Vallata - brevi cenni storici -
Feudatari di Vallata

      Verso il Mille: Feudo alle dipendenze della Contea dei Marsi.

1096 Berardo III e Teodosia, Conti dei Marsi.
1120 Crescenze dei Marsi.
Miles: D. Pandolfo da Vallata.
1143 Riccardo figlio di Riccardo, Signore di Vallata, di Vico e di Flumeri.
Vassallo: D. Guatino da Vallata "qui tenet pro eo Petram Pizulam".
1167 Roberto Lombardo.
Guido Lombardo.
Vassallo: Roffrido Ferrato.
1170 Guglielmo Lombardo, figlio del def. Roberto.
1275 Joannes de Vallata.
1277 Herrico dom. Ballate.
1281 Guglielmo, signore del castello di Vallata.
1332 Roberto de Oliveto (= de Oliueto).
1332 Ruggero de Oliveto.
1340? Regina Sancia, moglie di Roberto d'Angiò.
1343 Raimondo Del Balzo.
1375 Nicolò Orsino Del Balzo, figlio di Roberto Orsino e di Sveva Del Balzo.
1418 Ramondello, Principe di Taranto.
1431 Gabriele del Balzo Orsini, Barone di Acerra nel 1432 con Giovanna Caracciolo.
1435 Enrico de Leonissa con Therina Caracciolo.
1454 Maria Donata Del Balzo Orsini, erede del def. Gabriele, duca di Venosa con Pirro Del Balzo, Principe di Altamura.
1482
Isotta Del Balzo
       con
Pietro Guevara, Marchese di Vasto, Conte di Ariano e gran siniscalco del Regno.
Isabella Del Balzo
      con
Federico d'Aragona, Principe di Taranto e poi Re di Napoli.
 
1496 Giovanni Borgia d'Aragona con Maria Enriquez, II Duca di Gandja e di Sessa, dopo la morte del fratello Pedro Louis nel 1488, divenuta poi Clarissa, dopo la morte del marito, col nome Sr. M. Gabriela + 1539.
1499 Giovanni Borgia - Enriquez, III Duca di Gandja, nato il 10 nov. 1494 e succeduto al padre assassinato il 16/6/ 1497, sotto la tutela della madre Maria Enriquez.
1507 Consalvo Ferrandez de Corduba, Gran Capitano e Duca di Sessa.
Questi vendette la terra di V., con diritto di ricompra, alle seguenti persone:
1510 = Benigno Egidio Spannocchia di Napoli;
1514 = Giovanni Vincenzo Carata;
1519 = Vincenzo Latro.
1515 Elvira Ferrandez de Corduba, figlia del Gran Capitano e duchessa di Sessa, sposata con Luigi Ferrandez de Corduba.
Questi vendettero "liberamente" a:
1523 Paolo Antonio Poderico ----------- 1525 = Ladislao D'Aquino.
1554 Beatrice Ferrino, Duchessa di Gravina e Contessa di Muro. Costei nel 1558 dona la terra di V. al quintogenito Flaminio Orsini e nel 1564 ne riacquista la libera disposizione.
1572 Paolo Del Tufo.
1575 Cesare Del Tufo.
1587 Francesco Del Tufo, deceduto a V. nel 1644.
Il Giustiniani precisa che Cesare aveva venduto V. al Duca di Santagata, e Francesco la ricomprò nel 1610 (Petit. relev. 2,)
fol. 153.
Per le difficoltà economiche della famiglia Del Tufo, V. è ceduta in questo periodo a vari Signori:
1580-82 = D. Beatrice de Rupt, Marchese di Quaranta;
1582-1638 = Scipione Carrata, conte di Morcone;
1639 = di nuovo: Francesco Del Tufo.
1644 Fulvia Del Tufo, figlia di Francesco, Duchessa di Grumo.
1677 Giovanna Della Tolfa,
con
Ferdinando Orsini I, Duca di Gravina.
1700 Domenico Orsini I, Duca di Gravina, deceduto il 3/3/1707; questi sposò:
in I nozze: Luigia Altieri, nipote di Clemente X;
e
in II nozze: Ippolita Tocco, dei Principi di Montemiletto.
1705 Filippo Bernaldo Orsini I, figlio di 2° letto di Domenico I; questi sposò:
in I nozze, nel 1711: Giovanna Caracciolo di Giuseppe, Principe di Torella;
e
in II nozze, nel 1718: Giacinta Ruspoli, figlia del Principe Francesco Maria.
Anche in questo periodo si verifica una vendita a:
1722 = Michele Capecelatro;
1725 = di nuovo: Filippo Bernaldo Orsini I.
1734 Domenico Orsini II, nato da Filippo B. Orsini e Giacinta Ruspoli; con Anna Paola Flaminia Erba-0descalchi, di Baldassarre, duca di Bracciano.
1789 Filippo Bernualdo Orsini II, cui fu fatta l'ultima intestazione, col titolo di Principe del feudo di Solofra e della Terra di V.; con Maria Teresa Caracciolo di Marino Francesco, principe di Avellino.
Domenico Orsini III, nato il 19/10/1765 e deceduto il 18/7/1790; con Faustina Caracciolo di Giuseppe, Principe di Torella.
Domenico Orsini IV, nato postumo il 23/11/1790. Dopo la morte dell'Avo fu Duca di Gravina, Principe di Solofra e di V. e Conte di Muro; con Luigia Tarlonia.
Filippo Orsini, nato il 9/12/1842: successe al padre Domenico IV deceduto il 18/10/ 1874.

      Cerchiamo adesso di documentare questi vari passaggi, aggiungendovi alcuni particolari spulciati qua e là, che ci aiutano a far luce sulle condizioni economico - sociali di Vallata, in questo lungo periodo. E' chiaro che, per ovvi motivi, la nostra presentazione non può essere esaustiva ma soltanto indicativa, per ricerche più approfondite sull'argomento. Ricordo che il presente lavoro non ha la pretesa, di essere una "una Storia di Vallata", quanto piuttosto una "Rassegna storica di documenti", da consultare e da approfondire in un lavoro di gruppo, paziente e costante, per scoprire i vari aspetti della vita ultramillenaria di Vallata.

      Abbiamo ricordato nel cap. II che il nostro paese, già verso il 1000 aveva un rapporto politico - religioso con l'antichissima e nobile famiglia de' Crescenza della Contea dei Marsi, dove nel 1120 un vassallo vallatele sottoscrive un istrumento:

      Don Pandulfo de Vallata, miles (= soldato, cavaliere).

      In precedenza, in un elenco di chiese che erano sotto la giurisdizione del Vescovo dei Marsi, si fa menzione di una chiesa di San Giorgio in "Befola"; può anche trattarsi della nostra chiesa di San Giorgio "sull'Ufita", dato che alcuni scrittori chiamano tale fiume anche col nome di "Bufola".

      Questa interpretazione confermerebbe la nostra ipotesi del primo agglomerato urbano nella zona bassa del paese, alle contrade di S. Andrea, di S. Giorgio, nonché di Montalbi e di Vallon Castello. 1143 Verso il 1143 Vallata doveva essere stata già costruita a monte, con mura di cinta e castello, ed avere la sua importanza (almeno quanto Vico e Flumeri), perché, a detta del Borrelli, era tenuta al servizio ordinario di difesa con quattro cavalieri, di cui tre per il centro ed uno per la contrada "Petra Pizula", tenuta dal vassallo D. Guarivo da Vallata, per conto di Riccardo figlio di Riccardo, Signore di Vallata (insieme a Vico e Flumeri).

1167      Nel 1167 troviamo come Signore di Vallata Roberto Lombardo e successivamente il figlio Guido, che hanno come vassallo Roffrido Ferraro; a Guido succede nel 1170 il fratello Guglielmo Lombardo, figlio del def. Roberto, che prende "stabile dimora nel castello di V.".

      Con diploma dell'ottobre 1209, Federico II conferma, fra l'altro, a Montevergine, la "obedientiam de Ballata", per cui possiamo dedurre che dopo la guerra del 1199, V. è ormai anche religiosamente dalla diocesi dei Marsi, ed è affidata ai Benedettini di Montevergine.

1275      Sotto il re Carlo D'Angiò, troviamo come feudatari di V. nel 1275 "Joannes de Vallata" e nel 1277 "Herrico Dominus Ballate".

1281      Nel 1281 compare come "Signore del Castello di Vallata" il miles Guglielmo de Vallata, (la cui figlia Margherita sposa Gradelone, primogenito di Ugone, Signore di Balba) che nei registri della cancelleria Angioina è ricordato con l'espressione "Guglielmo di V., Signore di W' (o del Castello di V.), quasi a puntualizzare che egli è un oriundo vallatele, diventato poi Signore di V.. Deve trattarsi certamente di Guglielmo Lombardo stabilitosi nel Castello di V. sin dal 1170. Tale famiglia si sarebbe completamente vallatesizzata, dominando in paese moltissimi anni, servendosi pure di vassalli e baroni come è ricordato dal reg. 26, f. 155, dai quali esige tasse ordinarie ed anche sovvenzioni straordinarie "pro cingulo militari assumendo". 1332 Nel 1332 è feudatario di V. Roberto de Oliveto.

      Il De Lellis (Not. X Pag. 51 ex Arca A. M. 21, N. 1) ricorda infatti che il Giustiziere invita i feudatari di Principato Ultra a prestare il servizio militare: "Nobilis doni. Janardus Restayni cambell. fam. capitanus Generalis et Iustit. P. U., citari fecit barones ad solvendam adoham sub pena destitutionis feudor. et sunt videlicet, Comes Avellini pro Avellino... Guill. fil. quondam Hugonis Scotti pro bar. Vici et Flumeri; Robertus de Oliveto pro castro Vallatati...". Notiamo che all'epoca V. è una fortezza con un suo feudatario, distinto da quello di Vico e Flumeri.

      Invece lo storico avellinese, Carlo Aristide Rossi, nella sua "Monografia dei 128 Comuni della Provincia di Avellino", con molta leggerezza, afferma che "Vallata fece parte della Baronia di Vico ed ebbe gli stessi feudatari. Nel 1336 tirane feudatario Guglielmo Umbrino, poi fu di Guglielmo de Scatto, morto senza eredi". Lo stesso affermano altri scrittori, fra i quali anche il nostro Pavese: è l'errore in cui si incorre facilmenteo notizie senza documentarsi (... per quanto è possibile!).

1332      Il nostro Roberto non corrisponde l'adoha (contribuzione alle spese militari) insieme ad altri, per cui viene destituito, e sostituito con Ruggero de Oliveto, forse suo consanguineo, nello stesso anno, mentre il feudatario di Vico e Flumeri paga e resta in carica: "... Guill. Scottus tenet Fumarum et Vicum; Rog. de Oliveto tenet Vallatam..." (De Lellis, op. c. m. 2, N. 7).

      Ancora nel 1338 viene invitato a prestare il servizio militare, con il conte di S. Angelo ed altri baroni della provincia, il succitato Ruggero: "... dominus Roggerius de Oliveto tenet Vallatam ...... (ibidem: m. 50, N. 1) (1).

1340?      Nel frattempo Vallata, come ricorda il Galanti, insieme ad altre terre della Baronia, era stata assegnata dal Re Roberto d'Angiò alla Regina Sancia, sua moglie per lo spillatico (denaro o beni che il marito dava alla moglie per le spese... minute personali!)

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     (1) Nel 1345 troviamo come contessa di S. Angelo Giovanna Del Balzo, che ottiene il R. Assenso per la compera del feudo di Colletorto: "... Nobili Joannae De Baucio, comitissae S. Angeli, assensus super venditione casalis Collis Torti ei fatta per Isabellam de Fracturiis, pro annuo valore unciarum XII". (De Lellis, Notam V., pag. 790, ex Reg. Ang. 1305 A. fol. 84).

1343      Questa conservò Vallata, e le altre terre della Baronia, fino al 1343, anno in cui furono vendute a Raimondo Dei Balzo, conte di Avellino, il quale, non avendo prole, adottò il secondogenito del conte di Nola Roberto Orsini, e di Sveva Del Balzo, sua sorella.

1375      Costui si chiamava Nicolò Orsino e da allora assunse anche il cognome Del Balzo, chiamandosi Nicolò Del Balzo Orsino, ed ereditando così i feudi di Raimondo.

1418      Ramondello, Principe di Taranto, nel 1418, compra Carpignano e Giovanna II^ gli conferma anche Lecce, con titolo di Conte, Mesagnes, la baronia di Vico, Flumeri, Carife, Castello, S. Nicola, Acquari, Ospedaletto, Monteacuto, Accidia, Rocchetta, Lacedonia, S. Antimo, Vallata, Lavello, Minervino, Altamura e Locorotondo. (cfr. T. Pavese: S. Maria - Boll. Giugno -Luglio 1931).

1431      Il 2 sett. 1431 viene dato l'assenso regio al matrimonio fra Giovannella Caracciolo, figlia del potente siniscalco Sergianni, e Gabriele Del Balzo Orsini, fratello del Principe di Taranto. Sergianni diede alla figliuola 10.000 ducati di dote e molto argento, oro lavorato e gemme (cfr. Faraglia - Studi intorno al Regno di Giovanna II^ d'Angiò, f. 17); mentre il Principe, coll'assenso della regina Maria, assegnò al fratello molte terre e castelli (cfr. Ammirato = Famiglie Nobili, etc. II, f. 125).

      "Magnif. Joannellae Caraczulae fil. spectab. et magn. Sir Joh. Caraczuli etc. assensus super obligatione feudalium pro matrimonio contratto cum magn. Gabriele de Bautio de Ursinis cum dote ducator. 10.000 precedente celebrai. missae per Reverend. N. Archiepiscopum neapolitan. consiliar. cum promiss. dodarii vel antefati ducator. 5.000 cum obligat. omnium bonor. ei assignator., ratione vitae et militiae a spectab. et magnif. Joh. Ant. de Bautio de Ursinis principi Tarenti eius fratrem primogen.... super concessi infrascriptar. civitatum et terrai.... Vicum, Carifium, ... et Vallata in P. U.
(Ex R. A. N. 376 et 377, fol. 320 t.; Inv. p. 403).

      Nello stesso anno si trasmette copia al conte di Avellino della transazione stipulata tra i fratelli Del Balzo Orsini, in forza della quale erano state assegnate al suo genero, Gabriele, le sopraddette terre nel P. U., ed altre, fuori di tale provincia:

      In sintesi: il principe dichiarava di possedere, oltre al principato di Taranto, la contea di Soleto, ed altri feudi, tra cui Lavello e la baronia di Flumeri e Trevico. Per successione materna gli sarebbero toccate Lecce, e le terre della sua contea. Al fratello Gabriele cede Acerra; le terre sudette nella baronia di Trevico, Vallata con le altre terre in P. U., ed inoltre Minervino e Lavello, in perpetuum. (Ex Arca Ang. H, m. 3, n. 12).

1435      Il 6 maggio 1435, il Re delle Due Sicilie, Alfonso d'Aragona, adottato nel 1421 da Giovanna II^ , conferma ad Enrico de Leonissa e Therina Caracciolo, sua moglie, il possesso di Telese, di Montemarano, di Castel Franco e di Baiano, con altri privilegi concessi e confermati dai re Ladislao e Giovanna II^ a Guglielmo de Leonissa, padre di Enrico (Reg. in Cancelleria penes Cancellarium-Privilegiorum Summariae Reg. XLIII, F. 121 et r.), ed inoltre conferma alla detta Therina Caracciolo il possesso di Vallata, comprata in precedenza dal def. Re Lanzalao. Il testo che ci riguarda è il seguente: "Alfonsus Dei gratia rex Aragonum, Siciliae Cetra et Ultra Farum...

      Item dignese la dicta Majestà, considerato che la dicta Therina mullyere de lo dicto Herrico, accacthao da la Majestà olim de lo Re Lanzalao Vallata et le colte et la capitania (= possedimenti e beni) secondo in de la dicta vendita se contene, la quale de po pervenita ad mano de lo principe di Taranto, dareli et concederi la tanto de la roba de la herede de la dicta madamma Cubella occupatace de la dicta Vallata che la dicta Therina sia satisfacta o viro de altra roba de rebelli de la Majestà de lo Re. Placet Regiae Majestati".

      Per avere un'idea degli abusi, verificatisi, soprattutto durante il regno di Giovanna II^, anche contro ecclesiastici, riportiamo a questo punto il testo di una "lamentabilis querela", inviata da Palamide de Lando, Abate di Montevergine, al Papa Martino V, dal quale fu resa pubblica nel 1428.

      "1428, marzo 26, venerdì. Ind. VI - Martino Pp. a 11 Roma" Matteo de Besse, pubi. not. apostolico e imperiale.

      Si riproduce in pubblica forma una - lamentabilis querela - presentata da Palamide, ab. di M. V., e dalla Comunità di M. V. al Papa Martino V, nella quale si espone al Sommo Pontefice come il suddetto abate di M. V., senza far male a nessun barone, fu assediato dai baroni circonvicini del monastero, preso e messo in carcere con ceppi ai piedi, e il monastero fu violentemente spogliato dei castelli, possessioni e altri beni, e questo dietro ordine:

      a)    di Marino de Leonissa, che lo aveva tenuto in carcere per 17 mesi continui e crudelmente trattato, e, per essere liberato aveva dovuto promettergli il versamento di 500 ducati d'oro, con l'obbligo inoltre di affittargli per un nonnulla, per 29 anni, il castello detto l'Ospedale di proprietà del monastero di M. V., e lo stesso signore non aveva voluto restituire il pegno di una Croce d'argento e di una statuetta d'argento, detta Principellus, che l'abate aveva dovuto mettergli nelle mani come pegno di 200 dei 500 ducati estorti, che egli non aveva al momento della scarcerazione;

      b)    del Conte di Nola, che aveva occupato il castello di Mercogliano, usurpando censi e proventi del monastero;

      c)    di Agiasio Orsini, che aveva occupato i casali di Mugnano e di Quadrella, usurpando in quei luoghi tutti i proventi, frutti, censi, ecc.

      Ora si domandava al Sommo Pontefice di affidare ad un prelato l'incarico di castigare i delinquenti e di far restituire quanto era stato ingiustamente tolto al monastero.

      Accogliendo la domanda, il Sommo Pontefice dà incarico al Cardinale Piacentino di provvedere alla cosa, e questi ordina ai detentori di quei beni che, nello spazio di 15 giorni, li restituiscano e riparino ai danni causati, e intanto fulmina contro i tre maggiori colpevoli la scomunica papale, con assoluzione riservata al Sommo Pontefice. (II, 16 - cfr. Mastrullo)

      Il 7 giugno 1454 Alfonso I, Re di Napoli, a. XX di Sicilia, da Castelnuovo di Napoli, ordina che i vassalli di Lavello, Laurenzana... di Vico con i casali, di Carife, S. Nicola di Ripa, S. Sossio, Flumeri, Vallata, Guardia dei L. ... prestino assicurazione di fedeltà a Maria Donata del Balzo Orsini, figlia primogenita ed erede del def. Gabriele del Balzo Orsini, duca di Venosa. (Reg. Cane. Arag. di Na. - I, 152 a). Il testo originale latino conservato in Na.: Archivio di Stato, Priv. Coll. I, 152 precisa che il Re Alfonso I accondiscese alla richiesta di M. Donata, in considerazione anche degli "ingenti servizi" offertigli dal magn. Giovanni Ant. del Balzo Orsini, Principe di Taranto e da Gabriele, padre di M. Donata: "... nos vero dicte Marie Donate Ducisse supplicacionibus annuentes pro consideracione quoque ingencium serviciorum per illustrem et Magn. virum Johannem A. De Baucio de Ursinis ... et dictum Gabrielem patrem dicte M. Donate prestitorum qui nobis predicta precipua prestare constai dicimus et mandamus vobis ......

      M. Donata sposò Pirro del Balzo, dal quale ebbe due figlie: la primogenita Isotta, che sposò Pietro de Guevara, marchese del Vasto, conte di Ariano e gran siniscalco del Regno; e la secondogenita Isabella, che sposò Federico d'Aragona, secondogenito di Ferdinando I.

      Il Re Ferdinando I passava spesso dei periodi di villeggiatura a Migliano, presso Vallata; nel 1459 vi si fermò dal 18 maggio al 29 giugno: in questo periodo egli scrisse numerose lettere inviate a varie personalità. Queste lettere sono state raccolte, da un manoscritto conservato a Parigi, da un professore di storia dell'Università di Dijon, Messer Armand Adolphe, e pubblicate nel 1912 in un volume, che si trova alla Biblioteca Apostolica Vaticana, Collocai. Italia IV. Napoli 27.

      Ne riportiamo una come esemplare:
      1459. - 18. VI. - Au camp près de la forêt de Migliano. (ibid. fol. 93)

A Alphonse d'Avalos, ect.                          Rex, etc.
spectabilis et magnifica vir, strenue armorum capitante, consiliarie fidelis nobis dilette. Perché havimi adviso, che don Antoni Centelles, per comandamento del principe de Taranto, ha rupto guerra contra lo duca de San Marco et lo compie de Tricarico, vi comandano, che suprasedate in la assignatione de questo castello de Cotroni, fini ad altro nostro comandamento.
Dat. in nostris felicibus castris iuxta Silvam Migliani prope Vallatam, die XVIII juniii, VII indietionis, M.CCCC.LVIIII, hora quinta noctis. -Rex Ferdinandus. Ad don Alfonsum de Davalos. - T. Girifalcus. Sub simili forma pro castello Catanzarii fuit scriptum Joanni Barresio et Michaeli de Maho. (Molte altre lettere, con la stessa conclusione).

1482      Nel 1482, in vista del matrimonio di Isabella col figlio del Re, Isotta, come primogenita, rinunciò allo stato d'Altamura, in favore della" sorella, e Ferdinando I, in ricompensa, donò ad Isotta, marchesa del Vasto, città e terre, fra le quali Vallata, come risulta da una "pubblica scrittura", stilata a Castelnuovo di Napoli, il 1° maggio 1482.

      Dopo la congiura dei baroni del 1485, Vallata, come feudo di Pirro Del Balzo e poi di Pietro Guevara, pare che non abbia partecipato nel 1486 alla cospirazione dei suoi signori contro Ferdinando I: questa congiura fallì, perché Federico non si prestò al gioco dei baroni, che lo volevano a capo dell'insurrezione, contro il padre Ferdinando e contro il fratello maggiore Alfonso, duca di Calabria. Ma conviene ricordare alcuni particolari.

      I grandi baroni del Regno, ostili alla casa aragonese, erano preoccupati della crescente potenza di Alfonso, duca di Calabria, che, andato a Lucca il 1° gennaio 1485, "per castigare chi avesse fallito in questa guerra e remunerare chi avesse fatto bene" donò, in nome del Re, a quella fedele città la terra di Nardò, rea di essersi data ai Veneziani (16 marzo). Perciò i suddetti baroni pensarono di servirsi di Federico, per riuscire nella loro impresa di rivendicazione.

      Indussero anzitutto il Re Ferdinando a nominare Federico principe di Taranto e a fidanzarlo con Isabella del Balzo che, nel frattempo, era rimasta libera per la morte di D. Francesco (26 Ott. 1485), altro fratello di Federico, a cui era stata promessa.

      E quando, per loro richiesta, D. Federico fu mandato dal Re a Salerno, dov'erano radunati i baroni, per trattare gli accordi, costoro gli proposero di porsi alla loro testa, contro il padre e il fratello e di farsi re. I baroni credettero lusinghiera la loro iniqua proposta, come pensava pure lo scettico Ludovico Sforza, che scriveva: "Non è da pensare che, per esserli D. Federico fratello e minore di età, al quale de jure non spetta la corona, si debia retraere dall'impresa perché lo sangue o vero fraterna carità lo stringa, però che innatum est unicuique di desiderare inter suos il primo loco"; e ripeteva ancora che al Papa non conveniva affidarsi ai baroni regnicoli, "perché ad altro tempo seria in potere de' baroni dare quello regno a chi piacesse a loro, e serro certi che D. Federico non recuserìa".

      Anche Sigismondo dei Conti ricorda che "fuvvi chi credette che Federico se la fosse intesa coi nemici per gelosia che aveva col fratello Alfonso, a cui i baroni avrebbero fatto credere che in quella guerra null'altro si cercava che, repressa la universalmente aborrita sevizie di Alfonso, egli avesse la preminenza presso il padre, e gli fosse destinato a succedere nella corona".

      Ma quale non fu la sorpresa di tutti quando Federico, respinta decisamente la scellerata proposta, esortò i baroni alla dovuta obbedienza. Il Porzio così racconta: "Venuto a capo D. Federico del suo ragionare, si videro in un momento quasi tutti i volti degli ascoltanti cambiati, ed in vece di quell'allegrezza e confidenza che da prima mostravano, destossi in loro un mormorio ed un timore, presago del male che per la presente congiura dovea loro avvenire". Perciò trattennero come prigioniero Federico (19 nov. 1485) e rizzarono in Salerno e nei loro castelli le bandiere del Papa, il quale allora, per la rivolta di Aquila, era in guerra col Re di Napoli (20 nov.).

      Ferdinando, venuto a conoscenza della cosa, inviò subito messaggeri per diffonderne la notizia nelle varie provincie, presso gli ufficiali e i baroni fedeli.

      Frattanto Federico, con l'aiuto di Mariotto Corso, riusciva a fuggire una notte da Salerno (10 dic.) e, con l'appoggio di due barche di Cetara e di Cava, a raggiungere Napoli (13 dic.). Marciò poi con un esercito contro i ribelli di Calabria e nel nov. 1486 raggiungeva in Capitanata il fratello Alfonso, che tornava dalle Marche, per assoggettare i baroni d'Abruzzo e di Puglia. Finita questa guerra, insieme entrarono trionfalmente in Napoli (18 dic.).

1486      In questo scorcio di anno (1486) si concluse definitivamente il matrimonio con Isabella Del Balzo, alla quale fu dato l'annunzio da Giovan Batt. Caracciolo, aiutante di camera del duca di Calabria, appositamente mandato ad Andria, ove risiedeva la sposa. Né bastò a guastare questo partito il recente tradimento del padre di lei, Pirro principe d'Altamura, né la cattura di questi, che non uscì più dalla prigione.

      Già a Federico era stata conceduta dal Re la castellania delle terre di Pirro Del Balzo (L giugno 1487), che il Re possedeva per effetto della clausola, stabilita negli accordi di pace con i baroni, che questi dovessero cedere al Re la guardia dei loro castelli. In forza di tale clausola forse Vallata non partecipò alla insurrezione successiva alla congiura dei baroni, pur essendo i suoi signori, sia Pirro che Pietro Guevara, come abbiamo già ricordato, dei forti sostenitori della cospirazione: il Re Ferdinando, appena messo al corrente della congiura, avrà subito provveduto ad assumere la guardia anche del castello di V., dove aveva per sé la difesa di Migliano.

      Frattanto il Re commetteva ad Antonio de Gennaro di procedere all'assicurazione dei vassalli di Federico nelle terre assegnate dal padre alla sposa, che erano Acerra, Minervino, Montemilone, Lavello, Lacedonia, Flumeri, Rocchetti, Vico, Castello, Carife, Pulcarino, Santa Maria, S. Sossio, Vallata, Guardia, Montaguto (30 giugno 1487).

      Ma, dopo la carcerazione di Pirro (4 luglio), celebratesi le nozze il 18 nov. 1487 nella città d'Andria, Federico ereditò tutti gli stati del suocero, essendo già stata costretta, in forza del compromesso di cui si è parlato, la sorella maggiore d'Isabella, Isotta marchese del Vasto (e conseguentemente l'avente diritto alla successione: la primogenita Ginevra o Dianora Guevara) a rinunziare a favore della secondogenita la successione feudale del padre Pirro.

      Perciò Federico, restituendo al Re il principato di Taranto, assunse i titoli di principe d'Altamura e di Venosa, conte di Acerra, di Copertine e di Montescaglioso, oltre quello di ammiraglio del regno, come si vede nei capitoli dell'ammiragliato direttigli dal Re Ferdinando, che gli concedeva facoltà più ampie che ad altri predecessori (8 luglio 1487), i quali furono pubblicati da L. Volpicella seniore nella rivista "il Giurista" (Napoli, 1866; an. VII, nn. 48, 49, 52).

      Con diploma, dato in Napoli il 3 agosto 1487 anche la baronia di Vico e Flumeri, ed altre città e castelli, fra cui Vallata, sottratte al traditore Pietro Guevara, furono assegnate a Federico.

      Nel seguente anno ritornò in Puglia, per rivedere la sposa, che era rimasta in Andria incinta, ed ivi assistette alla nascita di suo figlio errante (17 dic. 1488). Nel 1491 comprò dal conte di Maddaloni Giovan T. Carata anche la terra di Zungoli. Alfonso II Re, il 20 sett. 1494, ratificò il privilegio di immunità dai pagamenti fiscali concesso a Muzio de Vallata e a suo figlio Cieco (VII, 98 b).

      Per gli avvenimenti successivi rimandiamo il lettore ad uno studio di L. Volpicella "Regis Ferdinanda Primi Instructionum liber", da cui abbiamo tratta questa sintesi.

1496      Dopo l'eccidio e la distruzione del paese con la chiesa, di cui abbiamo diffusamente parlato, il feudo di V. fu subito sequestrato da Giovanni Borgia d'Aragona, II duca di Gandja e di Sessa, dopo la morte del fratello Pedro Louis nel 1488. Nato nel 1476, presumibilmente a Roma, da Vannozza Cattanei e dal Cardinale Rodrigo Borgia, poi Papa Alessandro VI, aveva sposato Maria Enriquez, dalla quale ebbe due figli: Giovanni nel 1494 ed Isabel, nata nel 1498; dopo il suo assassinio, questa andò Clarissa, col nome di Sr. Francesca.

      Per favorire la ricostruzione della chiesa, forse per qualche anno, egli lasciò le entrate del feudo alla stessa, cui donò pure un molino, chiamato appunto "molino della chiesa o di S. Bartolomeo", conservato dalla Parrocchia fino al secolo scorso, quando i bene ecclesiastici furono incamerati dallo Stato. Grazie alla sua munificenza, la chiesa fu ben presto ricostruita e, nel 1499, fu riaperta al culto.

      Nel pomeriggio del 16 giugno 1497 il cadavere di Giovanni Borgia, con nove gravi ferite e la gola tagliata completamente, fu tratto dalle acque del Tevere: la voce pubblica ritenne responsabile di questa morte il fratello Cesare.

1499      Il 31 luglio 1499 "il Re Federico I d'Aragona concede a Giovanni Borgia - Enriquez (che essendo bambino era sotto la tutela della madre) Duca di Gandja, Principe di Teano, Gran Comestabile del Regno, la terra di Montefusco con la dogana di Lucubante, e quelle di Trevico e Castello; Flumeri, Pulcherino, Vallata, Carife e Zuncoli. Gli conferma inoltre l'esazione dei fiscali in Chianca, Chianchetelle, Castelmozzo, Ginestra, Lentace, Mancusi, Monte aperto, Montefalcione, Montemiletto, Monte Preturo, S. Angelo a Cupolo, S. Maria a Toro, S. Maria in Grisone, S. Pietro in Deliceto, Tufo e S. Nicola Manfredi". (Summum Executoriale, 13, fol. 100).

1507      Passiamo adesso alla documentazione del successivo passaggio del feudo di V. al Gran Capitano Consalvo Ferrandez de Corduba, duca di Sessa, il lo gennaio 1507.

      Ci dà questa possibilità lo storico Nino Cortese che, in "Feudi e Feudatari Napolitani della prima metà del Cinquecento", riporta due documenti importanti estratti dallo "Archivio generai de Simancas - Valladolid -", Estado, libros 57 e 58.

      Il primo fu compilato nel 1507 e c'indica il modo seguito dal governo spagnolo, per attuare nel regno la pace stipulata tra Spagna e Francia nel 1505, che chiuse la prima fase della lotta tra le due monarchie per il possesso dello Stato, e nella quale Ferdinando il Cattolico si obbligò a restituire ai feudatari, che avevano seguito il partito francese (o angioino, come allora si diceva), i beni sequestrati e già donati ai seguaci di Spagna.

      Il secondo documento, compilato nel 1531, ci dà una minuta relazione dei possedimenti feudali ritornati al Fisco, dopo gli avvenimenti del 1527 - 30, perché già in dominio di ribelli esclusi dall'amministia concessa da Carlo V nel 1530.

      Riportiamo i testi che c'interessano nella forma originale.

      Libro facto de quello se è exeguito circa la restitutione facta per la capitulacione. "Cità, terre et castelle comparate per la M.tà Captolica da lo duca de Candja per posserse de quelle advalere in le recompense che se haveranno da dare (1507) per Sua M.tà a li baruni, a li quali se haveranno de levare alcune terre ad loro donate per Sua M.tà o vero per el Re Federico per quelle restituire a li baruni che vengano restituendi per vigore de la capitulacione facta con el Re de Franza; quale cità et castelle con le contrade spettante ad barone et .con li pagamenti fiscali Sua M.tà Captolica, have comparate per ducati ottanta dui milia de oro, videlicet: la cità de Sessa con le feudo de Montealto, Tiano, Carinola... Montefuscolo con soi casali, Flumeri, Porcurino, Zunculi, Castiello, Carife, Vico, Vallata, Santo Soxo, Sancto Nicola: questi due ultimi paesi foro pigliati da Roberto de Toccho, che li havea havute per concessione de Sua Altezza".

      (Arch. Stor. napol., Vol. XV, sez. II, p. 6).

      Il 1° gennaio 1507 Ferdinando il Cattolico donava al Gran Capitano, Consalvo de Cordova, la terra di Montefuscolo, insieme al ducato di Sessa, il ducato di Andria, il ducato di Terranova, ed altri feudi.

      "Citate, terre, castelle et pheudi consignate per Sua Altezza al duca de Terranova (Consalvo de Cordova) in ricompensa de le terre pigliate da Sua S.ria et restituite al princepe de Melfe, duca de Atri, conte de Concza et conte de Montelione, et li sono state donate con esseresende pigliata informacione de quello rendevo orane anno per complirle li X milla ducati de la mercé che ultimamente Sua M.tà li havea fatta et recompensarli de li ducati che valea Concza con li Pochi et sali ad ipso concessa per Re Federico. Le sottoscritte terre se possedevo per lo dicto duca de Terranova, quale li so remaste de quelle se havea pigliate in parte de la mercé de li diete X milla ducati: Andre, Castiello del Monte, Venosa, Bitonto, Hyrace, Salpe.

      Le sotto scripte cità et terre so state consignate al dicco duca ad complimento de li dicci ducati X milla e per la compensa de Corsa: la cità de Sessa, Theano, Carinola... Monte Fuscolo con soi casali, Flummari, Porcarino, Czunculi, Castiello, Carife, Vallata (al margine per tutte queste località: - comparati dal duca de Candia -), Carbonara (al margine: - se hebbe per excadencia da Sforcia, quale la tenea da re Federico -)..." (ibid. P. 25). Il privilegio è integralmente pubblicato in Danza E. Tractatinus, p. 124.

      Il Gran Capitano, vendette la terra di V., ma con il diritto di ricompra, alle seguenti persone:

1510      a) Benigno Egidio Spannocchia, di Napoli, con l'assenso regio del 20/5/1510 (quint. 447, che in precedenza era segnato col N. IX, f. 225);

1514      b) Giovar Vincenzo Carata, marchese di Montesarchio, al prezzo di 6.000 ducati, con l'assenso del 1/4/1514 (quint. 18, precedentemente N. XIII, dal fol. 206 al fol. 207 a tergo);

1519      c) Vincenza Latro, vedova di Giovanni Del Tufo, per ducati 12.000, in virtù di tre sovrani assensi del 4/6/1519 (quint. 21, precedentem. N. XVI, fol. 161), del 9/9/1521 e del 14/6/1522 (quint. 455, precedentem. N. XX dal fol. 151 al fol. 152 a tergo).

1523      Successivamente i coniugi Elvira Ferrandez de Corduba, duchessa di Sessa e figlia di Consalvo, e Luigi Ferrandez de Corduba, vendettero liberamente il feudo a Paolo Antonio Poderico, al prezzo di 28.000 ducati, con regio assenso concesso da Carlo de la Noy, Vicerè di Napoli nel 1/10/1523 (quinta 456, prima segnato col N. XXIII, dal fol. 41 al fol. 45).

1525      Nel 1525 è tassato per Vallata, Ladislao D'Aquino, al quale evidentemente il Poderico aveva venduto, con diritto di ricompra (Cedolari, Feudatari di V., Vol. 66, f. 448).

1554      Definitivamente il Poderico vende la terra di V., per ducati 30.000, a Beatrice Ferrillo, duchessa di Gravina e contessa di Muro: l'Istrumento fu stipulato dal notaio Marco Andrea Scoppa di Napoli e fu convalidato da regio assenso il 29/11/1554. Il Pavese in "Scritti vari", pone la vendita al Poderico e quella alla Ferrillo, rispettivamente nel 1533 e nel 15.44.

      Per avere un'idea di come i nostri paesi, oltre ad essere oberati di tasse da governi e compratori vari, servivano da "granai" di rifornimento delle città, inseriamo qui una notizia di cronaca.

      Il 15 ott. 1555, Alifano Tafuro di Montoro aveva dato a suo figlio l'incarico di trasportare, per mezzo di asini, da Vallata a Napoli, tre some di farina per grassa della città, ma, al "passo di Gesualdo", aveva dovuto pagare i diritti; così, un'altra volta, per tre altre some, trasportate da Lacedonia a Napoli, nonostante che mostrasse le sue patenti di "franchigia di passo". Si scrive agli esattori del passo che restituiscano il denaro esatto, aggiungendovi tre carlini, per spese di spedizione del presente ordine. (Part. Summ., Vol. 377, fol. 61).

1558      La duchessa di Gravina, Beatrice Ferrillo, il 31/8/1558, con regio assenso della, stessa data, dona al suo quartogenito Ostilio Orsini, la terra di Solofra, e quella di Vallata al quintogenito Flaminio, dichiarando che, per transazione con gli altri fratelli, munita di regio assenso, erano assegnatari di soli beni materni, col patto che, morendo l'uno senza figli, dovesse l'altro raccogliere la successione (quintern. 76, già 48, fol. 209).

      Frattanto, il 7/2/1560, la duchessa Beatrice e l'Università di V. firmarono le Capitolazioni, che furono munite di assenso regio il 27 dello stesso mese. Un sunto di queste capitolazioni si trova nel Vol. 549 dei Processi della Commissione feudale, N. 3121, fol. 5 e N. 3124, fol. 4 e fol. 98.

1572      Beatrice vendette il feudo, per 25.600 ducati a Paolo Del Tufo, con l'istrumento rogato dal notaio Annibale Battimello di Na. ed approvato dal Cardinale de Granvela, Vicerè di queste contrade, il giorno 8/3/1572 (quintern. 99, già 81, dall'anno 1571 al 1572, dal fol. 175 al fol. 180 a tergo).

1575      A Paolo Del Tufo succedette nei feudi di Vallata e di Vietri il figlio Cesare, che soddisfece alla regia corte il relevio nell'anno 1575 (Cedolario delle provincie di P. U. nella relazione del Razionale, fol. 446, ove si cita il fol. 105 del registro significatoriarum releviorum 25).

1587      A Cesare, deceduto nel 1587, succedette nello stesso anno il figlio primogenito Francesco, contro cui la Regia Camera della Sommaria il 27/3/1610 spedì una significatoria per il pagamento del relevio su V. (Reg. significatoriarum releviorum segnato col N. 40, dall'anno 1608 al 1610, dal fol. 167 al fol. 169 a tergo).

      Il Giustiniani precisa che Cesare aveva venduto V. al Duca di Santagata, e Francesco la ricomprò nel 1610 (Petit relev. 2, fol. 153).

      Un fatto è certo che la fam. Del Tufo dovette attraversare un periodo di gravi difficoltà economiche per cui, in quegli anni V. fu ceduta a vari Signori, sempre con diritto di ricompra:

      1580-82 = D. Beatrice de Rupt, marchesa di Quarata.

      1582-1638 = Scipione Carrata, conte di Moncone
come si può notare dal testo qui riportato.

      Nel 1639 Francesco riesce a riscattare il feudo e nel 1640 stabilisce con le autorità di V. un contratto, in base al quale- l'Università gli concede il diritto di riscuotere alcune tasse, in pagamento di una somma di 700 ducati da lui versati, per estinzioni di debiti fiscali della città. Abbiamo la possibilità di offrire al lettore copia del testo originale di tale contratto, con una traduzione italiana.

      Francesco muore a Vallata il 12/4/1644.

1644      Con decreto di preambolo della Gran Corte Vicaria del 17 giugno 1644 du dichiarata erede universale di Francesco la figliuola Fulvia, duchessa di Grumo (Vol. 59 delle significatorie di relevi, fol. 87), che al 22/5/1645 pagò al Fisco il relevio sulla terra in esame (ivi, da fol. 86 a tergo al fol. 89). Riportiamo comunicazione sulla tassa di voltura del 28/2/1646.

      Inseriamo pure a questo punto delle notizie, desunte dall'Archivio Parrocchiale, che ci illustrano la presenza della famiglia Del Tufo a V.

      "Io Donno Fabritio Matera Primicerio ho battezzato la figlia di Bartolomeo Bilardo et Antonia delo Tufo coniuge, secondo il rito della S. R.C., nata alli 21 di gennaio, et li fu posto nome Blonda Agnese, et è stata tenuta al sacro Fonte alli 22 del'istesso da Perno Pennecchia mammana, Ministro il Rev. Donno Francesco Oliueto, nell'anno 1616" (R.B. II, 80).

      "Con licenza del Sig.r Arciprete, Io D. Francesco dela Villa ho amministrato in chiesa le Sacre Cerimonie et orationi al figlio di B. Berardo e A. Delo Tufo, secondo il rito dela S. R. C., nato alli 4 di giugno. Li fu posto nome Angelo, et è stato tenuto al S. F. l'istesso giorno detto da Rubinca Pennecchia mammana, dalla quale è stato ingrauattato in casa per il soprastante pericolo di morte; et ministro fu il Cle. Alfonso Loffo. L'anno 1619" (ib. II, 98^).

      "Io Donno Tullio Hippolito con licenza del Sig. re Arci.te ho battezzato lo figlio Giulio Cesare Hippolito et Angilella Fragianni coniugi di Minervino ... nome Nicolò Angelo et l'hanno tenute al S. F. del Battesimo l'Ill/ma Sig.ra Donna Cornelia del Tufo, lo notar Gio. Ant.io Triunfo, nato à dì 3 notte histesso sub die 4 Xbris 1616" (ib. II, 88^).

      Il 22/11/1616 al battesimo di "Francisco, figlio di Ms. Gioanne d'Apolito et madama Fuluia Granuccio... "funge da madrina la G. ma Donna Fuluia del Tufo" (ib. III, 9 ^).

      "Il dì de S. Biagio 1621" al Battesimo di "Gio. Ignatio, figlio del Sig.r Scipione Mirabella e della Sig.ra Flaminia Casata..." funge da madrina la ... "Sig.ra Cornelia del Tufo" (ib. III, 16),

      Il 13 giugno 1634 al Battesimo di “… Antonia, figlia di Pietro Ant.io Dattilo e di Antonella della Uilla (= Villa)..." funge da madrina la "Ill.ma Domina D. Cornelia de Tufo" (ib. 111, 93^ ).

      "A. D.ni 1637 die uero 6 m. s Januarii Vallatati Ego D. Julius Cesar Rosatus baptizaui filium natura sub die 4^ Januarii ex coniugibus D. Donato Pinto, Terme Gesualdi et ad presens Cap. (= Capitano) in hoc terra V. p.tre et Ecc.ma D.na Lidia Balucolensi huius terra) V. matre, cui impositum est nomen Carolus F., patrinus uero Dottor phisicus Ant.s Lacedonia huius terra). (ib. III, 112).

      E adesso un'allegra nota di vita paesana, in occasione di un battesimo del figlio del 1° Sindaco di Vallata, di cui si ha notizia, con la partecipazione di quasi tutto il Clero locale:

      "Io Donno Gio. Batta Racano ho battezzato il figlio del S. Notar Gio: Ant. io Triunfo hoggi dì Sindico (a questo sindaco fu dedicata anche una via del paese) et madonna Giulia d'Antonangelo Matera coniuge, secondo il rito della S.R.C. nato ali 16 di Novembre 1603, e li fu posto nome Agostino Scipione, et è stato tenuto al Sacro Fonte dal Mag.co Ms. Scipione Giordano napolitano il giorno 23 del medesimo mese, mammana Abinante Caruso, Ministro il Clerico Gratiano di Ms. Filippo Prntibus (= presentibus) RR. Archipresbitero Donata, Donno Ang.lo Matera, D. Fran.co Villa, D. Fabricio Matera et aliis nonnullis P. sbiteris (ib. 1, 105^).

      Nel periodo dal 1647. al 1650, nel reame di Napoli, si verificarono frequenti sollevazioni, di cui il Capecelatro fa una dettagliata descrizione nel suo "Diario", dal quale desumiamo una notizia riguardante V. (pagg. 273 - 274): "... venne ancora nella medesima città (Aversa) il Principe di Montemiletto, D. Carlo di Tocco cavaliere del Tosone, il quale avendo nelle sue terre, poste negli Irpini, fatto morire uno de' capi dei popolari compagno del Blasio, (che era uscito da Napoli per raunar gente, e porre in rivolta quella, e le altre circostanti provincie), e mandatone altri prigioni al Duca di Salsa, che si ritrovarono a saccheggiare la terra di Vallata... "; in una nota l'autore precisa: "Delli primi capi dei popolari che uscirono dai quartieri sollevati, che furono Pietro e Giuseppe di Blasio, e Leonardo Savariano, fece morire uno di essi che venne in Principato Ultra (ove detto Principe di Montemiletto ha il suo Stato, al che il Duca di Salsa allora colà Vicerè, per timore, non volle intricarsi) e mandò alcuni prigioni al tribunale di detto Vicerè, che si ritrovarono a saccheggiare la terra di V., acciò avessero il meritato castigo..."

      Altre notizie desunte dall'Archivio Parrocchiale:

      Il 29 gennaio 1646 al Battesimo di "Cornelia Joanna de Donata, figlia di Scipione e di Finicia Pennecchia" funge da madrina la "Ecc. madna (= madonna) D. Joanna della Tolfa Ducissa Grumi" (R. B. IV, 41); ed ugualmente:

      Il 28 febbraio 1646 al Battesimo di "Prudentia de Hippolito, figlia del Not. Jouan^ e Baptista e di Isabella de Donata", funge da madrina la "Ecc. mdna D. Joanna de Tolfa, Duchissa Grumi" (ib., 42).

      Da ciò possiamo dedurre che la Duchessa, avendo messo l'occhio sul feudo di V., frequentava le famiglie nobili del paese, anche perché sapeva che Fulvia del Tufo, figlia ed erede di Francesco, non aveva superato le difficoltà economiche, di cui sopra. La peste del 1656 che, come vedremo, decimerà fortemente la popolazione vallatese, contribuirà a far precipitare ulteriormente la posizione di Fulvia, per cui, da allora, la Duchessa di Gravina dovette cominciare ad esercitare il suo dominio su V. Questa nostra interpretazione dei fatti è confermata da una notizia sicura, offertaci dalla relazione "ad limina" del 1663, in cui, come vedremo, si parla di V. "... cui praeest in temporalibus D.na Duchissa Gravinae ".

      Infatti, successivamente, dietro istanza dei creditori della fam. del Tufo, il tribunale del Sacro Regio Consiglio, vendette il feudo di V. a Giovanna della Tolfa, duchessa di Gravina, al prezzo di ducati 33.970.

1677      L'istrumento della vendita fu stipulato dal notaio Guiseppe de Montefusco di Napoli il 27/3/1677, e venne approvato dal marchese de Los Veles, Vicerè del reame il 714/1677.

      Giovanna aveva sposato Ferdinando Orsini I, che oltre ad avere il titolo di Duca di Gravina, conservò quello di Principe di Vallata, che aveva dal 1674.

      La casa Orsini infatti, oltre che. del Patriziato Napoletano, per aggregazione all'antico seggio di Nido, va decorata di vari titoli napoletani: fra gli altri, quello di Principe di Solofra, per esserle stato concesso, con Real Privilegio del 27/2/1620, di mutare su Solofra il titolo di Principe, che già possedeva sopra Sorbo, e di Principe di Vallata, in cambio di Principe di Galluccio, già posseduto. (cfr. F. Bonazzi: Registri della nobiltà del P. U.). In seguito al matrimonio con Ferdinando Orsini, Giovanna avrebbe pigliato il titolo di Duchessa di Gravina, lasciando quello di Duchessa di Grumo a Fulvia del Tufo, dalla quale comprò il feudo di V., dietro sentenza del Tribunale di cui sopra.

      Il 1/12/1666, io "... Ecc.mus D.s Petrus F. Dux Grauinae" aveva fatto da padrino a V., al battesimo di "Elisabet, figlia del Dott. Fisico Francesco Ant. Memoli e della Mag.ca Maria Dattilo" (R. B. V, 55").

      Alla morte del marito Ferdinando, Giovanna si fece monaca col nome di Suor Maria Battista dello Spirito Santo, nel monastero di Gravina, dove visse 24 anni, fino alla morte. Dai Cedolari risulta che Giovanna pagò le tasse per Vallata dal 1639 al 1700:

      Morì il 22/2/1700, compianta dal popolo vallatele, come ricorda il Parroco del tempo, D. Bartolomeo Vella, in una interessante nota sul registro dei Defunti Vol. I, pag. 103 r. e v.:

      "Anno Domini 1700 die uero V mensis Martii Vallate è uenuto la nova che è passata da questa a meglior uita l'Ecc.ma Sig.ra D. Giouanna Tolta Francipane, Duchessa di Gravina, Principessa di Solofra e Galluccio, Contessa di Muro, et utile Patrona di Vallata morta à 21 del caduto mese di febbraio giorno di domenica ultima di carneuale ad hore sette notte sequente così haueuali assestito alla sua morte il Sig.r Cardinale Orlino suo primogenito figlio, Arciuescovo di Beneuento, da doue hebbe la chiamata che sua madre steua male e passo hore 24 continue co ^ d.a (= detta) Sua Ecc.ma Madre e poi comincio ad entrare in agonia co ^ l'assistenza anco dell.mo Sig.r Duca altro suo figlio e d.a Ecc.ma Sig.ra era stata dentro al monasterio di Grauina edificato da Essa Ecc. ma Sig.ra uenti quattro anni, doue fini sua uita co ^ strettiss.ma Regola. Era tutta la sua eta d'anni settanta sette in circa e uenuto d.a auiso (= detta notizia) subito si toccornò (donde la voce dialettale: suonare il tocco) le Campane à morto, e da tutto lo Clero si è cantato tutto l'officio co - Messa Cantata di morti che fu proprio il p.o uenerdì di marzo di sop.a d.o Anno"

      Ancora delle notizie di cronaca paesana:

      "Anno D.ni 1669 die mensis Februarii Vallate ego Bartolomeus Carusius Archipresbiter M.E.S.B. terrae Vallatae baptizaui filium eodem die natura ex Magnifico Othone Russo patre in presenti Sindico et ex Magnifica Antonia Dattilo matre coniugibus dictae terrae cui impositum est nomen Franciscus Antonius. Patrinus uero Rev.dus D. Valentius Patetta Primicerius dictae Terrae" (R. B. V., 66^).

      Il 19/5/1678 figura come padrino di Battesimo "Donatus Zamarrus ad presens Sindicus.." (R.B.V, 113" ), sposato con Agata Spizzo nel 1661 (R. M. 11, 64).

      Il 18/7/1682 fungono da padrini in un Battesimo: "... Doctor Jacintus Ragni civitatis Grauine presens Gubernator Terrae Vallatate et Mag.ca Diana Pisana" (R.B.V, 129), mentre a Trevico era Gubernator D.s Gaitanus Volpe terme S. Agatae Pulie (ib. 139^).

1700      Alla Duchessa Giovanna subentrò nel 1700 il figlio Domenico Orsini I, Duca di Gravina, che sposò in prime nozze Luigia Altieri, nipote di Clemente X; ed in seconde nozze Ippolita Tocco, dei Principi di Montemiletto. Questi soddisfece alla Regia Corte il relevio sulla terra di V. nell'anno 1702, come da cedolario surriportato.

1705      A Domenico I succedette nel maggio 1705 il figlio Filippo Bernualdo Orsini I, nato in Solofra il 1/6/1685, com'è ricordato in Commiss. Feud. P. U. vol. 540, proc. 3087, fol. 116.

      Il Principe Orsini viene dichiarato erede dei beni paterni; paga il relevio sui feudi di Solofra e di V. con titolo di principe, su Gravina con quello di duca, e su Muro con l'altro di conte, come si nota sia dal cedolare surriportato del 1696, che da questo che qui riportiamo, del 1732.

      Interessante la puntualizzazione offerta ai nn. 9 e 10, circa i vari tipi di tassazione imposta a V., "dell'attuario, della baiulazione, dei pesi e misure, dei forni, dei molini, di piazza, di portularia, di scannaggio, del diritto di proibire apoteca lorda e del catapano della terra di V. ... ",ed inoltre: "... i rilievi duplicati dovuti per una delle due taverne, che anticamente erano nella terra di V., e siccome una fu distrutta al tempo del contagio del 1656, ne fu denunziata una soltanto..." Proprio nulla sfuggiva a questi inesorabili sfruttatori!

      Il principe Bernardo Orsini I sposò in prime nozze, nel 1711, Giovanna Caracciolo di Giuseppe, principe di Torella; ed in seconde nozze, nel 1718, Giacinta Ruspoli, del principe Francesco Maria. Morì il 4 gennaio 1734 nel suo celebre palazzo "Gravina", in via Monteoliveto in Napoli.

      Inseriamo a questo punto altre notizie di cronaca.

      S. Eminenza il Vicerè concede alla Badessa ed alle monache di S.M. delle Grazie di Solofra, il 30 ottobre 1708, licenza di far condurre da V., parte dei grani, non prenotati per Napoli, da servire per il loro vitto (Prt. Coll., vol. 1159, fol. 99).

      "A.D. 1686 die 16 mensis Januarii V.T. ego D. Bartolomeus Vella Archipresbiter M.E.S.B.T.V. baptizaui filium eodem die inventum in locum ubi dicitur Padula iuxta stradam per quam proficiscitur ad Civitatem Bisaciensis iuxta uineam Bartolomei Vella, subtus meta ditti Bartolomei, a quidam Conmessario proficiscente per eandam uiam, Oratius delle Groie, qui stabat in quedam uineam iuxta dittam metam accepit dittum puerum et duxit in domun Bilardini Magaletti ad presens Sindicus,a Martia de Alexandro duttus est in Ecclesiam et ego supradittus Archipresbiter cum conditione baptizaui "Si non es baptizatus ego te baptizo" et Marcellam nomen imposui; patrinus A. Zillo terrae V. " (R.B.V, 146).

      Il 29/7/1708 funge da padrino in un battesimo "Mag. cus Dominucus Gerundo terrae Cervinarae Gubernator huius T. V. " (R.B. VI, 25).

      Il 28/1/1716 "... patrini fuerunt Ill.mus Dominus Episcopus Trivicanus D. Simon Diglinus et matrina mag.ca Antonia Fuolani terrae Montis Miletti, et ad presens Gubernatrix T.V." (ib., 98).

      Il 12/2/1718 riceve il Battesimo "Giuseppe Ant. Nicola Misconisco, figlio di D. Giovanni Giorgio Misconisco di Ragusa, Gubernator huius T. V. et D. Francesca delle Maggiore Napolitano" (ib., 120" ).

      "A. D. Millesimo Septuagesimo vigesimo die ottavo mensis Junii V. T. ego D. Gaetanùs de Bufalo Arcip. curatus M.E.S.B.A.T.V. baptizaui filium preterito die natura I.re D. Angelo Intontì patte Arianen: ad presens Gubernator in hac T. V. et D.a Luisa de Fusto matte civitatis Rauelli, coniugibus cui impositum est nomen Joseph, Xaverius, Antonius, Filippus, Gaetanus, Didanus, Pantaleon, patrinus vero Ecc. Filippus Ursinus dux Grauinae per procura, in cuius nomine leuauit D.J.P. Patetta huius T.V." (ib. 147 r. e v.).

      1734 A Filippo succedette il figlio, nel 1734, Domenico Orsini II, nato da Giacinta Ruspoli il 5/6/1719, e morto il 19/1/1789 in Roma, dove fu sepolto nella Chiesa Lateranense.
      Egli sposò Paola Flaminia Erba-Odescalchi di Baldassarre, Duca di Bracciano, che gli morì dopo pochi anni, per cui da Benedetto XIV (che a sua volta era stato creato Cardinale dallo zio di lui, Benedetto XIII) fu promosso all'onore della porpora cardinalizia, il 9/10/1743 colla diaconia dei SS. Vito e Modesto; successivamente ebbe la diaconia di S. Maria in Vialata e divenne Primo Cardinale dell'Ordine dei Diaconi.

      L. Lardella in "Memorie storiche dei Cardinali di S.R.C." a pag. 27 afferma di lui: "Ebbe l'Orsini un cuore generoso co' poveri, pieno di religione verso Dio, e fu liberale, e munifico colle Chiese alla sua cura commesse...", per cui anche Vallata, di cui continuò ad essere il "Patronus" anche da Cardinale, dovette beneficiare della sua munificenza; veniva a passare parte delle vacanze nel Palazzo ducale degli Orsini in V., cui era annessa la cappella del Purgatorio, sull'attuale Via L. Antonini. A lui si deve il beneficio di aver reso la Parrocchia di libera elezione del Vescovo, dopo aver scelto, per l'ultima volta, l'Arciprete D. Bartolomeo Novia nel 1745. Pagò il relevio per Vallata e Solofra dal 1732 al 1766, come risulta dai Cedolari, vol. 72, ff. 372^- 373.

      Nel lungo periodo del suo cardinalato, egli affida l'amministrazione del paese a persone di sua fiducia: possessori, agenti, governatori, baroni... Dal Cat. Onciario N. 4902, pag. 10, risulta infatti che nel 1752 era possessore di V. il Dott. Sig. D. Giulio Cesare Gualtieri, abitante in Napoli.

      Aggiungiamo altre notizie desunte dall'Arch. Parr.

      Il 2/9/1743 "... patrini fuerunt Mag.cus D. Carolus Maffei, Solofranus Agens huius terrae et eius uxor Mag.ca D. Cecilia Guacci terrae Cucciavi..." (R.B. VIII, 32^).

      Il 10/12/1748 "... patrini fuerunt D. Nicolaus Popoli, Gubernator huius terrae et Mag.ca Hippolita Santolo..." (ib. 137^).

      Il dì 8/7/1749 —— patrinus fuit Mag.us Antonius Tanga, Sindicus eiusdem T. V...... (ib. 152).

      Il 23/5/1759 "...patrini fuerunt V.S.D.s Joseph Antonius Palumbo, civitatis Muri hic presens exercens officium Gubernatoris et Iudicis huius terrae cum omni laude, et amator justitiae, et iniquitatem odio habens et Mag.ca Eleonilda..." (R.B.IX, 82).

      Il 6/61761 "... patrini fuerunt Rs Alojsius Gregorius Favenga civitatis Muri, et soror M.a Benedicta Novia, huius terrae birones..." (ib. 107).

      Il 1°/12/1764 al Battesimo di "Maria Em^ anuel Lajaboles, eodem die nata ex V.S.D.s Josepho Silla et Mag.ca Theresia Belluno... patrini fuerunt Ill. us D. Em ^ anuel Lajoboles Hispanus civitatis Cataloniae cum procurationis mandato, et pro eo leuauit D. Aloysius Felix de Nemo..." (ib.148).

      Il 28/2/1768 funge da padrino di B. di Teresa Maria Pelosi "V.S.D. Joseph Vegano di Na. con procura a V.S.D. Joseph Nicolaus Bartilomo civitatis Gravine Aggens Huius Ecc.mi Ducis TV." (ib. 180). Idem nel Battesimo di Bartolomeo V. F. Pelosi, con procura al Mag.co Isidoro Bufalo il 6/5/1770 (ib. 203^).

      Il 18/12/1771 nel B. di Francesco Ant. Maria Cataldo, funge ancora da Padrino l'illustre D. Joseph N. Bartilomo, insieme alla madrina Mag.ca Giuditta Lupo (ib. 221).

      Riportiamo qui anche un caso di lettimazione alla presenza dell'Arciprete.

                 74
Vito Isidoro Crocetta + cui impositum est nomen Vitus Isidorus legitimato dal Mag.co Nicolò Cataldo vedi à fol. 192 à P. 54.

               54
Vito Isidoro Cataldo

+ cui impositum fuit nomen Vitus Isidorus
Anno D.ni 1768 die 12 Junii Vallatae T. R.dus D. Joseph M.a Zamarri coadiutor in cura animarum baptizavit filium preterito die natura ex Jesumina Crocetta, cuius patir ignoratur: + Patrini fuere R.dus D. Donatus Bortone et Santa Gallo, obstetrix probata Domenica Villano eiusdem T.V. (ib. 184). Anno D.ni 1769 die 9 m.s Aprilis Vallatae T. Mag.cus Nicolaus Cataldo huius T.V. Hodie suprascripto die declaravit sponte coram me et Rev.do D. Petro de Netta, Francisco Xaverio Cirillo, et Petro Antonio Vella infrascriptis, vocatis pro testibus, filium Gelsuminae Crocetta baptizatum sub die 12 Junii 1768 + ut in fol. 184 à P. 74, quem ipsa Crocetta parturiit absque viro legitimo esse sui Cataldo filium naturalem; et ideo tanquam legitimum imposuisse mihi haberi in dieta particula eiusdem baptismi, cum appositione sui cognominis Cataldo, et ita ab omnibus cognosci. Et in fidem seguono firme (ib. 192^).
      Il dì 11/2/1777 riceve il B. Anna Rosa "eodem die natam ex Vincentio de Blasi Civ.is Anconae et Maria A. Ninolo Civ.s Romae aduenae huius T. (ib. 284^)

      Anno D.ni 1779 die febr.i V.T. Rev.dus D.Joseph M. Thesaur. Zamarri, mens coadiutor baptizavit filiam, eodem _die natam ex genitoribus ignotis, quae exposita notte antecedenti ante portam, seu januam domus Petri Antoni Vella curtis Sindaci d.ae Terrai. Patrini fuere d.us Petrus Antonius Vella aindacus et Eleonora Pellegrino, quae fuit etiam obstetrix probata T.V. (ib. 310)

      Il 10/2/1779 "... patrini fuere Mag.ci Petrus de Leonardis et Maria de Leonardis, germani Civitatis Gravinae hic pro nunc degentes" (ib. 310).

      Anno D.ni 1781 die prima Aprilis V.T. Ego infrascriptus... baptizavi filiam preterito die natam ex Mag.cis Coniugibus D. Petro de Leonardis Civ.s Gravinae et D.a Xaveria Caputi Civ.s Zunculorum in hacmet Terra permanentibus occasione visitandi eorum cognatum V.S.I.m.D. Laurentium Masi Agentem Ecc.mi Ducis Gravinae in hacmet praed. a Terra. (R. B. X, 24^).

1789      Il 17 febbraio 1789, con decreto di preambolo, fu dichiarato erede dei beni paterni il Duca di Gravina Filippo Bernaldo Orsini II, nato dalla Erba-Odescalchi il 9/8/1742. Questi sposò Maria Teresa Caracciolo di Marino Francesco, Principe di Avellino, ed a lui fu fatta l'ultima intestazione del feudo di Solofra e della Terra di Vallata, con titolo di Principe, com'è ricordato nel surriportato cedolario di P. U., Vol. 72, ff. 372^ - 373. Da questo matrimonio il 19/10/1765 nacque Domenico Orsini III, che nel 1787 sposò Faustina Caracciolo di Giuseppe, Principe di Torella. Morì prima del padre il 18/7/1790.

      Domenico Orsini IV, nato postumo il 23/11/1790, dopo la morte dell'avo Filippo, fu Duca di Gravina, Principe di Solofra e di Vallata, Conte di Muro. Con l'Università di Solofra ebbe varie liti, dopo l'abolizione della feudalità, innanzi alla Commissione feudale (Inte­stazioni feudali).

      Questi sposò Luigià Tarlonia, dalla quale ebbe Filippo Orsini, nato il 9/12/1842, che successe al padre Domenico IV, deceduto il 18/10/1874.

      Anche per questo periodo, riportiamo dall'Arc. P. delle notizie di cronaca paesana.

      Il 3/12/1792 nel B. Di Maria Luigia Pelosi "... patrinus fuit V.S.I. ma S. Antonius Amato Civ. Lacusnigri Agens Ill.mi Marchionis Trivici degens in T.ra S. Agathae in Apulea (R.B. XI, 61).

      Abbiamo un altro caso di legittimazione, concesso questa volta da Re Ferdinando II, il 13/10/1834: copia del decreto è conservata fra le pagg. 140 e 141 del R.B.XI. A.D. 1796 die 22 maii V.T.

Vito Modesto Luca
Cautillo
m

+ oggi Vito Melfi
per mera gratia
del Re


Rev. D. Vitus Cataldo, meus coadiutor baptizavit filium eodem die natura ex Antonia Cautillo, cuius pater nescitur, cui impositum est nomen Vitus, Modestus, Lucas + Patrini fuere A. Zamarro et M. Di Maggio; obstetrix vero  probata Lucia di Gregorio suprad. tae T. V.
con decreto dei 13-  8bre 1834, che s'inserisce in copia nel registro presente.    Firmato Carmine Colella Vic. Curato (ib. 140" 141).
      A.D. 1796 die 28- 7bris V.T.
Rev. D. Vitus Cataldo, meus Coadiutor in cura animarum cum licentia Ep. lis Curiae S. Angeli L.rum sub die 23 Augusti expedita, et mihi infrascripto exhibita baptizavit domi infantem preterito die natura ex V.S.I.D. Jacobo Imbellone Civ. Lauriae Meritissimo Gubernatore huius T. V. et ex magnifica D. Josepha Grassi Civ. Neapolis coniugibus; cui impositum est nomen Deodatus... et obstetrix probata fuit Eleonora Pellegrino praed. ae T.V. Firmato D. Joseph M. Pali, Archip. Cur. (ib. 146^ e 147).

      Il 24/3/1797 è battezzato ugualmente in casa "... Filippum... natum ex V.S.I.D. Ioanne Petro Grassi Aggente utilis.mi dictae T.V. Ecc.mi Ducis Gravinae, et ex mag.ca D. Angela Parisi terrae Guardiae L. rum..." (ib. 163).

      Il 25/3/1797 al B. di Candida Maria "... natam ex Joanne Cuoco et Benedicta Cataldo... patrini fuere Mag.cus Pascalis Favata t.ae Rocchetae S. Antoni in Apulea nunc Magister actor huius Ducalis Curiae et Mg.a Concepta Lanza..." (ib. 163^).

      Il 20/7/1797 il Sac. Nicola Grassi di Guardia L. di amministra il B.a Domenico F." ... ottavo die Julii, hora undecima, natum ex I.re D.no Petro Ronchi t.ae Solofrae, nunc nostro meritissimo Gubernatore, et ex Mag.ca D. Vittoria La Manna civitatis Gravinae coniugibus... matrina fuit Soror M.a Catarina La Manna eiusdem civ. Gravinae, matertere eiusdem infantis..." (ib. 171).

      Il 26/1/1799 battesimo di Angela M.a Felice Ronchi, figlia del nostro meritissimo Gubernatore Pietro e di Vittoria La Manna... (ib. 218^).

      L'8/5/1804 B. di Tommaso M. ... natum ex Mag.cis Coniugibus S.I.D.ne Petro Ronchi, T. Solofrae Agente Eximi nostri Ducis, et Vittoria La Manna civ. Gravinae hic commorantibus..." (R.B. XIII, 52^).

      Il 24/1/1808 B. di Anna Rosa Ronchi, il cui padre è ancora Agente in Vallata (ib. 129).

      La famiglia La Manna prende stabile dimora a V. e si moltiplica in vari rami.

      Infatti:
Francesco P. La Manna nel 1800 funge da padrino (R.B. XI, 244^); Pasquale La Manna con Beatrice Monaco Battezzano un f. nel 1802 (R.B. XII, 9^) ed uno nel 1804 (ib. 45);
Giovanna La Manna con Frane. Pichirallo battezzano un f. nel 1803 (ib. 44^);
Nicola La Manna con Vitantonia Pepe battezzano una f. nel 1804 (ib. 53^);
Rosa La Manna con Vito Piscopo battezzano una f. nel 1803 (ib. 41^).

      Tra le pagg. 25 e 26 del R.B.XII, 1802, è alligata una comunicazione di matrimonio civile, da parte del Sindaco:
      Nel giorno 1 sett. 1878 Vito Rocco Bove, domiciliato e nato in V. nello anno 1802, segnato nei registri Parrocchiali di questo Comune, ha contratto matrimonio con Isabella D'Addessa, domiciliata e nata in V. nell'anno 1814, segnato nel Registro al N. 42, innanzi al sottoscritto Ufficiale dello Stato Civ. segnato nel registro al progressivo N. 13 prima parte.

      Il Sindaco ed Ufficiale dello Stato Civ.                 firmato Michele Netta

      In calce timbro del Municipio di V. riportante lo stemma di Casa Savoia e la scritta "Umberto I Re d'Italia".

      Tra le pagg. 56 e 57 un'altra comunicazione di Matrim. civile, datata al 29/3/1877, e firmata dall'Assessore delegato Biagio Gallicchio, essendo l'Uff.di Stato Civ. impedito. Ugualmente in calce timbro con lo stemma di Casa Savoia e la scritta "Vittorio Emanuele Re d'Italia".

      Notiamo che dal 1801 le pagine dei registri sono contrasse­gnate da una vidimazione di protocollo, indicante la tassa pagata di grani due; dal 1807 di grani sei; tassa confermata da Napoleone nel 1809 per Napoli e Sicilia in grani sei "Novae Cesareae Legis An­nus 1809 Imperatoris Napoleonis" (R.B. XIII, 11).

      Il 12 nov. 1811 B. di Angelo Maria "... praeterito die natura ex Joanna Di Maggio et Franciscantonio Garruto, priusquam matrimonium contractum esset ante faciem Ecc.ae inter ipsos, quanquam contractum civile celebratum esset... " (R.B. XIII, 52^). Si verificano anche altri casi.

      Il 17/9/1812, in occasione della S. Visita, viene disposto che nel registro di Battesimi, insieme alla data di nascita, venga indicato anche l'ora di nascita, e che per tutti i registri venga compilato in calce l'indice alfabetico (ib. 65^).

      Notiamo pure che dal 1600 abbiamo casi di Chierici coniugati, in funzione di "sacristano"; come è ricordato anche un Mastro Pro­spero:

      "Io Donno Gio: Battista Racano ho battezzato lo figlio di Ma­stro Prospero di Santo et Ang.la di Gio: Donata dell'Arso di Bisaccia, moglie, secondo il rito di S.R.C., nata alì 12 d'Agosto e li fu posto nome Santo et è stata tenuta al S.F. da Abinante Caruso mammana il dì medesimo, ministro il Cler. Gio: Carnisca coniugato sacristano nell'anno 1613" (R.B. 56").

      "Io... ho batt.ta la figlia di Prospero di Santo et Ang.la dell'Arso ... nome Todesca... Blonda di Baldassarre mammana... ministro Gio: Carnisca Cler. coniugato, nell'anno 1617" (ib. 93).

      Cerchiamo adesso d'inserire la "tessera" della nostra storia locale nel mosaico di quel vasto movimento che fu il feudalesimo in Italia e, particolarmente nel meridione, per avere un'idea di quel grave frazionamento politico, che succedette allo stato unitario di Carlo Magno: la sua morte aveva segnato anche l'avvio di un lento sfalda- mento dello Stato forte e accentratore, quello che era riuscito ad unire e compaginare popoli così diversi e lontani.

      Si ebbe così un rigurgito di quelle forze locali che, sin dal periodo della decadenza di Roma, erano cresciute a dismisura, e che solo il suo genio militare e politico era riuscito a legare e coordinare.

      Primi a ridestarsi furono i grandi proprietari terrieri, che già da tempo facevano sentire il peso della loro potenza economica sui servi della gleba, assorbendo sempre più la piccola proprietà e costringendo i coloni a porsi sotto la loro protezione: divennero così dei piccoli sovrani.

      Ugualmente, conti e marchesi, nominati dall'imperatore come suoi rappresentanti locali, cominciarono a governare i loro territori con un'autonomia che diveniva sempre maggiore, man mano che s'in­deboliva la potenza governativa e centrale. Né diversamente si comportavano vescovi ed abati che, nello loro diocesi, facevano più i conti che i pastori di anime.

      Il feudalesimo si diffuse in quasi tutti i paesi dell'antico Impero carolingio, e vi dominò dal IX all'XI secolo, cioè dalla morte di Carlo Magno (814) fino al sorgere dei liberi Comuni, introducendo nuove forme di vita sociale, politica ed economica.

      Nell'Italia centro-settentrionale tra I'XI e il XII sec. abbiamo un lento passaggio dall'autorità politica della nobiltà feudale alla borghesia cittadina, e lo spostamento del potere economico dal castello alla città.

      Nell'Italia meridionale invece si verifica un movimento inverso: là dove, per l'influenza dei Bizantini, poco aveva attecchito il sistema feudale, ad opera dei Normanni, si stabilisce il feudalesimo, e vi mette così profonde radici, da assicurarsi parecchi secoli di vita florida. E mentre nel resto d'Italia, al frazionamento feudale si sostituirà quello comunale, nel meridione gli stessi Normanni riusciranno a fondare una monarchia unitaria di tipo feudale, che riunirà Meridione e Sicilia.

      Per capire l'origine del feudalesimo dobbiamo rifarci a tre istitu­zioni romano-germaniche, sviluppatesi nei secoli della decadenza ro­mana e delle invasioni barbariche: il beneficio, il vassallaggio e l'immunità. Su queste istituzioni si fonderà il feudalesimo. Ricordiamo che nei tempi barbarici la terra costituiva l'unica vera ricchezza. Il re diveniva padrone delle terre conquistate, servendosi di guerrieri, che militavano a spese proprie e che erano retribuiti spesso con il possesso di terre, che il re affidava loro in usufrutto. Questo costituiva il "beneficio", che era personale, vitalizio ed inalienabile.

      In corrispondenza di ciò il beneficiato diveniva "vassallo" del re, giurandogli fedeltà e prestazioni varie, come il servizio militare, da prestare gratuitamente, tributi in natura ed in denaro, ospitalità al passaggio del sovrano per il feudo, e così via.

      Il beneficio congiunto al vassallaggio dicevasi "feudo", di cui il beneficiato diveniva feudatario con l'investitura. Originariamente quindi era un fatto economico-sociale, che assumerà carattere politi­co, con l'introduzione delle "immunità", le gravi e frequenti esenzioni dalla giurisdizione del sovrano, in forza delle quali alla nomina regia si sostituirà il diritto ereditario.

      Seguiranno poi altri privilegi, come l'esenzione dai tributi, l'esonero dal servizio militare, la concessione di imporre tasse autonome entro il feudo, il diritto di battere moneta, il trasferimento al vassallo del potere giudiziario, ecc., per cui il feudatario, se non di diritto, almeno di fatto, diviene un sovrano, il signore del feudo con diritto di vendita. Viene a formarsi così una pleiade di piccoli principati autonomi, legati al sovrano da un vincolo sempre più fragile del vassallaggio.

      I vassalli maggiori poi cominciano ad assegnare parte delle loro terre ai loro fedeli, i quali prestano essi pure l'omaggio al signore, lo servono come soldati a cavallo (cavalieri), si obbligano a condurre uomini d'arme in suo aiuto, divenendo così valvassori, o semplicemente militi.

      Troviamo così alla piramide della società feudale la classe fondiaria, composta di grandi e piccoli feudatari, laici ed ecclesiastici, la quale possiede terre su cui esercita poteri sovrani, vive del reddito terriero, e sola ha il diritto di costituire la milizia, formata dai milites, che sono il nerbo dell'esercito feudale.

      Segue la borghesia, costituita dagli abitanti dei borghi e delle città, raccolti nell'ambito del feudo, ma viventi con una certa libertà, per attendere a piccole industrie ed a traffici.

      Nelle campagne vive la popolazione agricola, più direttamente soggetta al feudatario, del quale coltiva le terre ed a cui obbedisce come a sovrano. Il feudatario assegna al colono un piccolo appezzamento di terreno, spesso incolto e poco fertile, da cui trarre il neces­sario per sé e per la famiglia. Questa classe si suddivide in massarii, rustici, servi, coloni, ecc., i quali tutti tendono a divenire una classe uniforme di servi della gleba, viventi in una semischiavitù.

      La loro situazione peggiora sempre più con l'obbligo di prestazioni gratuite a favore del feudatario, con le imposizioni di decime sui raccolti spettanti al contadino, con le pretese del signore di esige­re nuove taglie o tasse, per ogni atto della vita giuridica, come il maritaggio, il mortuario, il mutuaggio, ed inoltre con i diritti di pedaggio, di erbatico, di focatico, di molitura, ecc., senza parlare della pleiade di dazi fiscali.

      La pressione fiscale si accentuerà soprattutto durante il periodo della dominazione spagnuola, dalla pace di Cateau Cambrésis (1559) alla pace di Utrecht-Rastadt (1713-14), durante il quale, assai più che nelle saltuarie occupazioni francesi o aragonesi, l'Italia ebbe la netta sensazione della dominazione straniera. La Spagna infatti, quasi sempre in lotta contro la Francia, asservì alla propria politica la vita dei suoi vasti possessi, imponendo loro grandi sacrifici per le sue con­tinue spese militari e per la sua difesa.

      Il maggior difetto della dominazione spagnola fu proprio questa esagerata pressione fiscale, resa ancora più esasperante dagli abusi degli esattori. Imposte, dazi, gabelle, monopolio sul sale, "donativi" ricadevano in gran parte sul popolo, essendo nobiltà e clero esenti da imposte ordinarie. All'interno della Chiesa però il Clero era tenuto al pagamento delle "decime", come ricorda il Sella in "Rationes decimarum Italiae", dal quale riportiamo un solo caso, attinente alla decima degli anni 1308-1310 per la diocesi di Bisaccia (Arch. Vat. Collect. 161, f. 241).

      "In episcopato Bisaciensi = Mensa episcopalis solvit une. II tar. IX Capitulum Bisaciense tar. XXI gr. VIII
In Diocesi = Clerici Morrae cum clero Casalis tar. XVIII gr. V Clerici Vallatati tar. XVI".

      Di qui l'odio del popolo contro la nobiltà, soprattutto nel Regno di Napoli, dove l'antico Signore, lasciati i castelli del contado e perduto il contatto diretto con le popolazioni, venne ad abitare nei grossi centri, ostentando un lusso, che era una provocazione continua per la povera gente. Uno dei pochi vantaggi che ebbe l'Italia in questo periodo fu la sicurezza dei suoi lidi, continuamente insidiati dalle navi corsare e dalla potenza marinara dei Turchi.

      A conferma di quanto detto, riportiamo qualche dettaglio riguardante le nostre zone.

      Verso la fine del Quattrocento le nostre Università del P. U. dimostrarono una certa renitenza a pagare oneri fiscali, per assicurarsi un normale invio del sale, di cui molte partite erano arretrate. Una popolare azione rivendicativa!

      Si sollecitò così un ordine regio di consegna del sale dovuto per il passato e per il presente e "che se ne prenda buona nota per l'avve­nire".

      Per quanto riguarda V., si riscrive il 19/4/1498 al Commissario, perché dia al Duca Giovanni Borgia il possesso di tale entrata, al quale, poco dopo sarà concesso il possesso della terra di V. (Part. Summariae Vol. 44, fol. 156 t.).

      Ricordiamo altri dati significativi.

      Il 24/11/1558 si ordina all'Università di S. Angelo L/di concedere la esenzione del testatico al Mag.co Donato Cecere, non già per il fatto ch'esercita in Na. l'ufficio di Razionale della R. Zecca, ma perché è persona nobile. (Part. cit. Vol. 406, f. 156).

      Il 23/8/1559. I santangiolesi Donato e D. Baldassarre di Ric­ciardis avevano affidato la custodia di alcune loro "pecore gentili" al "massaro" Baliuzzo di Torella. Essendo costui condannato ad una  multa per altre pecore di sua proprietà in quel di Venosa, gli stato sequestrato il bestiame e, tra questo, 202 pecore del Ricciardi, che la R. Dogana di Foggia aveva fatto condurre in quel di V., dov'erano state vendute all'incanto. S'ingiunge alla Dogana di riferire, sospendendo gli atti sino a nuovo ordine. (Part. cit. Vol. 445, f. 19).

      Nel settembre 1561 s'ingiunge al Capitano di S. Angelo di costringere gli ecclesiastici a pagare per i beni, pervenuti per dono o per compera, mentre l'immunità vale per i soli beni patrimoniali (Ib. f. 19).

      Il 23/1/1596 a richiesta dell'Università di S. Angelo, si dà ordine al Capitano di prendere informazioni delle estorsioni e degli eccessi, perpetrati da Scipione Ruta, inviato qual Commissario dal R. Portolano della Provincia. Come importo di diete per sé, cinque persone di compagnia con due cavalli, aveva estorti 47 ducati, oltre i pasti, in cui non erano mancati piccioni e galline; in complesso la spesa, illegale, era salita a 58 ducati. S'invita la R.Ud. a provvedere (ib., vol. 1360, F. 50 t.).

      Il 5/12/1596. L'Università di S. Angelo espone che, i suoi fuochi erano 218, e poi erano stati accresciuti sino a 281. Nell'ultima nu­merazione, si era preteso portarli a 492. Pur avendo reclamato, avrebbe dovuto, finché non si venisse alla discussione, pagare i fiscali per quel numero. Come soccorso chiede et ottiene i seguenti aumenti di gabelle:
   1)   Vino, per barile di 60 carafe "alla misura bagnolese" grano I;
   2)   Carne fresca o salata, un tornese a rotolo;
   3)   Sul grano comprato per farlo stagionare, aumento del 150;
   4)   Ai possessori di capitali, con facoltà di ricompra, aumento del 5%;
   5)   Per maiali allevati in città, aumento del 10%; per gli altri di fuori, entro il perimetro di 100, purché vi rimanessero dieci giorni, 3 carlini ognuno;
   6)     Sul fitto di vettovaglie, ed anche della "ghianda" per animali nelle foreste, aumento del 10%(Provision. del Collat. Vol. 23, f. 3).

      Il 18/4/1597. Per cercare un altro riparo all'eccessivo aumento dei fiscali, causato dall'aggiunta di più di 200 fuochi, l'università ottiene di esigere una gabella detta del "fòre". Per quelli che sono assenti, perché si trovano "fòre terra", viene stabilito un pagamento, durante l'assenza, di "un tornese al dì". Si prende anche atto che persino gli ecclesiastici si erano già, di loro volontà, assoggettati alla gabella della carne. (ib. vol. 24, f. 110).

      1/4/1598. Per sfuggire all'esosità dell'Univ. santangiolese, i cui pesi fiscali erano divenuti gravosi, molti si erano trasferiti altrove, tra i quali un Jacopo dello Russo, trasferitosi a V. Ma la grinfia fiscale li raggiunse dovunque, perché gli assenti furono costretti a pagare la gabella "de fòre", finché all'Univ. non fossero dedotti i loro fuochi (ib. vol. 1458, f. 76 t.).

      Il 17/6/1599. A richiesta dell'Univ. il governatore costringe a pagare tutte le gabelle coloro che ne pretendono l'esenzione, come i "nobili", o l'ottengono dalla Corte locale, mentre non solo lavorano nei propri territori, ma. vanno a servire anche altri a giornata (ib. vol. 1514, f. 56 t.). L'ordine è rinnovato il 21 dello stesso mese (ib., vol. 1511, f. 56 t.).

      Abbiamo fatto riferimento alla gabella dei fuochi, perché poco in tutti i paesi c'era la tendenza a denunciarne un numero inferiore, per pagare di meno, ma il R. Fisco non dava tregua, per cui le Università si rifacevano soprattutto con la povera gente, ed alcune di esse si distinguevano per la loro esosità. Abbiamo visto come l'Univ. di S. Angelo le studiava tutte, fino all'esasperazione!

      Verso il 1671 nei paesi della prov. di Montefusco si corrispondeva alla Regia Corte la stessa tassa che si pagava nei paesi della prov. di Terra di lavoro. "Nella terra di Montefuscolo risiedeva la Regia Audientia con il Vicerè, con provisione di ducati seicento l'anno, con alcuni emolumenti; e S. Eccellenza h dà due Auditori, con provi­sione di ducati 340 per ciascuno, con l'Avvocato Fiscale, Trombetta, e quindici Alabardieri, tutti provisionati con 36 ducati per uno l'anno".

      Ogni gruppo familiare aveva le sue tasse. Ogni paese della provincia "primieramente paga l'ordinario e straordinario a ragione di carlini 15 e un grano per fuoco. Questa imposizione si paga per terza, cioè ogni 4 mesi la sua rata. Paga le grana 48 per la fanteria spagnola: questa imposizione si paga per mese. Paga gr. 17 per le genti d'arme, e si paga per mese. Paga le gr. 9 per acconcio delle strade, e si paga per terza. Paga le gr. 2 e cavalli 6 e due terzi di cavallo, per lo mancamento dei fuochi, e delle grana 48, il quale pagamento si paga per terza" (ib., f. 97).

      Per quanto riguarda le dogane, sappiamo che in Avellino le dogane erano due: una è quella della farina, dove si paga un certo jus al principe; l'altra è la "dogana grande". In questa si vide "prelevare dall'affittatore una giumella di grano, ed anche il grano caduto in terra per misurare. Altri testimoni di Vallata, di Salsa, di Mugnano affermarono che detta giumella si esigeva con una misura di rame di circa un quarto" (Comm. Feud. P. U., Vol. 454, proc. 2649, fol 131).

      Da quanto detto, possiamo immaginare le condizioni di vita delle nostre popolazioni che, pur vivendo nella più squallida miseria, erano letteralmente dissanguate da pressioni fiscali di ogni genere, fino al punto da essere, in alcuni periodi, facile preda del "flagello della fame" e di tutte le malattie, che questa può comportare.

      Al riguardo, ricordiamo anzitutto che il Pavese (nel Bollettino di "S. Maria" Giugno-Luglio 1931, pag. 11), dopo la distruzione di V. del 1495 (per la precisione: 1496), fa seguire anche una pestilenza, per cui il residuo vallatese "... all'ultimo assalto avuto dalla peste in detto anno, si restrinse in un luogo tutto eminente (= collina di S. Maria) fabbricando la chiesa di S. Sebastiano, presso la quale, nel 1519, fu costruita anche la chiesa di S. Maria, fuori le mura, distrutta la 1^ volta da un "terremoto fortissimo" nel 1604, la 2^ volta dal terremoto del 1694".

      In quella stessa pagina il Pavese ricorda che l'11 marzo 1719 detta cappella "fu da voracissimo fuoco incendiata, con la madrice chiesa, sotto il titolo del glorioso S. Bartolomeo Ap.": di questo incendio nessun accenno ho trovato nei registri parrocchiali.

      La prima notizia storica sicura di una impressionante pestilenza, che decimò pesantemente le nostre popolazioni, fra cui Vallata, rimonta al 1656.

      Il 9/8/1656 l'Arciprete D. Tullio de Hippolito amministra un Battesimo solo con l'acqua, senza le cerimonie di rito, come si fa in casi di emergenza, e così registra l'evento:

      "Ego... ablui ob periculum mortalitatis et pestilentiae, extra moenia, filiam Margaritae Rosata matre et Jacobo Cerullo patre, cui impositum est nomen Antonia" (R.B. IV, 88).

      Il 25 e 26 ottobre 1656 è il Primicerio ed Economo D. Bartolomeo Caruso a battezzare due bambini, sostituendo l'Arciprete impedito (per vecchiaia o malattia); dopo la registrazione dei due battezzati, il predetto aggiunge una nota esplicativa:

      "Hi duo suprascripti infantes baptizati fuerunt a me Donno Bartolomeo Carusio Primicerio tempore pestis quae cepta est hic Vallatae, in primo mensis Augusti 1656, usque ad principium mensis Xbris eiusdem anni, in quo tempore amplius mille et ducentae ani­mar in hac desolata patria et precipue decem et septem sacerdotes, duo diaconi, unus subdiaconus et decem et septem clerici ac quinque doctores cum multis aliis hominubus deligentibus" (R.B. IV, 88). Una vera ecatombe di oltre 1.200 persone, con tanti ecclesiastici e dottori! Il Caruso continuerà a sostituire l'Arcip. de Hippolito, fino alla morte di questi nel 1659, per succedergli nell'Arcipretura.

      "La relatio ad limina" del 1660 ricorda che gli abitanti di V., prima di questo triste evento, erano 1678, fra i quali: 26 sacerdoti, 6 diaconi e 20 chierici.

      Nel 1764 Vallata fu ancora una volta decimata: dai registri parrocchiali risulta che, dal sett. 1763 al dic. 1764, trovarono la morte ben 560 persone di ogni età, dai bambini ai giovani ed agli anziani. L'Arciprete dell'epoca, D. Donato Zamarra, che in prima persona ha vissuto e sofferto col popolo quel travagliato periodo, in una nota scritta di suo pugno nel registro dei defunti, ha voluto far giungere a noi l'eco di quell'immane tragedia.

      Riportiamo tale nota nel suo testo originale, perché le concise e classicheggianti espressioni latine sembrano tante pennellate di un quadro veramente fosco e terrificante.

      "In anno ad mensem Augusti 1764 peracto, cum Deus, ob ho­minum scelera, oculos suos ab eis propellisset, morte libere dominante, ut sub eius iussu falcis, hic specialiter populus stetisset; quin stragem insolitam, inauditamque famis flagelli aufugeret; bis centum viginti sex fame natati, et morbo bis centum quattuor, et in Apuleam querentes panem apud Patres Societtatis Jesu, ubi dicitur Toda et Vadone, octaginta tres, centum, et undecim è Patria discesserunt, et non redivere.

      Quid de vectigalibus dicam? pretio scilicet frumenti pro ducatis sex, quinque indiani frumenti, carulenis triginta ordei, et avenae vi­ginti quinque erat in medium; postquam expletis stabilibus, mobilibusque integre venditis, et alienatis, et totaliter denudatis hominibus, foliis herbisque non solitis, sed bestiis consuetis, ac saepe saepius asinina carne sese, quando accidebat, famelica vescebantur. Itaut Fer­dinando quarto reggi felicitar regnante, pro furtis, pro fame peractis, summam docatis decem non excedentibus, clementer indulgentiam est impartitus.

      Attamen Deo adiuvante, animae, quae in Patriam e vita discesserunt, non sine nostrae vitae evitandi discrimina propter continuum, et longum laborem, tam de nocte, quam de die, omnes Sacramentis Ecclesiae, et auxilio spirituali ad aliam vitam migraverunt, praeter paucas, quae Parochum certiorem non fecerunt.

      Eorumque cadavera sepolturam ecclesiasticam in Majori Ecclesia S.ti Bartolomei Ap.li recepisse, et assiduo fetore cadaverum è sepulchris exhalante, arenis illis copertis, sacrificium, divina officia, ac omnes alias functiones comode Deo mactabantur; tandem divinam exoremus misericordiam, ne quid pejus nobis acciderit, ut suo adiuvamine perfulti, Paradisi gloriam consequituri, tunc et modo dicere possimus Sit nomen D/ni benedictum, et maledictum peccatum, quod fuit causa tanti mali, et quod erit, nisi penitentia peccatum praeteritum emendemus. Amen.

      D. Donatus Zamarri Archip.r Cur.s numeravit, registravit, et amare flevit, et postea dixit Sit nomen Domini benedictum!" (R.D. V, 164 r.e v.).


      Complessivamente il numero dei morti fu:
      per fame .................... 226
      per morbo ................. 204
      deceduti fuori V............ 11
      da sett. a dic. 1764 .... 119
      Totale ........................ 560

      Circa la spiritualità di questo zelante Parroco, qualche vecchietto ricorda di aver appreso dagli antenati che egli era molto devoto delle Anime Purganti, dalle quali sarebbe stato liberato da un attentato tesogli da un avversario di notte, col pretesto di chiedere i Sacramenti per un ammalato grave.

      Di quel gioiello di prosa latina, per coloro che non conoscono la lingua, diamo una libera traduzione:

      Verso la fine dell'anno 1764, nel mese di agosto, avendo Dio, a causa delle scelleratezze degli uomini, allontanato da essi i suoi occhi, e dominando liberamente la morte, in modo che particolarmente questo popolo fu sotto la legge della sua falce, così da non schivare un'insolita e inaudita strage del flagello della fame: 226 stroncati dalla fame, 204 dal morbo e, dei 183 che si portarono in Puglia, in cerca di pane presso i Gesuiti, nel luogo chiamato Toda e Vadone, 11 si allontanarono dal paese e non tornarono.

      Cosa dirò del costo della vita? del prezzo cioè del frumento per sei ducati, del granone per cinque, dell'orzo a trenta carlini, e dell'avena a venticinque in media; dopo aver finito ed alienato i beni immobili, e venduto totalmente i beni mobili, e spogliati completamente gli uomini, essi voracemente si cibavano di foglie e di erbe insolite, ma consuete agli animali, e molto spesso di carne di asino, quando capitava.

      E così Ferdinando IV re felicemente regnante, per i furti, per la fame sofferta, concesse benignamente il condono di una somma che non andava oltre i dieci ducati.

      Tuttavia, con l'aiuto di Dio, le anime che dalla vita passarono in Patria, non senza rischio della nostra vita, a causa del continuo e lungo lavoro, sia di notte che di giorno, tutte passarono all'altra vita con i Sacramenti della Chiesa e con l'assistenza spirituale, ad eccezione di poche, che non avvertirono il Parroco.

      I loro cadaveri trovarono sepoltura ecclesiastica nella Chiesa Madre di S. Bartolomeo Ap. e, per il continuo fetore esalante dalle fosse, furono coperti di sabbia, per cui si potette continuare senza difficoltà ad offrire a Dio il sacrificio della Messa, l'ufficio divino e tutte le altre funzioni; supplichiamo finalmente la misericordia di Dio, che non ci accada di peggio, affinché, sostenuti dal suo aiuto, pos­siamo conseguire la gloria del Paradiso, in modo da poter dire Sia benedetto il nome del Signore, e maledetto il peccato, che è stato causa di tanto male, e lo sarà, se non emendiamo con la penitenza i peccati passati. Amen.

      D. Donato Zamarra enumerò, registrò, e pianse amaramente, e poi disse: Sia benedetto il nome del Signore! (R.D.V, 164 r. e v.).

      Novant'anni dopo, V. subirà un altro duro colpo ad opera del colera, che mieterà in paese oltre duecento vittime, dalla fine di luglio ai principi di ottobre 1854, fra cui lo stesso Arciprete D. Vincenzo Netta (figlio del Dott. fisico D. Michele e di D.na Vittoria Cappucci), all'età di 54 anni. Egli, contro il parere dei medici, si era prodiga­to nella cura degli appestati, rimanendo vittima del male; morì il 4/9/1854.

      Circa la fine di questo eroico Parroco, la tradizione orale ci tramanda interessanti particolari: quando egli fu colpito dal male, fu abbandonato a se stesso anche dai familiari, e soltanto una serva di famiglia si prese cura di lui; ma avvertendo ormai prossima la fine, egli stesso pregò la fedele serva, che era di Carife, a lasciarlo, ed a portare con sé un gruzzoletto di marenghi che possedeva, come segno di riconoscenza per quanto aveva fatto. La donna, col gruzzolo delle monete d'oro, si avviò verso il paese d'origine; ma, temendo di essere sottoposta agli "sfumenti" (un suffimigio cui era sottoposto ognuno che entrava in paese, proveniente da paesi contagiati), aveva chiesto ospitalità, almeno per alcuni giorni, presso le masserie Giannetta, promettendo di compensare l'ospitalità con qualche moneta d'oro. Questi, avendo intuito la provenienza del denaro, perché sapevano che la donna si era prodigata nelle cure dell'Arciprete, colpito dal colera, per paura del contagio, rifiutarono offerta ed ospitalità. La famiglia Addimandi di Carife invece avrebbe accolto la donna, ma dietro rimborso di tutto il gruzzolo dei marenghi.

      Il Tesoriere D. Ciriaco Cataldo, Vic. Curato, in una breve nota sul Reg. dei defunti, ci offre preziose notizie di questa pestilenza.

      "Questa nostra Patria è stata afflitta dalla malattia del Cholera Morbus, portata da D. Francesco Rosata (di anni 30, figlio di D. An­tonio e D.na Gaetana de Matteo) dalla città di Castel a Mare, che fu il primo a morire a dì 31 luglio come sopra. Il numero dei morti (verso la fine di settembre, quando il colera non era stato ancora com­pletamente scongiurato) è stato di 202 incluso ancora quelli, che sono morti di altre malattie. Più centinaia di persone si sono liberate da tal malattia.

      E non si può credere il terrore, lo spavento che ha portato: il solo nome di Cholera ci ha fatto tremare come una canna al vento, e, grazie al Signore ci ha liberati per l'intercessione della Vergine Maria, sotto il titolo delle Grazie, e di S. Rocco Conf. Protettore meno   prin­cipale" (R.D. XIV, 63^).

      Dei deceduti durante il colera, soltanto i primi furono seppelliti in chiesa, e gli altri al Cimitero, che già era stato inagurato il 28/11/ 1838.

      Infatti il Vic. Cur. D. Carmine Colella, in una nota sul R.D. XII, 31^, così ricorda l'avvenimento:

      "Memoria - Oggi in V. 28 di 9bre, corrente anno 1838, previo il permesso del nostro Preclaro Mons. Vescovo di S. Angelo e Bisaccia, ci siamo conferiti processionalmente nel Campo Santo, in dove abbiamo fatta la solenne benedizione di detto luogo, e da oggi si sono ivi incominciati a seppellire i cadaveri, giusta gli ordini, ed istruzioni del nostro Sovrano".


      Comunque, nel 184G si continua a seppellire pure in "Sacello S. Mariae La Nova" (= Madonna delle Grazie), come risulta dallo stesso reg. Pagg. 61 ss.; dal 1841 in S. Maria Montis Virginis, (ib. 73 e ss.); ed anche in Chiesa (ib. 91 e ss.). Dal 1854 si continuerà a seppellire definitivamente al Cimitero, Campo Santo, Agro Santo.

      Per la cronaca, riportiamo qualche caso di morte per incidente sul lavoro o per lite.

      "A.D. 1861 die V octobris V. = D. Josephus Travisano, aetatis Suae annorum 76, filius quondam coniugum Donati et Vitae A. Colella, ac vir D. Mariae Michaelis Rosa, in loco ubi dicitur le "Paludi Veneree" percussus a populo recisa, illico obiit..." (R.D. XV, 23^ ).

      "Anno D.ni 1870 die XXXI Juliii V. = Josephus Cornacchia, annorum 21, filius coniugum Vincentii et Catharinae Januario, in loco ubi vulgo dicitur "Piano Calcato" gladio bis confoscus corde transverberati, illico obiit..." (ib. XVI, 5).

      Il 28/12/1930 un muratore bresciano, Francesco Ghetti, di anni 43, morì in conseguenza di una polmonite contratta durante l'abbattimento del Campanile, come precisa sul registro una nota del Saponara (ib. XXII, 400).

      Oltre ai disastri di cui si è parlato, anche la natura sembra essere stata poco prodiga verso la nostra zona che, continuamente colpita da movimenti sismici, è giustamente chiamata "Ipinia Ballerina". Alfonso Cavasino in "Catalogo dei terremoti disastrosi avvertiti nel bacino del Mediterraneo dal 1501 al 1929" elenca numerosi terremoti.

      Ne desumiamo quelli che ci riguardano:
Anno Mese e g. Regione maggiormente colpita e danneggiata S.M.Int.

1550 Agosto 25 Italia: Ariano, Vallo di Diano IX
1561 Lug. 31 Ag. 19     "    Buccino (Sa.), Vallo di Diano Terra di Lavoro e Basilicata. X
1626 Marzo -Apr.     "   Girifalco (Cz.). Un terremoto cominciato ad Ariano il 27/12/1626 durò quasi tre mesi. IX
1627 Luglio 30     "    Regione del Gargano, specialm. S. Severo, Serracapriolo, Torremaggiore, S. Paolo, S. Nicandro, Apricena, Lesina e Chienti. Anche Av. e probab. Ariano. IX
1646 Maggio 31     "    Reg. del Gargano, specialm. Ischitella (Fg). X
1688 Giugno 5     "    Provincie di Bn., Av., Na. e Cb., Epicentro nei pressi di Paduli (Bn.) X
1694 Settem. 8     "    Provincie di Av., Sa., e Pz. Epic. nei  pressi di Calitri. X
1702 Marzo 14     "   Benevento, Apice, Fragneto, Paduli  Montecalvo, Mirabella, Pietra Elcina, Pago, Melico, Castel B., Monte Melo, Grottam., S. Giorgio, Flumeri, Trevico, Fontanarosa. X
1731 Marzo 20     "   Fg., Barletta, Cerignola, Troia, Canosa, Melfi, Molfetta, Ortanova, Epicentro presso Foggia. X
1732 Novemb. 29     "    Provincie di Av., Bn., Cb., Na., Sa.: Ariano, Apice, Bonito, Grottam., Carife, Mirabella, Guardia L., Castel B., Trevico, Vallata, Zuncoli, Flumeri, ecc. Epicentro nell'Arianese. X
1851 Agosto 14     "    Melfi, Rionero, Barile, Rapolla, ecc.  Epic. Melfi. X
1853 Aprile 9     "   Caposele, Teora, Lioni, Calabritto IX
1857 Dicembre 16     "   Basilicata e Salernitano  Epic, presso Potenza X
1910 Giugno 7     "   Provincie di Av., e Bn. Epic. Calitri IX

      Il terremoto dell'8 sett. 1694, in cui morirono 44 Vallatesi, oltre a quelli morti successivamente per gravi ferite riportate nel disa­stroso evento, è così ricordato dall'Arciprete dell'epoca, D. Bartolomeo Vella, nel R.D.I., ff. 80" - 81:


      "A.D. 1694 die ottano mensis 7 bris, Vallatati.

      Nota delli morti in tempo dello terremoto... (segue elenco dei nominativi = 25 adulti)....tutti questi cadaveri son sepolti nella Chiesa della Santissima Annunziata situata dentro la terra.

      Nota delli morti piccioli nello terrimoto... (segue elenco = 19 bambini)... tutti questi corposciuli sono sepolti dentro la Chiesa della V. Annunziata".

      Il 20 sett. 1694 "Elio Pietrantonio Memboli, di anni 30, rese la sua anima a Dio Creatore sulla loggia doue habitaua per lo terrimoto (ib. 81^). Il 7 ott. 1694 "Domenico Sarto della Terra di Scando Abbruzzese pastore, è uenuto morto portato dalli Massari della Massaria delle pecore (ib.).

      E così altri casi di morte consequenziale al terremoto.

      Il Moroni nel suo "Dizionario di erudizione Storico Ecclesiastico", lib. LXXX a pag. 73 ricorda:

      "Nel 1693 Francesco Proto de' Marchesi Specla napoletano, celebrò più sinodi nella cattedrale (di Trevico), e in occasione del 1° tenuto 1'8 sett. 1694, per essere festa della B. Vergine detta de Libera, dell'immagine d'antichissima venerazione, e per la pubblica fiera, avvenne un grande disastro.

      Imperocché insorto con impeto un terribile terremoto abbattè molti edifizi, insieme alla cattedrale, al suo sagrario e campanile altissimo di più ordini e formato d'eleganti marmi, e gettato colle campane sulla piazza della cattedrale, restandovi sepolte molte vittime.

      Restaurata la cattedrale e diversi altri edifizi, essendo morto il vescovo nel 1701 nel Castello della Baronia, durante la sede vacante, altro terremoto afflisse la città à 14 marzo 1702...".

      Il terremoto del 29/11/1732 così è ricordato dallo Arciprete D. Gaetano Del Bufalo, con una nota sul R.D. III, f. 43^:
      "A 29 9bre 1732 è stato un fieriss.mo terremoto generale ad ore quattordici della mattina, et in questa terra di Vallata uì sono morti li seguenti piccioli (= sei) e grandi (= uno) sott.i è sono sepeliti alla Chiesa della Annunziata. (segue elenco dei sette).

      Altri tre adulti morirono successivamente per le ferite riportate nel terremoto.

      L"Arciprete D. Vittorio Novia così ricorda il terremoto del 7/6/1910, con una nota sul R.D. XX, 79:

      "Ad futuram rei memoriam = In questo giorno 7 giugno, ore 3 a.m. un fortissimo terremoto, sussultorio, ondulatorio e vorticoso, durato 17 secondi, afflisse questi paesi della Baronia. Molte case crollate. Il sacro tempio gravemente danneggiato in questa nostra patria, deplorossi un sol morto e 12 feriti lievi. Salvi tutti per la misericordia del Divin Cuore di Gesù".

      Il terremoto del 23 luglio 1930 dallo stesso è così ricordato in R.D.XXII, f. 405:

      "Nel giorno 23 luglio 1930, alle ore 1,10 un terribile terremoto della durata di un minuto, fece crollare il grande edificio della Chie­sa, arrecando anche ingenti danni a tutto il paese. Caddero centinaia di volte. Per miracolo di S. Maria nessuno perì in paese, tranne 5 morti nelle campagne" (2).

      Dopo questa breve sintesi della travagliata storia del nostro paese, possiamo facilmente intuire come i nostri antenati, da tempo immemorabile, abbiano voluto visibilmente rievocare, in dettaglio, la Passione di Cristo, con la famosa processione del Venerdì Santo, qua­si per unire al Sacrificio di Cristo il "calvario" della loro tribolata sto­ria, e trovare in Lui motivo di Speranza, onde continuare, nella luce della Risurrezione, il cammino della vita.
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      (2) Il recente sisma è stato così ricordato dal sottoscritto, con una nota apposta nel R.D. XXVI, 164:
     "N.B. Il giorno 23 novembre, festa di Cristo Re, un disastroso Terremoto, alle ore 19,35, sussultorio ed ondulatorio, della durata di 90 interminabili secondi, ha duramente colpito Irpinia e Basilicata, causando migliaia di morti e di­struggendo letteralmente alcuni paesi.
     Per divina misericordia, implorata anche dalla potente intercessione del nostro Ven. Di Netta, sulla cui tomba a Tropea, nei giorni 15 e 16 ottobre u.s., si era svolto il devoto pellegrinaggio di una rappresentanza vallatele, nessuna vittima si è lamentato a Vallata, pur essendosi verificati crolli ed ingenti danni alle case.
     La chiesa da poco costruita non ha subito danno alcuno in tutte le sue parti: il Signore ha voluto così premiare i sacrifici di tanti anni dopo il situa del '62 e la generosità di tutti i Vallatesi vicini e lontani!
     La base della cupola del campanile invece, costruito all'epoca, per la verità, con criteri alquanto riduzionistici, ha subito gravi lesioni che, pur non pregiudi­cando la statica, fanno temere per la dinamica, per cui è stato sollecitato un intervento d'urgenza, per la sicurezza della chiesa e delle vicine abitazioni. Deo Gratias! Vallata, 31 dicembre 1980".

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