Vallata - brevi cenni storici - L'Apostolo delle Calabrie Ven. P. Vito Michele Di Netta - CAPITOLO XIV - Maestro dei Novizi.

CAPITOLO XIV.

Maestro dei Novizi.

SOMMARIO. — Idoneo per cariche più delicate — Gli si affida il Noviziato — Lo sbalzo è forte — Virtù che resiste — Qualità di un buon Maestro di Novizi — Il P. Garzilli — Sua rigida mortificazione — Insegna con l'esempio — Rego1a parlante — Nemico della propria volontà — Noviziato «meraviglia» — Encomì che ne riceve — La mola ambita — Discrezione nel punire — L'Andreoli e gli altri novizi — L'amore a Maria e al Sacramento — Prove edificatiti — Alcune profezie.


    Abbiamo visto finora ed ammirato il carissimo P. Di Netta diportarsi sempre come sogliono diportarsi i Santi. Attaccatissimo alla sua Regola, pieno di venerazione e di rispetto verso i Superiori. Apostolo ricco di doti e di qualità non comuni, sempre amato dai membri di Comunità e dalle persone di fuori, instancabile sempre nelle opere di gloria di Dio e di bene per le anime, direttore esimio delle coscienze... Or tutto questo lo faceva riputare idoneo per cariche più delicate, per cui il R.mo Rettore Maggiore, Don Camillo Ripoli, gli pose gli occhi addosso, ed ebbe il pensiero di affidare a lui il Noviziato della Congregazione.
    Il Di Netta era conosciuto personalmente dal Superiore Maggiore, ed assai da vicino, quando questi, prima di essere Generale dell'Istituto, si era recato in Tropea in qualità di Visitatore; ne aveva perciò ogni affidamento, e quindi senz'altro, verso la fine del 1836 lo creò Maestro dei Novizi, richiamandolo da Tropea in Ciorani, Provincia di Salerno.
    Quale provvedimento inopportuno !... giudicato secondo la carne!
    Perchè il Servo di Dio era già vissuto in Calabria per 25 anni, tutto dedito alla vita di Apostolato, sino ad essere riconosciuto universalmente quale Apostolo di quelle contrade; godeva inoltre la stima e la venerazione di Sacerdoti e di Vescovi di colà, di secolari, di signori, di popoli interi, ed operava poi un bene immenso... Or di tratto viene staccato, e sbalzato lontano lontano, in una piccola cella della nascosta Ciorani, e posto a capo solo di giovinetti, che dal mondo e dalle carezze domestiche passano a vivere vita religiosa.
    Lo sbalzo era forte; ogni altra virtù più debole avrebbe saputo opporre delle difficoltà: se non altro avrebbe sottoposto al Superiore Generale le nuove abitudini acquistate, mercè cinque lustri di ministero apostolico, e lo sforzo per ridursi daccapo a vita del tutto segregata e d' immobilità.
    Penso che altri, di virtù meno forte che la sua, lo avrebbe forse fatto: non così il nostro caro Servo di Dio. Lo abbiamo detto: per lui il Superiore era Dio che parlava, e perciò, ricevuta appena la chiamata, non dando luogo alle sofisticherie della carne, non curando i clamori e le rimostranze del buon popolo Tropeano, non ascoltando le proteste di Cleri e di Vescovi, lascia tutto e vola tostamente al Noviziato.
    Quivi egli afferma ancora una volta la sua fama di santo, e non ci volle gran tempo per essere riconosciuto un modello di Maestro di novizi.
    Un tal Maestro più che con la parola deve parlare con l' esempio, deve farsi piccolo coi piccoli, deve avere sommo tatto e somma prudenza nel sapere distinguere quello che è difetto o malizia di volontà, e quello che è sorptesa, fragilità, debolezza giovanile; deve avere inoltre grande spirito di pietà e di perfezione, perchè nessuno può insegnare la pratica della virtù se pel primo egli non la esercita... così solamente potrà soddisfare al suo compito, e potrà decorarsi col titolo di Maestro. Il Di Netta, ognuno omai può giudicarlo da se, le aveva tutte le sopradette qualità, e mostrò che i Superiori suoi non si erano apposti male nello sceglierlo alla delicata carica.
    Molti furono i novizi che stettero sotto il suo magistero , e che furono guidati alla virtù per mezzo della sua parola mite, insinuante, fervorosa, ed io che ho avuto la fortuna di parlare con l'uno o l'altro di essi, ho udito da tutti i più alti elogi di lui.
    Nel 1858, cioè nove anni dopo la morte del Servo di Dio, uno dei suoi discepoli, il P. Matteo Garzilli, ecco come ne scrive al Rev.mo P. Berruti: « Del P. D. Vito Michele Di Netta, che fu mio Maestro nel noviziato, le virtù sono conosciute. Egli fu grandemente divoro di Gesù Sacramentato e di Maria Santissima. E ciò riluceva nelle fervorose sue visite al Divinissimo: quando si usciva a camminata, spesso faceva dire il Tantum ergo ai novizi, ed innanzi alle Chiese Sacramentali ci faceva inginocchiare, ed egli diceva l'orazione Deus qui nobis sub ecc... Riluceva nella novena al Sacro Cuore che faceva nel Noviziato, nelle novene che faceva con tutta divozione a Maria Santissima, ecc... Nelle nostre ricreazioni di Regola, e nei giovedì e domeniche, a tavola prendeva una sola pietanza di carne, e nel resto si uniformava agli altri. Parlava dei Superiori con molto rispetto, e parlandone coi. novizi, per dar peso a questa verità, soleva dire: Eh! figliuoli, l'ha detto il Rettore — il Rettore ha un angelo particolare che l'assiste. Ricevendo lettere dal Reverendissimo, si toglieva il cappello o la berretta, e baciava la firma. Risplendeva la sua umiltà. Dovendo mandare qualche imbasciata , o dovendosi nominare per qualche circostanza, soleva dire: Fratello Di Netta, oppure: ha detto Fratello Di Netta. Vidi pure che andandosi a prendere il caffè , entrava nella stanza della sartoria, e diceva al Laico : Vado a prendermi un poco di caffè . E lui assicurato dai detti Fratelli essere questo un suo costume. Risplendeva la sua povertà nella stanza e nelle vesti: la sottana, zimarra, cappello, camicie, benchè puliti, contavano anni e lustri. Le discipline , oltre le comuni le faceva pure in privato, ecc. ».
    Faceva in sé ammirare la più rigida mortificazione. « Il Servo di Dio, afferma un altro suo novizio, P. Primicerio, la notte si disciplinava a segno, che noi ne sentivamo i colpi, e la mattina trovavamo le pareti della stanza cosperse di sangue. Portava quasi abitualmente i cilizi, cioè catenelle e coscialetti, e digiunava costantemente in pane ed acqua ogni sabato e in altre vigilie... » — Certe volte, depone il P. Andreoli, vedevamo che il Servo di Dio mal si reggeva sulle gambe, camminando sopra dolori, e noi eravamo convinti che era pei cilizi che portava addosso, tanto più che ciò si verificava nei giorni di venerdì, nelle vigilie, ecc... ».
    Non toccava mai frutta nei mercoledì, venerdì, e sabati, e quando a tavola si ponevano le frutta nuove non fu visto mai toccarle, qualunque giorno si fosse. Non mangiava carne in tutto l'avvento, nella quaresima, e in tutte le novene delle festività della Madonna, ed in caso di malattia , per fargli sorbire il brodo, occorreva l' ubbidienza. Non parliamo poi del continuo uso che faceva di erbe e di polveri amare, con cui soleva amareggiare ogni cibo e bevanda: lo attestano tutti i novizi suoi? ed aggiungono , che se gliene restava porzione, anche le bestie la rifiutavano.
    Volendo insegnare più con l'esempio, anzichè con la parola, appariva scrupolosissimo nell'osservanza regolare; perciò fu chiamato dal suo novizio Padre Pisani, una Regola parlante. « Era sempre il primo, continua lo stesso, in tutti i doveri imposti dalla Regola, e non mancava mai ogni mercoledì, secondo il Direttorio dei Novizi, di spiegarcela con incredibile unzione e diligenza ».
    Era poi una tenerezza vederlo fatto piccolo coi piccoli, essere sempre il primo in tutte le pratiche solite dei novizi, alla meditazione, alla Via Crucis, alla conferenza ascetica, sino ai più piccoli atti. Ed era attentissimo in castigare i novizi se inosservanti. Il suono del campanello e la voce dei Superiori eran per lui espressione della Volontà di Dio, e lo inculcava ai novizi con una santa tenacità. Tutti lo affermano: « Una cosa insinuava sempre loro, la cieca obbedienza tanto alla Regola quanto ai Superiori ».
    Era nemico acerrimo della volontà propria, e tali voleva i novizi. « Figliuoli, diceva loro, lasciate la volontà propria — non vi fidate mai della vostra volontà ». E quando li accompagnava a passeggio, giungendo su di un ponte, non molto distante dal Collegio, sotto cui passa un rigagnolo, fermandoli diceva loro: Figliuoli, gettate la vostra volontà nel fiume, dite che non avete più volontà, ma che tutta sta nelle mani dei Superiori. Altre volte, per renderli più disposti a ciò, faceva loro mutare le stanze, le corone, i cappelli, od altro di loro uso.
    Il Noviziato perciò riusciva una meraviglia, ed era cosa osservata da tutti, dal Rettore di Comunità e dai Padri non solo, ma anche da ospiti che talvolta capitavano nel nostro Collegio di Ciorani. Venuto ivi il P. Ansante, Maestro dei Novizi dei Gesuiti in Sorrento, per osservare il nostro Noviziato, e considerando la rigidezza della regola, e la esattezza con cui veniva mantenuta dal Maestro P. Di Netta, ebbe ad esclamare: Non è così il nostro Noviziato. E perchè ne dava il meritato onore al nostro Servo di Dio, questi rispose: Ma che fo io povero ignorantello? Io son solo un povero peccatore.
    I Novizi più di tutti erano entusiasti e ammiratissimi della santità di loro Maestro. Se ne accorgevano da ogni suo detto, da ogni azione, e giunsero a tanto che facevano a gara onde appropriarsi di qualche cosa che gli apparteneva, per conservarsela quale prezioso ricordo. Un giorno al venerando Maestro cadde una mola, e tenendola fra le mani, corsero a lui tutti i Novizi, e con santa semplicità gli facean premura a donarla loro. — A me Padre, la dia a me, diceva ciascuno. — Ma il Servo di Dio rispose tosto: Ah! Figli, credete che io sia pazzo ?... E poi continuò:
    Bisogna che scriva al Rettore Maggiore, affinché mi tolga da vostro Maestro, e me ne mandi di qui, perche i miei novizi mi stimano pazzo! E sì dicendo, aprì tosto la finestra, e gettò via la mola lontana nei campi.
    Nel punire, egli si mostrava arricchito da discrezione singolare, ed anche da doni superni. Sapeva adattarsi all' indole di ciascuno, e la punizione non era solo in rapporto alla mancanza, isolatamente considerata, ma sì anche alle circostanze della persona cui doveva punire. Quindi accadeva talvolta che ad alcuni per piccole mancanze assegnava pene talvolta maggiori, di quelle che non dava ad altri per mancanze più positive. E in ciò era accompagnato dallo spirito di DIO.
    Il novizio Andreoli un giorno in cappella fece cadere a terra per ischerzo lo zucchetto di un compagno, e ne ricevè tosto una penitenza pubblica. Era il primo castigo che gli toccava, e in cuor suo si dispiacque non poco della punizione, pensando, pure in cuor suo, che in altri colpe più positive passavano talora inosservate. Il santo Maestro gli lesse nel pensiero, e la sera all'accusa delle colpe, che sogliono praticare i novizi, si sentì dire dal benedetto Padre: « Figlio, stai malinconico per la penitenza che oggi t'ho data, e pensi che altri ne fanno delle più grosse, e non hanno penitenza... Ora ra sappi, che quegli cui tu pensi — e lo nominava — se ne uscirà dalla Congregazione: starà poco più di un anno dopo la professione, e poi se ne andrà; ma tu no, tu morrai in Congregazione ». L'Andreoli rimase meravigliatissimo, e prese nota di tutto. Ala quale fu il suo stupore quando difatti quel tale tredici mesi dopo la professione andò via. L'Andreoli invece fino a tarda età è stato lustro della Congregazione, ed è morto in Pagani il 25 marzo 1899.
    Con la più grande amabilità e dolcezza accoppiò egli, quando ve ne fu bisogno, la più grande for- tezza. Avanti alle colpe si notava il suo interno rincrescimento, e si scorgeva visibilmente dispiaciutissimo: allora la penitenza non mancava, sebbene l'accompagnasse sempre con parole assai caritatevoli. Ma quando notava una cotale ostinatezza, diventava inflessibile , e singolarmente severo. In una delle volte, quattro novizi giungevano alla professione. Uno di questi però si era mostrato leggero, volubile, e spesso inosservante. Punito tre volte, la punizione era sempre riuscita vana.... Finito il noviziato, il santo Maestro non volle ammetterlo alla professione, malgrado le raccomandazioni e le insistenze di Padri influenti. Poi in pubblico disse di avere scritto al Rettore Maggiore così: « Ho scritto che quattro novizi arrivano per la professione; di tre sono contento, e possono professare, dei quarto no... di costui non prenderò giammai la professione, mi si taglino piuttosto le mani... ». Infatti non professò, ed uscì dal Noviziato andando in prova in altri Collegi.
    Non era la sola osservanza, non era la sola obbedienza alle regole ed ai Superiori, che cercava d'infondere il Servo di Dio nei suoi novizi, ma altresì un singolare amore a Maria e a Gesù in Sacramento.
    Spesso prendeva egli per mano or l' uno or l'altro dei novizi, e conducendoli avanti all'immagine di Maria, diceva loro con ammirabile unzione e tenerezza: — Vedete, figli quanto è bella la Madre Maria domatele, donatele il cuore.— Oppure: — Figli, questa è la mamma nostra... Oh! quanto bene ci vuole la Madonna... Figli, figli, amate assai la Madonna . — E ciò dicendo, piangeva per l'abbondanza dell'amore, e i novizi piangevano insieme al Maestro.
    Da che giunse in noviziato, egli affidò se e i novizi alla Vergine. Tutte le mattine poi, come afferma il Novizio Caccese, ripeteva questa frase: Vi ho messo tutti sotto il manto della Madonna, ed essa penserà a cacciare quel novizio che non si porta bene. Nel fatto chi aveva poca voglia di rimanere in Congregazione, si risolveva ad uscire spontaneamente, ed il Servo di Dio non ebbe mai la pena a cacciare niuno da sè.
    Insegnava pure loro, prevenendoli con l'esempio che, nella visita al Sacramento avessero fatto dieci atti di fede, dieci di speranza, dieci di offerta. Per esempio: Gesù mio vi credo, e vi adoro —Gesù mio vi amo— Gesù in voi spero, ecc.
    Bastava poi mirarlo quando pregava, perchè i novizi si sentissero compunti e stimolati all'amore del Sacramento. Abitava egli una stanza, che per una porticina comunicava con la cappella del Noviziato, ove si custodiva il SS. Sacramento. I Novizi lo trovavano spesso con la porticina aperta, ginocchioni in mezzo della stanza, con le braccia incrociate sul petto, tutto assorto in amorosa contemplazione, e con la faccia fissa al sacro Tabernacolo. Talvolta i novizi lo trovavano proprio nella Cappella, immobile, ed egli non si accorgeva di loro, che gli uscivano ed entravano, o gli passavano dinanzi. Nei venerdì di marzo poi, si poneva bocconi a terra e con le braccia aperte, e in tale positura rimaneva lunga pezza senza movimento.
    Come non infiammarsi al contatto di siffatte fiamme? Come non sentirsi spinto ad amare come egli amava?
    Si congiunse anche il soprannaturale a renderlo maestro più accettevole e più efficace.
    Al novizio Caccese, spacciato dai medici, e già in procinto di essere per questo licenziato di Congregazione, fece profezia bellissima. Tale novizio, non volendo uscire dall'Istituto, chiese la prova di un'ultima cura, recarsi cioè in Caposele, ove aveva un vecchio zio, e mutare ivi aria in cambio di ritirarsi in famiglia. Ciò gli venne accordato. Nel licenziarsi però dal Maestro si lasciò sfuggire: Padre Maestro, chi sa se ci rivedremo piu! Al che il Servo di Dio: Andate, figlio, a Caposele da vostro zio, ed ivi dopo venti giorni starete bene, e vi farete pingue come lui. Tutto si avverò: dopo un po' di giorni l'infermo Caccese non più si riconosceva, tanta fu la miglioria, ed in breve rimase sano del tutto e impinguato.
    Nel colera del 1837, che afflisse parecchie contrade del Napoletano, si era palpitanti nella piccola Casa di Ciorani, ove erano agglomerati Padri e giovani in gran numero. I novizi specialmente, teneri di età, erano costernati e timidi assai. Ma il Venerando Maestro in un dopo pranzo, mentre eransi in ricreazione, chiama il più piccolo di essi, il giovanetto Potito de Sanctis, e gli dice di ripetere le sue parole: Non vi spaventate, in questo tempo del colera voi tutti starete bene, e della Comunità morrà uno solo. L'evento affermò il vaticinio. Nell'intiera famiglia Cioranese, il solo Padre Angelo Pinto , il 10 Agosto 1837, restò vittima del morbo, gli altri tutti incolumi.
    Anche al novizio Andreoli, sopra mentovato, fece altra profezia. Non amava questi la dimora di Ciorani, laonde un giorno, portato da una sua cotale semplicità infantile, si fece a domandare il santo Maestro, «in quale collegio egli da Padre sarebbe stato messo di residenza ». E il Servo di Dio: Figlio che voglio dirti ? dopo un po' di gira e rigira, tu a Ciorani verrai. Infatti, terminati gli studi, il P. Andreoli fu mandato in Calabria, ove stette poco più di un anno; indi fu mandato per tre anni. circa in Somma; poi definitivamente venne assegnato proprio in Ciorani.
    E per dirne di un'altra sola. Un giorno ad un novizio giovanetto, che si mostrava bensì fervoroso, ma pur lasciava dubitare un po', egli disse: Tu appena presa la Messa te ne andrai a casa tua. A che il novizio: No, Maestro, non son venuto io già con questo pensiero... E forse in quel momento parlava con sincerità. Ma il Servo di Dio che vedeva più lontano, ripigliò : Sì, te ne andrai a casa tua. E fu così. Asceso al Sacerdozio quel novizio, come afferma il P. Pisani Francesco, dopo solo qualche anno, chiese la dispensa dei voti, ed uscì via.

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