Vallata - Lorenzo Rocco Di Meo - Poesie Pensieri e Massime - Commenti critico - letterari dei Proff. Bruno Salvatore e Franco Pagliarulo

POESIE

PENSIERI E MASSIME

DI LORENZO ROCCO DI MEO

Commento Critico - letterario Prof.: Bruno Salvatore.

     Si é tenuta lo scorso 10 aprile, presso l’auditorium del Liceo Scientifico “E. Fermi” di Vallata, la presentazione del volume di Lorenzo Rocco Di Meo, “Poesie, Pensieri e Massime, Canti Popolari Vallatesi tradotti in lingua italiana”. Davanti ad un folto pubblico di presenti, con la coordinazione di Gerardo Pali, sono intervenuti il sindaco di Vallata, Carmine Casarella, che ha aperto i lavori, il Prof. Giuseppe Perciabosco ed il Prof Franco Pagliarulo che ha tenuto la relazione introduttiva. Solito a deliziare le platee, evidentemente anche per ciò che riguarda i gusti letterari, il prof. Pagliarulo ha sapientemente offerto ai presenti una prima apprezzata lettura critica dei testi pubblicati, riuscendo a coglierne gli aspetti più significativi, il senso più immediato. Sempre nel corso della manifestazione, alcuni giovani professionisti vallatesi hanno declamato alcune delle poesie più belle. Pubblicato con il patrocinio del Comune di Vallata, nonché con i contributi dell’Ente Provincia e della Banca della Campania, il lavoro di Lorenzo Rocco Di Meo, elegante, snello e di gradevole lettura, è composto di tre sezioni: nella prima sono raccolte le poesie dell’autore; nella seconda i pensieri e le massime; nella terza i canti popolari vallatesi corredati di traduzione in lingua italiana. Il volume comprende anche un’appendice finale di foto dedicate a tutti i paesi della Baronia, una sorta di omaggio alla terra di origine. Lorenzo Rocco Di Meo, infatti, è nato a Vallata, ove tuttora vive. La pubblicazione, che giunge nel periodo della maturità dell’uomo (non del pubblicista, trattandosi dell’opera prima), ne porta tutti i segni, poiché rappresenta il distillato in versi dell’esperienza di una vita, dove tuttavia non è la storia, nel senso della continuità del racconto, a farsi carico di trasmettere il messaggio, ma il lampo di un ricordo circoscritto, l’impressione, la sensazione improvvisa, il sentimento del momento. Se tuttavia è necessario cercare una chiave di lettura della raccolta, essa probabilmente può individuarsi nella collocazione, forse non proprio occasionale, delle due liriche iniziali, “Amore” e “Primavera”, e di quella finale, “Autunno”. Le prime due, infatti, rappresentano rispettivamente la causa della rinascita interiore e l’effetto, l’ebbrezza, la felicità della vita nuova, ponendosi in una relazione di matrice a figlia; l’ultima la metafora della fine, il momento della malinconia e della tristezza. Insieme tuttavia danno luogo ad una sorta di ciclo, ad un alternarsi di stagioni nel corso della vita, perché la primavera qui non è quella climatica, ma la sensazione del rinnovamento interiore, così come l’autunno non è il freddo e la nebbia atmosferica, ma quello che si avverte dentro per la fine, sia pure non definitiva, ma speranzosa della rinascita. Il tema dell’amore è dunque il filo conduttore, il motore esistenziale che produce la rinascita, la primavera della vita. In “Autunno”, dinanzi ad un presente di freddo, ad una prospettiva di brume fitte, prende corpo la certezza che “i prati, i fior, l’amor sempre spunteranno ancor”. E’ l’amore dunque che dà i tempi alla vita e forse anche il senso. E’ da evidenziare tuttavia che esso non assume mai una natura contemplativa, ideale o astratta: è carnale, è l’eros puro e semplice (“Amore fèrmasi, a guisa di farfalla, e li si posa, ove olezzante è il fiore”), oppure, come una meteora luminosa e intensa quanto fuggente, quello filiale di “Mamma”, semplice e dolce, dove il poeta raggiunge vette espressive elevate. Al di là, dunque, di un momento di malinconia acuta di “Cuore solitario”, che potrebbe far pensare ad un atteggiamento di pessimismo dell’autore dinanzi all’esistenza, il senso complessivo è quello della speranza: l’accettazione della vita con i suoi ritmi, le sue esplicitazioni fisiche, naturali (e i momenti di malinconia o di pessimismo di maniera), senza rincorrere le chimere del pensiero astratto e, apparentemente, senza i crucci della fede religiosa. Ne viene fuori insomma un modello di vita gaudente, dove anche i ricordi, tantissimi, che popolano molte poesie, emergono in una luce chiara; il vissuto appare sereno, senza tormenti. Alle spalle non si muovono ombre, ma figure nitide, per lo più dorme, sensazioni legate al loro ricordo o ad un ricco immaginario personale: nell’ordine, “A Maria”, “Ad Anna”, “A’ nnammurata mia”, “A Lina”, “A Lucia”, “Eterno Amore”, “A Cerreta”, “Pupetta”, “Sogno”, “A uagnarda”, “Passione”. Anche lo stile sembra assecondare questo ideale di vita. Un tratto satirico istintivo permea molte poesie, fino ad assumere una assolutezza espressiva in “Padre e figlio”, “Eretico moribondo”, forse anche in “Pupetta”, e, soprattutto in “Ad Alfredo” che è un prezioso quanto divertente concentrato di satira. La particolarità delle composizioni di Di Meo è che il tipo di concezione della vita non appare sganciato, come si potrebbe facilmente pensare, da un chiaro riferimento etico, in apparenza laico, del quale si fanno carico di offrire il senso i “pensieri” e le “massime”, ma anche e soprattutto le liriche “Di se stesso” e “La politica”, che sottolineano il valore dell’esempio edificante da lasciare ai posteri. Il lavoro è completato da una raccolta, con relativa traduzione in lingua italiana, di una serie di testi dialettali appartenenti alla comunità vallatese: un importante contributo alla conservazione ( e alla riscoperta) delle tradizioni culturali e linguistiche di una comunità, minacciate, come dappertutto, dalla globalizzazione e dall’omologazione linguistica dei media.

Vallata, lì 12 aprile 2004

Prof. Bruno Salvatore

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POESIE

PENSIERI E MASSIME

di LORENZO ROCCO Dl MEO

Relatore: Prof. Franco Pagliarulo

Io, che ho avuto l’onore di fare il testimone alle sue nozze, ho sempre   apprezzato in Lorenzo Rocco Di Meo le sue grandi capacità professionali, la sua squisita sensibilità e la sua onestà.
Solo recentemente ho scoperto le sue qualità artistiche, che ha manifestato in maniera tangibile non solo nelle poesie, ma anche nelle massime e nei pensieri, che sono lo specchio della sua vita.
La poesia, si sa, ha spesso, se non quasi sempre, una connotazione autobiografica: il poeta mette in versi il suo mondo, fatto di sentimenti, di osservazioni rivolte a se stesso e al mondo che lo circonda, di languori, di tristezze e di tutti i grandi valori in cui egli crede. Risulta innato in lui l’amore della natura che lo circonda, del suo paese e di tutta la ridente Irpinia, visti con occhi incantati. Basta leggere alcune sue poesie, come la “Primavera” o “Stella Alpina” o “L’autunno” o, ancora di più, “A nnamurata mia”, in cui la luna, le stelle, il mare sono testimoni dello strazio d’amore del poeta e sono invocati in suo soccorso, affinché possano testimoniare alla sua donna che lui è in ansiosa attesa:

<lo stongo sempe ccà,
cu l ‘anzia e l’abbraccià,
si nun riturnerrà,
stu core s’appassirrà

Luna splendente,
dicintincelle vuie
ca chilli vase suie,
nun posso cchiù scurdà
maie cchiù, maie cchù scurdà.>

Ma, come spesso avviene, la lirica si conclude con amara disillusione:

<Luna, stelle, mare,
a’ nnamurata mia…
nun torna cchiù.>

E la disillusione, il pessimismo spesso fanno capolino nelle sue poesie. Talvolta l’amore è un frutto desiderato e mai raccolto, come nella poesia “A Lina”, che ha vanamente illuso il suo cuore, per poi, abbandonarlo:

<Fiamma crudel ... Due cor tu hai partito,
cercando vo l’amor che ho smarrito,
ancor piangendo per quel triste evento.

Voi peregrine, care rondinelle,
del mio amore sulle labbra belle
date baci, veloci come il vento.>

Qui, tra l’altro, viene fuori lo studioso avvezzo alle buone letture, perché si avverte l’eco del petrarchesco “Solo e pensoso i più deserti campi - vo misurando a passi tardi e lenti”.
Non si tratta, certo, del pessimismo cosmico leopardiano, perché in lui prevale la consapevolezza di poter godere a piene mani della bellezza femminile, vista, a volte, con rapimento stilnovistico e altre volte con la carnalità dissacratrice di un Pietro l’Aretino (come nella poesia “Passione” o “Sogno” o “A Cerreta”). E così le sue visioni si popolano di “struggenti labbra”, di “morbide labbra” di “turgide mammelle”, di “ondeggianti mammelle”, di “purpuree labbra” e di “nerissimo boschetto”, dove il poeta trova la sua pace e vi si “adagia”.
Ma al di là dell’amore, dei sentimenti, dell’amicizia e di tutti gli altri valori universali, che costituiscono la ricchezza interiore dell’uomo, viene fuori anche il sentimento più puro, il più universale, l’amore per la mamma. Con la poesia intitolata “Mamma”, Lorenzo Rocco Di Meo ha ricevuto, nel 1985, il premio alla quinta edizione del “Premio di poesia Città di Napoli”. La mamma è vista come la guida più sicura, come una stella lucente, in grado di orientare i nostri passi nel nostro viaggio terreno, capace di correrci in aiuto nei momenti di tristezza. E’ il Paradiso della casa, che alimenta la fiamma d’amore dei figli, che mai si spegne.
E tutto il bene, tutto l’amore che un figlio può manifestarle è racchiuso in un sussurro, nel nome “Mamma”:

<Sento il tuo stesso ben, preziosa gemma!
Oggi, domani sul tuo bianco viso
Possa, sol dirti; il dolce nome “Mamma”.>

Il libro contiene pure una parte dedicata a “Pensieri e Massime”. Non si tratta di divagazioni fini a se stesse, giacché egli, parlando di se, lancia un messaggio pregno di valori alle leve giovanili e alle generazioni future.
Basta leggere il pensiero numero 5, che testualmente dice:

«Un “buon amministratore” deve:
1 - non rendere illegale ciò che è legale, né per proprio volere, né per altrui voler forzato;
2 - lavorare;
3 - non rubare;
4 - non sperperare il pubblico denaro.»

Altrove appaiono la sua saggezza, la sua generosità e il suo altruismo, come nei pensieri n. 1, 2 e 3, che recitano:

«1 - Nel torto o nella ragione occorrono calma e moderazione; la persona agitata è, invece, come un mare in tempesta.»

«2 - Per essere qualcuno, occorre offrire agli altri il meglio di se stesso.»

«3 - Se qualcuno ci sorride, anche senza particolare motivo, il nostro cuore si riempie di gioia»

Anche nelle massime e nei pensieri spesso è presente l’uomo gonfio di amore e cantore della bellezza femminile e della sensualità.

«21 - Esser uccello vorrei dalle grandi ali, raggiungerti e poi, teneramente accoppiati, volare, volare, volare teco nell’azzurro infinito.»

«24 - Potente è forza di un vulcan lo scoppio, così l’amplesso d’amor mio teco insieme.»

Il libro, corredato, nell’ultima parte, di pregevoli fotografie, che riprendono alcuni scorci dei paesi della Baronia, contiene anche il recupero dei «Canti popolari vallatesi, tradotti “alla lettera” in italiano per i nostri posteri». E’ il recupero di una memoria, che non può e non deve sparire. Sono la testimonianza dello spirito poetico delle nostre genti. Non esiste un autore, sono l’opera di un intero popolo, che si manifestava con il canto e con la poesia.
Per concludere, ritorno ad una delle sue poesie più significative, laddove si intreccia la consapevolezza della caducità umana, che tutto livella, alla maniera della “Livella” di Totò, con la orgogliosa sicurezza della sua unicità, impreziosita dalla profonda onestà inattaccabile:

«Si muore!
La morte annulla:
“il buono e il cattivo,
la povertà e la ricchezza”.
Non mi corromperei,
nemmeno per miliardi!
Quando non ci sarò più
Il mondo Avrà persona
Fors’altra
Come me?»

Vallata, 10.04.04.

Prof. Franco Pagliarulo

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