Vallata - brevi cenni storici - L'Apostolo delle Calabrie Ven. P. Vito Michele Di Netta - CAPITOLO XV - Ritorno in Calabria = Ritocchi di santità.

CAPITOLO XV.

Ritorno in Calabria = Ritocchi di santità.

SOMMARIO. — Deterioramento nella salute — Istanze dei Calabresi per riaverlo — Ritorno in Tropea — Di nuovo Rettore —Nuove scintille di zelo, e nuovi irradiamenti di virtù — Canonizzazione di S. Alfonso — Feste in Tropea — A ricordo dì tali feste — Sue divozioni speciali — Trasporto per il culto religioso— Ricchi arredi per la Chiesa—Costruzione dì un nuovo quarto — Il concetto di santo — Umiltà — Dominio di sè —Dio sempre presente — Assiduità nel Ministero — Compassione verso il prossimo — Arbitro e paciere — Esempi all'uopo — Limosina alla porteria — Tutto il quadro perfezionato.


    La salute del Venerabile Servo di Dio in Ciorani deteriorò non poco: la vita chiusa e monotona del noviziato, l'inerzia forzata in rapporto della primiera attività e movimento dell'apostolato, l'aria umidetta piuttosto e la posizione di Ciorani, chiusa tra monti, rendevano quella dimora contraria a quel suo fisico, già abbastanza logorato dalle fatiche e dalle penitenze... Tuttavia egli di ciò non pronunziò mai parola ai Superiori, contento pure di dare la vita per l'ubbidienza.
    Senonchè il buon popolo di Tropea non davasene pace, e non sapeva rassegnarsi al distacco definitivo dal suo amato Padre. Le suppliche, le istanze erano continue al R.mo Padre Rettore Maggiore; e le lettere gli venivano non da Tropea soltanto, ma da altre città parecchie Calabresi; e vi furono anche delle commissioni di persone distinte fra il clero ed il laicato, che si videro giungere più di una fiata in Pagani, ad intercedere in tutti i modi pel ritorno fra loro del venerando Servo di Dio.
    Non avrebbe voluto il Superiore Generale privare il Noviziato di un maestro così idoneo, ed in cuor suo sentiva pena grande a lasciarlo partire, ma dall'altro lato la ragione imperiosa dello stato di salute del Servo di Dio lo fece piegare alfine, tanto più che pensò a farlo supplire in quel posto da un altro non meno santo del nostro Servo di Dio, dal P. D. Emanuele Ribera, uomo di tanta specchiata virtù e doni singolari, che anche di lui si è costruito il Processo di Beatificazione nelle due Curie di Napoli e di Salerno. Per siffatte ragioni cedè alle replicate istanze, ed ai voti della cittadinanza Tropeana, ed il caro nostro Servo di Dio in sul finire del 1839 fu restituito alle Calabrie.
    Erano tali i disegni della Provvidenza, la quale aveva stabilito che un uomo di tanta virtù, apostolo per tanti anni di quei popoli, ivi morisse, e lasciasse a quei popoli stessi il vanto e la consolazione di custodire e venerare il tesoro delle di lui sante reliquie.
    Difatti il Servo di Dio, giunto in Tropea fra accoglienze indicibili e dimostrazioni di affetto senza pari, quali sanno fare i Calabresi soltanto, venne creato nuovamente Rettore di quel Collegio, e visse per un altro decennio, sempre colà, continuando instancabile finchè mori l' opera sua redentrice a profitto di quei popoli.
    Nell'ufficio di Rettore rimase fino alla seconda metà del 1842, quando gli fu sostituito il P. Tortora, e poi il P. Tallaridi , ma di nuovo lo riassunse nel principio del 1846, e lo sostenne fino alla morte.
    Tostamente il Servo di Dio, giunto alla pristina residenza, tornò a rifulgere in tutto il suo zelo; e come una forza a lungo compressa, fatta libera, dà a vedere maggiore potenza di reazione, così egli emanò un irradiamento più luminoso di virtù e di sante energie.
    Cominciò da una festa straordinaria. Il 26 maggio 1839 fu giorno memorabile per tutta la Congregazione Redentorista: la Chiesa coronò dell'aureola di Santo il fondatore di essa, Alfonso dei Liguori. Per questo, solenni festeggiamenti furono organizzati nei vari Collegi dell'Istituto. Potea rimanersene il nostro Servo di Dio? Per lui anzi fu come una scintilla che gli suscitò in cuore grandissimo incendio, e al suo Padre santo, al quale si sentiva legato di tanto affetto, e che egli imitava così da vicino, volle offrire feste grandiose in Tropea e munificentissime.
    Invitò vari Vescovi, oltre del Vescovo locale, invitò oratori celebri, fece venire da fuori scelta musica, fece eseguire luminarie ed apparati splendidi in Chiesa, e tali festeggiamenti costituirono un avvenimento per Tropea cattolica. Quasi tutti i testimoni infatti ne parlano nei di lui Processi di beatificazione, e tutti con parola enfatica.
    A rendere poi duratura la memoria di questa data , egli fece decorare a nuovo pel Santo una cappella della Chiesa di Tropea, ed ivi costruire un altare artistico con nicchia di marmi pregiatissimi, e tutto a mosaico antico: opera che va tanto apprezzata, e che forma come una perla preziosa in detta Chiesa Liguorina.
    Ma qui giunto, poichè se ne presenta il destro, apriamo una parentesi per ricordare quello che altrove non fu potuto dire, e che costituisce forse una delle più belle pagine del santo Rettore Di Netta. Intendo il suo trasporto per il culto del Signore nelle Chiese, e la sua munificenza in volerlo arricchito di arredi e di paramenti preziosi.
    Già i suoi contemporanei lo attestano — e noi lo abbiamo innanzi accennato solamente -- amore avesse avuto il Servo di Dio per certe sue divozioni predilette: quelle ad esempio dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria — del SS. Sacramento — di Maria SS. Immacolata — e della Vergine Addolorata.
    « La sua divozione, afferma la Signora Maria Barone di Tocco, era speciale per Gesù Sacramentato e per Maria SS. Immacolata. Ricordo la magnificenza con cui faceva esporre Gesù Cristo Sacramentato, e con cui faceva celebrare i misteri della Passione nella settimana santa ». E D. Alfonsina Barone prosegue: « La sua speciale devozione era per Gesù Sacramentato, per la Vergine Addolorata, e più per Maria SS. Immacolata, della quale quando predicava, pareva che se ne andasse in estasi n.
    Or tali sue divozioni egli voleva pure manifestarle con la pompa esterna del culto, ed all'uopo arricchì la sua Chiesa di arredi preziosissimi, come sarebbero: un terno di gran valore in lama di oro con artistici ricami in argento, un piviale del medesimo valore per il detto terno, un ricco ostensorio « pregevole , dice il Canonico D. Antonio Barone, per valore e per arte ». Ornò di stucco lucido l'altare maggiore di detta Chiesa, cosa non conosciuta in quei tempi, abbellendolo architettonicamente, e chiamando per ciò artisti forestieri. Per lo stesso altare fece pure costruire in marmo il Sacro Ciborio, rivestendolo nell'interno di lamine di oro di zecchino, ed apponendovi la porticina di argento. Sono altresì opera sua i due quadri del S. Cuore di Gesù e del S. Cuore di Maria, che si venerano tuttavia sui due altari di S. Ignazio e di S. Francesco Saverio... Inoltre fece lavorare sacri paramenti e tutto ciò che serviva prossimamente al S. Sacrifizio della Messa: cose che egli voleva sempre nette e bianche... E per l'amore suo al decoro della Casa di Dio, fu veduto spesse fiate sino colla scopa, e con le proprie mani pulirla e spazzarla: come ogni mattina sbrigatosi dal confessare, girava intorno per osservare se tutto fosse al suo posto, e bene rassettati gli altari e senza polvere.
    Ma a fare tutto questo gli accorsero sacrifizi parecchi, coi quali e con la sua grande fiducia nella divina Provvidenza arrivò a tutto.
    La Casa di Tropea fu sempre ristretta in finanze; aveva bensì un esteso ruolo censuario, ma di assai difficile esazione, e talvolta mancava pure come supplire alle provviste più necessarie, come tal'altra mancavano le stesse applicazioni di sante .Messe. Come dunque affrontare spese di supere-rogazione? Poteva parere imprudenza. Ala al Servo di Dio tutto riusciva facile, e la Comunità che lo amava tanto, con lui si prestava ai medesimi sacrifizi, pel decoro del sacro Tempio e pel culto del Signore.
    Le costituzioni Liguorine concedono nelle domeniche e nei giovedì una terza vivanda a pranzo: or ecco egli proporre alla Comunità di privarsene fino a che non si fossero pagate le spese per l'altare maggiore e per la Cappella di S. Alfonso. La Comunità tutta vi aderisce ben volentieri.
    E qui cade pure opportuno ricordare la costruzione di un intero quarto del Collegio di Tropea, tutto a nuovo fabbricato da lui, e che è quello precisamente che prospetta la strada, e comprende dieci vani con corridoio e terrazza. Il Collegio cominciava a divenire angusto, stante lo sviluppo dato dal Di Netta all'opera delle Missioni, e diveniva inadatto per la dimora di altri Padri e Fratelli occorrenti. Si vedeva quindi il bisogno di un allargamento, ma come porre mano all'opera con le ristrettezze finanziarie della Casa? I Santi però più che con le regole dell'umana prudenza si orientano ai larghi criteri della Provvidenza, e su questa fidato il nostro Servo di Dio cominciò la fabbrica, e la portò a compimento, facendo così che il Collegio Redentorista di Tropea riuscisse uno dei più belli nelle Calabrie.
    Intanto col suo ritorno in Tropea, il concetto di santo che si aveva di lui si era, come a dire, ingigantito, e il suo nome era su per le bocche di tutti.
    Invero pareva che la sua virtù fosse divenuta più bella e' più splendida : il suo stesso esteriore lo dimostrava. La sua vita al tutto ritirata e silenziosa, vissuta per circa tre anni nel noviziato di Ciorani, lo studio più assiduo sulle vite dei Santi e su peí libri ascetici, e specialmente la sua dimora più prolungata accanto al Tabernacolo della Cappella attaccata alla sua celletta di colà, avevano reso più marcato il suo carattere silenzioso, quieto e mite. Si notava chiaramente che nel suo cuore regnava la calma, il silenzio, la pace, come regnano attorno al Tabernacolo. Un sorriso talvolta sfiorava il suo labbro... e poi niente più... tornava tosto in lui la solita quiete ed il silenzio abituale.
    Anche la virtù dell'umiltà si era come quasi più connaturata in lui: umile come nell'atteggiamento, così nelle parole, nel sembiante ed in ogni cosa; ond'è che non parlava mai della sua persona nè di tutto quello che operava. Nelle sue numerose lettere di se non si trova mai cenno di sorta, tanto la sentiva umilissimamente, e a lui pareva di non aver ingegno naturale, nè capacità. per alcuna cosa.
    Non così lo si stimava però da chi lo accostava. Perchè tutti oramai ne decantavano la santità, ne imploravano le preghiere, e lo stimavano degno dei più grandi onori nella Chiesa.
    Il sig. Giuseppe Pupa di Nicotera, in un Natale tra gli auguri osò esprimergli anche quello che presto fosse innalzato alla dignità episcopale. Il Servo di Dio gli rispose gemendo: « Certe espressioni mi hanno accresciuto le angustie, e mi fanno oltremodo stringere il cuore, e però non cessate-invece di raccomandarmi a Gesù Cristo ed alla Madonna Santissima. Io stimo più la solitudine, pacifica e la vita nascosta, che tutte le mitre ».
    Aveva altresì acquistato tale dominio di sè, che i moti dell'irascibile parevano oramai in lui spenti del tutto , e se talvolta usciva in qualche parola con un po' di calore, sapeva tosto richiamarsi e farne condebita riparazione.
    Malgrado la sua età e gli acciacchi — che ad ogni modo sentiva pure tornato al cielo mite di Tropea — la sua assiduità nel ministero delle Missioni venne da lui ripigliata con la stessa attività febbrile di prima, e pareva che non ne potesse più fare a meno.
    Del pari in Casa, dopo il faticoso periodo apostolico, era sempre in confessionale, e chiamato una seconda e terza volta durante la mattinata, non si rifiutava mai a ridiscendere in Chiesa, senza curare il disagio di fare e rifare le scale del Collegio.
    Confessava dalla mattina subito dopo il ringraziamento della Messa, che celebrava sempre di buon'ora, fino a mezzogiorno: confessava anche dopo pranzo, e a qualunque ora—dopo pranzo di preferenza Sacerdoti e laici, che in gran numero accorrevano da lui — confessava in Chiesa e fuori, se era chiamato agli infermi, sia di giorno che di notte. La sua carità in questo genere era inimitabile, e dalla sua bocca non usciva mai sillaba che mostrasse la menoma impazienza o fastidio.
    Anzi negli ultimi anni di sua vita lo si vedeva come trascinarsi in Chiesa, appoggiato al suo bastone, e commuoveva sino alle lagrime mirando con quale effusione abbracciavasi i peccatori, che gli si inginocchiavano ai piedi.
    A lui perciò si correva da tutti con fiducia sempre crescente... In modo che il Servo di Dio era diventato il padre di tutti, l'amico in ogni angustia ed in ogni bisogno, l'asilo ove si correva per consiglio, conforto, indirizzo. La sua parola era quella dell'arbitro in ogni differenza o litigio di sorta, e quando avea parlato il P. Di Netta, la obbedienza era pronta, incondizionata.
    Riporto qualche esempio.
    All'Arciprete di Drapia, D. Vincenzo Ruffa, per invidia gli fu attentata la vita. Il Servo di Dio lo seppe , e non davasene pace. Laonde risoluto gli si portò in casa, e senza preamboli così lo apostrofa: D. Vincenzo, devi ciò che ti dico. Me lo prometti? — Sì, Padre, con tutto il cuore, risponde il Ruffa. Allora lo conduce in casa dei suoi nemici, cui volle che abbracciasse e baciasse. Era un atto eroico, ma il Ruffa non valendo a resistere lo fece docilmente... Ed il Servo di Dio, intenerito fino alle lagrime e contento oltremodo, esclama con voce commossa : Figlio, quanto mi hai consolato!
    Un altro giorno passeggiava sulla sponda del mare, quando vide due pastori, che si rissavano armati di coltello, in atto di cacciarselo nelle viscere. Egli grida, e coraggioso avvicinandosi loro col Crocifisso che aveva inciso sul bastone, ripete: Ferite, ferite, se ne avete l'animo, questo Dio che è morto per noi. Come per incanto, i rissanti depongono le armi , e prostratisigli ai piedi, gli baciano la mano.
    Con la carità per riguardo all'anima, diventò del pari in lui come più sentita e più feconda la carisà per riguardo al corpo. Oh! quale compassione era la sua verso i poverelli di Gesù Cristo! Voleva che mai fossero respinti a mani vuote dalla porteria, ma che sempre fossero soccorsi secondo le forze della Casa. Nei mesi d'inverno disponeva tale limosina pubblica da contentare quanti si presentassero, e questi non eran pochi, perchè si accorreva e da Tropea e dai paesi circonvicini. Se vi era chi arrossiva di chieder elemosina, egli comandava che fosse soccorso in secreto. Ne guardava l' indegnità dello sventurato. Bastava solo esser povero per meritare la sua carità. Fu una volta sorpreso un ladro in casa, e volendo gli altri Padri consegnarlo alla forza pubblica: Poveretto, diceva egli, perchè farlo arrestare? soccorretelo, e rilasciatelo. — Un altro giorno pregando egli in coro, si accorse di un miserabile che rubava l'olio delle lampade. Avendone compassione lo lasciò fare per un poco, e poi dolcemente si contentò dirgli: Eh basta, figlio, ora basta. La sua carità insomma, la sua dolcezza ed edificazione, la sua umiltà, il suo zelo, e tutta la sua santità nell'assieme, si vedeva come immensamente irrobustita, e da tutti i lati perfetta. A somiglianza di un artista pittore che dà gli ultimi ritocchi al suo quadro prima di lasciarlo uscire dal suo studio, o prima di esporlo al pubblico, così il Di Netta... Si avvicinava egli al termine di sua carriera, ed il suo spirito brillava di nuove bellissime forme, la sua anima si purificava sempre più a causa di un accostamento maggiore al suo Dio, la sua santità appariva più perfetta... e quindi in proporzione era cresciuta la stima e la venerazione dei popoli verso di lui, specialmente della cittadinanza Tropeana, la quale, per dire tutto in una frase sola, nel suo Di Netta riconosceva il suo cuore, e tutta la sua vita spirituale, come il vanto massimo di averlo fra le sue mura.

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