GERARDO DE PAOLA - ZINO E... MISTERO - f) Il giorno del Signore

f) Il giorno del Signore
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        In questo nostro iter pastorale ricordiamo che le due scelte preferenziali (giovani e famiglia) sono state ulteriormente approfondite nel VI Convegno diocesano (15-18 settembre 1987).
        Il tema del VII invece (13-16 settembre '88): "Religiosità e feste popolari. Impegno per un rinnovamento liturgico-pastorale", ha sollecitato la comunità ad una verifica generale di tutta la pastorale diocesana, attraverso la spia del rinnovamento liturgico, voluto dal Vaticano II, sulla falsariga della nota pastorale della CEI "Il giorno del Signore".
        E' stato il simpatico e coinvolgente relatore Don A. Di Donna a guidare queste giornate di pausa e di riflessione, partendo da una provocazione: l'Eucaristia celebra oggi, in modo secolarizzato, il mistero pasquale di Cristo, sorgente e causa di salvezza per l'umanità.
        Lo svolgimento del rito, affermava, non sempre e del tutto è adeguato ad esprimere il mistero che celebra, in quanto poco significativo, poco incarnato nel contesto attuale. Invitava a non cedere certo all'interpretazione soprattutto giovanilistica che il rito debba "piacere" (non si partecipa all'Eucaristia per il piacere), ma invitava pure a riconoscere che il rito non sempre è celebrativo della vita.
        Ricordava a questo punto una puntuale analisi del Card. Martini:l'uomo contemporaneo ha messo tra parentesi il valore del "segno", della dimensione celebrativa, rituale della vita, per cui anche la liturgia ne risente. L'uomo oggi ha una cultura di natura positivistica, è poco portato all'esperienza simbolica, all'interpretazione dei segni, al linguaggio religioso, per cui cade più facilmente in questa disaffezione all'Eucarestia.
        Dobbiamo poi ammettere pure che la nostra catechesi è una catechesi di indottrinamento, che riduce la fede a intelligenza, razionalità, semplice dottrina, che mette in disparte la dimensione celebrativa della vita.
        In conseguenza di ciò, abbiamo un quadro così sintetizzato dal n° 61 di "Eucaristia, Comunione e Comunità".
        a) molti cristiani vivono senza Eucaristia;
        b) altri fanno Eucaristia, ma non fanno Chiesa;
        c) altri celebrano l'Eucaristia nella Chiesa, ma non vivono la coerenza dell'Eucaristia.
        La nota pastorale della CEI ai nn 18 e 19 aiuta pure a partire dal significato della "festa" in un mondo secolarizzato, per animarla all'interno del significato del "giorno del Signore e della Chiesa", come ricordano i nn. 8-17.
        In una parola, la disaffezione all'Eucaristia è dovuta soprattutto alla crisi di fede, come già ricordava la Costituzione su la Sacra Liturgia al n 9: "... prima che gli uomini possano accostarsi alla liturgia, è necessario che siano chiamati alla fede e alla conversione", donde l'urgenza della Evangelizzazione.
        In tale spirito, un Vescovo meridionale, Mons. Magrassi, aveva lanciato un appello a tutta la Chiesa italiana: "Meno Messe e più Messa".
        Di fronte alla situazione surricordata, in quel Convegno ci si propone tre obiettivi ancora validi:
        a) privilegiare l'annunzio, con conseguente cammino di fede che parta dal "convertitevi", per arrivare al "fate questo in memoria di me", sfociando nella "testimonianza della carità";
        b) riscoprire il senso della festa, per aiutare l'uomo contemporaneo a far festa, in un cammino di liberazione non solo "da", ma soprattutto "per";
        c) rivitalizzare le nostre celebrazioni domenicali, con l'impegno di tutti, per aiutare la gente a passare dallo "ascoltare" la Messa a "vivere" nella gioia la Messa, per poi continuarla nella vita.
        Il n. 28 della nota invita ad avere "massima comprensione ed attenzione, unite a fermezza e coraggio" nel combattere abitudinarismo,... ritualità,... superficialità,... spettacolarità,... formalità, estraneità, passività...
        Il n 40 conclude: "... E' necessario tornare a far festa. E festa è letizia, volontà di stare insieme, gioia di parlarsi e di prolungare l'incontro, è convivialità, è condivisione, è riposo e anche sano divertimento.
        Tutto ciò è autentico quando si radica nella gioia cristiana; nessuna festa è vera, se non si esprime nella letizia, che viene dalla comunione con Dio, che edifica e sorregge la comunità ecclesiale, che è segno di speranza da dare al mondo.
        La gioia di questo incontro con Cristo e con i fratelli non potrà certo esaurirsi tra le pareti del tempio, ma dovrà tradursi in segno di speranza per il mondo, attraverso un costante impegno di testimonianza all'esterno.
        Nell'Eucaristia il dono diventa responsabilità e chiede di essere condiviso: la chiamata diventa "missione", come puntualizzano i nn 13 e 14 della nota.
        Solo così si potrà superare lo scandalo di una profonda e ostinata frattura tra Messa e vita, condannata da Gesù, nel filone biblico-profetico, con parole roventi, sempre attuali: "questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me".
        L'Eucaristia deve diventare una "bomba esplodente " in condivisione, solidarietà, agàpe, oblatività fino al dono totale, fino al martirio.
        Da queste riflessioni comuni al Convegno è scaturito il bisogno di proporsi delle mete:
        a) recupero della domenica come "giorno della carità" (n 14 nota);
        b) catechesi mirante al recupero della dimensione comunitaria della Chiesa, come Chiesa eucaristica (n 9 nota);
        c) recupero della unità delle tre dimensioni della Chiesa: Parola, Liturgia, Carità (nn 11-12 nota) - Una catechesi senza liturgia e carità è solo indottrinamento, spiegazione illuministica;
        - una liturgia senza catechesi e carità è puro ritualismo;
        - una carità, che non sia verifica della catechesi e della liturgia di vita è "fuoco di paglia", anello debole della catena che getta un'ombra di sospetto sull'autenticità della catechesi e della liturgia; quando una comunità non vive la carità, c'è molto da dubitare sia della catechesi che della liturgia.
        Così la domenica, giorno della missione e della carità, porterà di conseguenza anche al rinnovamento della religiosità popolare, da cui sempre bisogna partire per annunciare Cristo.
        La fede in astratto non esiste, perché è immersa nella religiosità popolare, umana, espressione legittima di cultura, di mentalità: esistono, persone che esprimono la fede in un certo modo.
        Le due realtà, fede e religione, non si identificano, ma sono in tensione: tensione tra cristianesimo profetico di una minoranza, che piglia il Vangelo nella sua radicalità, "sine glossa" e cristianesimo di moltitudine, di massa: non "aut aut" ma "et et".
        Paolo VI, uno dei più grandi profeti del nostro tempo, ancora da riscoprire, nella "Evangelii nuntiandi" aveva fatto notare che il male più grande del nostro secolo è la frattura tra Vangelo e Cultura: di qui la verniciatura cristiana esterna, con contenuti che sanno di paganesimo.
        Del resto, la strategia pastorale nella storia della Chiesa, con alterne vicende, è stata sempre fluttuante tra rigorismo profetico di minoranza e prassi più possibilista di massa: questa deve essere continuamente illuminata da quello, con una testimonianza di vita alla luce del Vangelo.
        E' stato questo il motivo di fondo per cui i Vescovi in Italia, in un momento di fermento profetico, hanno lanciato il loro appello, da tanti già dimenticato, per gli anni '90, "Evangelizzazione e Testimonianza della Carità".
        Oggi, invece, forse in conseguenza del dilagante relativismo morale e del soffocante perbenismo del nostro cristianesimo di facciata, nonché della recente umiliante sconfitta della tanto proclamata unità dei cattolici in politica, nel generale disorientamento del mondo cattolico e in una prassi pastorale più possibilista di massa, quell'appello profetico per gli anni '90 pare che sia caduto in oblio proprio da parte dei Vescovi che, nell'assemblea generale CEI (Roma, 16-20 maggio u.s.) hanno assunto un pavido atteggiamento di attendismo, ricusando chiaramente di avventurarsi nei poco rassicuranti marosi dei nodi pastorali.
        La loro pavidità ha spinto ad un ritardo persino nella progettazione del Convegno ecclesiale del prossimo anno sull'Evangelizzazione della Carità.
        Il grande assente infatti dalle relazioni e dai lavori di questa "paventosa" assemblea (Il Petrarca direbbe: "Popolo ignudo, paventoso e lento") è stato proprio il piano pastorale su Evangelizzazione e Testimonianza della Carità", limitandosi l'assise ad un semplice ruolo amministrativo, in attesa di riformulare una strategia a "grande cabotaggio". Almeno si spera e... al più presto!
        Un sicuro modello di riferimento per la CEI, potrebbe essere il nostro conterraneo S. Alfonso, il più grande Evangelizzatore della Pietà popolare, per trasformarla in autentica Cultura cristiana.
        Il tema della frattura tra Vangelo e Vita resta ancora di bruciante attualità, tanto che il 2° Convegno Regionale Campano nei gg. 16 e 17 settembre '93, si è svolto all'insegna di "La Liturgia: Espressione della fede e fonte della carità".
        Avendo partecipato personalmente a tale Convegno, in volontaria "singolarità", ritengo opportuno offrire ai lettori una carrellata di aggiornamento alla luce del Catechismo della Chiesa Cattolica, definito questo da Giovanni Paolo II nella Fidei depositum (n 4) "uno strumento valido e legittimo a servizio della comunità ecclesiale e come una norma sicura per l'insegnamento della fede".
        La seconda parte del CCC (nn 1066-1690) tratta della Celebrazione del Mistero cristiano. Ma già dal dicembre 1988 nella Vicesimus quintus annus (4,22) il Papa aveva ricordato, in conformità della SC, che la liturgia , pur non esaurendo tutta l'attività della Chiesa, "... è una sorgente e un vertice".
        E' una sorgente perché, soprattutto nei sacramenti, i fedeli attingono abbondantemente l'acqua della grazia, che sgorga dal fianco del Cristo Crocifisso.
        Per riprendere un'immagine cara al Papa Giovanni XXIII, essa è come la fontana del villaggio, alla quale ogni generazione viene ad attingere l'acqua sempre viva e fresca.
        E' un vertice, sia perché tutta l'attività della Chiesa tende verso la comunione di vita con Cristo, sia perché è nella liturgia che la Chiesa manifesta e comunica ai fedeli l'opera di salvezza compiuta una volta per tutte da Cristo.
        Dal Vaticano II, puntualizzava al detto Convegno Mons. Lorenzo Chiarinelli, vennero i principi direttivi della riforma:
        - la liturgia come attualizzazione del mistero pasquale (SC 5);
        - la presenza, abbondante e viva della Parola di Dio nella celebrazione (SC 35; DV 21 );
        - la celebrazione liturgica come Epifania della Chiesa (SC 41).
        Evidentemente, continuava il relatore, le applicazioni dei principi e degli orientamenti conciliare hanno sortito espressioni felici, ma hanno anche incontrato difficoltà, rivelato limiti di prassi pastorale e perfino sortito esiti non coerenti.
        Ma "il grande soffio che sospinse la Chiesa" in quel momento, come si esprime Giovanni Paolo II, è dono dello Spirito tuttora vivo e fecondo (Cfr Vicesimus quintus annus, 23; Sinodo dei Vescovi del 1985).
        A trent'anni dalla promulgazione della SC (4 dicembre '63), il CCC in tutta la seconda parte offre una visione ricca, organica, matura della Celebrazione del Mistero Cristiano, al cui confronto si può misurare il cammino percorso dalla Chiesa in tutto il trentennio.
        Nella "Celebrazione del Mistero Cristiano", che è "Mistero della fede", si può cogliere la meravigliosa unità del "Mistero di Dio":
        - professato (prima parte del CCC: la professione di fede),
        - celebrato (seconda parte: la celebrazione del mistero cristiano),
        - vissuto (terza parte: la vita in Cristo),
        - pregato (quarta parte: la preghiera del credente).
        La seconda parte si articola in due sezioni:
        a) la prima tratta della economia sacramentale;
        b) la seconda tratta de "i sette sacramenti della Chiesa". Conseguentemente, la "categoria della sacramentalità" innerva e unifica le due sezioni e diventa chiave interpretativa del disegno salvifico.
        Il CCC (Cfr nn 1070-1108) aiuta anzitutto ad immergersi nella sorgente trinitaria, risalendo:
        - al Padre, principio senza principio, approdo definitivo della nostra storia,
        - per mezzo di Gesù Cristo, che nell'organismo vivente della Chiesa attua e comunica la sua opera di salvezza fino al compimento,
        -nello Spirito Santo, memoria, presenza e profezia che dà vita e voce alla Sposa che grida "vieni", in attesa della comunione beatificante, delle nozze eterne nella Gerusalemme celeste.
        E' così, sintetizzava il relatore, che la vicenda umana, proprio a partire dal seno della Trinità, diventa storia di salvezza e l'ineffabilità e trascendenza della Santa Trinità diviene dispensazione (economia), comunicazione che innerva, redime, ricrea, santifica tutte le realtà umane e i dinamismi della creazione.
        Ma tutto ciò avviene qui e ora, nel tempo, per l'uomo: e, dunque, si attua mediante i segni. Nella "sacramentalità" si intesse il dialogo della salvezza tra Dio e l'uomo, in virtù della luce del "Verbo che si è fatto carne".
        Ed ecco la pedagogia divina dei segni: i segni del mondo degli uomini; i segni dell'Alleanza; i segni assicurati da Cristo; i segni sacramentali (CCC nn 1145-1152).
        Ed ecco la "teologia dei sacramenti": sacramenti della fede; sacramenti della salvezza; sacramenti della vita eterna (CCC nn 1113-1130).
        Il Catechismo riporta a quest'ultimo numero la meravigliosa sintesi di S. Tommaso: "Il sacramento è segno commemorativo del passato, ossia della passione del Signore; è segno dimostrativo del futuro prodotto in noi dalla sua passione, cioè della grazia; è segno profetico, che preannuncia la gloria futura" (S. Th 111, 60,3-4).
        Il relatore precisava anche il significato del "celebrare" che, etimologicamente, significa rendere frequentato, cioè trovarsi insieme, che è proprio della comunità. Da soli si può ricordare, non celebrare: celebrare è vivere (o rivivere) comunitariamente l'evento.
        La Chiesa non può vivere senza questa celebrazione, presentata dal CCC in tutti i suoi elementi: soggetto, segni-simboli, tempo liturgico, luoghi destinati al culto, pluralismo dei riti.
        Da questa puntuale, precisa ed organica presentazione del celebrare scaturisce subito una puntualizzazione di:
        a) modelli inadeguati di celebrazione: ritualità magica, spettacolo o folklore, pratica devozionale, ritualismo;
        b) importanza della mistagogia, affermando che la liturgia non solo è "luogo privilegiato della catechesi del popolo di Dio" (CCC n 1074), ma istruisce circa il mistero rendendolo presente: dispiegando la vita che essa dona, introduce in una comprensione nuova dell'esistenza cristiana.
        "La catechesi è intrinsecamente collegata con tutta l'azione liturgica e sacramentale, perché è nei sacramenti, e soprattutto nell'Eucarestia, che Gesù Cristo agisce in pienezza per la trasformazione degli uomini" (Cfr CCC n 1074).
        Si apre qui un orizzonte immenso per l'azione pastorale: la pedagogia dei segni, la liturgia della Parola, il canto e la musica, le immagini e i gesti sono destinati a favorire un'armoniosa celebrazione del Mistero Pasquale di Cristo, che si fa evento.
        Lo aveva intuito così bene S. Giovanni Damasceno, affermando: "La bellezza e il calore delle immagini sono uno stimolo per la mia preghiera. E' una festa per i miei occhi, così come lo spettacolo della campagna sprona il mio cuore a rendere gloria a Dio" (De sacris imaginibus orationes, 1,27: PG 94,1268 B).
        Quale lezione per gli odierni iconoclasti, tra i quali anche sacerdoti e... vescovi!
        Il n 1162 del CCC, dopo aver citato questo testo, afferma solennemente: "La contemplazione delle sante icone, unita alla meditazione della Parola di Dio e al canto degli inni liturgici, entra nell'armonia dei segni della celebrazione in modo che il mistero celebrato si imprima nella memoria del cuore e si esprima poi nella novità di vita dei fedeli".
        Tutta l'ampia seconda sezione di questa 2' parte del CCC è dedicata ai sette sacramenti della Chiesa (nn 1210-1666), cui segue un capitolo (IV) sulle altre celebrazioni liturgiche e sulle esequie (nn 1667-1690).
        Senza entrare in merito, il relatore offriva soltanto 3 sottolineature di grande importanza:
        a) i sacramenti vengono opportunamente collocati nell'ampio quadro teologico della economia sacramentale e presentati come organismo dell'esistenza nuova del cristiano, eliminando la frammentazione e la reificazione;
        b) ispirandosi a S. Tommaso, il CCC annota che "i sette sacramenti toccano tutte le tappe e tutti i monenti importanti della vita del cristiano, grazie ad essi, la vita di fede dei cristiani nasce e cresce, riceve la guarigione e il dono della missione", con una analogia tra le tappe della vita naturale e quelle della vita spirituale (Cfr CCC, n 1210);
        c) nell'economia sacramentale viene fortemente messa in risalto la centralità dell'Eucaristia (nn 1113 e 1324).
        Da quanto succintamente ricordato, possiamo dedurre almeno tre convinzioni, che possano animare la nostra azione pastorale .
        A) La liturgia è celebrazione del mistero, in quanto costituisce lo spazio privilegiato della presenza e dell'azione salvifica di Dio, che irrompe nella storia.
        B) La celebrazione implica una pedagogia di fede, che è accoglienza di Dio e abbandono a Lui con intelligenza, volontà, cuore, per "verba et gesta", fino a quando Egli "sarà tutto in tutti".
       C) La Chiesa fa la liturgia (è il soggetto della celebrazione) e la liturgia fa la Chiesa. Liturgia e comunità ecclesiale si richiamano a vicenda, in maniera speculare: come la liturgia tale la Chiesa. La "Ecclesia" è soggetto di annuncio, di celebrazione, di testimonianza. Una comunità afflitta da individua-lismo, da clericalismo, da frammentazione rivelerà certamente questa stessa carenza nella celebrazione. Una comunità vera sarà capace di una liturgia vera, sul modello di quella ricordata da S. Giustino (Apologia 67,3-6).
        Anche i nuovi catechismi della Chiesa italiana, ricordava il caro Di Donna, sono una applicazione adatta alle varie fasce di età, offrendo:
        a) un quadro costante: l'anno liturgico;
        b) richiami ai testi e riti liturgici, testi biblici e testi del magistero (Cfr sintesi finali);
        c) rapporto tra fede, liturgia e vita: dalla Parola al Sacramento e alla Vita nuova;
        d) ruolo centrale della comunità: ad ogni capitolo la pagina della Comunità. Altri relatori hanno richiamato l'attenzione sull'invito venuto dalla CEI in Evangelizzazione e Testimonianza della Carità (n 28) di:
        - "far maturare delle comunità parrocchiali che abbiano la consapevolezza di essere, in ciascuno dei loro membri e nella loro concorde unione, soggetti di una catechesi permanente e integrale, di una celebrazione liturgica viva e partecipata, di una testimonianza di servizio attenta e operosa;
        - favorire osmosi sempre più profonda tra queste tre essenziali dimensioni del mistero e della missione della Chiesa...
che fanno di ogni assemblea e di ogni comunità il luogo della carità vissuta nell'incontro fraterno e nel servizio verso chi soffre e ha bisogno".
        La liturgia deve favorire pure una "coscienza critica" nei confronti della società nella quale si è chiamati a vivere: non si può stare dalla parte della croce, se non si sceglie nel quotidiano di sollevare quelli che sopportano la croce dell'ingiustizia, della povertà, dell'emarginazione, in una parola, di "celebrare" l'amore di Dio verso gli uomini.
        Solo in questa dimensione la celebrazione sarà autentica e potrà rispondere alle sfide della storia, come ricorda il costante insegnamento dei Padri della Chiesa. S. Giovanni Crisostomo, in particolare, richiama continuamente alla coesione tra sacramento del Pane e sacramento del Fratello: il sacramento dell'Eucaristia deve "dilatarsi" nel sacramento Fratello.
        L'annuncio della salvezza richiede la conversione e la fede, che spingono il cristiano, partendo dalla celebrazione, a percorrere le strade che conducono verso la perenne liturgia del cielo, le strade della carità e del servizio: Kerigma, Metànoia, Martiria, Liturghia, Koinonia, Diaconia, questo il magnifico concerto della vita ecclesiale, che innalza a Dio una lode pura e trasmette agli uomini la misericordia del Signore.
        Ecco il mistero dell'amore di Dio nella storia!
        L'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo entra in questo mondo con un gesto indicibile di divina condiscendenza: il dono divino della salvezza è il fondamento unico della nostra speranza.
        Dio, pur donandosi senza limiti, resta insondabile nella profondità del mistero: Egli deve essere inesauribilmente cercato dall'uomo o meglio, come precisa S. Agostino, l'uomo deve lasciarsi trovare da Dio.
        Ogni dono di Dio richiede accoglienza da parte dell'uomo in piena libertà. S. Bernardo, nel sollecitare l'atteggiamento che permetterà alla grazia di inventare e trasformare le nostre persone, ci invita ad avere una grande umiltà piena di gratitudine, suggerendo tre modelli di riferimento:
        - Susanna, che attende dal Signore giustizia;
        - la Samaritana, che attende dal Signore perdono;
        - Maria Santissima, che riceve dal Signore la pienezza della grazia, con gratitudine, preghiera e umiltà.
        In questa umiltà piena di gratitudine:
        - celebrare e vivere la comunione ecclesiale;
        - avere tanta carità da scegliere i poveri;
        - aprire il cuore alla speranza, che per noi è Cristo;
        - portare la passione di Gesù nel nostro corpo.
        In sintesi, possiamo dire che la celebrazione si apre alla storia nella misura in cui crea unità tra liturgia e vita, portando nel nostro corpo, come dice S. Paolo, la passione di Gesù "affinché la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale" (SC 12).
        Se il cristiano non cerca di vivere nella sua carne la passione di Cristo,
        aprendosi al futuro di Dio, resta un uomo miope, che non riesce a leggere la storia.
        Le guide poi del popolo cristiano, afferma con decisione il n 28 della Lumen Gentium, "... annunziano a tutti la divina parola. Ma soprattutto esercitano la loro funzione sacra nel culto o assemblea eucaristica, dove agendo in persona di Cristo, e proclamando il suo mistero, uniscono i voti dei fedeli al sacrificio del loro capo e nel sacrificio della Messa rendono presente e applicano, fino alla venuta del Signore, l'unico sacrificio del Nuovo Testamento, il sacrificio cioè di Cristo, che una volta per tutte si offre al Padre quale vittima immacolata".

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