Sulle tracce della storia. Nuovi reperti archeologici venuti alla luce in contrada Mezzana Perazze. La zona era già nota per importanti ritrovamenti nel passato. Rocco De Paola

Sulle tracce della storia.

Nuovi reperti archeologici venuti alla luce in contrada Mezzana Perazze.
La zona era già nota per importanti ritrovamenti nel passato.


A cura del Prof. Rocco De Paola

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        I mesi dedicati alla aratura dei terreni sono particolarmente importanti, oltre che per l’ancestrale rituale che precede la semina, anche per la straordinaria contingenza di possibili nuove scoperte archeologiche. Poche settimane orsono si è puntualmente verificata una tale circostanza. Dal terreno, smosso dall’aratro, sono venuti fuori dei cocci di embrici, detriti di murature e dei frammenti di ossa (vedi foto).


La fortuita, quanto felice evenienza si è verificata in contrada Mezzana Perazze, sito archeologico già ampiamente noto per gli interessanti e cospicui rinvenimenti di tombe e corredi funebri in quel vasto comprensorio. Infatti, già da tempo erano emerse, secondo svariate testimonianze, numerose sepolture, come attestato, tra gli altri,da don Arturo Saponara, il quale, nell’opuscolo pubblicato nel 1957(1), parla di una vera necropoli ritrovata proprio in quell’area.
         Gli interessanti reperti vennero purtroppo dispersi e non se ne ebbe più traccia. Dovrebbe ancora essere conservato presso una famiglia di quella stessa contrada un elegante capitello a tre facce rinvenuto, con molta probabilità, proprio in quella zona.
         Nei pressi del terreno di cui discorriamo, secondo la attendibile testimonianza di Angelo Quaglia, alias Babylandia, che ebbe la ventura di vederlo di persona, negli anni Ottanta venne ritrovato un imponente coperchio in pietra a forma di baule appartenente ad un sarcofago che, forse, ancora giace in quel luogo.
         Il sepolcro, di epoca imperiale, comprovata dalla sigla DMS (DîsManibusSacrum)(2), apparterrebbe ad una nobile principessa, come si rileva dall’epigrafe, interpretata all’epoca da don Gerardo De Paola, che aveva casualmente notato il cippo presso la casa dell’agricoltore che l’aveva rinvenuto.
         L’ipotesi dell’avello principesco è convalidata anche dalla elegante cornice dello specchio epigrafico.
         Attualmente il coperchio è conservato nel cortile d’ingresso del castello ducale di Bisaccia.(Vedi foto sottostante).


L’epigrafe, oggi, appare di difficile lettura, in quanto le lettere sono in parte consunte e sono ricoperte, in molti punti, da incrostazioni e da licheni, trovandosi il cippo all’esterno e, quindi, esposto all’azione degli agenti atmosferici.
         Contale complesso di ritrovamenti accertati, non c’è da meravigliarsi se, ancora oggi, affiorano reperti in quel territorio.
         I cocci venuti alla luce consistono prevalentemente in frammenti di embrici di fattura non molto rifinita, come è possibile rilevare dalla foto allegata.
         Tuttavia, in tutto quel sito è visibile, disseminata sul terreno, una rilevante quantità di frantumi di anfore e di vasellame diversi per forma e colore. (Vedi foto sottostanti).




Di estremo interesse sono i frammenti di ossa, di chiara origine umana, che farebbero ritenere di essere senz’altro in presenza di una antica tomba.
         Ma la cosa forse maggiormente degna di attenzione è l’eccezionale grandezza di un pezzo di osso, un tratto di femore, della lunghezza di venti centimetri circa.
         L’epifisi distale presenta, posteriormente, due massicce superfici ossee convesse, i condili femorali, di dimensioni fuori del comune.
         L’ignoto defunto doveva possedere una statura gigantesca! La foto allegata, sia pur ingrandita, rende abbastanza bene l’idea della grossezza del reperto e della reale corporatura dell’individuo ivi seppellito.


Qualche analogo rinvenimento pare sia avvenuto, in anni lontani, nella vicina Scampitella, il che indurrebbe ad opinare che nella zona vi fosse stanziata una popolazione di esseri ciclopici.
         Ma nel terreno, oggetto della nostra indagine, non doveva esserci solo una necropoli, se si considera che vi affiorano anche numerosi frammenti di anfore e di vasi.
         Pertanto, non appare peregrina l’ipotesi che vi si possano ritrovare le tracce di un “vicus” o, quanto meno, di una qualche residenza rustica.
         La penuria delle risorse degli Enti preposti alla ricerca archeologica fa disperare di una iniziativa tesa a scoprire la reale consistenza di eventuali ruderi, anche al solo fine di sondare il territorio per accertare la estensione dell’area archeologica, che probabilmente comprende i campi contigui, in direzione di Oscata, e giù, verso valle, fin nei pressi del Calaggio.
        Al problema si potrebbe ovviare, almeno in parte, se delle persone animate da buona volontà, supplendo alle deficienze della mano pubblica, surrogandone i poteri di intervento, prestassero la loro opera gratuita, previe le necessarie autorizzazioni da parte delle autorità competenti.
         Si renderebbe un servizio utile alla collettività e si coopererebbe alla salvaguardia di un prezioso “giacimento culturale”, concorrendo, altresì, al diradamento delle dense tenebre che tuttora avvolgono la storia antica del paese, mediante l’aggiunta di nuove tessere ad un mosaico ancora da comporre, nelle sue grandi linee, per avere una più compiuta cognizione delle più remote vicissitudini delle nostre contrade.




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1) Don Arturo Saponara, Vestigia di Roma in Vallata e nel suo territorio, consultabile su www.vallata.org.
2) M. Chelotti, M. Silvestrini, F. Grelle, Le epigrafi romane di Canosa, Edipuglia, 1990, pag. 217 e seg., “…il modello compositivo DMS appare dominante nei testi più tardi ( rispetto a DM la cui più antica attestazione è del 29 d.C., CIL, VI,2489), e, a partire dall’età Severiana (fine II sec.-inizioIIIsec. d.C.,n.d.r.), largamente prevalente sugli altri considerati”.

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