Sulle tracce della storia. - La stele funeraria della Chiesa Madre di Vallata. - Conservata nella cripta è ascrivibile ad epoca imperiale. - A cura del Prof. Rocco De Paola - www.Vallata.org

Sulle tracce della storia.
La stele funeraria della Chiesa Madre di Vallata.
Conservata nella cripta è ascrivibile ad epoca imperiale.

A cura del Prof. Rocco De Paola

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     Scoperta per merito precipuo di don Arturo Saponara, che, sospettando trattarsi di epigrafe, ne liberò la facciata anteriore ricoperta da densi strati di intonaco(1), la stele, che ancora si conserva nella cripta della Chiesa Madre, è perfettamente leggibile in virtù di un paziente lavoro di stonacatura e persino di scalpellatura operate dall’Arciprete e della successiva pitturazione delle lettere.
    Il testo è il seguente: “Agli Dei Mani di Accania Firmina Gaio Cecilio Felice fece alla coniuge impareggiabile e benemerita con la quale visse per ventitré anni senza (veruna) lagnanza”; segue una M indecifrabile.
    Come si vede, l’epigrafe comprende una seria di formule di rito, molto comuni. L’adprecatio D. M. (DîsManibus), in forma punteggiata, inizia ad essere usata verso la metà del I secolo d. C.
(2).
    Anche gli attributi “inconparabili” (sic) e “benemerenti” si ritrovano con frequenza in iscrizioni analoghe.
    Lo stesso dicasi per l’espressione “sine querella”, intesa ad attestare un rapporto particolarmente solidale, non turbato da incomprensioni o conflitti.
    Sicuramente il cippo ha quattro facce, come testimoniano la forma, la cimasa e gli scandagli fatti dallo stesso Saponara.
    Trovandosi alla base di un pilastro centrale del Tempio, da cui anticamente si dipartivano numerose arcate, oggi ridotte a due, non è stato possibile, per ragioni di statica, scavarne alla base nell’ultimo intervento di ristrutturazione della Chiesa, conseguente al terremoto del 1962
(3). La stele doveva poggiare su almeno due file di gradini quadrangolari, componendo un piccolo monumento. Complessivamente il cippo funerario, comprese la cimasa e la cornice, misura m 1,35 x cm 43(4). Sulla superficie del monolite non v’è traccia di “ductus”, per cui la scrittura appare poco uniforme e le lettere sono di dimensioni diverse.
    La lettera “A” presenta l’asta mediana spostata verso l’alto, come era consuetudine in età tarda, rispetto a quella classica, quando figurava rigorosamente al centro
(5). Inoltre, la linea laterale a destra è alquanto incurvata ed evidenzia uno svolazzo, ad imitazione della scrittura “picta”(6) delle iscrizioni parietali pompeiane. Si tratta di una forma non molto consueta nelle iscrizioni sepolcrali. Anche le “erre” presentano una tale caratteristica, in quanto la linea obliqua si incurva leggermente, come si nota a partire dall’alfabeto monumentale in uso al tempo di Caudio e di Nerone(7).
    Le “E” rispondono ai canoni classici, in quanto le linee orizzontali sono della medesima lunghezza e quella mediana cade perfettamente al centro
(8).
    La “F”, invece, presenta la linea mediana più corta, fatto raro, di cui si hanno alcuni esempi, secondo Hübner, solo nel quarto e quinto secolo
(9).
    La “M” presenta difformità anche notevoli nelle varie parole in cui ricorre. Già nella sigla iniziale è possibile notare una contrazione della emme rispetto alle altre. Comunque tutte hanno le linee laterali svasate, secondo la consuetudine, ed il vertice dell’angolo di centro si allinea perfettamente al piano di quelle
(10).
    Più lineari appaiono altre lettere come la “N”, la “L”, la “V”. La “C” è prossima piuttosto alla scrittura corsiva, discostandosi dai canoni classici che la volevano perfettamente arrotondata, altrettanto dicasi della “G”, particolarmente approssimativa. La lettera “Q” è caratterizzata dalla coda curvata verso destra, come avviene a partire dall’inizio del I secolo d. C., in età augustea
(11), mentre in età precedenti essa era rettilinea.
     La coda, inoltre, è particolarmente allungata. Di tale forma si trova un esemplare caratteristico nell’alfabeto monumentale in uso al tempo di Traiano
(12), imperatore dal 98 al 117 d. C..
     Caratteristica vistosa dell’epigrafe sono le “hederaedistinguentes”, che facevano le veci dei segni di interpunzione, molto comuni dal tempo di Augusto fino ad epoche più recenti
(13). Se ne contano ben undici a rimarcare gli spazi bianchi tra le parole, due di esse sono molto più grosse delle altre. Due “hederae” si trovano dopo le lettere della sigla iniziale. L’usanza di mettere le foglioline di edera presso la sigla D. M., in vece dei punti, nasce all’inizio del III secolo(14) e prosegue in età successive.
     La defunta alla quale è dedicato il monumento è una certa Accania Firmina, non altrimenti denominata. E’ notorio che in età imperiale le donne cessarono di avere un prenome, non avendo più importanza per esse sul piano civile
(15). Fu una moglie esemplare, stando agli elogi su cui si diffonde la lapide. Era, tuttavia, consuetudine celebrare la memoria della morta con formulari ricorrenti e rituali. Il coniuge, Gaio Cecilio Felice, apparteneva ad una delle famiglie più note dell’antichità, la “gens Caecilia”, di origine plebea, ma che, con il tempo, assurse ai fastigi del potere in Roma, soprattutto per merito dei Metelli(16).
     Prenomi comuni furono Lucio, Quinto, Marco, Gaio e Tito, mentre i cognomina più noti, in età repubblicana, furono Bassus, Denter, Metellus, Niger, Pinna, Rufus. Di una Cecilia Metella ancora si ammira il grandioso mausoleo lungo la via Appia a Roma. Il cognome Felix trae origine verosimilmente dall’omonimo aggettivo e nasce con probabilità in ambiente militare, stando a significare un individuo rotto alle fatiche della guerra, coraggioso, ma nel contempo prudente e fortunato quanto al caso e alla sorte
(17). Soprattutto in Africa abbiamo un gran numero di cognomina con tale denominazione(18), da far senz’altro ritenere che fosse un dei cognomi più popolari tra i soldati stanziati in quella regione dell’impero(19), ma non tra i centurioni che ne annoverano solo quattro(20).
     Gaio Cecilio Felice, allora, poteva essere un veterano cui furono assegnati dei terreni demaniali, già a suo tempo sottratti ai vinti Hirpini, dopo che in quel territorio vi furono dedotte numerose colonie, a conclusione della guerra sociale, e che quivi si sarebbe stanziato con la famiglia. Vi avrebbe dimorato con la moglie per molti anni, vincolato alla donna per oltre un ventennio, cosa notevole, se si consideri che la vita media nell’Urbeera di 22 anni per i maschi e poco meno di 20 anni per le femmine.
     Non è possibile datare con certezza il periodo di costruzione del monumento, al riguardo si possono avanzare solo delle ipotesi. Sulla base delle considerazioni fatte, relativamente all’aspetto dell’avello, e delle caratteristiche peculiari dell’epigrafe, si può verosimilmente attribuire la realizzazione del manufatto al II-III secolo d. C. La stele, con relativo epitaffio, resta un documento fondamentale che sta a testimoniare di lontane vicende che interessarono il nostro territorio in epoca imperiale.
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1) Sac. D. Arturo Saponara, Vestigia di Roma in Vallata e nel suo territorio, Avellino. Tip. Pergola, 1957. Da Vallata.org
2) Giancarlo Sensini, Epigrafia romana, Jouvence, Roma, 1997, pag. 101.
3) Gerardo De Paola, Vallata. Rassegna storica civile religiosa, Valsele Tip., 1983, pag. 305.
4) A. Saponara, op. cit.
5) AemiliusHübner, Exemplascripturaeepigraphicae, apudGeorgiumReimer, Berolini, MDCCCLXXXV, pag, LIII dei Prolegomena.
6) René Cagnat, Coursd’epigraphielatine, E. Thorin, Paris, 1890, pag. 11.
7) Idem, ibidem, pag. 21.
8) E. Hübner, op. cit.,pag. LVI.
9) Idem, ibidem.
10) R. Cagnat, op. cit., pag. 18.
11) E. Hübner, op. cit., pag. LXIV.
12) R. Cagnat, op. cit., pag. 20.
13) Idem, ibidem, pag. 29.
14) E. Hübner, op. cit., pag. LXXVI.
15) R. Cagnat, op. cit. pag. 47-48.
16) William Smith, Dictionary of greek and roman biografy and mytology, Little Brown and Company, Boston, 1867, vol. I, pag. 526.
17) E. Forcellini, J. Facciolati, G. Furlanetto, Totiuslatinitatislexicon, ex tipisSchumanni, Schneebergae, MDCCCXXXI, vol. II, pag. 276.
18) Lindley Richard Dean, A study of the cognomina of soldiers in the romanslegions, tesi di laurea in Filosofia, Università di Princeton, N.J., 1916, infra.
19) Theodor Mommsen, Ephemerisepigraphica, IV, Cognomina africana, pagg. 520-522. “Cognomina usitata in Africa ut Felix, Mazius(sic!), Primus, Proculus, Urbanus”.
20) L. R. Dean, op. cit., infra.


    Vallata, lì 14 Agosto 2013

Prof. Rocco De Paola

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