Studi Sociali e Giuridici - Tommaso Mario Pavese

3 — Accenni all’ origine del socialismo. Suo sviluppo in Italia.

        Le masse popolari cominciarono a sollevarsi contro l’ordinamento politico-giuridico individualista, però con scarso esito, solo col Cristianesimo; il quale da principio non ebbe quell’indirizzo quasi esclusivamente trascendentale che gli venne impresso poi per opera sopra tutto della Chiesa.
        I primi cristiani speravano infatti che Cristo sarebbe presto tornato dal cielo, per fondare un regno di beatitudine su questa terra, e per dare un ordinamento sociale favorevole ai poveri. Non essendo Cristo miracolosamente tornato, fu rimandato alla vita oltre tomba il giusto compenso delle azioni umane; e perciò le masse popolari distolsero la loro attenzione dagli ordinamenti della vita terrestre, considerando questa come un passaggio ed una preparazione del regno eterno di Dio.
Cristo fu dunque il fondatore di quel socialismo che da lui prese nome di socialismo cristiano. Ci tramandarono che ogni parola del suo labbro fu un inno all’amore, come ogni parte del suo corpo fu un inno alla bellezza. Venne puro come un sorriso mite di cielo e come la fiamma che brilla verso l’infinito: protesse il dolore e carezzò con la mano blanda ogni miseria: vide, sentì con palpito profondo e dolce tutte le voci umane di pianto e di dolore e, più grande del sole che dissipa le nubi, Egli dissipò come per incanto le tempeste degli afflitti cuori; e sui volti ricoperti di mestizia, artefice mirabile, creò il sorriso. Venne sul mondo, e passò da esso col corpo, ma non collo spirito, mai; perchè la sua dottrina fu fiamma che illuminò di luce vivissima la morbosa atmosfera dell’epoca che lo vide nascere, ed è fiamma predestinata ancora a tramandare fulgidissima luce di libertà e di amore pur in ogni epoca posteriore alla sua nascita. Il nome di Cristo non potrà, perciò, spegnersi nei secoli. — Ma fu Cristo una realtà od un mito? Io credo che fu una realtà; ma quand’anche fosse stato un mito, la dottrina che va sotto il suo nome è certa ed è grande, e brilla come un sole. Abbiamo l’Iliade e l’Odissea: che c’importa che Omero non sia affatto esistito ? Più che all’esistenza dell’artista, si badi alla bellezza e perfezione dell’opera.         Quando re e popoli praticavano la barbarie, dilettandosi di spargere a fiumi il sangue umano, per crudeltà, per ambizione o per odio; quando perfino i filosofi giustificavano ed encomiavano la schiavitù ed il dispotismo, e non v’era altra legge che la forza materiale, Cristo venne e disse:
        Sia legge l’amore! Ed Egli, solo e deriso dagl’iniqui e dai potenti, ebbe forza di suscitar così il più grande entusiasmo e la più grande rivoluzione del mondo. Perciò, si potrà dubitare se sia stato Uomo-Dio o solo Uomo; ma se fu realmente e solo uomo, Egli fu e sarà certo il più grand’uomo del passato, del presente e del futuro. Molte dottrine di genii son trapassate e trapasseranno nei vortici del tempo; ma la sua principale dottrina, ch’ Egli sostenne fino al sacrifizio, non trapasserà mai. Nè mi si dica che essa deriva dallo stoicismo, perchè Egli le dètte un’impronta tutta propria ed originale, sostenendola con impareggiabile dolcezza ed ardore, ed entusiasmando le moltitudini del passato, del presente e fors’anco dell’avvenire.
        Solo a suo mezzo, dunque, un oceano di luce e di amore potè risplendere nella fosca e caliginosa tenebra antica, dove la forza era legge, ed il sangue la consueta bevanda di despoti e di tiranni: e solo per Lui e per altri Eroi — modelli insuperati di altruismo e di carità —, che ne seguirono con entusiasmo il magnifico esempio fino all’ immolazione di sè medesimi, la religione cattolica si aderge, si propaga e si conserva in vita più delle altre religioni, nobilitando i cuori ed incitando gli animi alla perfezione.
        Cristo è il più gran sole, non della religione cristiana-cattolica soltanto, ma di tutte le religioni. Inutilmente si cerca in altre religioni qualche divinità che possa rassomigliargli. Le altre religioni sono tutte a sfondo umano: Cristo, invece, ha veramente del divino. Vano, per non dire altro, è pure il far confronti con illustri filosofi, anche tra i più savi. Cristo ebbe, oltre alla magnificenza della dottrina, la magnificenza e la grandezza del sentimento fatta azione, cui filosofi, pur tra gli altri pregevolissimi, non pensarono. Potrebbe, in parte, eccettuarsi, meritamente, Socrate: dignitoso, certo, nel gesto ultimo, ma ben lungi dalla grandezza e magnanimità dell’azione cristiana; durata quanto la vita. Per me, ogni confronto è irreverente.
        Azioni umane non possono paragonarsi a quelle divine: e negli atti di Cristo si sente spesso l’affiato della divinità. Appunto, lo so: trovar questa dipende anche dal proprio sentimento, da tendenza del proprio spirito; ma non sempre ci si contesta in buona fede.
        Ma molti ecclesiastici — ed i maggiori colpevoli son vari papi che la storia degnamente commemora — hanno spesso rinnegate le buone dottrine del Cristianesimo, più raramente con le parole e col pensiero, più spesso coi fatti e con le opere. Invece della fratellanza della purezza e dell’amore, essi predicarono; e praticarono più spesso crudeltà, nefandezze, sangue; invece della povertà vollero la ambizione, la plutocrazia e l’avarizia. Così essi hanno disconosciuto anche il socialismo cristiano. Non è a meravigliarsi di tali apostasie perfidamente mentite sotto il nome di religione cristiana cattolica.
        S. Pietro, primo papa, rinnegò perfino lo stesso Cristo, e non una volta sola.
        Mutato così, per opera della Chiesa l’indirizzo nettamente sociale che Cristo aveva dato alla sua dottrina, le agitazioni delle masse popolari nei secoli successivi ebbero carattere molto più religioso, che sociale. Ma dal tempo della rivoluzione francese in poi, decaduto il sentimento religioso colla Riforma, e per opera degli Enciclopedisti, le classi inferiori si agitarono specialmente per crearsi un ordinamento giuridico — economico più conforme ai loro desiderii. Dalla grande rivoluzione francese alla rivoluzione del luglio 1830, il popolo mirò a scopi prevalentemente politici ma dal 1830, in poi, il socialismo (scopo giuridico-economico) acquistò la più grande preponderanza nella coscienza delle masse. Ora il movimento sociale delle classi lavoratrici abbraccia già l’Europa e l’America, e comincia ad estendersi anche nelle altre parti del mondo; cosicchè c’è da credere che, prima che trascorra il secolo presente, il socialismo sarà una questione che agiterà l’umanità intera.

***

       Il socialismo apparisce in Italia alcuni anni prima del 1870; e tre uomini ne erano allora gli antesignani e gli esponenti Michele Bakounine, Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi. Il socialismo bakouninista assorbì l’impreciso e sentimentale socialismo di Garibaldi, che presto scomparve. Quindi, i propagatori, anzi i precursori del socialismo marxista in Italia furono Mazzini e Bakounine; mentre Garibaldi fu piuttosto un radicale. Il programma economico del Mazzini era formulato così: « Non bisogna abolire la proprietà perchè oggi è di pochi, bisogna aprire la via perchè i molti possano acquistarla. Bisogna mutare il sistema delle tasse, tanto che non colpiscano la somma necessaria alla vita e lascino al popolo facoltà di economie produttive poco a poco di proprietà ». La tendenza antistatale ed antiautoritaria di Bakounine si distinse dal mazzinianismo puro.
        Delegati degli operai francesi ebbero il permesso di andare a Londra da Napoleone III che, divenuto impopolare per la sua politica, cercò in tal modo di attenuarne gli effetti. Gli operai francesi fraternizzarono con gli inglesi; cosi, nel 1864 sorse a Londra l’ « Internazionale »; ed allora si disse per la prima volta che gli operai, di qualsiasi nazione, dovessero essere tutti uniti. Dell’internazionale Carlo Marx fece strumento alle sue idee compendiate in uno statuto del settembre 1864, ratificato dal congresso di Ginevra del 1866.
        Ne’ primordi del socialismo italiano, la corrente russo-italica bakouninista-mazziniana. fu grandissima. quasi assoluta; dopo perdette d’importanza ed il marxismo trionfò: del resto le differenze tra Marx e Bakounine, più che il fondo essenziale del loro pensiero, riguardano la tattica. in Sostanza, Marx era più intransigente. Per far la sua propaganda, Bakounine aveva fondato a Napoli il giornaletto « Libertà e Giustizia »: quivi, nel 1867, sorse la prima sezione dell’ Internazionale. Questa si estese poi, di mano in mano, nonostante la repressione del governo, nell’Emilia, nella Romagna, e poi, fin dal 1872, in Sicilia, a Lecce, ancora più nell’ Italia centrale, a Rimini, Firenze, Bologna, Mantova, Ferrara, Venezia, Genova, Milano e Torino.
        Nel 1872 si riunirono a Bologna gl’italiani aderenti all’Internazionale; e nello stesso anno si tenne a Rimini il primo congresso socialista italiano. I primi scioperi, avvenuti nel 1873, provocarono nuove disposizioni per reprimere le associazioni democratiche internazionaliste. Per essere ammoniti, bastò appartenere all’Internazionale come, nel 1874, il governo fece dichiarare da un magistrato; ma le repressioni fecero maggiormente rifiorire le associazioni socialiste. Nel congresso tenuto a Bologna il 14 marzo 1880, fu ufficialmente riconosciuto il partito operaio; ed il numero degli elettori da seicentomila salì a due milioni per la riforma elettorale politica attuata con la legge del 1882. Nel campo politico, si cominciò a sostenere il diritto e la libertà di sciopero, il suffragio universale, la libertà di insegnamento, l’autonomia comunale, l’abolizione degli eserciti stanziali e delle leggi eccezionali di pubblica sicurezza. Nel campo economico, si caldeggiarono le leghe di resistenza, la compartecipazione agli utili del lavoro, le cooperative di credito, produzione e consumo, la fabbricazione di case operaie il collocamento degli operai disoccupati.
        Allora i socialisti milanesi mandarono alla Camera dei deputati Antonio Maffi, ed i romagnoli elessero a deputato Andrea Costa.
        Nel 1886 si sostenne la giornata normale di otto ore ed un minimo di salario eguale per operai ed operaie a lavoro eguale. Amilcare Cipriani, Merlino, Malatesta, perche più accesi ed a tendenza bakouniniana, rimanevano quasi isolati dal partito operaio. Avendo poi il governo fatto sciogliere, con provvedimento insipiente, le organizzazioni socialiste, questo sollevò le critiche generali del pubblico e vibrate proteste alla Camera de’ deputati da parte degli onorevoli Costa e Cavallotti, ed i giurati assolsero i direttori del Fascio operaio arrestati. In questa circostanza, si presentò per la prima volta Filippo Turati, una delle figure più rappresentative del socialismo italiano. Il partito operaio si riorganizzò poi sott’ altra forma; ma esso era destinato a cedere il posto al vero partito socialista. Accogliendo gl’intellettuali nelle sue file, il partito operaio si sarebbe snaturato e sarebbe venuto meno al proprio programma. Ma, dopo il congresso di Milano dell’agosto 1891, il partito socialista s’imborghesì, dando la prevalenza direttiva agli intellettuali. Nel congresso di Genova dell’agosto 1892, socialisti ed anarchici, combattutisi accanitamente, si separarono. Il marxismo progredì con le prime traduzioni fatte in italiano, dal 1883 al 1893, delle opere di Marx e di Engels; raggiunse l’apogeo del suo sviluppo negli anni 1894-1898; ed il collettivismo marxista invadente eliminò definitivamente il mazzinianismo dal movimento socialista.
        Le schiere socialiste si serrarono e andarono aumentando di numero; nel 1893, 217 rappresentanze di società aderenti erano presenti al congresso di Reggio Emilia. Enrico Ferri passò dal radicalismo al socialismo, inspirando con la sua conversione qualche diffidenza a parecchi capi. Il collettivismo già favorevolmente accolto,nel 1891, al congresso di Milano; si riaffermò ad opera de’ congressisti di Reggio Emilia; dove il programma socialista fu sintetizzato in questi termini: ritenuti i poteri politici come l’organizzazione di classe della borghesia, espressa la completa sfiducia verso le riforme concesse dai governi borghesi, il gruppo parlamentare socialista ha il mandato di portare alla Camera l’eco di queste idee e di votare sempre contro tutti i ministeri, borghesi. — Caduto il primo ministero liberale Giolitti, gli succedeva Francesco Crispi, il quale credette reprimere e disperdere per sempre il movimento, con pronti e severi provvedimenti. La reazione i crispina impedì il congresso convocato al Imola per il settembre 1894. Ma la politica di Crispi ottenne invece per effetto di far crescere numericamente le forze socialiste: infatti, nelle elezioni generali del 1896, il gruppo parlamentare saliva da 5 a 12 membri e, nel congresso tenutosi apertamente a Firenze lo stesso anno, erano rappresentate 329 sezioni.
        Intanto, per la politica coloniale africana e per le nostre dolorose disfatte su quelle terre, cadeva il ministero Crispi, e l’onorevole di Rudinì, successo a lui, concesse maggiore libertà e tolleranza — Quando i tumulti del 1898 diedero luogo ad una repressione sproporzionata alla loro entità e vastità e ad una politica illiberale, repubblicani, radicali e socialisti si unirono per la difesa della libertà, e formarono un amalgama artificiale col nome di partiti popolari, che riuscirono vittoriosi in molte lotte amministrative e politiche. La fusione dell’ estrema sinistra combattè, con l’ostruzionismo, i famosi provvedimenti reazionari proposti dal ministero Pelloux, seppellendone la politica: e, nelle elezioni generali politiche del 1900, l’Estrema parlamentare si rafforzò specialmente di deputati socialisti, il regicidio di Umberto I, l’assunzione al trono di Vittorio Emanuele III ed una nuova politica liberale si proiettano sullo sfondo dell’ alba del nuovo secolo.
        In seguito, l’atteggiamento de’ socialisti diventò più remissivo e più arrendevole, ammettendo che un governo borghese potesse fare riforme utili al proletariato, mentre prima era ritenuta insidiosa ogni riforma che venisse da borghesi. I riformisti, che avevano a capo l’onorevole Filippo Turati, erano considerati dai rivoluzionari, capitanati a Milano da Arturo Labriola, come gente che avesse sacrificata la sostanza del programma; il quale, mercè la collaborazione coi governi borghesi, rappresentava, come questi diceva, non l’evoluzione, ma la bancarotta del partito socialista. — Al congresso di Imola del settembre 1902 erano rappresentate 836 sezioni; al congresso di Bologna del 1904, 829 sezioni. L’ onorevole Morgari, per conciliare la concezione riformistica con quella rivoluzionaria, inventò il nome nuovo di integralismo, battezzando così questa corrente da lui suscitata.
        Il sindacalismo, teorizzato dal Sorel, eloquente apologeta di violenza, in Francia, d’onde fu importato tra noi, rappresentò una corrente sorta nelle file de’ rivoluzionari. Esso, sopprimendo lo stato attuale, la vita parlamentare e tutto l’odierno ordinamento, cui sostituisce il sindacato, deus ex machina dell’ intiera organizzazione sociale, concepisce invece il sindacato operaio come prima e massima istituzione sociale.
        La Confederazione generale del lavoro, sorta nel 1906, prendendo il posto del Segretariato della resistenza con tendenza rivoluzionaria, dette un ordinamento più unitario e più organico alle assicurazioni operaie, accentrandole e disciplinandole; e sembrò destinata a diventare l’organizzazione intorno a cui sarebbe venuto a gravitare sempre più il socialismo in Italia.
        La vittoria del riformismo venne consacrata nel decimo congresso nazionale tenutosi a Firenze nel settembre 1908, in cui erano rappresentate 869 sezioni, sotto la presidenza dell’ on. Andrea Costa, il quale tuttavia era stato focoso internazionalista ed intransigente nell’azione politica. Arturo Labriola, che aveva fatto un’ intensa propaganda intransigente a Milano, si ritirò dal combattimento e si diede all’ insegnamento universitario. Da questo congresso il rivoluzionalismo si trovò, escluso, i suoi principii, i suoi metodi, la sua opposizione allo stato, lo sciopero generale come arma usuale furono condannati. Intanto, nelle file del partito e nella sua stampa periodica e quotidiana, si andarono infiltrando sempre più de’ propositi antireligiosi ed anticlericali.
        L’ undicesimo congresso nazionale del partito si tenne a Milano nell’ ottobre 1910, con 835 sezioni rappresentate e, nel campo politico, si stabilì di cercar di ottenere il suffragio universale per ambo i sessi, la rappresentanza proporzionale, l’indennità ai deputati, la garenzia della libertà alle urne, di impedire l’ aumento delle spese militari, mirandosi anzi alla loro diminuzione, di estendere la scuola, la coltura proletaria, e di chiedere le assicurazioni sociali, a cominciare da quella per l’invalidità e la vecchiaia di tutti i lavoratori. Alcuni socialisti videro la necessità di allearsi con altri partiti tra i quali la massoneria, e manifestarono aperta la loro qualità di massoni. Può dirsi che, in generale, congresso di Milano ribadì la vittoria del riformismo sul rivoluzionarismo.
        Il dodicesimo congresso, tenutosi a Modena, fu convocato per discutere il caso Bissolati che, nel marzo 1911, si recò a colloquio con S. M. il Re al Quirinale, fatto che suscitò sorpresa generale, non riuscendo a conciliarlo coi principii programmatici, che ritengono termini antitetici monarchia e socialismo. Attorno all’onorevole Bissolati si strinsero i più tenaci e arditi riformisti, come gli on. Bonomi e Cabrini; gli on. Turati e Treves erano favorevoli ad un ministerialismo temperato ma l’ordine del giorno rivoluzionario Lerda raccolse una maggioranza relativa sui vari altri ordini del giorno presentati. Però, l’ordine del giorno approvato non escluse, in linea teorica, che il gruppo parlamentare socialista potesse dare il suo appoggio ai ministero; e circa la partecipazione al potere, il congresso si dichiarò agnostico, cioè non se ne occupò. Così il socialismo italiano continuò la sua strada verso un riformismo sempre più transigente ed antirivoluzionario e la sua evoluzione verso un programma democratico. I socialisti da prima sostenevano che, tra il proletariato e l’ordinamento civile ed economico presente, esiste una antitesi assoluta, irriducibile; che i loro rappresentanti politici non debbono sostenere alcun governo borghese. Ma a poco a poco questa intransigenza e questo spirito combattivo si attenuano; si ammette e si riconosce che anche i governi borghesi possono fare delle buone riforme democratiche, che i deputati socialisti possono prestare ai medesimi la loro collaborazione, che possono anzi assumere il potere. Sorge così il ministerialismo, il ministeriabilismo. Si riteneva certa pertanto la entrata nel ministero dell’on. Bissolati, quando, all’ultimo momento, egli dichiarò di non potervi accedere, perchè gli ripugnavano la feluca e la redingote ministeriale. Ciò non ostante, il gruppo socialista si dichiarò apertamente e pienamente in favore dell’on. Giolitti, che prima aveva coperto di contumelie, chiamandolo « il ministro della mala vita ». Nelle lotte elettorali, finì per prevalere l’alleanza sistematica coi partiti affini e l’autonomia locale. Dal punto di vista religioso, alla formola famosa « la religione è affare privato », molti socialisti, in Italia ed altrove, hanno voluto spesso sostituire un atteggiamento apertamente antireligioso e di lotta contro la Chiesa ed i suoi istituti. Il socialismo ha pure manifestato le sue tendenze al libero amore ed al divorzio; e si ispira ad una concezione della vita essenzialmente positivista, e quindi in parziale antitesi con quella spiritualista cristiana. Nei suo complesso, rappresenta un movimento in parte contrario alle basi ed allo spirito dell’ordine sociale cattolico.

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