita sulla terra.
        Pertanto, se è vero che c'è una libertà da rispettare, è anche vero che alla libertà è connessa una responsabilità, che va dichiarata: «tu sei responsabile di accogliere o non accogliere il vangelo», di incentrare o meno la tua vita sul Vangelo, in Cristo.
        Non è facile, anzi, quanto è duro!
        Torna qui il paradosso di cui è pieno il Vangelo: la potenza di Dio si manifesta nella debolezza umana. Evangelizzare oggi è opera di cristiani e pastori poveri, di comunità povere, che, con mezzi poveri, si sforzano continuamente di scoprire quanto S. Paolo, anche lui con tanta difficoltà, sollecitato dalla «spina nella carne», è arrivato a capire: «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo. «Quando sono debole è allora che sono forte» (Il Cor. 12, 10).
        In questi tempi, si discute tanto del confine tra evangelizzazione e promozione umana. Per il Vangelo non esiste annuncio del Regno, cioè la «proposta della Buona Notizia» della salvezza di Dio, resa vicina e attuale in Gesù, senza far sentire e toccare con mano le primizie, «l'aperitivo» di questa salvezza, attraverso «gesti di liberazione», che intaccano le situazioni di schiavitù umana.
        Una comunità «inviata» in missione, si distingue da un gruppo di propaganda religiosa o culturale, perché è «coinvolta» nel dinamismo e nella forza liberante, che parte da Gesù e si immerge nel tessuto delle alienazioni umane, per smascherarle e farle saltare, in «povertà di mezzi», come ricorda Marco ai versetti 8 e 9 del capitolo VI: «E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche».
        Quindi solo con bastone, tunica e sandali: mezzi che servono per «camminare», in un «esodo senza fine», in cui si abbandona sempre tutto. Senza distacco, senza povertà, non c'è fede in Gesù Cristo, ma in se stessi e nei propri mezzi.
        Chi non è povero, conta sui mezzi del potere, che schiavizzano l'uomo, e non ha fede nella potenza «povera» della Parola di Dio che, poveramente ma efficacemente, libera. È sempre stato esiziale per la chiesa il discorso dei «mezzi al fine» o del «fine che giustifica i mezzi», come è antievangelico dire che la chiesa deve essere «per o con» i poveri: la chiesa deve essere povera e basta. Questo lo realizza solo se ha fede nella Parola di Gesù, testimoniandola in piena libertà, come proposta con i fatti, di conversione al Regno «da uomini liberi ad altri uomini liberi», sottolineando però anche la responsabilità del rifiuto «in testimonianza contro di loro» (Mc. 6,11), pur nella convinzione che questa logica porta là dove Lui, il Maestro, è arrivato: là dove il bastone da viaggio si trasforma in croce di totale spogliazione e offerta.
        Vivere la povertà significa farsi «piccolo» nel senso evangelico, diventare come bambino, non nell'arretrare in modi e mentalità infantili o in presunta innocenza puerile, ma nell'atteggiamento di chi, bisognoso di tutto, si affida ad un altro, si lascia condurre per imparare a camminare, di chi sa ricambiare il bene di un altro con tutto il cuore, senza riserve: il bambino è uno che scatta, senza preconcetti o tergiversazioni, ad un richiamo di amore e vi si immerge.
        Essere piccoli, bambini, poveri, significa immmergersi e stare dentro a tutte le situazioni in cui siamo, per trasformarle in possibilità di rapporti nuovi; un impegnarci a fondo, con le nostre opzioni fondamentali e scelte quotidiane, a non tirarci dietro a nessuna sollecitazione dello Spirito, così profondamente operante in noi, nelle nostre comunità e nella storia, a non cedere alla sfiducia o al qualunquismo, o ad un segnare il passo con inerzia e torpore, come spettatori indifferenti e passivi, anziché essere «manovali» operosi e coscienti della vita.
        È la capacità di approfondire e cogliere, con occhi nuovi, rifatti puliti e limpidi, eliminando ogni velo di «cataratta», la verità e la bellezza della vita e del mondo, illuminati dall'annuncio della «Buona Novella» che è Cristo, Parola di Dio all'umanità, il Messia-Pastore che, come puntualizza Mc. 14, 27-28, nella Passione si lascerà percuotere per le pecorelle e, dopo la Risurrezione, si metterà alla loro testa, per guidarle ai pascoli della Vita Eterna, chiedendo la «collaborazione» di discepoli e apostoli.
        Anche questi, sull'esempio di Gesù che «... si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise ad insegnar loro molte cose» (Mc. 6, 34), con una partecipazione sincera ai problemi e attese della gente e con guida «autorevole», debbono tenacemente stabilire il rapporto con la folla, sulla base dello «insegnamento». Gesù accoglie la gente e insegna, interpretandone attese e bisogni, in funzione del Regno, cioè dell'intervento «efficace e liberatore» di Dio a favore degli uomini.
        Gesù istruisce e nutre la folla, ma questa rimane stranamente passiva, inerte; è dunque chiaro che, secondo Marco, il segno è destinato ai discepoli, appena tornati entusiasti dalla loro missione, benché anch'essi non riescano ancora a capire (Mc. 6,52): quando avranno accolto il «segreto» di Gesù, attraverso lo scandalo della croce, apparirà loro chiaro, oltre al «senso» del loro ministero, anche la «maniera» di compierlo.
        È chiaro che questa iniziazione, proposta da Gesù ai Dodici, è rivolta oggi a tutti i discepoli, a ciascuno di noi individualmente ed a tutta la comunità «era infatti molta la folla che andava e veniva, e non avevano più neanche il tempo di mangiare» (Mc. 6, 31), chiamati in disparte in un luogo solitario, nel deserto della vita, in un continuo esodo dall'indifferenza, non per un «riposo contemplativo» presso il Maestro: Lui solo può dare un senso alla nostra vita, un contenuto alle nostre parole, una dimensione nuova ai nostri gesti più quotidiani, in un ininterrotto «esodo», senza respingere le folle, che continuano a «importunare».
        Gesù non intende separarci dagli «altri», per trovare in Lui un confortevole rifugio da «esteti», in cerca Ai sensazioni particolari compensative di un manchevole o deficitario inserimento in «comunità vere», per ripiegare nei surrogati di gruppi «puritani» di autoesaltazione: quanti cristiani e sacerdoti affermano di aver scoperto il «loro» cristianesimo o sacerdozio in «itinerante», che non danno sempre l'idea di «Chiesa peregrinante», in continuo esodo, ma di «esaltante ascetismo» di riserva, che non ha nulla di «partecipazione» all'amore di Dio per il suo popolo. La missione non è altro che il dilagare della carità di Cristo nei confronti delle folle, abbandonate a se stesse «come pecore senza pastore».
        Le nostre «Chiese locali», nella loro esperienza di intimità con Cristo, debbono sentirsi coinvolte nel «condividere» la sua sollecitudine per le folle, decise a «testimoniare» fino in fondo la radicale novità del Vangelo, premunendosi continuamente contro la tentazione di chiudersi in ghetto, e restando aperte, con povertà di mezzi, a tutti i poveri del mondo. In una nuova dimensione di fraternità: ogni seguace di Cristo deve essere artefice di questa fraternità.
        Quanto detto può far pensare ad una «comunità ideale» in Caterina, sotto la guida di un «pastore ideale»: nulla di più falso, perché si tratta soltanto di una situazione «reale» con pregi e difetti dei comuni mortali, in cui il pastore ha preso gradualmente coscienza di continuare ad «autocostruirsi», questa volta, con la comunità e nella comunità, quella in cui è stato «inviato hic et nunc», dopo esserne stato «strappato» da eventi, che lo avevano «misteriosamente» sedotto, come il profeta Geremia, per essere «consacrato a sradicare e demolire, distruggere e abbattere, edificare e piantare» (Ger. 1,10), con la missione di annunciare contemporaneamente giudizio e redenzione.
        Comunità e pastore si sono «stimolati» reciprocamente in un cammino di crescita, in un continuo esodo di «liberazione», che promovesse evangelizzando ed evangelizzasse promovendo. Non mitizzante e narcisistica autoesaltazione, ma nemmeno masochistico autolesionismo!

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