La Potente Baronia di Vico

TRATTO DAL LIBRO DI

Giovanni Perciabosco

La Potente Baronia di Vico e S.Nicola Baronia

 

CAPITOLO VII


     1. Principato Ultra

     In conseguenza della guerra civile scoppiata nel Ducato di Benevento nell’839 e durata 10 anni, lo Stato, che era divenuto durante il volgere del 774 Principato, nell’848 si divise in:

1) Principato di Benevento con Sannio e Puglia,

2) Principato di Salerno con territori Longobardi della Campania, della Lucania e parte della Calabria,

3) Contea di Capua.

     Dopo la battaglia di Civitate sul Fortòre, avvenuta nel 1053, la città di Benevento passò nel dominio della Chiesa e il territorio del suo Principato, che comprendeva buona parte del Sannio, privato della capitale, si chiamò “Terra Beneventana”.
     Con l’avvento degli Angioini nel 1266, Carlo I d’Angiò, pur conservando la legislazione e l’ordinamento amministrativo che il normanno Ruggiero Il e lo svevo Federico Il avevano dato al Reame con le loro famose costituzioni, nella nostra zona, (correva l’anno 1284) apportò una importante modifica all’antica circoscrizione provinciale.
     La provincia di Salerno, che conservava ancora la vecchia denominazione longobarda di Principato, venne sdoppiata, perché troppo estesa, e ne risultarono con la Terra Beneventana due Province, quella del Principato Citra o Citerione o di                Salerno e quella del Principato Ultra o Ulteriore o di Benevento con capoluogo Montefusco.
     Esse avevano come termine di delimitazione le “serre (gole) di Montoro”.
     Rispetto a Salerno, il Principato Citeriore (cifra serras Montoni) si trovava al di qua delle gole di Montoro; quello Ulteriore al di là (ultra) delle stesse.
     La Provincia del Principato Ultra dal 1284 era formata dalla maggior parte delle odierne province di Avellino e di Benevento ad eccezione di questa città.
     Essa terminò nel 1806,allorchè il re di Napoli Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone, elevò Avellino a capoluogo di Provincia.

     La zona sud-orientale del Principato Ultra (da: G.M. Alfano, “lstorica descrizione del Regno di Napoli”, 1795).

     2. Territorio della Baronia

     La Baronia di Vico confinava:

a) con la contea di Frigento, mediante il corso dell’Ufita, il quale attraversa i piani di Sturno, sino alla confluenza con il Fiumarella o Lavella e con Petram Piczulam (Lo Piesco in tenimento di Frigento), che dovrebbe significare "grossa pietra (roccia) a punta” emergente dal terreno; (come Pescopagano - provincia di Potenza - che deriva da Petrapagano; altro esempio potrebbe essere dato da Pietrastornina, pietra grigia, masso a forma di enorme uovo su cui vi sono i maestosi avanzi dell’ormai scomparso castello);
b) con la contea di Conza, mediante l’altopiano del Formicoso (Andretta era feudo di Conza);
e) con il feudo di Bisaccia, mediante il territorio del detto altopiano;
d) con la contea di Andria, mediante i feudi di Montaguto, di Accadia, di S.Agata di Puglia e Ascoli Satriano;
e) con Ariano Irpino, mediante Zungoli e Villanova del Battista (Polcarino).
     Circa la estensione dei suoi confini sino alla contea di Andria, per mezzo dei feudi di S.Agata di Puglia e di Ascoli Satriano, si può asserire che essa avvenne con l’annessione, dopo il 1168, degli stessi ad opera del suo feudatario Ruggiero, figlio di Riccardo, allorché fu nominato conte di quella contea che svolgeva un ruolo importantissimo nell’organizzazione militare della Provincia del Regno detta Apulia; vedi “Feudatari dell’Alta lrpinia nel Catalogus Baronum” di Errico Cuozzo a pag.11. Con i centri abitati di cui innanzi l’area nord-est aveva cinque castelli con numerosi fortini a difesa dei medesimi, quelli di Flumeri, di Trevico, di Zungoli, di S.Agata di Puglia e di Ascoli Satriano.
     Si fa rilevare che detta contea era costituita da una serie di “terre” (paesi) che avevano il compito di formare una cerniera che andava dall’Adriatico al mare lonio per bloccare eventuali invasioni dal mare; e che il nostro Ruggiero era, del suo tempo, un personaggio di alto prestigio, da concorrere con Tancredi, a seguito della morte di re Guglielmo Il, alla successione al trono del Regno di Sicilia, per il quale venne eletto Tancredi, candidato sostenuto dai magnati della corte di Palermo, mentre egli era
sostenuto dai militi capeggiati dall’arcivescovo di Palermo e in modo particolare dai baroni della Puglia, di Terra di Lavoro, del Principato di Capua e del Salernitano.

     3. Origine geologica della Baronia

     Nel momento della formazione della terra i materiali che la costituivano erano ad una temperatura molto elevata nella sua parte in superficie. Onde seguire l’apparizione e l’evoluzione delle forme viventi i geologi, per comodità, hanno diviso la sua tormentata storia, che è di circa cinque miliardi di anni a partire dalla formazione del sole e dei pianeti e di quattro miliardi di anni dal consolidamento della sua crosta, in
— era arcaica o archeozoica o vita antichissima della durata di circa quattromila milioni di anni;
— era paleozoica o primaria o della vita antica della durata di circa 350 milioni di anni;
— era mesozoica o secondaria o della vita di mezzo della durata di circa 160 milioni di anni;
— era cenozoica o terziaria o della vita recente più breve delle precedenti, nella quale i mammiferi prosperavano in modo sorprendente, imitati dagli uccelli, dagli insetti e dalle piante con fiori;
— era neozoica o quaternaria o della vita nuova, detta anche dei ghiacciai e dell’uomo, la quale iniziò circa due milioni di anni fa e terminò un undicimila anni or sono.

     Ognuna di esse fu caratterizzata da imponenti fenomeni terrestri (come terremoti, eruzioni vulcaniche, glaciazioni, sollevamenti di fondi marini), da piante, da animali e da rocce particolari.
     Notevole interesse offre, per la origine geologica della Baronia, l’era cenozoica (o era terziaria) il cui corso iniziò un 65 milioni di anni fa e terminò circa due milioni di anni or sono, per una durata quindi di 63 milioni di anni.
     In essa avvenne il vero sconvolgimento dell’area mediterranea: il continente africano incominciò ad avanzare corrugando e innalzando dal fondo marino i sedimenti che avevano raggiunto spessori ragguardevoli a causa delle assenze di grosse eruzioni vulcaniche e di sollevamenti orogenetici (cioè generatori di montagne) nell’era precedente, dando all’italia, intorno ai due milioni di anni fa, l’aspetto odierno.
     E anche la Baronia, emergendo dalle acque, venne ad occupare il suo piccolo spazio terrestre.
     Per quanto riguarda la stabilità del suolo si deve osservare che i terrazzi terrieri della Baronia orientale sono migliori rispetto a quelli delle altre zone, che presentano alcune aree franose.


     4. Organizzazione - Gradilone

     La organizzazione della Baronia di Vico in origine fu affidata a Gradilone, nipote di Roberto il Guiscardo, che sposò una germana di Abogelardo figlio del gran Conte Umfredo del sangue degli Altavilla.
     E quindi fin dall’esordire della Signoria dei Normanni Trevico si trova in potere di costoro, anzi in mano ad una delle loro più potenti famiglie, quella di Riccardo, principe di Capua.
     Questi ebbe, fra gli altri, due figli:
     1) Guarino che fu signore di Flumeri e diede il nome alla terra, divenendo così il capostipite dei “Filius Riccardi” e
     2) Gradilone che fu signore del Castello di Vico (A.M.lannacchini, topografia storica deII’lrpinia, vol.lll pag.60).

1078 Gradilone, poi, nel 1078 partecipò ad una sollevazione contro Roberto il Guiscardo, che trovavasi in Calabria per la conquista di quel territorio, promossa da papa Gregorio VII, dal principe di Capua Giordano e da Rainolfo.
     “Avendo saputo ciò il Duca (Roberto il Guiscardo) con 460 militi tornò in Puglia, e prese Ascoli, Monte di Vico (Trevico) e Ariano, e si dispose di andare al fiume Sarno contro il Principe, ma andatolo a trovare l’abbate Desiderio, l’indusse a far la pace con lui. Così in questa repressione prese Baldovino in Ascoli e Io pose in carcere; e in Vico (cioè Trevico) prese Gradilone, il fece eunuco e gli fece cavare gli occhi. Indi posto un presidio in Giovenazzi, andò a Salerno”, cfr. A. Di Meo, annali, tomo VIII, pag.178. Ind.II F.
     Desiderio di Benevento (1027/1087) ingrandì l’abbazia di Montecassino, divenne papa Vittore III e mori dopo quattro mesi dalla sua assunzione al soglio pontificio.
     Anche il cronista Romoaldo Salernitano notò, nello stesso periodo di tempo, che il Duca Roberto prese la città di Vico (cioè Trevico) e vi fece prigioniero il suo nipote Gradilone, che fece privare di tutti e due gli occhi - cfr. A. Di Meo, annali, anno 1079, già citato -.
     Da quanto innanzi si rileva che nel 1078 a Trevico già esisteva il Castello e che il cronista Romoaldo Salernitano, scrivendo “Roberto il Guiscardo prese la città di Trevico”, afferma che neI 1078 Trevico era capoluogo di diocesi in quanto all’epoca i capoluoghi di diocesi venivano chiamati “Città”.
     Sistemazione strategica normanna uguale a quella di Vico (Trevico) la troviamo con Conza di cui in “Andretta nella storia di  Francesco Scandone” a cura di Nicola di Guglielmo, tip.
     Laurenziana, Napoli 1988, a pag.58 si comincia col dire: “situata nelle alture immediatamente a nord del fiume Ofanto, Andretta sbarrava la strada a così importante città ad eventuali nemici provenienti dal Sannio ovvero dalla Puglia, per coloro che avessero voluto evitare la più facile e naturale strada dell’Ofanto da est, bloccata dalla fortezza di Cairano, sita in posizione dominante.
     Una città fortificata come Conza non avrebbe certamente potuto sussistere senza capisaldi difensivi costituiti da piccoli centri all’intorno. Pur considerando la scarsa popolazione dell’epoca, non potevano le campagne circostanti ed il vasto territorio della civitas compsana essere completamente disabitati o abitati da uno scarso numero di famiglie contadine, distribuite sulla estesa regione senza una minima organizzazione territoriale ed alcun presidio difensivo.
     Per quanto piccoli, dovevano esistere intorno a Compsa nuclei amministrativo-militari che assolvevano appunto compiti civili e militari delle modeste comunità, costituendo minime unità di raccolta degli uomini atti alle armi e centri di prima difesa della città capoluogo”. 
     Lo stesso può dirsi di Montefusco con i suoi casali di Pietradefusi, Castel del Lago, Serra, S.Paolina, Torrioni (deriva da turris Aonis, torre del principe Aone Il)...., complesso organizzato dal Principe di Benevento per difendersi da eventuale aggressione del Principe di Salerno, che dalla parte opposta schierava Torre le Nocelle, Montaperto, Montemiletto e Montefalcione, centri muniti pure essi di mezzi di difesa. 


     5. Il castello

     Anteriormente alla conquista normanna, in molte zone, anche là dove meno si crederebbe, sorsero castelli, ville e casali, che si popolarono di contadini e si attaccarono con multiformi legami alle vecchie città, centri di antiche e nuove diocesi o di circoscrizioni amministrative. 
     I primi castelli furono di legno: una cinta palizzata con un fosso, al centro un torrione.
     Per esigenze strategiche, gli Hauteville (cioè i Normanni) via via che ampliavano le loro conquiste, rafforzavano antichi fortilizi o, più frequentemente, in punti nevralgici, erigevano possenti torri quadrangolari o cilindriche, simili a sentinelle corazzate poste a guardia di un nemico piegato, ma non ancora rassegnato al suo destino.
     Al termine delle operazioni militari, nel fervore organizzativo del nuovo dominio, anche queste rocche attrassero l’attenzione dei sovrani, dei signori feudali e comunità cittadine, ond’esse divennero membra di un organismo architettonico più vasto, il castello propriamente detto che era abitazione e fortezza; un mondo chiuso, dove si produceva tutto ciò che era necessario ai suoi abitanti; si disponeva di forno, di pozzo per l’acqua, di officina e di laboratorio dei tessitori, dei sarti, dei calzolai; c’era la cappella, vi erano magazzini, le stalle, i depositi d’armi. 
     La costruzione, però, affidata a maestranze locali, fu realizzata in fretta, senza ricercatezze artistiche, badando più alla solidità dell’edificio e ai suoi preminenti compiti militari che non all’estetica e alle comodità, essendo sorto in luogo la cui posizione facilitava l’osservazione e la difesa.
     Di là il “castellano” faceva pesare la sua autorità non solo sui propri soldati, ma anche sui lavoratori delle vicine campagne. Vivendo, poi, a contatto con i loro vassalli e servi, i conti e i baroni che seguirono non si resero verso di loro esosi: la nuova vita prese un tono patriarcale, proprio come si addiceva ad una comunità sociale dall’aspetto essenzialmente rurale.
     I resti del castello di Trevico, con i sotterranei che sono da esplorare, ricordano, tra l’altro, l’assalto di Roberto il Guiscardo, dei bizantini, dei saraceni, di Federico Il di Svevia, di re Manfredi e quello delle soldatesche di Carlo d’Angiò. Dal secolo XV, esso come tutti i castelli, a causa dell’uso di armi da fuoco, perse la sua importanza e venne progressivamente abbandonato alla incuria degli uomini e all’usura del tempo.
     Dell’imponente castello, simbolo della nostra Baronia, da S.Nicola si vedevano due giganteschi ruderi protesi verso il cielo a testimonianza di una storia triste e gloriosa ad un tempo: ruderi che si tenevano impressi nella mente, ove ci si allontanava. 
     Ora ciò non è più possibile per le generazioni presenti e future, perché detti bracci appartenenti alla parte più alta del castello da cui si osservava anche il lato occidentale della Baronia, furono nel decennio 1950-1960 demoliti in parte per dar luogo alla costruzione dei locali dell’Aeronautica militare destinati all’assistenza degli aerei in volo; locali la cui funzione attualmente si è ridotta solo ad una stazione meteorologica.



Trevico: Il castello austero e misterioso già in funzione nel 1078; in tale anno subì l’assalto di Roberto il Guiscardo, vedi capitolo III - argomento 4. Su di esso lo spazio panoramico offre la serenità della bellezza dell’infinito.

Fontana di Contra, al presente contrada “Le chiancarelle”, espressione questa che ha eliminato dalla tradizione l’antico nome; nella foto l’alto masso di roccia alla cui base sorgevano le sue acque.
Esso trovasi di fronte allo sbocco del torrente S.Pietro nel Calaggio, nelle cui vicinanze sulla collina, a sinistra in direzione Puglia, era ubicato con buone probabilità il centro sannitico.
La sorgente ora è asciutta, ma i viandanti anziani coloritamente affermano di aver bevuto come «ciucci» le sue acque abbondanti. 

     6. La fontana di Contra

     Nella parte orientale della Baronia, che nel medioevo costituì un feudo denominato “Contra”, lungo la strada Egnazia di intenso traffico nelle varie epoche storiche per la Puglia, si rileva di essere esistiti, ad eccezione di Anzano di Puglia, comune dal 1818, alcuni insediamenti abitativi a breve distanza tra loro, S.Pietro di Olivola (oppure Oligone), Casaliandra, S.Antuono de’ Marchesi di Trevico.
     Uno dei più noti è quello che si dovette costituire per primo nei pressi di una sorgente detta “Fontana di Contra”, il cui nome, poi, fu imposto a tutta l’area. 
     Il significato della denominazione “Contra” (= di fronte) porta ad intuire la sua posizione di fronte ad una gran pianura che si dilata verso oriente. E’ da ritenere, per la notorietà di cui gode, che nelle sue vicinanze si insediarono i primi sanniti, allorché emigrarono in lrpinia e raggiunsero anche le nostre zone, come è dimostrato dai rinvenimenti verificatisi in varie località della Baronia.

1086 A favore delle origini remote della zona vi è una donazione del 1086 del Duca di Puglia, Ruggiero, figlio di Roberto il Guiscardo morto nel 1085, riportata nella Topografia storica dell’Irpinia di A.M. Jannacchini del 1891 al vol.lll, pag. 56 e 57. Essa cosi suona:
     “Nella contrada di Contra vi fu un casale ed un monastero di Benedettini detto S.Pietro di Olivola. Ciò si rileva da una donazione fatta di questo monastero e casale al monastero della Cava, da Ruggiero delle Puglie sotto l’anno 1086. In detto anno e dal detto Duca donossi ancora la chiesa semidiruta di S.Maria di Guardiòla e l’altra di S.Benedetto, ambo ricche, nonché un molino a Trevico, ove dicevasi “lsca Maccarono” vicino al Calaggio.
     Dal detto riferimento deI 1086 si ricava
— che, all’epoca la Baronia di Vico (Trevico) dipendeva dal Ducato di Puglia;
— che i mulini ad acqua già esistevano in essa;
— che in essa vi erano già i casali;
— che nella medesima, attualmente in territorio di Scampitella alla contrada che prese e conserva tuttora il suo nome, S.Maria di Guardiòla, vi era una chiesa semidiruta e ricca, e quindi a quella data già antica; forse danneggiata dagli stessi normanni nel 1053, quando distrussero il Gastaldato Longobardo di Quintodecimo, a cui la Baronia apparteneva; essa può ritenersi parte integrante di un luogo, a nord di Scampitella e nei pressi della via Egnazia, provvisto di guardie che avevano la funzione di ostacolare il passaggio di invasori e di avvertirne l’arrivo nell’area da loro controllata; in genere i barbari, che si stabilirono nelle nostre contrade, amavano porsi sotto il patrocinio di santi;
— che la chiesa di S.Benedetto può considerarsi quella di S.Giuseppe, ubicata nella frazione dallo stesso nome in tenimento di Vallesaccarda, se in Ioco vi è una tradizione generale di essere questa “molto antica”; la medesima ha subìto, probabilmente dopo il 1567 quando a Trevico esisteva il Priorato dei monaci verginiani, solo una modifica di dedicazione, cioè da S.Benedetto a S.Giuseppe;
— che la chiesa di S.Maria di Guardiòla e la chiesa di S.Benedetto furono costruite presumibilmente al tempo del Ducato di Benevento, dopo la conversione dei Longobardi alla religione cattolica che avvenne un po’ prima del 700; e forse nello stesso periodo fu costruita anche la chiesa della Madonna di Anzano anticamente nota con il nome di S.Maria in Silice;
— che Cava si riferisce a Cava dei Tirreni in provincia di Salerno, nei cui pressi sorge la famosa Abbazia benedettina della Campania (sec.XI);
— che vi era un casale dal nome di un santo, S.Pietro; 
— che Isca significa terreno irriguo pianeggiante con coltivazione a orto e anche a vigneti, frutteti, legumi e granone.

879 Nell’area del feudo di Contra va messo in evidenza Anzano degli Irpini (ora Anzano di Puglia). Esso si trova nominato la prima volta in un documento dell’anno 879 esistente nell’archivio di Cava, dove è detto “Godino vende al prete Tiberio alcuni beni in Anzano”; (vedi Giuseppe Pennetta - Profili storici dei 128 comuni della provincia di Avellino - Voi. I - presso Biblioteca provinciale).

1143 Abbiamo dall’Archivio Cavense (arca 8 n°2) che Landenolfo abbate di 8. Maria Guardiòla in Territorio di Vico Aquidio (Trivico) coi Consiglio del presente D.Amato Vescovo di Vico bonae mem. (anche dei vivi dicevasi) e col consenso di Riccardo, figlio del qu.Riccardo, Signore praedictae civitatis Vici, Aliorumque Castrorum, dona all’istesso Abbate Falcone, per mano di Roberto Francigena, Preposito di S.Pietro di Olivola, lo stesso Monastero, e chiesa di S.M.Guardiòia. 
     Nello stesso tempo con altra Carta fa la stessa donazione esso Conte Riccardo figlio dei qu.Riccardo Signore di Vico.
     Furono scritte da Pietro Notaio, e sottoscritte da Nicola Giudice, D.Guarino di Vallata, Orso Fromeriense (di Flumeri), Simone Cotre, Pagano figlio di Petrone, Roberto di Anzano, Adamo di Vico: Actum coram D.Amato Episcopo in Civitate Vici an.ab. Inc. 1143 - (dal settembre) mense Octobr. Vi md.), vedi P.D. Alessandro Di Meo - Annali Tomo X in Napoli 1805 pag. 123.
     Dal documento di cui innanzi si rileva
— che nel 1143 esisteva nell’area di Contra quanto già osservato dal riferimento precedente (a. 1086), e cioè un casale nominato S.Pietro di Olivola e in esso un monastero di Benedettini dipendente da Cava dei Tirreni, nonché la chiesa di S.Maria Guardiòla di Vico;
— che all’epoca era feudatario di Vico Riccardo figlio di Riccardo;
— che vengono menzionati alcuni abitati della zona: Vallata, Flumeri, Anzano e Vico;
— e soprattutto che con l’espressione «Aliorumque Castrorum», cioè di altri centri abitati disposti in località più accidentate e difendibili da popolazione poco numerosa, si evidenzia la funzione di difesa dei paesi - chiamati allora casali - dislocati intorno alla base del Monte di Vico;
— che qu. significa “quondam”, cioè fu.
     Da osservare, infine, che il territorio attraversato dal torrente S.Pietro, sino all’immediato dopo guerra (1940-45), era ancora coperto dai boschi di Olivola, Migliano e Farullo distrutti dall’uomo in breve tempo.

     7. Il Calaggio

     Nel feudo di Contra, ad oriente della dorsale dell’odierna Scampitella, vi è una vasta area di natura aspra e selvaggia che offre un particolare interesse per le testimonianze di antichi ponti di vie romane e per il riferimento storico del 1086, circa, fra l’altro, l’esistenza di un mulino idraulico. 
     Essa prende il nome dal torrente che l’attraversa, il Calaggio.
     Detto torrente inizia il suo corso ad est di Vallata, nei pressi della contrada Sferracavallo (dalla cui parte opposta ha origine anche il fiume Ufita), dirigendosi, con una curvatura dall’angolo esterno ad oriente, verso Oscata Inferiore, in territorio di Bisaccia, che non raggiunge.
     Lungo tale cammino, quando è ancora in territorio di Vallata, veniva attraversato dal Ponte romano della via Appia, come già detto a “Le vie antiche” in “via Taverna delle Noci - Romulea”.
     Indi percorre l’ampia valle che si osserva tra il monte Calaggio (alt. m.748) alla sua destra e la dorsale montuosa di Scampitella con il monte Cicala (alt. m.675) alla sua sinistra per raggiungere a settentrione il casello autostradale di Lacedonia della Napoli-Bari, dopo aver attraversato questa alquanto prima.
     Dopo il detto caselle, quasi nello stesso punto, riceve il vallone S.Pietro che inizia a scorrere da Anzano di Puglia e il vallone lsca che comincia a formarsi dal monte Calvario (alt. m.973) a oriente di Bisaccia, nei cui pressi nella località “lsca Maccarono” doveva trovarsi il mulino idraulico del riferimento storico del 1086.
     Proseguendo, infine, verso la Puglia, dopo aver attraversato il ponte romano della via Erculea, detto anche di Montevaccaro, e l’antico magnifico ponte della via Egnazia, successivamente divenuto della via Aurelia Aeclanensis, nei pressi di Candela, si unisce al Carapelle che va a scarioarsi nel golfo di Manfredonia, a Torre di Rivoli, oggi Lido di Rivoli, dopo aver attraversato un altro importante ponte romano della stessa via Aurelia Aeclanensis nelle vicinanze di Ascoli Satriano. 
     A poco più di due chilometri dal citato casello autostradale in direzione est si trova la contrada “Montevaccaro”, sulla cui collina vi è un grande e vetusto fabbricato, composto da un pianoterra e un primo piano, dotato di due piccole torri cilindriche per difesa dagli invasori e dai briganti.
     Esso ebbe presumibilmente la funzione di “Masseria” , ad uso di azienda rurale con allevamento di bestiame, del tipo di quelle che neI 1300 sorsero solo nel Mezzogiorno, specialmente in Puglia.
     Detta azienda dovette appartenere ai Verdoglio di Trevice, i quali “avevano tanti animali, che, quando li riunivano in un sci luogo, sembrava una vera fiera”.

     8. Guarino succede a Gradilone

1122 Era l’anno 1122 dell’Incarnazione del Signore e quarto del Pontificato di Calliste Il, Sommo Pontefice e Papa universale. Riccardo figliuolo di Guarino di Formaro (= di Flumeri) fu dai suoi paesani messo a morte. Guglielmo, duca di Puglia (figlio di Roberto il Guiscardo) sentendo come quel Riccardo era stato ucciso, messo insieme un esercito, andò frettolosamente a Monte Vico ( = Trevico), e prese degli uccisori inaudita vendetta, consumando il castello col ferro e col fuoco, e due preti che a quella uccisione avean consentito impiccando [così è scritto nella cronaca (1102 - 1140) di Falconis Beneventani - Chronicon in cronisti e scrittori sincroni napoletani, a cura di Giuseppe Del Re, I, Napoli 1845, pag. 187, a.1122]. 
     La pronta repressione della rivolta operata da Guglielmo, duca di Puglia, riportò al potere il figlio dell’ucciso Riccardo figlio di Riccardo, che abbandonata la distrutta Trevico, stabilì la sede del suo dominio nel castello di Flumeri, (i cui ruderi nel 1961 furono rimossi per costruirvi qualche modesto alloggio per lavoratori), restando negli anni successivi grato e fedele agli Altavilla.

     9. La prima costituzione del Regno di Sicilia

1140 Nel parlamento del Regno convocato ad Ariano lrpino, re Ruggiero Il d’Altavilla promulgava un codice di leggi, che permeato dalla sua saggezza ed esperienza aveva in sé quanto era idoneo ad assicurare alle popolazioni il loro sviluppo civile. 
     Egli diviene, così, un precursore dello Stato moderno, unitario, centralizzato, nemico dei privilegi, sollecito del bene comune.
     Il cardinale Pietro Ottavio di Vico (Trevico), delegato di Papa Anacleto Il, nel Duomo di Palermo in data 24 dicembre 1130, procedette all’incoronazione di Ruggiero Il d’Altavilla quale re del Regnum Siciliae, sorto nel 1113, con capitale Palermo sino al 1268, quando Carlo I d’Angiò la trasferì a Napoli e mutò il Regno di Sicilia in Regno di Napoli (cfr. Fuiano Michele, Napoli normanna e sveva in Storia di Napoli; v. Il, ti, pag. 518 Napoli 1969).
     I Normanni, prima di fondare il Regno di Sicilia, avevano il Ducato di Puglia e il Principato di Salerno, di cui Roberto il Guiscardo in data 29 giugno 1080 fece Salerno Capitale.

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