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XIX.
A 'l mare italico.

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Salve ! o gran mare, di nostra Italia gioia serena, eterna gloria, che, ne 'l solenne seno tuo placido,                 forza racchiudi e sorgenti alme. D' attorno cingonti campagne liete, giardini viridi, estesi piani, canti di giubilo                 di vaghe donne. O che tu dorma, con leggèr fremito, o minaccioso il fiero turbine t' avvolga, a noi sempre gratissimo,                 bel mare, sei. Mar che guidasti la prol di Venere, per via fatale, a 'l biondo Tevere, a fondar Roma, l' Urbe ne' secoli                 prospera e grande. Oh, come liete l' onde ridevano, quel giorno in cui, fugando i trepidi Galli, Camillo ascese impavido                 su 'l Campidoglio! E quando, a Mylae, batteva Duilio l' audace flotta onde Cartagine era superba: dei flutti il sibilo                 l' oste atterriva..... Oh, come orrende l' onde muggivano, allor che gli alti alpestri culmini, Roma minando passava il rabido                 Annibal diro ! Tu, Garibaldi a la Sicilia portasti, o mare, con un propizio corso, e la nuova, risorta Italia                 tu salutasti. Gemevan l' acque, in ritmo flebile, il tristo giorno che, a Lissa, gl' Itali, su 'l mar pugnando, baldi, acquistavansi                 gloria e la morte. Salve, o gran mare, gran testimonio de' nostri lutti, de' nostri gaudii; lo splendor tuo gioia mi suscita                 ed alta speme. Reca il saluto, co' flutti placidi, a Trieste bella, a' cenni vigile: « Italia — dille — a 'l suo sen stringerti                 spera ancor sempre. » Salve, o bel mare, bel mare glauco, di nostre terre sarai tu vindice; di lume e di gloria, d' eterna gloria                 il sol t' inondi. E ridi sempre, ridi da' limpidi gorghi specchianti vulcani flammei, i monumenti de gli avi memori                 e il cielo azzurro.