GERARDO DE PAOLA - ZINO e MOLOK - Prime lezioni di... VITA

Prime lezioni di... VITA.
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        Dopo la vendita della vigna e della casa, non solo la mamma, ma anche il padre, nella sua burbera sensibilità, seppero leggere il dramma nel cuore dei figli, con ammirevole semplicità, arricchita sorprendentemente in quella circostanza, da un «supplemento» di tenerezza, al cui solo ricordo, ancora oggi, Zino prova una viva commozione.
        Essi fanno a gara nel procurare loro delle forme compensative alla ferita inferta dal distacco da cose tanto care, non con moine, cui oggi tanto facilmente si ricorre, per compensare affetto che non si dà, ma con impegni concreti e costanti: infoltire di frutti il resto dei terreni, dissodarne le parti incolte, per piantarvi una vigna, scavare un pozzo, alla ricerca di falde sotterranee di acqua da bere e per irrigazione di un orto familiare.
        Il rinnovato fervore di queste opere, a contatto diretto con la natura, sollecita Zino a nuove esperienze, che lo aprono maggiormente alla bellezza della vita, profondamente attraversata, sia pure nel dolore, dallo stupore entusiasmante per le meraviglie dell'universo, di fronte al rinnovarsi delle stagioni, che ne scandiscono il ciclo in ogni ordine: l'attesa del letargo invernale, la sorpresa del risveglio primaverile, la varietà dei raccolti estivi e la trepida speranza della semina autunnale.
        L'impegno nel mettere il terreno a coltura di frutteto, di vigneto e di ortaglie, in questo fecondo periodo gli apre nuovi orizzonti di maturazione e di crescita, per cui acquisisce entusiasmanti e costruttive esperienze di innestatura, di ampelografia e di orto-frutticoltura, sotto la vigile guida del padre che, dopo l'esperienza laterizia fallimentare, reinventa quella agricola, coinvolgendo, direi, con profondo senso pedagogico, anche il figlio.
        Questi, in corsi accelerati, si laurea ben presto in innestatura per approssimazione, a mazza ed a gemma.
        Per approssimazione: unione delle mazze con un soggetto della stessa forza, eseguito troncandoli entrambi con un taglio netto, obliquo, facendo combaciare le due superfici di sezione e fasciando bene il punto di unione, per impedire penetrazione di acqua o altro.
        A mazza del tipo a corona, a doppio spacco inglese, a intarsio o a spacco comune, ottenuto inserendo le mazze nel fusto troncato di un soggetto più sviluppato, avendo cura che le cortecce combacino.
        A gemma del tipo a tassello, ad anello, a occhio, ottenuto incastrando sotto la corteccia del soggetto, invece della mazza, una sola gemma unita ad un pezzo di corteccia fatto a scudo o ad anello.
        Il padre s'impegna anche a rendere quanto più accogliente possibile la nuova abitazione, cui si accedeva da una scalinata esterna.
        Questa, pur facendo parte della stessa proprietà di famiglia, unico plesso edilizio insieme al forno, era sentita estranea, fredda, anche se una delle stanze era già adibita come camera da letto dei fratelli maggiori, mentre l'altro vano, dato in precedenza in fitto, per quella occasione fu riscattato, licenziando l'affittuario. La famiglia frattanto si era ridimensionata: il fratello maggiore, di carriera in aviazione, sposandosi in città, aveva portato via anche la Zina, per avviarla agli studi superiori; l'altro fratello era ugualmente fuori casa, per motivo di lavoro, per cui fu facile adattare i pochi ambienti disponibili alle limitate esigenze di famiglia.
        Fu ristrutturata anzitutto la cucina, sostituendo al camino la «fornacella», in gesso però, perché le maioliche costavano, e più piccola dell'altra di cui sopra. Anche la sistemazione dell'attrezzatura suddescritta risultò alquanto compressa, perché in un angolo vi si dovette includere anche il letto matrimoniale, sotto il quale trovarono posto tante piccole cose. In un angolino furono sistemate le staffe per i barili dell'acqua, ed in soffitta furono depositate tante cianfrusaglie e provviste varie. A questo soppalco sotto il tetto, si accedeva con una scala mobile, attraverso una porticina, sistemata di fronte alla finestra, che assicurava luce e ventilazione sia alla cucina che all'intavolato.
        Quando c'era da prendere qualcosa, era Zino che, aiutato dalla mamma, prendeva la scala, la poggiava alla parte antistante dell'intavolato e svelto, più che salire guizzava sù, inchinandosi carponi in esso. Tra mamma e figlio iniziava un dialogo su cosa prendere: quelle domande e risposte da sopra e da sotto, come ai capi di un telefono senza fili, nell'ora del meriggio, e con gli odori dei cibi sparsi per la casa, formavano il dolce incanto di un interno domestico.
        Ai primi freddi si esperimentò il vantaggio di questa nuova cucina che, al calore del camino, univa il calore del forno, per cui ben presto divenne un centro di raccolta dei vicini, per trascorrere insieme serate meravigliose a base di racconti, barzellette, giochi, indovinelli, cronaca paesana, ecc.
        Un ampio pianerottolo divideva la cucina dalla camera da letto dei figli, abitualmente solo per i due rimasti in casa, i cui lettini avevano come separè il comò suddescritto.
        Il vantaggio di questa camera da letto, rispetto alla precedente, era di essere inondata di luce, attraverso una finestrella, dai primi raggi del sole, invitanti dolcemente ad iniziare in allegria la nuova giornata.
        Nelle serate estive, pianerottolo e scalinata esterna di accesso, assumendo il ruolo di teatro del rione, divenivano il punto d'incontro per ragazzi e adulti, separatamente o insieme, per gare canore, ludiche, danzanti, trastullevoli, sarcastiche, ecc.: tutto questo facilitò molto l'adattamento di Zino alle nuove condizioni di ristrettezza.
        Ma il peggio doveva venire, perché a queste si aggiunse una mortificante esperienza di vergogna, di fronte a tutti.
        L'attività laterizia era stata interrotta con regolare denuncia, ma per smerciare le rimanenze, dovette passare molto tempo, a causa della generale crisi economica in corso, per cui le imposte di ricchezza mobile continuarono a piovere inesorabilmente, sulla famiglia che, ormai dissanguata, non riusciva più a pagarle.
        Ci furono così dei pignoramenti esattoriali che, come uno stillicidio, sconvolsero profondamente la tranquillità familiare, a causa di una legge iniqua, che trascinò piccoli e grandi in un avvilente incubo.
        Per motivo di brevità, ricordiamo soltanto un episodio, che scosse moralmente e fisicamente Zino, fino a causargli per un certo tempo delle perdite spontanee notturne di urina.
        Si era egli legato affettivamente ad una puledra, che aveva visto nascere, con la quale aveva condiviso tutto, in sintonia completa, sino ad entrare, come si esprime felicemente il Claudel, in totale «consonanza».
        Ebbene, in seguito ad un pignoramento, asina e puledra, vendute all'asta, dovettero cambiare padrone. All'onta subita da tutta la famiglia, si aggiunse per Zino il drammatico distacco dalla puledra, lasciando nel suo cuore una ferita indelebile, che si riapriva sanguinolenta, ogni volta che, incontrandola per strada, al seguito del nuovo padrone, questa gli correva festosamente incontro e lui, pur sentendosi stringere violentemente il cuore, era costretto a fare la faccia dura per allontanarla.
        Eppure, anche nella drammaticità di questa esperienza, subita oltretutto ingiustamente, la famiglia seppe ritrovare serenità, in una corroborante forza di aggregazione, reinsaldata in una fede più viva, sentita e profonda: era il trionfo della vita a primavera, dopo un lungo inverno, in cui la morte aveva infierito!
        Misteriose vie della provvidenza, attraverso le quali il buon Dio inscrive nella storia di ciascuno di noi, il suo meraviglioso disegno di amore, da reinterpretare continuamente alla luce della fede e far proprio, sotto la guida dello Spirito.
        Fede e vita, due strade che non corrono parallelamente, ma continuamente si incrociano, in modo che la fede animi dall'interno la vita, e questa verifichi quella nella sua autenticità: nei genitori di Zino esse trovano un'ammirevole armonia, che gli facilita il germoglio della vocazione al sacerdozio.
        Una vita vissuta in tutti i suoi risvolti, con semplicità e fermezza, alla luce di una fede essenziale, basata su valori cristiani da parte del padre, con incrollabile fiducia nella Provvidenza, spirito di sacrificio, rettitudine, onestà, apertura al sociale; una fede convinta, assiduamente praticata con religione di chiesa, da parte della mamma, con impegno tenace a calarla nella ferialità della vita, quasi una messa prolungata nel tempo col proprio sacrificio.
        In ambedue c'era alla base della loro unione una religiosità naturale e soggettiva, prodotto della comune condizione umana, del disagio esistenziale, del bisogno primordiale di amare e di essere amati, della presenza della morte, del senso del proprio limite esistenziale.
        Questo loro naturale «bisogno di religione», e soprattutto di esperienza religiosa, con commovente semplicità, filtrava attraverso la religiosità popolare ed istituzionale del tempo, adeguandosi ad un loro modo, specifico e nuovo, di affrontare la vita, di essere nel mondo.
        Zino pertanto viene a trovarsi al centro di una duplice azione educativa, complementare l'una all'altra: in simbiosi col padre, nell'affrontare la vita con profondo senso di responsabilità, si sente sollecitato alla gioia della conquista; in consonanza con la mamma, alla scoperta della fede, si sente spinto a vette superiori.
        Comunque, non si pensi a qualcosa di idilliaco o di prefabbricato, nel suo orientamento verso l'ideale sacerdotale, quasi che egli sia nato sacerdote, e non sia stato un bambino come tutti gli altri, con pregi e difetti propri di questa età; una sua indole introversa e remissiva, timida e caparbia, alquanto egocentrica, con tutta una serie di condizionamenti di ordine ereditario e psicologico, familiare e socio-economico, culturale e religioso.
        Tutti questi elementi genetico-comportamentali, passati attraverso il filtro delle esperienze esistenziali, lo hanno stimolato incessantemente, sotto la guida, primariamente dei genitori e, molto superficialmente, della scuola e della chiesa, a formare pian piano il suo carattere, e costruire, passo dopo passo, il suo avvenire, alle volte, annaspando nelle tenebre della notte, altre volte, proteso nel volo, con in bocca un sapore di terra, mescolato a quello di cielo, a trasvolare verso il mistero.
        Il cammino verso il futuro, senza pretesa di sapere in partenza ciò che la strada riserva ad ogni svolta, ma nemmeno con la testa nelle nuvole, va fatto sempre con i piedi a terra e il cuore aperto a Colui che, mano nella mano, cammina con noi nel tempo, in viaggio verso l'eternità.
        Lo spirituale non è estraneo al temporale, e questo non è «accanto» ma «all'interno» di esso, distinto, ma legato ad esso indissolubilmente dalla volontà di Dio che, inscritta anche nelle banalità della vita, guida uomini e popoli, ognuno con un proprio ruolo, nella grande famiglia umana, verso l'Infinito.
        Sotto la spinta delle esperienze cui Zino, come sotto un torchio, è stato costretto dalle vicissitudini della vita, non poteva rimanere un introverso e remissivo, un timido ripiegato su se stesso e un debole, un docile curvato all'altrui volontà o alla fatalità delle cose, per cui pian piano, a suon di piccozza, acquisisce grinta di carattere, comportamento risoluto e tenace, gelosia della propria ed altrui libertà, coraggio di andare contro corrente, senza ribellarsi, al contrario di un «eroe», e senza dubitare, ormai, della necessità di ostacoli, spine fra le rose.
        Egli, nel suo cammino di maturazione, prosegue diritto, con totale dedizione, imparando a sottrarre tempo anche al gioco, e costruendosi, caparbiamente, nella ferialità della vita.
        Col padre era addivenuto ad un accordo di rimanere libero, per i suoi impegni religiosi e associativi, ma, in compenso, gli assicurava la possibilità di trascorrere, senza preoccupazioni di sorta, il pomeriggio della domenica, per la sua partita a carte con gli amici, assumendo egli l'incarico di badare agli animali in campagna, di innaffiare l'orto, di vigilare su tutto.
        Non mancavano, comunque, motivi di frizione, sia col padre che con la mamma, la quale era molto esigente per il Rosario in famiglia e per la partecipazione alla Benedizione serotina, alle novene, alla Via Crucis, nei periodi forti dell'Anno liturgico. Tante volte era un grande sacrificio lasciare il gioco, anche per questi «doveri religiosi».
        Momenti di attrito perciò non mancavano, sia perché le dure esperienze della vita avevano, troppo precocemente, caricato Zino di responsabilità, sia perché i coetanei, godendo di maggiore libertà, spingevano a qualche scappatella, che non sempre passava liscia.
        Altre volte era Zino a trascinare gli amici nella sua orbita, per fare delle scorribande in aperta campagna. Erano dei pomeriggi molto belli in cui, col gusto della piena autonomia, ci si divertiva un mondo, prima di passare totalmente al gioco, a distribuirsi i vari ruoli di servizio: raccogliere frutti, zappettare e innaffiare l'orto, provvedere al foraggio degli animali, preparare gli spuntini per tutti, con una buona dose di fantasia e di sorpresa, e, quando la squadra era al completo, cosa non tanto facile, anche della componente femminile, cuocere qualcosa di sfizioso «fa're lu cucimuriggh'o».
        La presenza delle ragazze esaltava i «maschietti» nelle gare di banditismo, di guerre, di tiro all'arco, ma soprattutto nei giochi a pegno, che si concludevano con profferte amorose, con dichiarazioni pubbliche di innamoramento o di galanteria, con effusioni affettive, che non sempre trovavano rispondenza in tutte.
        Divertentissime le drammatizzazioni, in chiave ridicola, di particolari esperienze dei «grandi» o di versione caricaturale e burlesca di qualche ora di scuola.
        Spesso si privilegiava, per far piacere alle ragazze, la parodia del matrimonio, con regolare corteo nuziale, seguito dalla banda musicale, munita di strumenti, i più impensati, con la celebrazione del rito davanti ad un altare improvvisato, solennemente presenziato, per espressa volontà di base, da Zino, che già rivelava una discreta attitudine ad ottenere «religioso silenzio». Egli accettava volentieri questo ruolo affibiatogli dai coetanei, ma qualche volta, per il gusto del diverso o per ... inconscia compensazione di qualcosa cui avrebbe rinunciato successivamente, si metteva in lista di attesa, per fare lo sposo, anche se il rito religioso, per ammissione di tutti, veniva a perdere di ... ieraticità, per le limitate capacità del celebrante di turno.
        A conclusione seguiva il «rinfresco» o il «banchetto», innaffiato da qualche goccio di vino bianco e rallegrato da musica e danza.
        Bei tempi in cui si cresceva giocando, in barba ai divieti dei grandi, e ci si preparava alla vita «auto-costruendosi!»
        In queste avventure capitava raramente di cucinare qualcosa, sia per le limitate disponibilità materiali, sia perché agli adulti non piaceva che dei ragazzi si ritrovassero insieme in questo modo, in cui non potevano mancare delle marachelle, per loro inammissibili. Ma soprattutto, per l'umiliante discriminazione esercitata nei confronti delle ragazze, cui era severamente e ipocritamente vietato di allontanarsi da casa, per escursioni del genere.
        Ma a noi non mancava il modo, almeno ogni tanto, di eludere a questa farisaica sorveglianza dei genitori, o mettendo in opera tutte le nostre strategie di guerra, o ripagandoli con la stessa moneta del ... ricatto!
        Il divieto non educa l'uomo, ma lo alletta a fare il contrario: gli adulti, sedicenti educatori, lo sanno tutti, ma preferiscono essere turlupinati.
        In una di queste esperienze culinarie, le ragazze si erano cimentate a preparare, facendo passare, per direttissima, dall'orto in padella (bei tempi!), peperoni al pomodoro che, nei vari assaggi degli esperti, non pigliavano mai «sapore» e, attribuendo questo alla scarsezza di olio, se ne aggiunse altro sino a far scendere, preoccupantemente, il livello della rimanenza in bottiglia. Ma il gusto non tornava!
        All'arrivo di Zino che, fulmineamente, colpito dalla «bassa marea», vericatasi nella bottiglia dell'olio, di cui avrebbe potuto pagare le conseguenze coi genitori (l'olio era un bene di consumo di lusso), al primo assaggino, con un lampo di sospetto, chiese: «ma ru sól'e r'avit'e puost'o? = ma il sale lo avete messo?» e la cuoca chiamata in causa, stupefatta, rispose: «mo, rind'o a li piparuol'o ci volgi pure ru sôle! = adesso dentro i peperoni ci vuole pure il sale!».
        Tra lo scoppio delle risate, com'è facile immaginare, si provvide a riparare l'ignoranza crassa della responsabile di turno (si era capitato proprio in cattive mani!), e si passò alla consumazione. Zino può assicurare di ... avvertire ancora oggi il gusto di quei peperoni dal «doppio sapore»: il sapore dell'abbondanza dell'olio, in cui la carovana potette inzuppare tutto il pane disponibile (le mamme in casa, non dico che usavano il contagocce, ma erano specializzate ad evitare repentini passaggi dall'alta alla bassa marea nella bottiglia dell'olio!), e il sapore del condimento delle... risate, che continuarono tra un boccone e l'altro ... nel tempo.
        A conclusione della ragazzata si pensò a mettere tutto in ordine, e Zino, per non lasciare sotto gli occhi di lince della mamma il corpo del reato, provvide a riportare il livello dell'olio della bottiglia in alta marea, attingendo da un grande recipiente di terracotta «lu cecino» smaltato, da cui, fortunatamente, era già stato tolto parte di olio. Anche questa circostanza fortuita, insieme ad altre ben programmate e teleguidate, contribuì a far passare inosservata la bricconata, che aveva però offerto degli spunti icastici, per un una gustosissima commedia burlesca, da offrire agli adulti dalla facile sicumèra.
        I bricconcelli, guidati da Zino, che, quella volta, l'aveva fatta brillantemente franca, pensarono bene di scimmiottarli, portando sulla scena quegli esaltanti momenti di vita vissuta in pienezza,... in beffa ai grandi, cristallizzati in atteggiamenti adolescenziali, se non del tutto infantili.
        Lo spettacolo, curato in tutti i particolari, fu dato nella piazzetta del rione, naturalmente disposta ad anfiteatro, per cui si prestava molto bene alla drammatizzazione. Attraverso la rappresentazione scenica, tutti noi, in veste di attori improvvisati, rivivemmo e facemmo vivere, da provetti educatori, alcuni momenti entusiasmanti della nostra vita a coloro che, pur ridendo a crepapelle, malcelavano il ruolo di «educandi», a cui erano costretti dai loro ... mocciosi!
        A questo punto l'autore si permette di aggiungere un fatto di cronaca: nella prima stesura a penna del racconto, ancora una volta, ridendo saporitamente con se stesso, avendo la mente immersa nel passato, fino al punto di non accorgersi che anche il presente passava, stava rivivendo tutti questi gustosi particolari, dalle ore nove del 29/10/1990, quando sentì l'orologio da torre, che segnava mezzogiorno.
        Fu come uno svegliarsi di soprassalto da un dolce sogno, non credendo a se stesso; doveva essere già a scuola da venti minuti, per le ultime due ore di lezione. La fuoriserie, una ventitreenne cinquecentina, fa un volo straordinario, che catapulta in classe il «sognante professore».
        Gli allievi, con grande senso di responsabilità, abituati com'erano allo scambio di ruolo educatore-educando, sono tranquillamente impegnati, chi nel completare disegni dell'ora precedente, chi nel ripasso della lezione di religione, chi nel prepararsi all'interrogazione dell'ora successiva e, perché no, chi nel confidarsi sommessamente qualche recente esperienza; una ragazza, con tutto il suo armentario da disegno, ha invaso la cattedra, non certo per «visibilizzare» la presenza dell'assente, ma per un assaggio di ... poltrona!
        Il ritardatario, ancora frastornato, non riuscendo a mascherare il suo... strabuzzamento, raccomanda loro di continuare quella bella... auto-lezione, e corre dal preside per informarlo dell'avventura; non avendolo trovato in presidenza, per chiarirsi meglio le idee, passa a sorbirsi una tazzina di caffè dal thermos self-service, e torna in classe per un ... «concentrato» di lezione di vita, che resterà indelebile sia nella testa dei fruitori, che in questo testo, proposto ai lettori.
        Al termine poi delle lezioni, il novello astronauta mette al corrente della peripezia il Capo d'Istituto che, con grande finezza pedagogica, sorride bonariamente, dicendo soltanto: «capita!... ». Una lezione nella lezione!
        Come sarebbe esaltante e gratificante, per professori ed alunni, con un avvicendarsi di ruoli, una scuola vissuta in questa dimensione!

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