CENNI STORICI - Conoscere l'Irpinia

CENNI STORICI SULL'IRPINIA

DALLE ORIGINI ALL'ETÀ MODERNA

    Il lupo è un animale che suscita sentimenti strani e contrastanti. Non molto bello, non regale, non elegante, tuttavia incute rispetto. Di carattere scontroso non si mescola volentieri con altri animali né è disposto a farsi avvicinare dall'uomo. Dà l'idea di essere ringhioso sempre, anche all'interno del suo branco. Abbastanza pericoloso anche quando non ha fame, mostrando le zanne difende con ostinazione la sua privacy. Ma è anche un animale forte: resiste al freddo, alla scarsità di cibo, si inerpica per i monti più impervi, è un predatore infallibile e quando azzanna fa strage.
    Il lupo ci rappresenta e noi irpini - "hirpus" è il termine osco indicante l'animale totem dell'antica tribù insediatasi nella nostra terra - siamo tutti un po' lupi: scontrosi, burberi, poco amanti della folla e dell'esibizione ma resistenti, tenaci e temibili; se tiriamo fuori la nostra grinta nessuna preda ci resiste.
    Come si apprende dall'ottimo Scandone, di cui quanto segue è una breve sintesi, gli Irpini erano una propaggine del popolo Sannita e quando si insediarono nelle valli dell'Appennino campano vi trovarono villaggi abitati da oltre un millennio.
    La valle del Calore è un luogo ridente e fecondo dove il fiume, con il suo canto antico e ininterrotto, invita chiunque passi a restare sulle sue rive. E lì, infatti, che si sono sviluppati i primi insediamenti stabili della nostra regione. I tanti reperti archeologici, rinvenuti a Montella, Paternopoli, Gesualdo e anche, fuori della valle del Calore, a Calabritto, Lacedonia, Ariano, Zungoli, Avella e che, purtroppo per noi, sono custoditi nei musei dì Roma e Napoli, testimoniano la presenza in Irpinia di aborigeni fin dall'età della pietra, prima rozza e poi levigata. Dalla culla dell'umanità, l'Africa nord orientale, partirono, infatti, i nostri progenitori, una stirpe mediterranea che dopo aver occupato l'Egitto approdò sulle coste europee e giunse anche nelle nostre terre verso il 2.000 a.C..
    Sempre all'età preistorica appartiene l'arrivo nella nostra regione degli Arias provenienti dall'altopiano del Turan, nell'Asia centrale, esperti nell'uso del bronzo, del ferro e capaci di coltivare la terra. Gli Arias pacificamente convissero con gli aborigeni a cui trasmisero anche la loro lingua, l'Osco.
   

Dall'Osco "Hirpus" (lupo) deriva anche il nome del popolo Irpino, affine ai Sanniti, che viveva a nord della Lucania e della Campania.
    Scandone riporta le parole di Festo, antico scrittore latino: "Hirpini appellati a nomine lupi quem hirpum dicunt Samnites: eum enim ducem secuti agros occupavere" Il breve passo ci racconta che alcune tribù si erano mosse dalla Sabina alla conquista di nuove terre, prendendo, come insegna comune o totem, il lupo. Siamo verso il 500 a.C. e, non essendoci narrazioni storiche di riferimento, si deve dedurre che la migrazione avvenne senza stermini o fatti eclatanti. Il fenomeno può rientrare nei normali movimenti migratori dei popoli in età antica. Quando la popolazione di un luogo cresceva troppo, i magistrati votavano agli dei tutto ciò che sarebbe nato in un anno stabilito (tale consacrazione era detta "ver sacrum'). Quando gli uomini giungevano in un'età adatta all'uso delle armi, insieme con le loro mogli, gli altri coetanei e col bestiame partivano alla ventura, in cerca di una nuova sede.
   

Gli Irpini, pur non avendo schiavizzato gli aborigeni, presero per sé la maggior parte delle terre ed ebbero la supremazia politica e militare. Essi, come tutti i popoli di razza sannitica, si reggevano in forma repubblicana e soltanto in caso di guerra eleggevano un "meddix tuticus"(dux summus) che aveva potere assoluto per tutto il tempo del conflitto.
    Gli Irpini non furono estranei alle guerre sannitiche. Molto probabilmente essi furono gli autori delle molestie lamentate dai Lucani che implorarono l'aiuto di Roma. In conseguenza di ciò l'Irpinia fu terra di conquista da parte dei Romani che, dopo aver sbaragliato i Sanniti ad Aquilea, conquistarono AEclanum e poi si volsero contro I'Arx Abellinates
    Con i patti di pace i Romani, per frantumare la confederazione sannitica, lasciarono a ciascuno dei popoli federati la loro autonomia. Nei documenti viene citata anche l'Irpinia che divenne un organismo statale nominalmente indipendente.
    Durante le guerre tarantine gli Irpini, forse insofferenti della falsa autonomia concessa da Roma, si allearono con Pirro, ma a caro prezzo. Sconfitto Pirro, il Senato romano, per controllare i nostri irrequieti progenitori, fondò, nel cuore della regione, la
colonia militare di Conza, a nord quelle dl Benevento e a sud altra di Posidonia (Paestum) in territorio lucano; correva l'anno 272 a.C..
    Da allora e fino al 216, quando a Canne i Romani furono umiliati da Annibale, l'Irpinia visse in pace rispettando gli accordi romani. Ma le vittorie del cartaginese ridestarono il mai spento spirito di indipendenza del popolo irpino che passò dalla parte degli Africani. Si sollevarono i "pagi" irpini e Annibale ne approfittò, salì a Conza, la conquistò, la presidiò con un drappello al comando dei generale Magone, arruolò molti locali tra le sue fila e partì per la Puglia. Ma le cose non si misero bene per il generale africano e così gli irpini furono abbandonati a se stessi. Ma non si persero d'animo e resistettero al console Fabio fino alla caduta di Capua, ultima alleata di Annibale. Soltanto allora, isolati, gli Irpini deposero le armi e ritornarono alla fedeltà di Roma. Probabilmente per punizione dovettero cedere una parte delle loro terre che così divenne "ager publicus populi Romani". Per effetto delle leggi graccane nel 121 a.C. fu dedotta in Irpinia la Colonia Veneria Livia Abellinatium, il cui capoluogo fu Abellinum, un "oppidum" localizzabile presso l'odierna Atripalda degradante verso la riva del Sabato.
    Alla presenza della colonia romana sul nostro territorio è senz'altro dovuta la costruzione della rete stradale locale. Le due arterie principali, l'Appia e la Tirrenica, passavano abbastanza lontano da Abellinum; per questo da esse furono derivate varie traverse che per i valichi montani collegavano i paesi alle strade maggiori. Si ricordano la Via Antiqua Maiore, la Via Campanina e la Via verso Nola.
    Lo spirito indomito degli Irpini, mai rassegnati alla dominazione romana, risorse durante la guerra sociale, tant'è che la nostra fu una delle prime regioni a ribellarsi a Roma nel 90 a.C.. Vinta da Silla definitivamente nell'83, fu annessa allo Stato romano.
    Il costo maggiore lo pagò AEclanum che venne distrutta dal luogotenente romano, mentre Abellinum venne confermata dallo stesso SiIla capoluogo della colonia Livia.
    Il tempo degli imperatori romani fu vissuto in pace dai nostri Irpini; la regione era ben nota all'epoca anche ai grandi scrittori amici di Augusto: Virgilio ricorda la valle d'Ansanto e Orazio narra in una satira la sua permanenza a Trevico.
    Alla caduta dell'impero romano d'Occidente anche la nostra provincia fu percorsa da barbari e Abellinum fu saccheggiata da Alarico. La città fu risparmiata dai Visigoti forse scoraggiati dall'asprezza dei nostri monti ma subì successivamente la dominazione bizantina e Abellinum fu occupata dal generale Belisario nel 536. Totila alcuni anni dopo ne fece diroccare le mura.
    Nel maggio del 568 comparvero in Italia i Longobardi che in breve tempo occuparono gran parte della penisola. Mentre il grosso degli invasori si installò nella pianura padana, alcune tribù si addentrarono fin nel sud dell'Italia. Qui, infatti, nel 570 Zotone fondò il ducato di Benevento e da qui si estese, a danno dei Bizantini, in gran parte dell'Italia meridionale. Il territorio fu spartito fra i capi delle tribù dando vita ai ducati (quello di Benevento era il più ampio) che a loro volta erano divisi in distretti detti "acta" o "iudicaria" o "gastaldati". Il gastaldo, a cui era affidato un distretto a tempo determinato, era una persona amica del duca ed aveva potere politico, amministrativo e giudiziario sul territorio ricevuto in consegna. Doveva prendersi cura delle terre e riscuotere i balzelli che andavano al duca. Egli abitava in un castrum, una torre quadrata, per Io più di dieci metri di lato, con l'aggiunta di un recinto e di alcune torri minori, poste intorno a questo maschio centrale. La nostra provincia ne conserva varie vestigia. Alla morte di Zotone divenne duca Arechi I, il quale nei cinquant'anni del suo governo perfezionò la divisione del territorio e organizzò i gastaldati. Dal gastaldo dipendevano i magistrati dei "castella" e dei "loca" detti "judices" o, in termine longobardo, "sculdasci". Essi amministravano la giustizia, assistevano i notai nella stipulazione degli atti pubblici, curavano con i cittadini più facoltosi, detti "boni homines", la riscossione dei tributi locali; avevano anche alle dipendenze un piccolo drappello armato, per il rispetto delle leggi e per l'esecuzione delle sentenze.
    Per quanto riguarda l'economia gli unici settori produttivi erano l'agricoltura e la pastorizia. Le proprietà rurali erano state divise tra i conquistatori in latifondi detti "curtis" e divisi in "res dominica" e in "terra aldionalis" (quella da concedere ai coltiva-tori liberi).
    I Longobardi furono in principio rozzi e violenti, ma a mano a mano si ingentiIirono assimilando la lingua, la religione e la civiltà delle popolazioni locali. Ma una vera fusione tra i due popoli non ci fu mai. Il ceto dei "possessores" rimase formato dai soli Longobardi mentre i vinti diedero origine ad un ceto medio, formato di artigiani e negozianti, e alla classe dei servi, talvolta affrancati o semiliberi.
    In questo periodo l'Italia meridionale era sotto la continua minaccia dei Saraceni che non risparmiarono dai loro assalti nemmeno l'Irpinia e la stessa città di Avellino. Alcuni castelli, infatti, sorsero proprio come difesa dai Saraceni.
    E la storia? Cosa accadeva oltre agli assalti dei Saraceni? Per lo più i gastaldi cercavano di assicurarsi la successione dei territori, frattanto che Benevento si separava definitivamente da Salerno. Il confine tra i due principati passava proprio nell'Irpinia e, per difendere questa linea, fu fondata Torella dal principe di Salerno.
    NeII'XI secolo nell'Italia meridionale giunsero i Normanni riunendo gli staterelli che la formavano in un solido regno organizzato con sistema feudale.
    Da questo momento la storia dell'Irpinia si intreccia con quella del Regno delle Due Sicilie, caratterizzata dai contrasti con il Papa, dai cambi di dinastie, dalle congiure di palazzo. Federico Il (di ritorno dalla Terra Santa) e il Papa schierarono i loro eserciti l'un contro l'altro armati proprio in Irpinia.
    Col cambio di dinastie, passando il sud ai D'Angiò, i feudi dell'Irpinia furono affidati a signori stranieri che non sempre dimoravano in loco. Si possono citare, come esempio, i signori di Monfort dell'alta nobiltà francese, i provenzali Del Balzo, i Cavaniglia d'origine spagnola.
    L'avvento degli Aragonesi turbò alquanto i duchi e i conti irpini. Alcuni di questi erano rimasti fedeli agli Angioini e parteciparono alle due congiure dei baroni sventate dai re napoletani (la prima del 1460-61 e la seconda del 1487-88).
    I nostri baroni e i nostri conti fornivano contingenti militari al re di Napoli; ospitavano gli eserciti regi in transito nei loro castelli sostenendo per questo forti spese che spesso provocavano dissesti finanziari notevoli tanto che bisognava cedere qualche parte del feudo.
    La nostra storia sostanzialmente non subì cambiamenti o scosse particolari né l'economia si trasformò anche quando, alla fine del 1400, le grandi scoperte segnarono il tramonto del Medioevo. Mentre l'Europa e l'Italia settentrionale si modernizzavano, l'Irpinia non fu sfiorata, nell'essenza del suo sistema, da grandi cambiamenti e rimase frastagliata in piccoli feudi e suffeudi. I feudatari continuavano a vivere riscuotendo fide, collette e pedaggi relativi all'uso dei loro possedimenti. Accanto ad essi, gestivano il demanio comunale dei feudi il Sindaco e gli Eletti, cioè i membri delle così dette Università, pallida parvenza delle autonomie comunali e unico centro dì potere popolare in grado di opporsi a quello baronale. I rappresentanti del popolo erano scelti nel gruppo dei galantuomini: affittuari, usurai, amministratori di tenute feudali, ecc..
    Il popolo minuto stentava la sua giornata pagando gli "usi" al feudatario o all'Università per poter raccogliere nei boschi la legna secca, le castagne, le ghiande per i porci, per praticare un po' dì pastorizia e un'agricoltura a volte resa grama dal territorio montuoso, dal clima freddo e dal controllo esercitato sulle culture. Si ha la sensazione che in quest'angolo del mondo la storia si sia fatta piccola; non più echi di grandi battaglie, non più trasformazioni sociali con relative lotte di classe, non avvenimenti destinati alla memoria universale. I documenti locali ci immettono in un intrigo di contese per i confini, per lo sfruttamento delle sorgenti e dei fiumi, dei boschi e dei pascoli. Piccole dispute tra feudatari limitrofi che spesso si dibattevano in gravi problemi finanziari. Qua e là, dai documenti, appare una cultura a volte indulgente alla "schioppettata" risolutiva di ogni controversia o all'azione furbesca e truffaldina. Per il piacere dell'erudizione possiamo ricordare, come esempio, Andronico Cavaniglia, conte di Cassano, che per allargare i confini del suo piccolo feudo aveva prodotto testimoni falsi e aveva cercato di tenere nascoste le informazioni risolutive. Né da meno fu il principe d'Angri di Montella che per spuntarla con i frati di San Francesco nell'intenzione di ridurre a coltura anche la parte del bosco di Folloni dove i frati esercitavano il legnatico, fece incidere nascostamente gli alberi e li fece seccare.
    Per più di 700 anni, tanto è durato il feudalesimo nel sud dell'Italia, gli Irpini hanno vissuto una storia sempre uguale, pesantemente immobile.
    Verso la fine del 1700 si assiste alla crescita sociale dei galantuomini, la classe rampante di tanti piccoli feudi irpini che spesso si è contrapposta ai baroni. Erano affittuari, usurai e governatori di terre, più preoccupati dell'arricchimento personale che non delle lotte di potere. Infatti non vi è una contrapposizione netta tra questa nascente borghesia di galantuomini e il mondo feudale; in realtà si può parlare di un processo di sostituzione e d'erosione visto che l'ambizione di questo nuovo ceto consisteva nel mettere assieme un buon patrimonio, togliendo un pezzo di terra al feudatario, un altro al demanio, un altro ancora alla Chiesa. 
    Per poter trovare i primi elementi di elaborazione ideologica occorre arrivare alla metà del XVIII secolo. Ma questa è un'altra storia...

Anna Andreotti

 


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