GERARDO DE PAOLA - ZINO e MOLOK - Cristo... nostra Pasqua!

Cristo... nostra Pasqua!.
__________________________________________

        L'amore di Dio verso tutta l'umanità, in dimensione «discendente», passa per la Croce. La risposta dell'uomo a questo amore, esplicita o implicita che sia, deve ugualmente passare per la Croce, in dimensione «ascendente».
        Con Cristo l'intera famiglia umana, cristiana e non, è in cammino ascensionale verso la Pasqua.
        Egli ha scelto la croce quale strumento per operare, nella più profonda umiliazione, la salvezza, la liberazione dalla schiavitù del peccato. Essa è additata, quale segno eloquente e convincente dell'amore discendente di Dio verso il mondo, e della sua volontà di salvezza universale, che trovi rispondenza nell'amore ascendente dell'uomo.
        Il Vangelo proclama che lo «innalzamento» del figlio dell'uomo sulla croce è segno e proposta di salvezza. Soprattutto nel linguaggio giovanneo, tale innalzamento è insieme «crocifissione e glorificazione», come per Gesù, così anche per l'uomo.
        Eppure noi cristiani, fedeli e pastori, come «edulcoriamo» il Vangelo a nostro «uso e consumo» così, tante volte, con le crocine d'oro pendenti dal collo, riduciamo la croce a segno di «vanità», oppure con l'inflazione di croci issate ovunque, la spogliamo del suo profondo significato, banalizzandola addirittura a segno di «superstizione o magia».
        Ma, nonostante tutto, la Croce, sacramento dell'amore di Dio verso l'umanità peccatrice, resta pur sempre «sacramento» della risposta di amore dell'uomo a Dio, nella sublimazione della sofferenza a «strumento» di salvezza, per sé e per gli altri.
        Questa sublimazione non si verifica soltanto con la sopportazione paziente dei mali, fisici o morali, ma soprattutto, come ha testimoniato Cristo in tutta la sua vita, con la «lotta ad oltranza» dei mali, che opprimono la umanità.
        Il Molok di sempre non tarda a mettere la croce sulle spalle di quanti, cristiani e non, cercano «autenticamente» la pace e la giustizia.
        Così in Cristo crocifisso, conosciuto o non conosciuto che sia, la croce assume un senso per tutta l'umanità: per il cristiano e il pagano, per il credente e il non credente, per l'innocente e il peccatore, per la Chiesa e il mondo...
        Il cristiano dovrebbe distinguersi soltanto, rispetto agli altri, nel testimoniare «esplicitamente» che l'amore del Dio in cui crede, passa attraverso la sua «coerenza» tra fede e vita.
        Spesso però la sua è una «contro-testimonianza», puntualizzata icasticamente anche da Nietzsche, il famoso filosofo ateo tedesco: «Se la Buona Novella della vostra Bibbia, fosse anche scritta sul vostro volto, voi non avreste bisogno di insistere perché si creda all'autorità della Bibbia: le vostre opere dovrebbero rendere quasi superflua la Bibbia, perché voi stessi dovreste costituire la Bibbia viva».
        Solo Cristo risorto può aiutarci ad operare questo miracolo, pregustando, già qui sulla terra, la gioia di continuare a portare al mondo la testimonianza autentica di una Bibbia scritta nel sorriso del nostro volto, pur essendo questo attraversato «ancora» dalla sofferenza della «compassione».
        Ciò è possibile perché «Cristo, nostra Pasqua, si è immolato». E la Pasqua non è solo «memoriale» di Cristo, ma anche «attuazione» del Mistero pasquale in ciascuno di noi, nel duplice aspetto di sofferenza e di gioia, di umiliazione e di gloria, pur attraverso le tappe di un lungo cammino, così tracciato da Kierkegard:

soffrire e piangere è umano
soffrire e tacere è eroico
soffrire e sorridere è glorioso.

        «Se siete risorti con Cristo, suggerisce S. Paolo in Col. 3,1-2, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra». Non si tratta di evadere dai nostri compiti terreni, ma di portare in essi la luce che viene dalla risurrezione.
        Il Signore continua a... scherzare!
        Zino era giunto a questo punto del racconto, con la sua «scorrevole biro», alle ore 23,50 del 17/07/1992, decidendo di fare «stop» e andare a nanna, dopo aver visto il telegiornale. All'indomani, dopo aver sbrigato alcune faccende, si mette a tavolino e, accingendosi a riprendere il racconto, si vede arrivare, tra l'altro, al momento della distribuzione della posta, un giornale murale missionario del PIME con il testo, che si riporta qui integralmente, perché anche il lettore possa trarre le sue conclusioni.

        «La sofferenza vale qualcosa? È il grande interrogativo al quale il nostro tempo evita di rispondere, salvo poi a trovarsi spiazzato, quando la sofferenza bussa alla porta della vita e chiede udienza. La sofferenza, afferma il cristianesimo è madre feconda. Infatti è dalla croce che Gesù, il Signore, si è chinato a lavare i piedi di tutta l'umanità, riunendo i figli di Dio dispersi: Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me.
        I Santi, queste cose, le hanno capite bene! Marcello Candia, l'industriale milanese recentemente beatificato, riassume così la grande lezione imparata nel servizio degli ultimi: Soltanto una parola di fede poteva alimentare in quei lebbrosi una nuova speranza e renderli coscienti della loro specifica vocazione di membri sofferenti del Corpo Mistico di Cristo: Continuare la presenza di Cristo sofferente, presente tra gli uomini sino alla fine del mondo.
        La sofferenza serve la missione, è missionaria, perché ripete Cristo sofferente nell'accettazione e nell'offerta, e più ancora perché: serve al mistero dell'unità del genere umano, che Gesù ha guadagnato con la sua croce.
        Non è passiva, è dinamica; genera una forza di gravitazione che trascina al centro della vita; rimette le cose a posto consentendo alla parola della salvezza di risuonare, vera, alle orecchie degli uomini.
        Veronica, una delle poche cristiane rimaste nel Laos, è lebbrosa da 60 anni e da 20 anche cieca. Prega così:

        Signore, mi hai chiesto tutto. Mi piaceva leggere e mi hai preso gli occhi.
        Mi piaceva correre e mi hai preso le gambe.
        Mi piaceva contemplare la bellezza dei miei capelli e ora sono calva. Signore, non mi ribello alla tua volontà, anzi ti voglio ringraziare, perché mi hai unito alla tua sofferenza e mi hai fatto vivere solo per amore».

        A questo punto Zino ha avuto la tentazione di concludere il tutto con questa significativa testimonianza, ma chiede venia al lettore di riprendere il discorso, per un bisogno interiore di accennare ad alcune conseguenze della nostra PASQUA IN CRISTO, sintetizzando a flash «vecchi» appunti di Omelie degli anni '70.

__________________________________________

Pagina Precedente Indice Pagina Successiva
Home