La neve è tornata a Vallata e con essa pure i disagi a cura del prof Severino Ragazzo - www.Vallata.org

La neve è tornata a Vallata e con essa pure i disagi
a cura del Prof. Severino Ragazzo

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    Questa volta è neve vera, non artificiale, che ha cambiato completamente la veduta del paesaggio.
    Nella sola notte del 3 febbraio, quando le persone erano avvolte nel sonno ne è caduta quasi mezzo metro e la mattina del quattro le strade si sono confuse con i marciapiedi, i parapetti e si è ritornati a circolare come dicevano una volta “cu la carrozza ri lu scarpare” per dire a piedi ognuno facendo un percorso particolare, affondando nella neve per raggiungere la strada principale di circolazione e poi la piazza Garibaldi dove sono collocati la maggior parte dei servizi a partire da quelli commerciali.
    Nelle frazioni di campagna il disagio è stato ancora maggiore anche se i contadini sono più attrezzati per risolvere i problemi di questo genere.
    L'autostrada da Avellino-Vallata-Lacedonia è stata chiusa per alcune ore, chiusi gli ospedali, le scuole, impreparati anche i mezzi di intervento pur se gli annunci meteo lo avevano previsto.
    Dopo un giorno di pausa il cinque ha ripreso a nevicare ed adesso è il vento che la fa da padrona per cui il blocco della circolazione nelle strade e il gelo che aumenta rendono ancora più precaria la situazione.
    Si comincia ad avvertire la limitatezza degli approvvigionamenti degli alimentari, di quelli energetici, per giorni mancano i quotidiani e ancora non si intravvede la fine.
    E' domenica 12 c.m. e i disagi continuano ancora, si spera che nei prossimi giorni si torni alla normalità.-
    Meno male che fino a questo momento non c'è stato alcuna interruzione di corrente, fatto salvo per le frazioni della Carosina e Piano Calcato.
    Oggi il fascino della neve ha perso i connotati di una volta, anche perché da una società contadina si è passati ad una società prevalentemente di servizi.
    I contadini dicevano della neve:”sotto la neve pane, sotto a l'acqua fame”, “neve ri fibbraro è mizz' letamajo”,con l'occhio rivolto ai vantaggi per l'agricoltura ma anche agli svantaggi quando questa era carente.
    A Vallata fino agli anni 50' del secolo scorso c'erano due neviere (tanto che esiste ancora oggi la via omonima ) e la neve veniva ammassata per poi essere venduta sotto forma di ghiaccio nella stagione estiva e i piccoli si godevano a mangiare la”surbetta”(specie di gelato al ghiacciolo).
    Era nei periodi delle nevicate che i contadini programmavano l'uccisione del maiale e le due parti in cui veniva diviso quest'ultimo erano, la sera, lasciate all'aria esterna per favorirne il congelamento e il giorno successivo passare a “pizziarle” cioè a separare tutti i pezzi per i diversi usi (salami, prosciutti, grassi, salamoia ecc...)
    Era da tre anni che a Vallata non si vedeva una nevicata abbondante, tanto che l'amico Erminio il giorno della Epifania aveva pensato che anche quest'anno sarebbe stato come i due precedenti.
    Certo questa di quest'anno può senz'altro essere paragonato alle nevicate di una volta sia per la quantità caduta che per il tempo prolungato.
    Nevicate consistenti negli anni del 2000 non ce ne sono state, dobbiamo tornare al passato agli anni 20' del secolo scorso, alla nevicata del 56' e a quella del 85'.
    Tommaso Mario Pavese sul “Giorno” del 7/ febbraio del 1924 scriveva :”Abbiamo avuto la seconda nevicata di quest'anno: il servizio postale è stato per cinque giorni interrotto. In alcuni punti, i cumuli di neve ammassati dal turbine raggiungono due metri. Soffiano venti impetuosissimi, in diverse e contrastanti direzioni. La temperatura interna è ad un grado sotto zero”.
    Altra nevicata storica fu quella del 56' (resa famosa per essere stata immortalata da una canzone di Mia Martini presentata ad un festival di San Remo).
    Lo scrivente, a nove anni, si trovò imprigionato in una casetta con un piano terra ed un piano superiore nella via San Vito e tanto era la neve caduta che il livello della medesima aveva superato l'altezza della porta di ingresso.
    Nel piano terra oltre all'abitazione c'era in fondo la stalla con gli animali per cui bisognava liberare la porta onde evitare possibili rischi sanitari che ne potevano derivare.
    Quando la mattina si cercò di aprire l'ingresso ci si trovò di fronte ad una muraglia di neve e per uscire bisognava spalare la neve all'interno se si voleva creare un varco per immettersi all'esterno.
    La fortuna volle che l'unico vano del piano superiore possedeva una finestrella e da quella con lo stratagemma di un tavolone che ammassava la neve si riuscì ad arrivare nell'antistante della porta e poi spalando per alcune ore a liberare la porte medesima.
    Altri coetanei parlano di veri e propri tunnel costruiti nella neve per liberare l'ingresso delle abitazioni.
    Oggi i nostri ragazzini, pur avendo lo stesso disincanto per la neve che avevano quelli di allora non possono goderla allo stesso modo, anche perché si è impreparati nell'equipaggiamento.
    La neve per i ragazzi di allora era anche l'occasione per costruire slittini rudimentali e sciare, era anche il momento di acchiappare uccelli con “re tagliole”(le trappole) messe furbescamente nella paglia delle 'mete' (covoni) che i contadini tenevano come riserva energetica vicino all'abitazione.
    D'altronde, fatto salvo il Laceno che si è attrezzato per uno sfruttamento turistico della neve, nel nostro territorio ogni progetto è naufragato nel nulla pur non mancando siti come le montagne di Vallata e Trevico che avrebbero potuto indurre un investimento analogo.
    La neve per molti è vista anche negativamente per i molteplici disagi che essa comporta specie legati alla disorganizzazione dei servizi di intervento nella viabilità, e nelle formazioni di ghiaccio.
    I proverbi:
    “a tutti li santi la neve a ogni cànto”(a tutti i santi la neve in ogni luogo. A volte già agli inizi di novembre fa la prima neve ).
    “a tutt' li murt' la neve 'ndò l'urt'” (a tutti i morti la neve nell'orto).
    “ a la Cannilora virn' è ra fore e e si nun nèveca e nun chiove virn' è ancora a lu core e 'n'oti quaranta jurn' ancora” (alla Candelora l'inverno è fuori e se non nevica e non piove l'inverno è ancora all'apice e altri quaranta giorni ancora: il due di febbraio si credeva che se era maltempo l'inverno fosse già finito.)
    “Si febbraro vole fà, face chiove e nevecà”(se febbraio vuole fare , fa piovere e nevicare)
    “neve re febbraro è mizz' letamajo”(la neve di febbraio è mezzo letamaio, la neve come un ottimo fertilizzante).
    “pozza squaglià cum'a la neve re marz'”(possa sciogliersi come la neve di marzo, nel senso che a marzo l'uscita del sole la fa sciogliere velocemente)
    “sott'a la neve pane, sott'a l'acqua fame” (sotto alla neve pane, sotto a l'acqua fame; per il contadino la neve è più proficua dell'acqua)
    “l'acqua vàje 'ndò penne, la neve vàje a lu monte” (l'acqua va dove c'è la pendenza, la neve al monte per dire che a ricchezza si aggiunge ricchezza).
    “a ru squaglià ri la neve, se vèrene re strònz' ” (allo sciogliersi della neve si vedono le porcherie. Quando c'erano gli immondezzai pubblici per fare i bisogni personali e non c'erano servizi igienici in casa, allo sciogliersi della neve tutto ritornava come prima).

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