EROI GLORIA D'ITALI - Tommaso Mario Pavese - Echi di guerra e richiami della storia.

2.- Echi di guerra e richiami della storia.

        Ricordate, o Signori, le fulgide giornate del maggio 1915 ? La guerra fu sentita dagl'Italiani come un imperioso, prepotente bisogna: il nuovo sole, risvegliando energie di tempi antichi, faceva risfolgorare ideali antichi, e nuovi: mai un più fecondo lievito di propositi era germogliato!... O sole di Roma, nulla più grande del cuore e del sangue italico tu possa vedere, mai ! E un'eco venne, come di battaglia, venne da Trento, venne da Caprera, balzò dal mare, scosse la frontiera: pronte erano le invitte galee ne' sinuosi gorghi; vogavano le ardite prore i taciti insidiosi flutti; ed il maglio cadenzava nelle officine gl'inni di guerra cantati dagli operai baldi. Guerra conclamarono i villaggi e le cento città; dalle Alpi di Trento, ammonendo severo, incitò Garibaldi; e ne l'acque tristi e lugubri di Lissa, ombra invendicata, balzò in armi, fremendo, Cappellini: non più in ritmi giulivi di canzone, ma in aspri ritmi di guerra scorrevano, mormorando, i patrii fiumi, si frangevan, cozzando, le onde del mare; ed un rinnovato ardore di camicie rosse agitò l'Italia... Torna, o Garibaldi, fu il rinnovato grido della gioventù italiana; e quanti eran ne gli atenei gittaron via i libri; o Garibaldi vieni, e quanti erano nei campi e nelle officine buttaron le zappe, le scuri, i martelli faticosi, e s'armarono per la guerra. Maggio più fervente in terra non fiori. -- E Garibaldi venne, nume sempre presente quando la gioventù battagliera d'Italia deve sorgere in armi; e uno spirito veramente da camicie rosse invase le nuove legioni, che Cadorna organizzò e condusse alle prime molteplici vittorie, Capello ed il Duca d'Aosta, temprandone sempre più gli spiriti, condussero a veri atti di eroismo; e Diaz, cogliendone il frutto, guidò alla vittoria finale. Le madri, le mogli, le spose ripetettero gli accenti delle donne spartane: balenò negli occhi un lampo di sdegno e d'ira: dalle cinque giornate di Milano ai lutti di Trieste, da Radetzky a Conrad ed a Francesco Giuseppe, le gesta criminose degli Austriaci, le minacciose preparazioni ed aggressioni contro l'Italia non furono dimenticate. Non tanto contro te, o popolo intero d'Austria, suonò la nostra rampogna e la nostra esecrazione: bensì noi Italiani vituperammo specialmente te, crudele e bieco imperatore, che vieni dall'Austria tra noi con l'ugualmente ignominioso Radetzky, e dài motivo a far sorgere, per la nuova gloria d' Italia, le cinque fulgide giornate di Milano e l' eroico valore di Balilla; noi Italiani odiammo te, generale Conrad, che turpemente, vigliaccamente aspetti che il terremoto colpisca Toscana, Calabria e Sicilia, prostrando nel dolore e nel terrore l'Italia tutta, per svolgere ed eseguire la lungamente meditata aggressione alla patria nostra; noi odiammo anche voi, soldati, graduati, ufficiali tedeschi, che fate pompa di prepotenza, di barbarie e di ferocia, combattendo con le mazze ferrate, con le pallottole dum dum e coi gas lagrimogeni ed asfissianti, assalite, uccidete donne inermi, e vecchi, e fanciulli, ed inveite in massa contro il prigioniero, derubandolo; e stuprate deboli donne e bambine, voi schifose, luride, immonde soldatesche d'Austria e di Germania, che fate tra voi stessi oscena orgia e commercia dei vostro sozzo corpo impuro, nelle scuole militari, negli accampamenti e financo nei locali di sanità. Sia ignominia a te, o casa d'Absburgo, fontana, finalmente esausta! di crudeltà, di corruzione e d' incesti colmi di ludibrio, che facevi uccidere per le strade i pacifici popolani e gli studenti che non volevano rinnegare la loro madre patria; che sacrificasti Guglielmo Oberdan, Nazario Sauro e Cesare Battisti: sia eterna ignominia a te, infame imperatore che, covando nel cuore la ferocia e la strage, invochi pure, con mentita fede, Iddio, di cui vanti la protezione; quel Dio che invece, ben distinguendo l'oro buono dal falso, la verità dall'inganno, gli oppressi in cerca di libertà ha esaltati, l'orgoglio rivestito di orpello ha condannato, ed ha finalmente schiacciati, umiliati, avviliti gli oppressori.

Ben talor nel superbo viaggio
Non l'abbatte l' eterna vendetta; Ma
lo segna; ma veglia ed aspetta; Ma
lo coglie all'estremo sospir.

        Garibaldi, dunque, tornò; e l'indomabile ardore garibaldino sembrò anzi non fosse stato mai spento. Gli antichi spiriti indigeti, memori, avevano scoverchiate le loro urne, ed un luccichio di lame temprate e di fucili era guizzato per V Italia nostra: le riarse ceneri degli eroi avevano incendiato gli animi della nuova generazione. Ed ì giovani si armano, affrettano col desiderio il momento della loro chiamata: partono i soldati e, dai balconi, dalle strade, dalle ferrovie, le donne e gli amici salutano con evviva, con bandiere, con sorrisi e con grida di urrah i partenti. Fremete liberi al vento, o vessilli tricolori; intonate, o fanfare, i baldi inni di guerra, la nuova Italia avanza !
        E come a Mentana, come a Calatafimi, furono garibaldini gli assalti de' novelli guerrieri ad Oslavia, al Peuma, a Gorizia, al Sabotino, al San Gabriele, al Monte Santo. Emule di Anita, alcune donne italiane furono prodighe di soccorsi e di aiuti ad ufficiali e soldati. L' entusiasmo del popolo italiano, anche di quello non combattente, fu sempre desto, resisté a tutti gli tinti, alle alterne vicende or liete or tristi della guerra, pur nell' angoscia non venne mai meno, e concorse alla vittoria.
        Nel mare intanto, fra gli scogli, nei gorghi profondi, i nostri marinai meditano l'attacco, e gli Austriaci, sicuri nei loro porti, ricusan battaglia: i fanti valicano già baldi gl'ingiusti confini assegnatici dalla politica de' trattati, ed i primi successi arridono alle armi nostre.
        La gioventù d' Italia aveva fortemente palpitato, giacchè, l' ideale del patrio riscatto, rifolgorando, si era iridato novellamente di mille splendori, si era ripercosso in mille cuori, riacceso in più vaste speranze. Ogni soldato divenne così un milite, ogni milite fu un valoroso, ogni valoroso un eroe. Lo straniero, viaggiando quei giorni per l' Italia, la sentì pervasa da uno spirito nuovo: si eran sentite fremere le ossa dei padri antichi, crepitare le colonne, i monumenti, gli archi vetusti; si rividero ancora una volta, nei pensiero, muovere da Roma le antiche coorti vittoriose. Urrà, evviva! E le fiamme de' patrii vulcani pik vivamente saettarono, e nel limpido cielo d'Italia balenaron vividi riflessi di acciaio, e le canzoni sussurrate dai mari e dai fiumi patrii si mutarono in ritmi di solenne epopea. Urrà, evviva ! E quanti erano atti alle armi impugnarono la spada; e quelli che le armi non potevano brandire, donne, vecchi, ragazzi prepararono gli ordigni di guerra, l'indispensabile vestiario e gli alimenti; e quante erano anime pie affrettarono, con le preghiere e coi voti, il giorno della nostra vittoria finale.

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