Vallata - brevi cenni storici - L'Apostolo delle Calabrie Ven. P. Vito Michele Di Netta - CAPITOLO XX. - Preludii di morte - Serenità di tramonto.

CAPITOLO XX.

Preludii di morte - Serenità di tramonto.

SOMMARIO. — Dopo 37 anni di Apostolato — Prima malattia — Comincia il 1849 — L' apparecchio alla morte — Pregusta il cielo tra gli affanni del male — Uniformato e paziente — Sue belle espressioni — La stanza dell' infermo cattedra di perfezione — Si aggiungono altri mali — Trepidante per la purità—La Messa e poi la Comunione ogni mattina — Prima profezia di prossima morte — Altre che seguono — La notte del 1° Dicembre — Gli ultimi Sacramenti — Visitatori illustri — La mattina del 3 Dicembre — L'ultima Comunione — Agonia placidissima — Morte e chiarore nella stanza — La notizia si diffonde — Funerali — Corteo trionfale — Una bianca colomba sulla salma.


    Aveva di poco oltrepassato l'anno sessantesimo di sua vita il Venerabile nostro, e già sentivasi vicino al suo declinare. Per oltre 37 anni, meno solo il breve periodo in cui la fece da Maestro dei novizi, fu dedito alle pesanti fatiche dell'apostolato e delle Missioni, ed alfine dovea cedere, e pagare il tributo alle debolezze della natura.
    Anche una fibra di acciaio sarebbe venuta meno !... Che dire poi quando si lavora come il Di Netta lavorava? divorato dagli ardori di uno zelo senza confini? ed esplicando il laborioso ministero attraverso le estese ed aspre regioni Calabresi, quando ancora non vi erano i mezzi di viaggiare come ora vi sono?... tanto spesso ospitato in case umide e poco decenti! correndo per delle giornate sotto la pioggia a cavallo di un mulo ! camminando talvolta fino a sei lunghi giorni, come si rileva da alcune sue lettere ! e lavorando quasi sempre in Chiese così poco condizionate, prive di ogni comodità, o quasi cadenti ! ?... E tutto questo, occorre ripeterlo, per un periodo di anni abbastanza lungo, e rimanendo occupato in tutti i dodici mesi dell'anno, senza mai mai un po' di riposo o di sollievo !...
    Il Venerabile Servo di Dio fu assegnato nelle Calabrie, come si disse, in sullo scorcio del 1811, e fino all'anno 1849 lavorò sempre, con energia ognor crescente, e con un' ansia che sembrava febbrile.
    Solo verso i principii del 1847 cominciò a sentirsi veramente male, e fra le nevi della Missione di Morano, ultima città della Provincia Cosentina, fu per soccombere. Ma si riebbe, e ripigliò novellamente il lavoro. Tuttavia ognuno si accorse che l' organismo di lui ormai non ne poteva più, e reclamava un assoluto riposo.
    E qui riportiamo quanto ci hanno tramandato i suoi devoti ammiratori, che è bello assai ed edificante.
    Alla fine di quell' anno medesimo ( 1847) per ordine dei Superiori Maggiori si era recato in Catanzaro per compiere la S. Visita in quel nostro Collegio, ma ivi fu sopraffatto dalla medesima ma latta, che mesi innanzi l'avea già esinanito di forze. Nondimeno se ne rilevò di nuovo, e nel suo zelo, che non infermava nè invecchiava mai, seppe con meraviglia trovare vigore per recarsi da Catanzaro alle Missioni di Filadelfia e di Francavilla, in Diocesi di Mileto.
    Però qui, dove` l'aria non è affatto salubre, egli ricadde per una terza volta, e così gravemente, che d'allora non si riebbe propriamente più.
    L'acuto del male, è vero, cedette dopo un pò, ma sopravvenne l'affanno di petto, l'asma, e poi un malessere generale, che lo facevano indicibilmente soffrire. Egli con tutto ciò non se ne lagnava con chicchessia, e le sue espressioni ordinarie fra le molestie della infermità erano solamente queste: Sia fatta la Volontà di Dio! Oppure: Dio ha sofferto tanto per me, ed io è poco quello che soffro per lui.
    Sofferente così giunse fino al principio del 1849, e il 16 di detto anno poteva scrivere al fratello Pietro, che gli raccontava pure egli di malanni: « Mi dispiace che siete acciaccato... io sono visitato dall'asma e dal dolor di petto, per cui non posso più uscire alle Missioni. Facciamo la Volontà di Dio, ed apparecchiamoci alla morte ».
    Ed alla morte egli veramente si apparecchiava. Però in un modo singolare e tutto suo proprio, cioè col non intermettere tuttavia per quanto il poteva dal lavorare al bene delle anime. Alle Missioni non poteva recarsi, e questo per lui era un soffrire, maggiore assai del soffrire delle infermità, ma in Comunità e nella propria Chiesa non è credibile come si sforzasse per prestarsi a tutto. Non volle tralasciare neppure alcuna osservanza di regola, e scendeva in Chiesa a confessar donne, appoggiato alla sua inseparabile cruccia, ma talvolta così pallido e affannoso, da commuovere fino alle lacrime, ed edificare quanti aveano la fortuna di rimirarlo.
    Soltanto negli ultimi due o tre mesi fu costretto rimanersene del tutto in camera. Ma anche là, consigliava, dirigeva, confessava tutti coloro che vi si recavano... Nei momenti poi in cui era lasciato libero, stavasene tutto assorto in Dio, quasi a pregustare l' ebbrezze che gli erano preparate in cielo.
    Di cotali ebbrezze egli dava chiaro a divedere quanto ne gustasse !... Difatti tra le sofferenze delle sue svariate malattie non mostrò egli pazienza soltanto e santa uniformità, ma pure una cotale giovialità e santa allegrezza di spirito, per cui faceva meravigliare quanti lo circondavano.
    S. Gregorio disse che colui il quale giunge alla fine di sua vita sicuro nella sua speranza e nel merito di ciò che operò, si avvia lieto incontro al giudice, non teme di sua morte, e giubila di, sua prossima retribuzione.
    Tale era il Servo di Dio nostro. Narrano i contemporanei « che andandolo a visitare, lo trova-,vano sorridente nella sua povera celletta, e col bastone che aveva in mano spesso batteva dolcemente la terra, dicendo: Il Signore bussa, dobbiamo partire da questo inondo... Benedetta la sua misericordia... Ed altre consimili parole, piene di santa letizia e cosparse di tenerezza indicibile.
    Si pervenne intanto alla seconda metà del 1849, epoca in cui alla prima infermità se ne unirono altre penosissime, quali furono idrope al cuore e trattenimento di orina: passava perciò le notti insonni, e tra gli spasimi del male. Tuttavia si guardava bene d' incomodare colui che rimaneva in sua camera per assisterlo. Era sempre uniformato, sempre paziente, nè si udivano dalla sua bocca se non espressioni ch'erano un misto diu miltà, di rassegnazione, di amore al suo Dio: Signore, tutto è poco quello che soffro, dammene ancora più. Sia fatta la volontà di Dio. Signore, tutto per te...
    Incoraggiato un giorno a soffrire da un suo penitente, rispose: Figlio, fate che pianga i miei peccati, non è niente... soffro assai, è vero, ma Dio così vuole, e bisogna essere contento.
    Un altro giorno il Can. D. Vincenzo Scordamaglia, che era pure suo penitente, gli disse che faceva far preghiere per la di lui guarigione. No, no, figlio, rispose tostamente, io sono tutto rassegnato; solo Dio è necessario. E dopo una pausa: Signore, tutto è poco per i peccati miei; più, più, più...
    In tal maniera la stanza del caro infermo era divenuta come una cattedra di sublimi ammaestramenti. Il Venerabile Servo di Dio insegnava coi suoi esempi di eroica pazienza, e di una rassegnazione senza pari. Egli abituato a correre per la più gran parte dell' anno le estese regioni Calabre, ascendere cime alpestri , come inabissarsi in vallate profonde e oscure; abituato a capo di scelti drappelli ad ingaggiare guerre formidabili al peccato ed all'inferno, e a domare immense turbe, per lo innanzi foreste come le terre in dove abitavano, assuefatto alla vita estremamente attiva dell'apostolo... vedersi ora del tutto inabilitato, soffocato dall'affanno dell'asma, indebolito di cuore, in preda a malattie che richiedevano cure per cui tanto ne soffriva la modestia... e tuttavia mostrarsi paziente, sempre sorridente, sottomesso ai voleri divini, ed esclamare che tutto era poco pei suoi peccati... non era questa una vera scuola bella e grande, come fu la scuola del Calvario?
    Eppure ad un altro sacrifizio fu chiamato. t un mistero quello per cui Dio talvolta dai suoi servi chiede una prova suprema nell' ultimo dei giorni loro, sottomettendoli a dei mali, per curare i quali ne soffrono le virtù più delicate e candide. Di quale sforzo eroico non hanno essi bisogno ! È come il loro Calvario! dal quale però la loro virtù, lungi dall'appannarsi menomamente, n'escie più bella e più tersa.
    Il Servo di Dio nostro sappiamo che da bamboletto ebbe trasporti speciali per la modestia e per la verginità. E da grande lo mostrò con il supremo riserbo che egli usava per custodirla, con le rigide mortificazioni cui sottoponevasi per rintuzzare gli stimoli dei sensi, e con l'impegno speciale che poneva per infonderla negli animi giovanili, cui egli piacevasi di disposare a Gesù Cristo. Ora in questo estremo di vita, agli altri mali si aggiunse quello pure di aver bisogno della mano chirurgica, che pareva profanasse in una cotal maniera le candidezze di suo pudore... Egli si chinò tuttavia a subire una cotale operazione, perchè l'obbedienza glielo comandò, ma si sentiva come ferito nella pupilla degli occhi suoi, e ripiegando il capo, ripeteva gemendo: Oh! purità del P. Di Netta! Oh! purità del P. Di Netta, dove sei andata ?
    In tali riscontri però, doppiamente dolorosi per lui, il solo sollievo lo trovava in Dio, e nelle sue divine disposizioni. E perciò egli finchè potè, anche a costo di sforzi indicibili, celebrò tutte le mattine. In prosieguo , quando il male glielo impedì del tutto , servendosi dei privilegi dell' Istituto , fece rizzare un altare nella propria camera , e quivi ascoltava la Messa, che gli celebrava un Padre, e faceva quotidianamente la Comunione. Da questo alimento celeste, da questa sorgente misteriosa, a cui i Santi sanno attingere meglio che non gli altri tutti, otteneva quanto gli abbisognava per purificarsi sempre meglio, per abbellire ancora più il proprio spirito, e rendersi più degno di assidersi al convito eterno...
    Intanto da tutti si cominciava ad essere trepi- danti di perderlo prossimamente, e in tutta Tropea e dintorni omai era un lutto come per una perdita comune. Le ansie si leggevano su di ogni volto, e da tutti si pregava con grande fervore, specialmente poi da coloro che erano stati da lui guidati e diretti nello spirito.
    E tali trepidante diventavano certezza per molti, che avevano potuto raccogliere alcune sue parole in riguardo al termine dei giorni suoi. Il santo Servo di Dio infatti lo avea profetato chiaramente, e aveva perfino indicato il giorno preciso di sua morte.
    Sei mesi innanzi, e propriamente nel giugno del 1849, avea detto al P. Primicerio: Io morrò nel giorno di S. Francesco Saverio, l'Apostolo delle Indie. Il P. Primicerio era singolarmente caro al Servo di Dio, perchè stato di lui novizio, ed amava il caro infermo con particolare dilezione. Mostrando perciò maggiore afflizione e pena di sua dipartita, il Servo di Dio, quasi a consolarlo che vi era ancora del tempo, aveva voluto assicurarlo con le cennate parole.
    Inoltre nel giorno dei morti, 2 novembre, che fu l' ultimo nel quale stentatamente volle provare di scendere in Chiesa, andò ad ossequiarlo la Sig.na Alfonsina Basile sua penitente, ed a questa, quasi per licenziarsi, avea soggiunto: Tra poco muterete confessionale. Intendeva egli parlare della sua prossima morte—sebbene la Basile, ascoltando il suo cuore, per allora non volle badarci, e credè solo alla predizione, quando la vide avverata a capo di un mese.
    La notte poi del I° dicembre fu aggravatissimo in modo speciale. Si temeva anzi che in quella notte finisse; ma egli rivolto al P. Mazzei D. Angelo che lo assisteva, affettuosamente disse: Figlio, andatevi a coricare, che io stanotte non muoio; deve arrivare il giorno di S. Francesco Saverio, che fu l'Apostolo delle Indie.
    Cotali parole adunque, che eran passate per le bocche di tutti, erano sufficienti a fare trepidanti i cuori, e le ansie crescevano all' avvicinarsi del giorno designato. Tutti poi erano portati a crederlo, sapendo che nel Padre Di Netta parlava il santo, ed anche perchè nel giorno 3 dicembre, sacro al grande Saverio, ci vedevano singolari rapporti tra l'uno e l'altro, rapporti di apostolato e di santità.
    Siffatta credenza diventò certezza, quando il Servo di Dio, non contento della Comunione che faceva ogni mattina, chiese da sè medesimo i SS. Sacramenti del Viatico e della Estrema Unzione. Fu contentato: e da quel momento i suoi Confratelli tutti nol lasciarono più... ne circondavano il letto in ogni ora del giorno e della notte, muti e lacrimosi...
    Con i Confratelli si univano tutti gli altri suoi discepoli ed ammiratori, e la stanza di lui era frequentata da Sacerdoti, Canonici e Dignitari, che commossi ivi si recavano per ,averne notizie.
    Andò pure a visitarlo la mattina del 2 dicembre il Vescovo della città, Mons. Franchini. Il Servo di Dio poteva dirsi prossimo all' agonia, ed il Vescovo gli si avvicinò per baciargli la mano. Il Di Netta, come scuotendosi, non glielo permette, e facendo uno sforzo si solleva a baciargli il sacro Anello, dicendo: Devo io baciare la mano e i piedi a Vostra Eccellenza. Poi ne volle la benedizione pastorale. Mons. Franchini gliela impartì con effusione, ed uscendogli di stanza lacrimoso e commosso, esclamò: E veramente un santo il P. Di Netta.
    E si giunse alla sera del 2 dicembre. Tutti di Comunità gli erano in camera, ed egli rimirandoli sorrise loro, e poi con sentimento di grande umiltà, disse: Chiedo a tutti perdono se mai ho dato qualche cattivo esempio!... E li benedisse affettuosamente... Nessuno ebbe cuore di dir parola, e si pianse da tutti.
    La mattina seguente arrivarono due altri medici da Nicotera, chiamati appositamente. Tennero consulto, e il Servo di Dio domandò al P. Primicerio sul giudizio di loro. Gli fu risposto che avevano diagnosticato grave il caso , ma la fine non prossima ancora. Ed infatti, a giudicare da tutto l'assieme, la morte non pareva tanto prossima. Egli sorridendo disse invece: Figlio, non credete, andate in Chiesa, e celebrate per la mia agonia. Poi tornate qui che vi aspetto. Il Primicerio obbedì, e tornato, il Servo di Dio era ancora in vita.
    Erano circa le otto, ed il caro infermo chiese riconciliarsi per rultima volta. Indi fece la Comunione. Chiuse poi gli occhi, e stette per dei momenti tutto assorto unito col suo Dio.
    In tal maniera entrò in un'agonia placidissima, se agonia deve chiamarsi il po' di tempo che precedè immediatamente alla sua morte. Infatti vari dei testimoni affermano che il Servo di Dio finì sua vita senza agonia. Era circondato da tutti i Padri e Fratelli di Comunità, che pregavano in silenzio, e l'amatissimo Padre conservando tutta la coscienza, e col sorriso sul labbro, fa un atto di amore, mormorando: Eccomi qui Gesù mio, eccomi... indi facendosi il segno della croce, e volgendo gli occhi al Cielo, ivi con la sua bell'anima indirizzò il volo...
    Era spirato!... Gli astanti quasi non se ne avvidero... Erano le ore nove di mattino del 3 dicembre 1849.
    Nella stanza tosto brillò un'insolita luce, secondo attestano vari dei testimoni. La Sig.ra Teresa Bagnati così depone: « Mi trovavo in casa della mia maestra Alfonsina Basile, che era proprio di fronte alla stanza dove moriva il Servo di Dio. Erano circa le ore nove antico. La maestra afflitta, perchè il suo confessore agonizzava, c'impose silenzio, e poi disse : Preghiamo la Madonna. Ci inginocchiammo vicino al balcone, e incominciammo le litanie. Giunti alle parole : Salus infirmorum — Refugium peccatorum: una luce insolita sfolgorò nella stanza ove noi eravamo partendosi da quella del Servo di Dio, e immantinente si disse: Il Padre Di Netta è spirato ».
    Al suono della campana vi fu un lutto e un rimpianto universale, che come lampo pervase tutta la cittadinanza di Tropea, già preparata al triste annunzio. La notizia si diffuse dapertutto, ed un vero pellegrinaggio si organizzò di Signori, Dignitari del Clero, Parroci... che commossi si avvicinavano alle sue spoglie per venerarle, e baciarne la mano.
    I funerali furono stabiliti per la mattina seguente, da celebrarsi nella medesima Chiesa dei Padri Liguorini, ed essi riuscirono, per attestazione di tutti, uno spettacolo singolare di pietà, di stima, e di onoranza all' uomo giusto.
    Ecco quello che afferma il Rev.mo Decano D. Giuseppe Barone: « I funerali del Servo di Dio non trovano riscontro in Tropea... La solenne Messa di requie fu pontificata dallo stesso Monsignor Vescovo con l'assistenza di tutto il Capitolo ed il Clero, Canonici e Parroci, Sacerdoti e Seminario , e con una folla di popolo indescrivibile, perchè non era di Tropea soltanto, ma da tutti i villaggi vicini , dov'era arrivata la triste nuova ».
    L' elogio funebre fu letto dal P. Fimmanò fra le lagrime incessanti, e di lui che leggeva, e degli uditori.
    Per tre giorni la salma rimase esposta in Chiesa, per soddisfare il pio desiderio dei numerosi accorrenti, che non si saziavano di baciargli la mano, e di tagliuzzarne le vesti, per portarsene' seco, almeno un filo, quale reliquia preziosa.
    Indi nelle ore pomeridiane del - dicembre fu ordinato il corteo per accompagnare la venerata spoglia alla tomba di famiglia del Sig. D. Francesco Di Tocco, nella Chiesa suburbana di S. Maria del Carmine. Il cielo era sereno, come di primavera, e in tutti vi era un'animazione ed un'aspettativa come si disponessero ad una festa. E festa fu. Lascio parlare ad un testimone oculare, il Rev.mo Arciprete D. Giuseppe Canonico Moschitti: « Le sue esequie, egli dice, furono splendide, anzi straordinarie ed uniche... Singolare l'associazione del suo cadavere. Esso fu accompagnato dall'intero Clero, signori, popolo, e gentildonne, e fino alla sepoltura, assegnatagli fuori le mura della città. Ho detto singolare, perchè il Capitolo per le sue costituzioni non associò mai cadaveri, i quali si tumulavano nelle Chiese suburbane, nè la popolazione, e molto meno le signore, seguivano mai funerei convogli ».
    La salma fu portata per le vie principali della città, come in trionfo. Gli animi erano in preda ad una specie di entusiasmo, e si voleva rendere così all'amato Padre, come un estremo tributo di profonda e sentita riconoscenza, a Lui, che aveva amato tanto Tropea sino a sacrificarsi tutto per essa, che le avea dato tutte le sue energie, e l'avea imbalsamata per trentasette anni con l' odore di sue virtù...
    E il cielo pure parve sorridere a siffatta dimostrazione. Perchè se vogliamo credere al Parroco di S. Demetrio, D. Girolamo Culace, quando la salma passò per dinanzi al Vescovado, là in quella largura, al cospetto di immenso popolo, fu vista librarsi una colomba bianca sul volto di lui.
    Fu un grido di ammirazione in tutti. E il detto Parroco, commosso più degli altri, si sentiva esclamare per tutta quella sera, ed altri giorni in appresso : « Oh! il P. Di Netta è veramente un santo, è un santo ».

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