Comunità di Vallata tra Chiesa Madre, Cappellanie e Regia Dogana - Sergio Pelosi — Analisi dei Libri Maggiori, degli Squarciafogli e degli Squarciafoglietti.

Capitolo III
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3.1 Analisi dei Libri Maggiori, degli Squarciafogli e degli Squarciafoglietti.

        Dall’analisi dei libri maggiori, degli squarciafogli, delle passate e degli squarciafoglietti presenti nell’Archivio di Stato di Foggia, a cominciare dal 1500 fino agli inizi del 1600 non erano pochi i vallatesi che si dedicavano all’antica arte dell’agricoltura e della pastorizia. La maggior parte di loro non compariva all’inizio dell’istituzione della Regia Dogana come singolo proprietario di pecore ma quale affidatario d’animali per conto di qualche Venerabile Cappella soprattutto della Diocesi di Sant’Angelo dei Lombardi o di Bisaccia o di Guardia Lombarda o di Torella. Tra coloro che si poterono definire i primi proprietari di Vallata degni di nota vanno annoverati: Matera, Pennecchia, Garzella, Racano, Dattilo, Triunfo, Hippolito, Zeulo, Gallicchio, Pisano, Prospero, Cristiano, Mirabelli, Pelosi, Capuano e Pavese. Solo verso la metà del 1600, alcuni personaggi di Vallata, incominciarono ad apparire in modo autonomo come locati della Regia Dogana di Foggia, perché pagavano una fida per i loro animali. A testimonianza di una grande vocazione agricola e zootecnica di quel territorio irpino, i locati di Vallata, Andretta, Carife furono, sempre, in costante aumento in tutto il 1700 ed il 1800. Tra i primi vallatesi di cui rimase traccia già verso la fine del 1500 si devono annoverare: Angelo Vecchia, Domenico della Villa, Prospero di Gregorio e Francesco Varra. Di questi, il primo per sua stessa ammissione si dichiarò proveniente da Bagnoli e stabilitosi a Vallata perché ivi ussorato, la stessa cosa avvenne per della Villa, la cui famiglia d’origine proveniva da Villalago, e stabilitasi a Vallata perché lui fece il capo massaro degli eredi del Mag.co Don Liberato de Rinaldo di Napoli, prima nella locazione di Feudo d’Ascoli e successivamente nella locazione di Cornito verso Torre Alemanna, dove le pecore per pascolare avevano a disposizione più ampie superfici mentre, Prospero di Gregorio, assieme a tanti fratelli e cugini, proveniva da Scanno ed anche i Varra erano abruzzesi stabilitisi a Vallata, dove Francesco, agli inizi del 1600 fu anche il rappresentante dell’Unità del Buon Governo(= Sindaco) di quella città ed in quella veste citò in giudizio a Foggia (Dg. IV b. 57 f. 1562 ) Giovanni Ventura di Bagnoli, poiché, come capo collettiva della Cappella del S.Sacramento della sua città, pasceva le pecore sui pascoli della Mezzanella appartenenti a beni dell’Università di Vallata.
        Don Prospero di Gregorio, invece, era figlio di Don Baldassarre di Gregorio che negli anni 1592/3 aveva dichiarato già 320 pecore nella locazione di Cornito(=Squarciafiglio N.748) poi, sempre in quegli anni, comparve il notaio Fischetti di Sant’Angelo dei Lombardi che assieme ai suoi fratelli, ad Antonio e Matteo Saggese, ad Angelo dello Venanzio ed agli eredi de Luca di Ascoli, dichiararono una morra di pecore di 1635 animali. Così, in quegli anni la Venerabile Cappella di Santa Maria delle Grazie e del Santissimo Sacramento di Sant’Angelo dei Lombardi dichiararono 1260 pecore a Cornito, mentre il Mag.co notaio Don Gianluise Colameta di Trevico, da sempre ricco proprietario, ne dichiarava 1810 ed il suo massaro fu per anni un tal Valeirà di Vallata che le portava a pascere fin sotto la città di S.M. di Anzano, allora considerato casale di Trevico, dove ai margini del Regio Tratturo il suo padrone possedeva molti carri di erbaggio. In locazione di Vallecannella verso la fine del 1500, comparvero il Mag.co Don Ottavio Memoli di Ariano e Don Michele Giordano di Guardia Lombarda che assieme a Nunzio Pugliese della stessa città, avevano due morre perfettamente uguali di 924 pecore cadauno, mentre nutrito era un gruppo di allevatori che avevano avuto degli animali da gestire dalla Venerabile Cappella di Torella, tra cui c’erano i fratelli Gallicchio di Vallata, Pietro con 258 e Giovanni con 140, Michele Melchionna di Bisaccia con 51 ed Don Angelo Pisano di Vallata con 133,  così la Cappella di San Biagio aveva affidato 123 pecore a Leonardo Batta e 152 ad Angelo Bertone, mentre le famiglie Mirabelli, Capuano, Malgieri, del Bufalo e Pelosi erano di riferimento della Venerabile Cappella dell’Annunziata. Nel 1594, ai precedenti locati s’aggiunsero, in modo autonomo, Don Antonio Patetta con 969 pecore e Pompeo Patetta con 2600 ma a capo di una collettiva di 5 pastori tutti di Pescolanciano; seguirono poi Pompeo d’Antolino con 482, Donato d’Ambrosio con 594 e Gian Marino Morra con 803 e tutti e tre si dichiararono locati di Guardia Lombarda, mentre storicamente in locazione di Vallecannella c’erano il Mag.co Don Fabio della Castagna di Napoli con 5816 pecore, Don Troiano Ricciardi di Sant’Angelo, la Mag.ca Donna Catarina di Tursi di Bugnara con 4312, il Mag.co Don Ferrante Piccolomini con 2456 ed il Marchese della Rocca con 8935; nutrito era, invece, un gruppo di pastori di Montella tra cui Cesare de Simone, Carlo e Troiano Carfagna, mentre quelli provenienti dalla città di Nusco preferirono scendere nella locazione di Camarda, verso la terra di Melfi, perché a loro più congeniale e più vicino a casa loro.  
        Così, avvenne che con il tempo, tanti altri locati abruzzesi, come i Pisano che provenivano da Macchiagodena ed i Patetta da Pescolanciano, si stabilirono a Vallata ed in altri paesi dell’Alta Irpinia. Infatti, giunti nelle locazioni e nelle poste loro assegnate, gli addetti alle greggi iniziavano un periodo di vita estremamente duro, scandito dai ritmi e dai bisogni delle greggi, reso ancor più disagevole per le condizioni di vita primitiva e per la lontananza dai luoghi di origine che si svuotavano completamente. Paesi come Barisciano, Lucoli, Ovindoli, Scanno, Villalago, Frattura, Opi, Roccaraso, Rivisondoli, Pescocostanzo, Pescolanciano, si riducevano a poche centinaia di abitanti, per lo più vecchi e bambini, essendo la pastorizia transumante l’unica attività praticata nelle regioni montuose dell’Abruzzo. Per questo, molti locati, sposandosi nei luoghi dove effettuavano quest’antichissima attività o trovando soluzioni di vita più congeniali, finirono con lo stabilirsi in quelle cittadine dell’Irpinia che più gli ricordavano i paesi natii. Nel 1595, in locazione di Feudo d’Ascoli si stabilirono moltissimi pastori provenienti dalla lontana Calabria, precisamente da Albi, e tra loro ci furono: Marino di Pietrangelo, Domenico Zuccarino, Camillo e Lucio Paneo, De Pascale e Tullio Staffieri, mentre in pianta stabile anche negli anni successivi comparirà il Mag.co Don Alfonso de Feudis di Zungoli con 800 pecore; nella locazione di Cornito comparvero Ottavio Volpe con 2300 pecore, assieme a tanti altri locati che si definirono provenienti da Montella, così pure comparve un tal Don Angelo Francischetto di Trevico con 1086 pecore, di cui 128 erano di Masuccio Melchionna, 128 di Giovanni Paglia, 50 della Cappella S.S.ma Madonna della Libera, 50 della Cappella del Rosario, 50 di Fabrizio Masella e 140 del notaio Gianluise Colameta, mentre altri ricchi allevatori irpini furono il Mag.co Don Ottavio Longo con 1100 animali, il Mag.co notaio Fischetti con 856 e Donato Sciminico con 400, tutti e tre di Sant’Angelo; invece nella locazione di Vallecannella si confermarono tutti i precedenti a cui s’aggiunsero 50 pecore della Cappella del Nome di Dio, 50 di Andrea Iacovella, 50 di Don Michele Giordano e circa 300 dei fratelli d’Ambrosio che rientrarono tutti nell’unico gregge di circa 1000 pecore dichiarato alla Regia Dogana di Foggia sotto il nome di Giovanni Marino Morra di Sant’Angelo dei Lombardi. Quell’anno, i due arianesi, il Mag.co Don Ottavio Memoli e Marc’Antonio Di Stefano dichiararono rispettivamente 4400  e 600 pecore. Nel corso del 1600 tra coloro che a qualche titolo ebbero a che fare con il Fisco della Corona napoletana e che si considerarono di Vallata vi furono: Don Fabio Florianello, Francesco ed Andrea Casotti, Don Bartolomeo della Villa, figlio di Domenico, Don Cesare Sauro, Salviano Zamarra, Giovanni Berardino, Don Angelo Magaletta, Don Donato Antonio Novia, Angelo Cuoco, Donato Antonio Villano, Mag.co U.J.D Don Francesco Mirabelli, l’Ecc.mo Barone Francesco del Tufo, Don Scipione Pisano, Don Scipione Pennecchia, Francesco Ciccariello, Don Pietro Prospero, Mag.co U.J.D Don Giuseppe Garzella, Mag.co Don Francesco Pavese.
        Nel 1603 la situazione zootecnica evidenziata dallo Squarciafoglio N°766 evidenziava una situazione assai interessante nella Locazione di Vallecannella in cui furono comprese le poste di Salvetere e Canestrello, principalmente per la città di Guardia dei Lombardi che aveva una folta rappresentativa di sudditi della Corona, la Cappella del S.S. Rosario dichiarava 1500 pecore, Paolo de Bello  6mila, Angelo Pugliese 4mila, Donatangelo di Leo 2500, Angelo di Leo con 2500, Pompeo d’Antolino 4 mila, l’Ecc.mo Don Cesare Pignatelli 5000 pecore, De Spirito di Zungoli 2000, Don Innico del Tufo di Napoli 1000, Luca de Rinaldo di Ascoli con 4000; mentre in locazione Feudo D’Ascoli c’era Don Giovanni Scorza di Guardia con 2mila pecore, Donato Maffei di Bisaccia con 2000 mentre Orazio de Feudis di Zungoli ne aveva 3 mila, il fratello Camillo altre 3000, l’altro fratello Geronimo 2 mila, la sorella Diana de Feudis con il marito Gramazio Nardone 6 mila e duecento.
        Nel 1604, anno del terremoto che distrusse la Chiesa di San Giorgio a Vallata, la Cappella del Santissimo Sacramento di Guardia Lombarda dichiarò 262 pecore, di cui 53 erano della Chiesa del Carmine e 50 di Santa Maria, tutte affidate ad Annicchiarico di Zungoli, subentrato a Camillo Faratro della stessa città e che scendevano con regolarità sui pascoli del Tavoliere in locazione Vallecannella.  Interessante è la contabilità portata da quest’ultimo, relativa agli stipendi, al numero degli attrezzi, roncole, zappe e zappulli della Masseria Giardino, della quale fu accusato di cattiva amministrazione (Dg. IV, b. 23 f. 450) e per questo fu anche processato a Foggia presso il Palazzo Doganale. Durante tutto il periodo in cui quel tribunale di Foggia ebbe quelle speciali competenze, passarono in quegli uffici della corona napoletana tutti i feudatari dell’epoca, molte volte personalmente, altre volte rappresentati dai loro agenti per dichiarare gli animali posseduti che pascolavano in quelle locazioni, poiché quello era il vero business del momento e, non a caso, la grande proprietà terriera dell’Alta Irpinia era concentrata nelle mani dei Caracciolo di Torella, dei Pignatelli d’Egmont Fuentes duchi di Bisaccia, dei Ruffo di Scilla di Guardia Lombardi, dei principi Morra di Benevento, dei Guevara di Bovino, degli Imperiale di Sant’Angelo dei Lombardi, dei Doria di Melfi. Uno di quei Feudatari che comparve sempre in modo assai costante nel tempo, fu il Marchese di Trevico Don Cicco Loffredo che nel 1604 dichiarò 1100 pecore che prima utilizzò come capo carovana un tal Domenico Cipolla di Zungoli e, dopo 4 anni, lo sostituì con Annicchiarico della stessa città, arrivando ad 8 mila pecore; così, figurava con 500 pecore anche la Marchesa di Trevico, Donna Andreana Memoria, ed il Duca Don Ascanio Pignatelli di Napoli ne dichiarò 2500 che pascolavano nella zona di Montecalvo Irpino, mentre Don Innico del Tufo di Napoli ne aveva duecento. Tra i non titolati, molto presenti erano, invece, i fratelli Angelo e Pompeo d’Antolino di Guardia dei Lombardi che tra pecore e capre proprie e quelle del Capitolo della Chiesa gestivano mediamente 1000 pecore cadauno; il primo dei due, Angelo utilizzava come capo mandriano una tal Battista Pugliese sempre di Guardia che portava al pascolo anche le 20 pecore di Giovanni Berardino Magaletta di Vallata; poi, negli anni, i discendenti di Don Battista Pugliese divennero grandi proprietari, arrivando a 1200 pecore agli inizi del 1700. Sempre in quello stesso anno, comparve Don Michele Giordano di San Sossio che aveva la responsabilità di una collettiva di 820 pecore appartenenti ad alcuni locati della città di Guardia, precisamente 424 del Notaio Sala, 70 di Agostino di Leo, 50 di Clemente D’Antolino e 50 di Francesco Guarino. In quella locazione quell’anno c’erano anche i fratelli Orazio, Pietro e Cristoforo Cimaglia con 1200 pecore, Giuseppe Castalda e sua moglie Costanza di Ariano con 906 pecore, Berardino de Rinaldo di Ascoli 2 mila e chi se ne interessò fu Don Mariano Testa di Frigento, Andrea Iacovella di Guardia ne dichiarò 1160, di cui 22 erano di Marzia Gallo, 50 di Prospero d’Angelo, 424 di Orazio Sala e 140 di Geronimo Ruscillo, tutti di Guardia. Comparve anche per la prima volta Giovanni De Luca di Rocca San Felice con 1000 pecore, Giovanni Filicchi di Torella, Giovanni de Rinaldo con 500, ed il Mag.co Don Domenico Gualtieri di Napoli con 5320 pecore, Alessandro d’Angelo di Napoli con 1702 pecore e l’Ecc.mo Giovanni Andrea della Castagna di Napoli con seimila centotrenta pecore, la cui professazione gliela fece Angelillo Carella di Sassano; per la prima volta comparirono Giovanni Paolo Patetta di Pescolanciano con duemila duecento pecore di cui 500 erano di Matteo lo Russo di Guardia e Giovanni Battista Patetta di Pescolanciano con 3500 pecore di cui 165 erano di Falco Liberatori, 199 di Ottavio Padula e 160 di Matteo di Crescenzio, tutti di Pescolanciano. Altri locati di un certo rilievo erano Francesco Magaletta di Guardia che dichiarava 652 pecore di cui 50 di Angelo de Stabile, 83 di Don Cicco Capobianco, 22 di Selvaggio de Grippo, 213 di Iacovo Longo, 50 di Andrea  Ricciardi e 50 di Angelo Pertosa; sempre in quell’anno 1604 comparve Antonio Pisano di Guardia con 1139 pecore di cui 106 erano di Donato Capobianco, 320 di Angelo Vinelli, 53 di Don Michele Giordano che gliele affidò perché provenienti dal capitolo del Chiesa di San Sossio, 161 di Giovanni Capobianco e 136 di Angelo de Simone;  poi comparve Iacovo Frascione di Guardia con 390 e per la prima volta Giovanni Nufrio di Torrecuso con 600 pecore, mentre i due fratelli de Spirito di Zungoli, Marc’Antonio e Tarquinio ne dichiararono rispettivamente 1500 e 310. Nello Squarciafoglio del 1605/6 non vi furono grosse novità nella locazione di Vallecannella, salvo che comparvero i fratelli Bernardino e Geronimo de Rinaldo di Napoli, figli di Don Giovanni che dichiararono duemila pecore e la cui professazione a Foggia fu fatta da Pietrantonio Tanga di Vallata che fu il loro agente di fiducia anche per gli anni successivi mentre, Tarquinio de Spirito di Zungoli ne dichiarò 310 e la professazione gliela fece Giovambattista Raffa della stessa città, mentre comparvero per la prima volta  la Baronessa di Castrovilli, Donna Dorotea Sacca e chi pagò per lei la fida per le sue 500 pecore fu Don Giovanni Graziani di Villetta Barrea, la Baronessa di Sepino, Donna Gesualda D’Odorisia dichiarò 1000 pecore, Orazio Mastrillo di Nola 450 e chi fu il suo capo carovana fu Baldassarre Melchionna di Torella, Don Giovanni Marino Morra di Guardia ne dichiarò 150, Giulio Cesare Marotta di Montella 410, Angelo e Pompeo d’Antolino di Guardia Lombarda ne dichiararono rispettivamente  940 e 150 e colui che se si occupò quale agente del loro unico gregge fu Giovanni Magaletta di Vallata, così il Mag.co Don Domenico Gualtieri di Napoli che l’anno precedente aveva dichiarato 5320 pecore, in quest’anno 1606 ne dichiarò la decima parte, cioè 522 pecore, perché, come scritto nello Squarciafoglio, operava per nome e conto di altri signori napoletani ed in particolare per conto degli Orsini; così, alcuni anni dopo, alcuni discendenti dei Gualtieri, proprio a Vallata, fecero le veci del governatore locale, a testimonianza della loro vicinanza al casato degli Orsini. Nel 1607 i fratelli Patetta provenienti dalla città di Pescolanciano, Giovambattista e Giovanni dichiararono 1500 e 2200 pecore ed ebbero assegnati con il Bando di Calo, alcuni territori tra Ascoli e Candela, nell’ambito della “Posta di Monterocilo” ed in quegli anni decisero di stabilirsi nella verdeggiante Irpinia, lì dove ritrovammo i loro discendenti tra cui il Mag.co Dottor Don Alessio Patetta, medico di Vallata e suo fratello il dottore teologo; così Don Saverio Magaletta di Guardia condusse una collettiva di 1430 pecore mentre, sempre furono presenti esponenti della nobile famiglia dei de Rinaldo che in quell’anno dichiararono assieme al Mag.co De Luca di Ascoli 1050 pecore; così, sempre presenti furono Don Innico del Tufo e Don Domenico Gualtieri di Napoli ma residenti a Vallata con 540 pecore, la Marchesa di Trevico con 500 e suo marito con 1500 pecore, Don Giulio Cesare Mariniello di Zungoli con 1000 pecore, la cappella del Sacramento di Guardia con 1090 pecore e la cappella del Santissimo Rosario di Guardia con 1090; in particolare, quest’ultima affidò il suo patrimonio zootecnico in questo modo: 370 ad Antonio Pisano, 50 alla Cappella del Carmine, 52 alla Cappella del nome di Dio, 50 a Gervasio Iannullo, 100 a Cicco Capobianco, 125 a Rinaldo Capobianco, 50 a Giovanni della Villa di Vallata, 120 ad Agostino di Leo 120 ad Angelo Ruscello e 53 ad Annibale Magaletta di Vallata).
        Sempre dall’analisi dei libri maggiori, delle passate e degli squarciafoglietti sono stati sempre presenti i vari feudatari e gli utili possessori di Vallata, Paolo Antonio Poderico, Beatrice Ferrillo, i vari componenti la famiglia Del Tufo, Scipione e Pietro Carrafa(=1705pecore nel 1650), Beatrice della Tolfa duchessa di Guardia dei Lombardi e vedova di Giovanni Antonio Carbone che fu anche Doganiere della Regia Dogana Foggia nonché Marchese di Paduli. La fida delle sue 1055 pecore a Foggia prima la fece suo figlio Bartolomeo ed in prosieguo il Barone de Marinis.
        Nel 1639 nella locazione di Cornito, comparvero Rampino con 160 pecore, Lucarelli di Sant’Agata con 150, Don Donato Ruffo con 640, Luca Coluccia di Candela con 30, Don Antonio Morra con 740 e Don Giuseppe Boccia di Ascoli che assieme a Siconolfo ne aveva 820, Troiano de Rinaldo con 540 e Pompeo Caprio di Sant’Agata con 510. Nella locazione di Vallecannella, nello stesso anno c’erano Donna Giulia Brancaccio di Napoli con 1000, Andrea della Castagna di Sassano con 530, Geronimo d’Alessandro con 1850, Basilio Pandolfo che conduceva una collettiva di tanti suoi fratelli con 1360 pecore, e dalla città di Matrice arrivarono: Di Muzio Pietro con 230, Angelo d’Andrea con una collettiva di 14 persone con 2050 pecore, Biase Morricone con una di 17 persone e con 1050 pecore. Poi, ci fu tutto un gruppo di persone che provenivano da Guardia Lombarda, con a capo la Duchessa Donna Beatrice della Tolfa e chi si occupò delle sue pecore fu Bartolomeo d’Arminio di Vallata che le portava a pascere in parte nella locazione di Cornito ed in parte in quella di Vallecannella, dove le 2150 pecore professate, 800 erano della Cappella del Carmine, 78 di Francesco Morra, 11 di Fischetti, 20 di Iacopo Valente, 8 di Silvio Giordano e 34 di suo fratello Camillo Giordano; poi arrivò sempre da Guardia(Squarciafoglio 851) Antonello Pugliese con 590 pecore e Don Santo Morra proveniente da Cantalupo con 1400 pecore (di cui 42 appartenevano a Potito Nigro di Ascoli, 11 ad Angelo Fischetti e 26 ad Ottavio Siconolfi, entrambi di Vallata e 30 al Marchese di Roccaraso); poi, da Guardia dei Lombardi che doveva essere come una base di approdo per quelli che dovevano scendere con le greggi, vi furono le 1520 pecore di Donna Caterina Morra e le 2680 del Duca di Bisaccia.
        Nel 1640 (Squarciafoglio N°833) si aggiunsero in Vallecannella oltre all’Ecc.mo Don Giovanni Andrea della Castagna di Sassano con 530 pecore, Pietro Gentile con 230 pecore, Stefanelli con 40, Camillo Pisano con 740, Antonio della Croce da Vastogirardi con 250, Geronimo Pignatelli di Napoli con 3120 e Nunzio di Leo di Guardia con 920 di cui 34 di Camillo Giordano, 30 di Angelo Magaletta, 6 di Donato Compierchio e 20 di Iacopo Valente; sempre nello stesso anno, a Feudo d’Ascoli c’erano Tiberio e Ferrante d’Alessandro con 1670 pecore, i de Rinaldo con un numero uguale che però andavano a portare le greggi anche nella locazione di Orta, l’Ecc.mo Marchese di Bracigliano con 800, Giovanni Boccia di Ascoli con 800, de Felice di Albi con 260, Giovanni de Nardis di Villalago con 200 pecore, Giovambattista Vecchia di Bagnoli con 130 pecore, Attilio di Palo 460 di Villalago (di cui 105 erano di Fischetti di Vallata e 100 di Scipione d’Alessandro di Ascoli).
        Nello Squarciafoglio N.833 relativo al 1641 a Vallecannella, molti locati continuarono a venire da Matrice, come Giovambattista Guerra con 840 pecore a capo di una collettiva di 6 persone, così come Pietro De Nicola con 1000 e Basilio Pandolfo con 1300; invece, aggregati alla dichiarazione di Donna Beatrice della Tolfa, Duchessa di Guardia, comparvero il Dottor Don Silvio e Don Camillo Giordano di Guardia Lombarda, il Mag.co Don Francesco Morra e d’Antolino a cui s’aggiunse in modo autonomo Don Tiberio Parise di Guardia con 340 pecore di sua proprietà, mentre in locazione di Feudo D’Ascoli c’erano sempre i fratelli Scipione e Ferrante d’Alessandro con 2340 pecore, il Marchese di Bracigliano con 800 pecore che, come dice una postilla, pascevano ad Iliceto(= Deliceto), dove pure quell’anno, c’erano  i f.lli Izzi, i f.lli Salza ed f.lli Gasbarro, tutti di Cocullo.
        La Duchessa di Grumo Donna Giovanna della Tolfa ed utile Signora di Vallata a metà del 1600 aveva più di mille pecore di sua proprietà ma, come dicono le note esplicative sui registri, a seguito di alcune liti tra familiari, dall’anno 1651, saranno cedute a Don Fabrizio Pignatelli di Napoli che le aggiunse alle sue 3390 già dichiarate; il 1652 fu un anno senza sostanziali novità, a parte alcuni litigi nati tra il Duca Don Giacomo d’Alessandro di Pescolanciano e Marc’Antonio Loffredo, marchese di Trevico per alcuni pascoli nella zona di Ascoli.
        Nel 1654  il Mag.co Don Ottavio Pugliese di Guardia dei Lombardi fu nominato Sindaco per un triennio ed assieme a suo fratello Don Ascanio dichiararono a Foggia 620 animali. In quello stesso anno, nella stessa città, e nello stesso triennio 1654/6  fu nominato anche “l’arrendatore delle gabelle dei fuochi”, cioè colui che faceva pagare le tasse per nucleo familiare, il Dottor Silvio Giordano e, nella relazione (Dg. II, b. 22, f..430) riportò che i fratelli Pugliese erano tra i proprietari più ricchi in zona, ma avrebbero dovuto pagare un arretrato di 350 ducati (Dg I b. 22 f. 582). Sempre in quello stesso anno il Principe di Amatrice, Don Alessandro Ursino dichiarava un gregge di 319 pecore, ma un numero consistente di animali lo dichiarò anche il Duca di Bisaccia, 3645, ben separate da quelle di sua moglie che ne possedeva e dichiarava 1000. In questo stesso anno, comparve sul Tratturo Regio tra Rocchetta e Candela un altro piccolo armentizio proveniente da Pescocostanzo, tal Cannone, che con il tempo si stabilirà a Vallata in Alta Irpinia. Nel 1655, quando a Foggia il Doganiere era Viloa, la situazione era abbastanza stazionaria da molti anni, senza grandi novità che invece si cominceranno a registrare due anni dopo, cioè l’anno 1657, successivo alla peste che falcidiò il Regno di Napoli. Nel 1655 l’Ecc.mo Fabrizio Pignatelli vendette le sue pecore al fratello Geronimo che ne dichiarò pertanto 3390, mentre i locati  di Guardia, come Massenzio Pisano ne dichiarò 466, Camillo Pisano e l’Arciprete Di Leo 340, Ottavio ed Ascanio Pugliese sempre 620 pecore, mentre comparve Antonello Pugliese che si occuperà anche delle 45 pecore di Angelo Magaletta di Vallata e delle 45 pecore di Francesco Troiano di Rocca San Felice, professandone complessivamente 950, oltre alla ormai consolidata presenza dell’ l’Ecc.mo Duca di Sassano in diocesi di Conza, Don Giovanni Andrea della Castagna, con 647 pecore e l’Ecc.mo Duca di Pescolanciano Don Agapito d’Alessandro con 2694 pecore.
        Nello squarciafogli 1656 che andava nel 1657, l’Ill.mo Marchese di Trevico Don Enrico Loffredo dichiarò 2521 pecore solo nella Locazione di Feudo, in tenimento di Ascoli; così, allo stesso modo, Donna Isabella de Rinaldo, figlia di Don Troiano e moglie di Don Tiberio d’Alessandro, congiunto del Duca di Pescolanciano, stabilendosi ad Ascoli dichiarò 624 pecore e Donato de Rinaldo suo fratello  ne professò 800, servendosi di un uomo di sua fiducia, tal Domenico della Villa di Vallata, che fece il suo capo massaro; sempre nello stesso anno 1656/57 in locazione di Vallecannella il Duca di Pescolanciano professò 2694 pecore e chi pagò la fida delle pecore oltre che ad occuparsi del buon andamento del gregge fu Nicola Angelo Patetta che già si definì di Vallata perché la sua famiglia, pur proveniente da Pescolanciano, si era già stabilita definitivamente in Alta Irpinia. Così, la Duchessa Beatrice della Tolfa di Guardia dei Lombardi si divideva la professazione delle 1055 pecore assieme al Barone De Marinis. Nell’anno 1657/58 comparve un altro esponente della famiglia d’Alessandro, Don Giulio Cesare, con 978 pecore in Locazione di Feudo D’Ascoli; ma, in generale ci fu un grande rinnovamento di personaggi che parteciparono al “Nuovo Bando di Calo”, mai visto prima di quella data; scesero dei locati dalle città di Amatrice e di Accumuli, entrambi cittadine in provincia di Rieti, da Forcella, in provincia di L’Aquila, da Campotosto in Abruzzo Ultra a 18 miglia da L’Aquila e da Villa Terracina, villaggio vicino ad Accumuli. Tra quelli arrivati da quest’ultimo posto, c’era Don Giovanni David figlio di Lorito, accompagnato da un suo amico, tal Don Antonio di Petra. Da Campotosto arrivarono i f.lli Ciccarone, da Forcella arrivarono Lorito Di Vincenzo, Massimiliano Di Stefano e Pascale Di Benedetto; mentre Battista di Santo proveniente da Accumuli, si stabilirà definitivamente nella città di Ascoli perché chiederà anche la censuazione di terre salde. La stessa cosa faranno Annibale e Giovambattista Mancino che dalla città di Amatrice si stabiliranno in Irpinia ed i fratelli Gentile da Pescasseroli si stabilirono nel Tavoliere nella locazione di Salpi e di Castiglione verso la città di Manfredonia. Poi, nella Locazione di Vallecannella seguirono Angelo di Pietro, Basilio Pandolfi, Giovanni Francesco Cappelli, Carluccio Moschillo, Ferdinando di Fusco, Vincenzo D’Angelo, D’Antuono Giuseppe, Angelillo di Francesco, Giuseppe di Pietrangelo e Gregorio De Luca, tutti provenienti da Amatrice e tutti che usufruiranno dei terreni per pascolo vernotico; nella Locazione di Salsola, scenderanno, invece, in massa i pastori provenienti da Barisciano e Castel del Monte come i vari  Morrone, Angelone, De Iulio e Mancini. Rimarranno punti stabili nel panorama della Locazione di Vallecannella un tal Pietro Prospero di Vallata che assieme a Don Lorenzo D’Ambrosio di Guardia professarono 893 pecore. In quegli stessi anni si consolidarono le posizioni di Camillo Pisano di Guardia che assieme ad i suoi eredi beneficiarono di alcuni beni che furono ad appannaggio dell’Arcivescovo di Conza, Don Fabio della Leonessa, che abitava a Ceppaloni e che professava stabilmente un gregge  di 1100 pecore, suo figlio Scipione Pisano gli subentrerà nella gestione dei beni e si trasferirà a Vallata. Nel 1661 arrivarono i Colangelo assieme ad altri come i Pettinicchio da Capracotta, i de Leonardis ed i Rossi da Campo di Giove, nel 1662 i fratelli Giovanni e Nicola Cautillo da Rocca Mandolfi, nel 1663, i di Palo(=Pali) ed i di Carlo da Scanno, i Pegna ed i Santoro da l’Aquila che si stabiliranno entrambi nel Vallo del Cervaro, i Cornacchia dai monti Marsicani e Chieti. Nel 1664 le pecore di Don Ascanio Pugliese passarono al figlio Giovanni, mentre sempre a Guardia dei Lombardi si affermano i fratelli d’Antolino con 1110 pecore ed a Castel Baronia Giuseppe D’Ambrosio con 490 pecore. Nel 1666, in Basilicata, per fare un resoconto di ciò che era successo in seguito a quella calamità che fu la peste tanto distruttiva per tutto il Regno di Napoli, fu nominato Giuseppe Zampaglione quale commissario delle gabelle dei fuochi per tutto quel vasto territorio regionale. Nel 1671 comparve nella Locazione di Vallecannella l’Abate Don Alessandro d’Alessandro di Pescolanciano con 849 pecore che le affidò al capo collettiva che fu d’Arminio di Trevico, la duchessa di Bisaccia con 2000 pecore che ,invece, le affidò a Scipione Pisano che abitava a Vallata, ma originario di Guardia  con 700, la cappella del Carmine di Vallata con 800 pecore professate da Bartolomeo Magaletta di Vallata e per la prima volta comparve Orazio Sena di Andretta con 200 pecore. Nel 1674 Don Valenzio Patetta di Vallata dichiarò 500 pecore reali e chi fece la professazione a Foggia fu Orazio Grosso; compare, invece, per la prima volta l’arcidiacono Don Giovanni Pietro de Felice di Sant’Angelo del Lombardi, il figlio ed erede di Grandonia Sciminico con 800 pecore e da quello stesso anno anche la Cappella della Madonna di Guardia ne dichiarò 1000 e chi le professava fu un tal Francesco Ciccariello di Vallata, così comparve ancora don Scipione Pisano con 500 pecore.  Nel 1683 comparvero e si stabilirono in modo fisso nella locazione di Vallecannella i fratelli Ruberto provenienti da Lucoli che oltre ad animali di grossa taglia, cioè vacche, chiesero terre salde da coltivare tra Rocchetta e Candela e la stessa cosa fecero i Vespa, i Morelli ed i de Mauro, tutti di Calascio, che, invece, si fermeranno vicino Lucera; nel 1684 comparve Giuseppe Antonio Cicchetti, proveniente da Atessa, ed i fratelli d’Orazio da Scanno, mentre nel 1686 comparvero Tommaso la Manna e fratelli, provenienti da Guardiagrele come proprietari di 200 pecore che, con il tempo, assieme ai Volpe provenienti da Ovindoli al seguito del Duca Colabianchi si stabilirono nella locazione di Vallecannella, alcuni a Vallata, altri a Monteleone. Intorno alla fine del secolo, altre collettive abruzzesi si stabilirono nella vicina locazione di Cornito, verso la terra di Bari, tra questi i Campese che provenivano dall’Aquila e preferirono stanziarsi lungo il braccio di tratturo Orta-Tressanti (=Ortanova-Cerignola) mentre gli Andreana ed i Guerrieri provenienti da Roccaraso, furono sempre molto presenti nella Valle del Cervaro, specialmente nel braccio di tratturo che collegava il Candelaro al Cervaro, tanto che c’era un sentiero affianco all’omonimo fiume che, all’epoca, era conosciuto come “rotta Guerrieri”. A cominciare dal 1700, molti personaggi di Vallata comparvero sulla scena della Regia Dogana di Foggia, divenendo così sudditi della corona napoletana e non più sudditi del feudatario locale, tra questi Bertone(1702), Garruto(1725), Quaglia(1725), Pelosi(1737), Travisano(1737), Del Sordi(1738), Pali(1739), De Santis(1744), Di Netta(1759), mentre riconfermarono la loro presenza i fratelli Pavese nel 1759 ed i fratelli Gallicchio nel 1768. A questi fecero seguito Netta(1781), di Gennaro(1786), Villani(1787), Blasi(1787), Cornacchia(1796), Cirillo(1801).
        Ai primi del 1700, il primo tra i vallatesi ad avere delle proprie greggi oltre a quelli di cui s’è fatto cenno in precedenza, fu nel 1702  Bertone Giuseppe che, fra l’altro, fu prima incaricato dalla Duchessa di Bisaccia di occuparsi di una parte del suo gregge, cioè di 1000 ovini e dall’anno successivo ebbe ugual incarico anche da parte del Principe di Melfi che gliene affidò 500 che portò a pascolare nella Locazione della Camarda, cioè verso la Basilicata. Sui registri squarciafogli, il Principe di Melfi, a volte apparve come Governatore, Don Ferdinando Spinola, mentre altre volte comparve come Principe Doria, ma gli agenti e procuratori in terra lucana furono sempre esponenti della famiglia Araneo. Nel 1704 si evidenziarono nella locazione di Vallecannella la posizione di Don Tiberio Ricciardi che oltre ad aver fatto una professazione di 5000 pecore, nell’ambito della Posta di Monterocilo ad Ascoli, ebbe un’assegnazione di poco più di un carro di terra salda da mettere a coltura; allo stesso modo Don Michele de Martinis a Cerignola ne ebbe due da mettere a coltura e l’ Ill.mo Principe di Troya ne ebbe 8 carri e mezzo nella “Posta della Crusta” ad Ascoli, mentre il Marchese di Trevico e Conte di Potenza, come evidenziato dallo squarciagoglio 3766, ebbe 8 versure e mezzo di terra da trasformare nella “Posta della Tufarella” sempre in Ascoli nell’omonima locazione; dal 1706 Giuseppe Bortone che dovette godere fama di ottimo massaro di pecore, divenne il fiduciario anche del gregge composto da più di 900 pecore del Mag.co Don Carlo Verdoglia di Trevico, padre di del Dottor Don Giuseppe e, l’anno successivo, prese anche l’ incarico della conduzione e responsabilità delle 400 pecore di Don Nicola Podiglione di Bovino. Così, Don Giuseppe Bertone assieme al figlio pure di Vallata, si comportava come un grande imprenditore perché da una parte cercava nuovi clienti e dall’altra subaffittava le greggi a vari pastori e massari di sua fiducia, principalmente di Sant’Angelo e Guardia dei Lombardi, ma sempre rigorosamente fuori e lontano da Vallata. Nello Squarciafoglio N°281 che riguardava gli anni 1705/6 nella Locazione di Feudo d’Ascoli la maggior parte dei locati proveniva dall’Abruzzo: Biagio di Loreto di Civitella curava le sue 122 pecore e le 6632 della Cappella del S.S. Rosario della sua città, allo stesso modo, Don Domenico Iannucci sempre di Civitella, curava le sue 702, ma faceva da capo-collettiva ad un gregge di 8555 pecore di Don Florio Spagnuolo di Civitella;  poi, c’era il Duca di Popoli con 5266, la Cappella del S.Sacramento di Villalago con 6494, i fratelli Buccino da Villalago con  2180, Giovanni Gentile da Cocullo con 4825, Giuseppe di Maggio da Ortona nei Marsi con 5664, Giuseppe Morte da Sulmona con 2106, la Cappella di Introdacqua con 1492, mentre i locati che vivevano in quella Locazione di Ascoli erano Don Francesco Martino con 1688 pecore e Don Carlo di Martino con 166, Giuseppe Maffei di Iliceto (=Deliceto) con 1580, Don Nicola Buonuomo di Accadia con 1580, a cui s’aggiunse Don Venanzio Pasquarella che pur venendo da Frattura in Abruzzo con 855 pecore, si stabilì nella città di Ascoli; mentre nella Locazione di Cornito c’era l’Ecc.mo Don Antonio Carrafa con 4022 pecore, l’Ill.mo Principe di Supino con 966, Don Salvo de Juliis del Gamberale con 2780, ed i tre locati Don Marco Graziani con 5832, Antonio De Santis con 4022 e Pietro di Virgilio con 3700, provenienti da Villetta Barrea; invece, nella Locazione di Vallecannella c’era la Cappella del Carmelo di Guardia con 1343 pecore, Don Gaetano Intoccia di Sant’Angelo del Lombardi con  183, Don Giuseppe Verdoglia di Trevico, figlio di Don Carlo con 915, Pietro de Benedittis di Ascoli 615, l’Ill.mo Principe di Melfi con 3052, l’Ill.mo Principe di S. Buono con 9152, Don Pietro di Cesare, arciprete di Candela 186, l’Ill.mo Dottor Don Giulio d’Andrea di Pescolanciano con 11589, Josafat del Monaco di Vastogirardi con 10642, il Duca di Pescolanciano con 9142, Ill.mo Duca di Lauriello con 13452, la Duchessa di Bisaccia con 6101, Don Gaetano Pisano di Macchiagodena con 4689, Domenico Ciccone di Macchiagodena con 4025,, l’Ill.mo Duca di Termoli 1221, l’Ill.mo Duca del Peschio Don Cesare Pisanelli con 4874, Donatantonio Gualtieri di Napoli per conto del Duca Orsini 4266,l’Ill.mo Conte di Longano 4936, la Cappella di S. Antonio di Bisaccia 6102, la Cappella del S.S. Sacramento di Alfedena con 3662, i fratelli Palmieri di Ascoli 610, Don Carlo de Renzis da Scanno 251, Cosimo Terrigno di Macchiagodena 610, Don Tarquinio David di Monteleone di Puglia con 2136, Alfieri Tarquinio di Carbonara con 1831.  
        In quello stesso anno, 1706 e fino al 1708, sarà credenziere della Dogana di Foggia il Mag.co Don Francesco Freda di Bisaccia, addetto alla registrazione degli animali negli squarciafoglietti ed all’esazione della fida; suo figlio, il Mag.co Dottor Don Nicola Freda avrà la censuazione di alcuni terreni in tenimento di Rocchetta, situati tra quelli del Capitolo del S.S. Sacramento e quelli di Don Michelangelo Santese, nella zona del Calaggio, a confine tra Rocchetta e Sant’Agata e questi frequentò spesso Vallata perché ospite a casa Malgieri e Pelosi, tanto che diverrà padrino e testimone del matrimonio tra il Mag.co U.J.D Don Carmine Pelosi e Donna Caterina, figlia del Dottor Fisico Don Alessio Patetta.
        Nel 1710/11 cominciarono ad apparire figure nuove presso la Regia Dogana di Foggia che divennero censuari nella Locazione preferita dagli irpini, oltre a Verdoglia di Trevico, Gaetano Intoccia di Sant’Angelo dei Lombardi, e vari componenti della famiglia David di Monteleone di Puglia di cui Tarquinio fu il 1° con 350 pecore e sposato con Donna Maria Salino della stessa città, che vantava ottanta tomoli di terra nella “Valle del Bracco”, 30 tomoli presso la “Fontana di Vena” e 26 presso la “Fontana Fredda”, siti nei quali allevava le giumente del Conte Ludovico Platti, possessore della terra di Monteleone di Puglia (Dg. II b. 173, f..4040), che nel 1717 gliene regalò 50; per la prima volta, comparvero i Signori Guglielmo Fasano, Eugenio Gualtieri, Gioacchino Pinto e Nunzio di Benedetto, che si definirono tutti di Napoli ma residenti a Vallata per volere del principe Orsini, così come specificato in un codicillo in basso nel relativo registro squarciafoglietti. Sempre in quell’anno arrivò l’Ill.mo Signor Principe di San Martino Valle Caudina con 1600 pecore e chi curerà il suo gregge fu Pisano di Vallata, così come comparve Donna Bianca Ferrara di Napoli con 500, il Duca di Lauriello con 3200, il Duca di Termoli con 2000 ed il Conte di Longano, appartenente alla famiglia Gaetani, con 810 pecore che aveva anche possedimenti nel Beneventano e nel Casertano, che comperò tutto il gregge composto di 800 pecore dal Marchese di Trevico ed a questi subentrò anche se rimase per qualche tempo ancora il nome del Marchese di Trevico, ma con un’annotazione in basso che diceva: “pecore vendute 800, giusto decreto del 27 Maggio 1710- Foggia” e, sin dall’acquisto del gregge il Conte di Longano l’aveva affidato alle cure di Nunzio del Vecchio, massaro di Castel Baronia. Il Conte aveva un fratello che era un famoso Abate che gli pagava annualmente la fida delle pecore ed a lui si devono alcune descrizioni della città di Foggia di quell’epoca che Ventura17  mirabilmente riportò : “innumerevoli sono i disagi ed i pericoli per l’incauto viaggiatore in questa città: aria mefitica, sporcizia dilagante, locande scomode ed inospitali, caldo insopportabile, fetori ripugnanti, zanzare ed ogni altra sorta di insetti, oppure freddo intenso, umidità perniciosa e febbre terzane”, ma questi la cosa contro cui metteva in guardia era soprattutto “l’indole perversa degli abitanti, svogliati ed insolenti gli uomini, oltre che violenti  e consumati da insana passione per il vino, il gioco d’azzardo ed il furto, focose le donne, ladre pur esse e soprattutto inclini alla lascivia godereccia”. E, per avvalorare questa sua ultima teoria, l’Abate Longano scriveva che un esempio gli era fornito dai pellegrinaggi nell’ultima domenica di Aprile al Santuario dell’Incoronata, dove la popolazione femminile in quel “sacro bosco pratica ben altre devozioni che quelle religiose e per il modo in cui avveniva il ritorno in città, il corteo somigliava più ad un gruppo di sfrenate baccanti che di pie pellegrine”. Nella locazione di Vallecannella, considerata da sempre quella della maggior concentrazione di nobili, oltre a quelli storici di cui si è accennato in precedenza, se ne affiancarono altri oltre al Conte di Longano come il Duca di Pescolanciano ed il Cardinale Don Francesco del Giudice di Napoli che, con Filippo V di Borbone, fu viceré di Sicilia e la cui professazione a Foggia veniva fatta dal suo agente di fiducia Don Antonio Iammarino. Costante fu la presenza del Duca e della Duchessa di Bisaccia e del Principe Pignatelli con 1500 animali, mentre in quell’anno in locazione di Feudo d’Ascoli comparvero Lorito di Risio da Cocullo con 350 animali e Biase di Loreto con 510 animali da Civitella di cui 100 erano del fratello Vittorio, 130 dell’altro fratello Antonio e 120 di Angelo Russo e, così come arrivarono e si stabilirono nella zona d’Ascoli, successe la stessa cosa per Domenico Iannucci e figli sempre provenienti da Civitella e per Giacomo Gentile con i loro 500 animali proveniente da Cocullo. Nel 1711 Giuseppe Bertone di Vallata si trasferì a Rocchetta Sant’Antonio perché era più facile andare e tornare a Melfi e di lì raggiungere Vallata e, oltre a fare la stessa attività imprenditoriale si cui si è parlato in precedenza, diventò proprietario di 800 pecore ma, in quello stesso anno, fecero comparsa per la prima volta alcuni vallatesi che fecero professazione a Foggia: Donato della Quaglia con 35 pecore, Isidoro del Bufalo con 120 pecore, Domenico di Donato con 500 pecore, di Netta con 100 pecore, Alessio Patetta e figli con 500 pecore, Pietro ed Antonio Garruto con 200 pecore, tutti recanti la seguente nota: ”si consente il pascolo sulle sole terre di portata, così come riportato dal Commissario del Calo e con Decreto dell’Ill.mo Eccellenza Governatore Guerrero; da questa data possono fare professazione in detta Locazione di Vallecannella, dalla quale adesso dipendono”. Comparve nella stessa data un altro locato di Trevico, Gennaro Marinelli con le sue 280 pecore che furono affidate a Saverio Coda, lo stesso che si occupò delle 60 pecore di Famiglietti di Frigento e quelle molte più numerose dei fratelli Testa della medesima città, mentre provenienti da Villetta Barrea furono i fratelli Graziani che si stabilirono in locazione Cornito, così come fece Vit’Antonio de Feudis proveniente dalla città di Gamberale con 4100 animali, con il  massaro, tal Liberato Mosca, detto l’abruzzese.
        Nel 1712  come apparve nello Squarciafoglio n° 950, Don Alessio Patetta  e suo fratello Giovanni di Vallata dichiararono in Vallecannella 500 pecore, mentre Gerardo d’Errico di Vallata 50, mentre s’attestano sulla scena dei grandi proprietari i fratelli d’Orazio di Scanno con 1200 pecore, Carlantonio Ciccariello di Piedimonte con 1000, Domenicantonio Gualtieri con 900,  del Monaco da Vastogirardi con 2000 ed i fratelli Graziani di Villetta Barrea con 1250 Nel 1714 comparve Don Giuseppe (la)Manna di Vallata con 100 pecore; nel 1715  i Patetta di Vallata vendettero 100 pecore al Protonobilissimo Marchese di Carife Giovanni Battista Capobianco; mentre al Principe di Melfi nel 1717 venne concessa la Posta di Canestrello e chi se ne occupò fu sempre Bortone Giuseppe. Altri grandi proprietari terrieri che si affermarono sempre più in Irpinia furono i Testa di Frigento (Gennaro, Alessandro, Domenico, Antonio, Angelo Carmine e Carlo, tutti componenti della stessa famiglia)  ed i David (Tarquinio prima e poi Nicolò, Giovanni e Gabriele) di Monteleone di Puglia. I vallatesi Don Alessio Patetta e figli Pietro e Giovanni sempre nel 1717 fecero professazione per 1000 pecore, servendosi anche di un loro amico, tal Mattia Ciccone di Ariano Irpino, ma queste furono solo in parte le loro, perché 120 erano del loro parente don Isidoro del Bufalo, 80 di Ciriaco de Cristofaro, 30 di Carlo Coppola, 30 di Don Giacomo Cataldo, 30 di Rocco Fabiano, tutti di Vallata, mentre 100 sono di Domenico Orlandella e 30 di Marc’Antonio Caffo della città di San Sossio, altre 50 sono di Geronimo Marinelli, 30 di Francesco Tudisco, 50 di Francesco D’Errico  e 50 di Alessandro de Spirito tutti e quattro di Trevico. In modo totalmente autonomo, senza ricorrere ad alcuna collettiva, si comportarono altri vallatesi come Don Domenico di Donato con 540 soggetti, Donato della Quaglia con 40 e Giuseppe Moffa con 100 pecore. Una breve menzione merita il 1° cioè Don Domenico di Donato in quanto era ben conosciuto presso la Regia Dogana di Foggia e diversi vallatesi di quel periodo si servirono di lui che non esitava a presentarli ed a farli partecipare al “bando di Calo” con il quale il Doganiere, tra la fine di Agosto ed i primi di Settembre apriva l’anno doganale che terminava a Maggio con il rientro delle greggi a Vallata. Don Domenico di Donato fu  l’unico tra i vallatesi ad essere inserito da subito sui terreni a pascolo e non su quelli di portata come gli altri, e ciò era da ritenere un notevole privilegio in quella locazione di Vallecannella. Questo comportamento molto aperto di Don Domenico di Donato continuò nel 1718 ed a lui, per la prima volta, affidò le 40 pecore Donato della Quaglia, così, gli furono anche affidate le 50 di un nuovo personaggio di Vallata, Don Giuseppe Mazza che le comperò da Verdoglia di Trevico che comparve sempre più come un ricco e potente proprietario; ma, al di Donato furono affidate anche le 800 pecore del Marchese Giovanni Battista Capobianco di Carife. Sempre Don Domenico di Donato nel 1719 vendette al Marchese di Trevico 300 pecore e così gliene rimasero altre 450 di proprietà, nel 1721 di Donato portò a Foggia, facendoli partecipare al bando di calo, due nuovi pretendenti locati, Don Giovanni Moffa e Donato Rituccio di Avellino. Con le pecore comprate da di Donato, il Marchese di Trevico fece una società con l’Ecc.mo Don Ottavio de Barberiis di Napoli che aveva anche molte proprietà a Foggia. Altri piccoli proprietari cominciarono a comparire a fianco di quelli che furono i nobili di sempre, basta pensare che il Duca di Bisaccia fece una professazione di pecore diversa da quella di sua moglie la Duchessa, il 1° paga la fida per  4000 pecore, la 2° la paga per 1000. Così nel 1722 comparve Don Antonio Iascone  di Trevico con 20 pecore, minimo dichiarabile per essere considerati locati e Don Giulio del Bufalo con le 30 pecore vendutegli da di Donato, Don Giuseppe Mazza con 50 e Don Titomanlio del Sordo con 60 pecore, tutti e tre di Vallata, mentre 50 ne dichiarò il Capitolo della Chiesa Madre di Vallata; poi, comparve anche un tal Nicola Castelvetere con 20 pecore vendute da di Donato e che lo presentò come nuovo locato presso la Regia Dogana e, così, Don Domenico di Donato dopo tutte le vendite, i cambi e le presentazioni varie nel 1725 dichiarò ancora 600 pecore, Don Alessio Patetta e figli Giovanni e Pietro ne dichiararono 1528 (di cui 100 affidate al Marchese di Carife),  Pietrantonio Garruto 420, Donato della Quaglia 100, e Don Gaetano Famiglietti di Frigento cominciò ad avere 210 pecore che per l’epoca erano un consistente patrimonio. Nel 1726 comparve  per la prima volta un nuovo nobile, il Barone de Paolis di Orsara con 500 animali accanto agli ormai consolidati feudatari di sempre, e da quell’anno le sue pecore e capre dalla “Difesa di Cervellino” iniziarono a scendere in Puglia; così comparvero altri piccoli affittuari come i f.lli Gerardo e Saverio Berardi di San Nicola Baronia con 30 pecore, Antonio Andreotti di Castello la Baronia con 20 capi,  20 di Maglio Andrea, 20 di Nicola Leone, 20 di Cesare di Carlo e 20 di Angelo Maglio, mentre per la prima volta comparve Don Francesco d’Arminio di Trevico con 100 pecore. In quello stesso anno, Don Domenico di Donato a Foggia presentò un nuovo amico, Nunzio del Vecchio di Vallata a cui vendette pure 30 pecore. Don Donato della Quaglia di Vallata a cominciare da quell’anno non comparve più ma, al suo posto, come dice la postilla in basso, comparve il figlio Alessandro, sempre con i suoi 100 animali che così come faceva il padre conduceva e dichiarava personalmente. Tra i non feudatari, ma molto ricchi comparvero i f.lli Testa di Frigento ed il Mag.co Don Nicolò David che assieme a Giovanni suo fratello delle 2000 pecore, ne cedettero 25 a Giovanni Battista Parisi di Monteleone, sindaco di quella città e suo consuocero ed altre 25 a Filippo Solimene di Montella. Ma, come scrisse il Dr. Don Marcello Cristiano di Vallata che era il pro agente del Conte Ludovico Platti di Monteleone di Puglia (Dg. II b. 172 f. 4040), riportandolo sull’inventario degli animali che pascolavano in Locazione di Vallecannella, nella Posta S.Andrea in località San Giusto, Don Nicolò David era il fiduciario dell’allevamento di cavalli di quel feudatario e lo era anche del Rev. do Capitolo del clero di quella città, tra i cui sacerdoti compariva anche suo figlio, il Dottore Don Gabriele (Dg II b. 261 f.6118). Così, senza nessuna novità di rilievo, si giunse al 1735, quando il Barone de Paolis confermò il suo precedente patrimonio. passando da 500 a 515 pecore ed apparvero nuovi proprietari come Antonio Tollo e Gennaro Tamburro di Monteleone di Puglia con 150 pecore, presentati da Giovanni David, e per la prima volta comparve Don Gaetano Mirabelli di Vallata(= sposato con. Rosaria Testa di Frigento) con 25 pecore vendutegli dalla società composta dall’Ecc.mo Marchese di Trevico e dall’Ecc.mo Don Ottavio de Barberiis di Napoli che dichiararono 1910 pecore, dopo averne vendute anche altre 260 ai f.lli Testa di Frigento. Così, sempre in quello stesso anno, il Dottor Fisico Don Alessio Patetta padre e figli Giovanni e Pietro, dichiararono 2150 pecore, di cui 340 erano di Garruto e 50 di Monaco, loro compaesani di Vallata e 50 di de Spirito di Trevico. Si arrivò, senza novità di rilievo, al 1736 in cui comparve per la prima volta Don Tommaso Colameta di Trevico, figlio del notaio deceduto con 134 pecore vendutegli da Don Giuseppe Verdoglia della stessa città che ne dichiarò 1378 (=entrambi diventeranno deputati responsabili della Locazione di Vallecannella) e, tramite quest’ultimo, partecipando al bando di calo, vennero accettati come locati i seguenti personaggi: Maglio e Leone di Castel Baronia con 20 e 58 pecore, mentre da Trevico furono accettati Andrea Iascone con 50, Francesco d’Arminio con 50 e Cesare Pelosi con 30 pecore. Quest’ultimo, era fratello di Don Antonio di Vallata, il 1° di cui ho avuto conoscenza, anche se i due non ebbero mai buoni rapporti. Ugualmente avvenne per il 1737, 1738, 1739 e così, senza sostanziali novità si giunse al 1740, quando comparve un nuovo nobile in questa locazione di Vallecannella, da sempre sede privilegiata di Feudatari dell’epoca, il Mag.co Don Goffredo Morra, Principe di Morra proveniente da Benevento e che ottenne dei pascoli verso Monteleone e Zungoli e dichiarò 650 pecore. Nel frattempo in quello stesso anno  il dottor fisico Don Alessio Patetta e figli di Vallata avevano preso in affitto con possibilità di riscatto alcuni locali dalla Chiesa del S. Sacramento di Vallata, situati a pian terreno dell’attuale Piazza Garibaldi, per costituire il loro studio nonché la base logistica ed operativa, dichiarando 2150 animali, di cui 340 erano di Pietrantonio Garruto, 50 del Rev. Capitolo della Chiesa Madre di Vallata, 50 di Matteo Monaco e 50 di de Spirito di Trevico.  Sempre in quello stesso anno, Don Gennaro Testa di Frigento si attestò a 1850 pecore, mentre il Mag.co Don Nicolò David, figlio di Tarquinio della terra di Monteleone che curava anche gli estagli del Conte Platti ne dichiarò 1800, di cui 50 erano di Carmine la Manna della stessa città; il duca di Bisaccia ne dichiarò 4838, mentre sua moglie la duchessa 1000, il barone de Paolis 515, Alessandro della Quaglia di Vallata continuò con le sue 100 pecore, mentre Gennaro Tamburro e Antonio Tollo di Monteleone avevano fatto una morra di pecore che era composta di 122 pecore cadauno. 
        Nel 1744 comparve per la prima volta Fortunato de Santis di Vallata e così pure fu la prima volta di Donato della Quaglia, figlio del quondam Alessandro che comparve per molti anni, sostituendo degnamente sia il padre che il nonno di cui portava lo stesso nome; mentre, sempre in quello stesso anno, vi fu un aspro litigio tra il Dr. Don Domenico Capuano di Vallata ed il Dottor Don Giuseppe Verdoglia di Trevico, (Dg. II b. 229 f. 5452) poiché quest’ultimo gli aveva affidato la gestione di una “Massaria arbustata di viti greche, aglianiche e latine” nelle Paludi di Napoli, di difficilissima gestione, situata proprio sopra Poggioreale e, dopo tanto contendere, quel contratto fu rescisso perché si verificavano sempre invasioni da parte degli abitanti del luogo, furti ed atti di malversazione nei confronti del gestore; nel 1745 Don Ottavio d’Alessandro istituì il Monte d’Alessandro ad Ascoli, una specie di banca che assolveva a crediti per i maritaggi e portato avanti negli anni successivi dal Dottor Don Antonio Rinaldi, suo nipote, che fece pure parte del Sacro Regio Consiglio per l’affitto dei beni feudali(=sin dal 1691 il canonico Don Ottavio Rinaldi gestiva pure la Grancia dell’Incoronata).
        Nel 1749 nella Locazione di Cornito i fratelli Don Ignazio e l’Ill.mo Dottor Don Attanasio Graziani di Villetta Barrea fecero la professazione per 17.660 pecore, Don Luigi di Virgilio per 4.440, mentre comparve per la prima volta Antonio Ciarletta da Scanno con 70 pecore, sempre presenti i fratelli di Loreto e gli eredi Iannucci da Civitella con 2 greggi identici di 2.400 pecore; mentre nella Locazione di Vallecannella il Barone Don Benedetto de Paolis di Orsara fece professazione per 7.970 pecore, l’Ill.mo don Baldassarre Coscia, Duca delle Paduli per 4050, Carl’Antonio Ciccariello di Piedimonte per 7.010, Don Andrea Grazioso di Frigento per 2050, Don Ciriaco Rago di Bisaccia per 4.000, il Dottor Carl’Antonio Bucci di Bisaccia per 1.200, la Cappella di S.Antonio di Bisaccia per 10.500, Don Callisto Rossi di Opi per 10.300, il Duca di Lavello per 2.040, Francesco Antonio Vitale di Serino ma responsabile del gregge del Signore di Sassano nel tenimento di Carbonara 18.200, mentre Don Donato della Quaglia di Vallata professò per 1000 pecore, l’Ill.mo Don Goffredo Morra Principe di Morra 6.100, Carlantonio Nunno e Domenico Pezzullo di Monteleone 2.820, il Rev.do Don Francescantonio e f.lli Patetta di Vallata 640, il Dottor fisico Don Domenico Testa di Frigento 4.300, il Dottor Don Fabio di Mauro di Andretta 3.550, così Don Giuseppe Famiglietti di Frigento venne a far professazione per conto suo e gli altri eredi Testa per 20.600 pecore, Don Michele Maglio di Castello la Baronia per 10.300, Don Nicola Scotti di Villamaina per 3.160, mentre Matteo Bascianello di Candela, per conto del Principe Doria, professò per 12.000 pecore e 300 per sé; Don Nicolò e Don Gennaro David di Monteleone per conto proprio, del Rev. Capitolo della Chiesa e dell’Ill.mo Possessore di quella terra, Conte Ludovico Platti, fece professazione per 15.990 pecore; così Don Gerardo Vinciguerra di Sant’Agata la fece per 4.250 per sé e per conto del Marchese di Trevico, mentre per la prima volta comparve Don Pasquale Buono di Grottaminarda per 3.040 pecore. Nel 1752 e per i successivi 4 anni il Mag.co Don Nicola Rinaldi fu il procuratore del Capitolo di Ascoli che vantava un cospicuo patrimonio sia di case che di terre in quell’agro in cui c’erano sia le proprietà della mensa vescovile, sia quello ingentissimo del duca Marulli, possessore di quella terra. Nel 1757 si registrò l’iscrizione di un nuovo vallatese Nunziante Pavese, solo per quell’anno e che in un processo trovato nella Dg. II, fu definito come persona non appartenente all’ U.J.D Don Nunziante Pavese che era il fratello del Rev.do Don Francesco sempre di Vallata che, invece, si iscriveranno congiuntamente nel 1768 e continuarono a farlo per molti anni seguenti seguiti dai loro eredi. La situazione generale percepita dagli squarciafogli rimase costante fino al 1758/9, con la sola eccezione di un tal  Don Ciriaco Rago di Bisaccia che sin da sette anni prima comparve come responsabile di 4000 pecore facenti parte delle varie cappelle della sua città, mentre, in quest’anno ed in maniera stabile per i prossimi anni comparve con 200pecore di sua proprietà. Diversi altri vallatesi comparvero nella Regia Dogana di Foggia in quell’anno, Don Felice di Netta comperò le pecore il 18 Marzo 1759 da Donato (del)la Quaglia che avendo avuto dei problemi con la giustizia e reintegrato dopo il giudizio dal Doganiere con 375 pecore, Nunziante Pavese, Don Carmine Pelosi e comparve il figlio di Pietrantonio Garruto; comparve la prima volta il Duca di Paduli Don Baldassarre Coscia con 50 pecore ed il Duca di Lavello con duemilaquaranta pecore, così alcuni locati di Castel Baronia come il Mag.co don Pasquale Mancini con 150 pecore, il Mag.co Don Saverio Colameta con 380, Angelo Andreotta con 50, Carlo di Carlo con 100 e, per la prima volta, comparvero Carlantonio Nunno e Domenico Pozzullo di Monteleone di Puglia con 50 animali, ma dichiararono che non scendevano mai in pianura, così pure Visconti Antonio con 25 pecore proveniente da San Demetrio Vestini che si stabilì tra Panni e Monteleone.
        Nella Dg. II b. 176 f. 4059 il 6 Maggio 1759 il Mag.co Dottor Felice di Netta a Foggia presentò l’atto di acquisto di 35 pecore dalle 400 di Donato e Michelangelo la Quaglia. Il Comune di Vallata certificò l’atto d’acquisto che fu redatto dal notaio Fabio Magaletta ed il Sindaco Francesco Antonio Zamarri, capo eletto Giovanni Cannone, eletto Vito Garruto ed eletto Carmine Francescantonio Ciriello scrissero: “ne siano a conoscenza” ed a seguito di quegli atti il Presidente della Regia Dogana, Don Antonio Belli, con il segretario Fragola, concesse quel reale privilegio a di Netta per 35 pecore. Si arriva così al 1760 anno in cui il Barone de Paolis di Orsara arrivò a 1920 pecore, mentre Don Nicolò David di Monteleone sposato con la sorella del sindaco del posto, Donna Anna Parisi, dichiarò 1190 pecore oltre a decine di giumente donategli dal Conte Ludovico Platti(Dg. II b. 856 f. 17449). Il procuratore di Don Nicolò David, da quell’anno in poi sarà il Mag.co Don Matteo Trombetti di Monteleone di Puglia, che, impegnato nell’attività di giudice di pace a Capurso, sposando Mariangela sua figlia, accrebbe di molto il suo già consistente patrimonio, poiché i David ed i Parisi a Monteleone di Puglia furono sempre le famiglie di riferimento per i Platti. Il Duca Ludovico Platti, quale figlio unico del Conte Don Geronimo Maria, quando suo padre passò a miglior vita, acquisì per “Decreto di Preambolo” anche il titolo di Conte di Carpignano e Principe di Monteleone di Puglia (Dg. II b. 173 f.4040). Dal matrimonio tra Don Matteo Trombetti e Mariangela David nasceranno tredici figli, 5 maschi ed 8 femmine tra cui vanno ricordati il loro primogenito che fu Don Michele(1768) che sposerà Donna Marianna(1776), figlia del Barone de Paolis da cui nasceranno Domenico e Matteo che sposeranno a loro volta Carolina D’Andrea ed Adelaide D’Auria poi, l’altro figlio che dette luogo ad una discendenza fu il sestogenito Don Benedetto (1782) che sposerà nel 1804 Maria Luigia Durante di Cerignola e così anche l’ottavo figlio Don Fedele(nato nel 1789 ed   arruolato il 3 Febbraio 1811 come Guarda d’Onore dal Cavaliere del Real Ordine Don Augusto Turgis) che sposò Maria Rosaria Testa di Frigento, dando luogo ad una discendenza: la prima figlia fu Mariangela che sposò il dottor fisico don Luigi Albani di Savignano, mentre il loro 1° maschio fu Don Gioacchino, (Fondo Intend. di Capitanata- 1855- 1° Uffizio 10/27, ammesso il 12 Marzo 1856 allo Squadrone della Legione d’onore a Palazzo Reale) che sposò Donna Maria Grazia Rossi di Anzano, da cui ebbe 8 figli tra cui il 1° fu il dottor fisico Don Federico sposato con La Baronessa Donna Maria Annina D’Aspermont e tra gli altri 7 c’era il nonno di mia madre, don Peppino Trombetti(= sposato con Donna Agnese Del Giacomo di Ariano) che fu l’unico, assieme a suo fratello Don Camillo(= sposato con donna Blandina Lallone di Monteleone) a dare una discendenza. I fratelli Michele, Benedetto e Fedele Trombetti furono quelli che, anni dopo, inalberarono a Monteleone di Puglia l’albero della libertà. Infine, l’altra figlia, la dodicesima di Don Matteo Trombetti e Mariangela David, che diede origine a progenie fu Donna Carmela(1796) che il 13/7/1818 sposò il Mag.co Don Francesco Cataldo di Vallata. Sempre nello stesso anno 1760, sul libro squarciafogli della Dogana delle pecore di Foggia comparvero stabilmente un buon numero di locati di Andretta come Don Lorenzo Franza con 200 pecore, Don Carlo Antonio Solimene con 200, Don Fabio di Mauro con 520, il Dottor Fisico Don Giuseppe Nicola Alvino, marito di donna Isabella Pelosi di Vallata con 200 pecore, Don Erberto Tedesco con 100, Francesco Zottola con 300, Giovanni di Cosmo con 300, Aniello Lorido con 50, Don Nicola Scanzano con 100, Carlantonio Solimene con 50. Nell’anno successivo, nel 1761 comparve Don Baldassarre Coscia duca di Paduli, che era un Pignatelli D’Egmont ed aveva 300 pecore ed il Barone Donato Antonio del Monaco con 4380. Sempre in quell’anno il vallatese Michelangelo della Quaglia, chiese come figlio di Donato, di poter sostituire il padre nella locazione di Vallecannella. Il Presidente della Dogana di Foggia, Don Genuario de Ferdinando concesse tale iscrizione e fu iscritto nel Registro Squarciafogli, dopo aver preso atto della dichiarazione del Comune di Vallata a nome del Sindaco Mag.co Don Mattia Cristiano, del capo eletto Dottor Fisico Don Felice di Netta, eletto Eusebio Pelosi, eletto Don Giovambattista Floja, che confermarono che Michelangelo era l’erede di Donato ed a suo nome c’erano 100 capre e 500 pecore Nel 1763 rimase tutto invariato, ma comparve la Cappella della Madonna di Costantinopoli di Cerreto Sannita con 3230 pecore e Ciriaco Rago di Bisaccia con 400 pecore, il Mag.co don Nicola Rinaldi di Ascoli con 1920 pecore ed il Dottor Fisico Don Giuseppe Nicola Alvino di Andretta sempre con 200 pecore fisse, ma con una professazione di 800 fatta congiuntamente al cognato U.J.D Don Carmine Pelosi di Vallata; così, comparve anche il loro amico il Mag.co Notar Don Nicola Scanzano di Andretta con 100; mentre Don Carlo del Sordo di Vallata ne dichiarò 100, nonostante che quell’anno dovette sostenere molte spese sia per la perdita della moglie Donna Maria Ippolito, (Dg II b. 663 f. 13727) della città di Rocchetta; nel 1765 comparve per la prima volta Don Andrea Vitale di Bisaccia con 400 pecore, nel 1767 tutti i vallatesi si fecero fare la professazione da un tal Felice Cognetti. Sempre in quest’anno, nella Dg. I b. 268 f.10231, il 9 Giugno fu presentata una istanza dal Dottor Don Carmine Pelosi di Vallata alla Regia Dogana di Foggia perché non era giusto che i locati di quello speciale tribunale che avevano le loro incombenze ed i relativi pesi di pagamento della fida, potessero essere disturbati dagli esattori che pretendevano il Diritto d’esazione della Doganella D’Abruzzo, perché quello era un atto contrario alle leggi vigenti. Il Marchese Don Angelo Granito rispose per iscritto tramite il segretario sacerdote Melanconicus che avrebbe desiderato sapere chi gliel’aveva richiesto perché quello era un atto gravissimo, tanto che volle ascoltarlo nel giro di dieci giorni per appurare meglio i fatti e rintracciare così i colpevoli, altrimenti si sarebbe proceduto in contumacia nei suoi confronti. Nel frattempo, da Vallata arrivò dopo due giorni, precisamente l’11 di Giugno, un identico reclamo di Michelangelo la Quaglia nella Dg. I b. 268 f. 10239 che raccontava le stesse cose,  con l’aggiunta che “fa orrore a solo sentire che occorre pagare un altro diritto di Doganella”. Stessa procedura anche per lui, ed i procuratori che risposero per loro conto furono l’U.J.D Don Nicola Rinaldi di Ascoli per conto dell’U.J.D Don Carmine Pelosi ed il Mag.co Don Aloisio Massari per conto di Michelangelo la Quaglia. Il giudice della Regia Dogana avendo ascoltato i due procuratori in istruttoria ricongiunta ed avendo accertato la volontà di scoprire realmente i colpevoli, li invitò nello studio privato del Presidente, l’ Ecc.mo Marchese Don Angelo Granito, perché si trattava di funzionari corrotti di quel tribunale. I due locati di Vallata ebbero ragione nelle loro richieste poiché da un’accurata indagine fu scoperto che le malversazioni erano state compiute dai cosiddetti ”cavallari”, funzionari della Regia Dogana che avrebbero dovuto avere solo il compito di contare gli animali ed indicare verso quali poste avrebbero dovuto dirigere le proprie mandrie e non furono pochi i casi in cui quelli rubarono senza riguardo a danno dei locati, ma non sempre tutti erano accondiscendenti e, come in questo caso, lo squadrone composto di 4 persone fu immediatamente processato.
        Nel 1768 Don Alessandro Vitale di Bisaccia per effetto di diversi acquisti salì a 4000 pecore, mentre comparve la prima volta l’Ill.ma Duchessa Donna Margherita Pignatelli di Andria con 200 pecore, mentre comparvero diversi locati di Andretta tra cui Carmine Negro, con 100 pecore, Pasquale, Leonardo e Michele Luongo con 150 pecore che intentarono anche una causa contro Angelo Scanzano cui avevano affittato una vigna (Dg. II b. 420 f. 8943). Invece, (Dg. I b. 156 f. 4076) il 12 Novembre 1768 il Dottor Don Nunziante Pavese e suo fratello il Rev. Padre Don Francesco, fecero domanda per essere ammessi in locazione Vallecannella e produssero istanza all’avvocato Fiscale Carlo Maria Valletta. Quest’ultimo, dopo aver visto l’atto presentato dai ricorrenti con il quale appariva che nel 1747 Don Nunziante aveva sposato Donna Anna Maria Patetta, figlia del Dottor Don Alessio di Vallata, gli confermano le trecento pecore reali in quella locazione. Anche il Comune di Vallata il 6 Giugno 1768 attestò che i due fratelli possedevano 500 pecore e cento capre, delle quali le 300 erano reali ed iscritte già in Vallecannella a nome dei Patetta ed attestato dal Sindaco Biase Bortone, dal capo eletto Dottor Fisico Don Giuseppe Cataldo e da dagli eletti Don Felice Pali, Pasquale d’Errico e da Don Celestino Novia. Il  notaio che firmò l’atto fu Don Fabio Magaletta ed il Procuratore suo figlio Arcangelo, entrambi di Vallata. Il Segretario della Regia Dogana a Foggia, sacerdote Don Saverio Melanconico, inviò l’atto tramite l’alguzzino Massari Luigi a Deliceto dove Don Nunziante Pavese si tratteneva per motivi di lavoro, lo firmò per accettazione davanti al Notaio Matteo Palombo di quella stessa terra ed ai testimoni Di Francesco di Flumeri e Marco Paglia di Trevico e fu rinviato in sede a Foggia agli scrivani del Real patrimonio. Nella Dg. II b. 176 f. 407, il Presidente della Regia Dogana Don Pietro Torella, iscrisse per 200 pecore cadauno i Fratelli Biase e Girolamo Gallicchio nel 1768, ed anche in questo caso i due si fecero consegnare un certificato da parte del Comune di Vallata che glielo rilasciò il 30 agosto 1769 in cui il Sindaco era Biase Bortone ed i due eletti erano Francesco Cautillo e Giovambattista Cautillo e, con identica procedura dei fratelli Pavese, furono iscritti nella stessa locazione. Nel 1770 tra i grandi proprietari comparvero i Grella di Frigento con 1000 pecore, i Testa di Frigento con 1000, il Barone de Paolis di Orsara con 2000, mentre compare un tal Primicerio Don Vincenzo Piscitelli di Cerreto con 2370 pecore, il Duca di Lavello con 2040 pecore(e per esso professò Don Francesco Saverio Giancamillo, persona di fiducia anche del Governatore di Vallata); mentre in quello stesso anno il Principe Doria fu citato in giudizio(Dg. II b. 462 f. 9800) dal Sindaco Albenzio di Lacedonia, perché alcuni cittadini di quel paese di cui era utile possessore, gli fecero presente che vi fu un mancato pagamento della fida di animali che pascolavano in terre demaniali appartenenti a quell’università;  nel 1771 apparve un altro locato della città di Andretta, per effetto di capitoli matrimoniali, il Dottor Don Michelangelo Solimene, figlio di Carlantonio, sposando donna Giuseppa de Conciliis, s’iscrisse con 450 pecore alla regia Dogana di Foggia;  negli anni 1772/73 la professazione dei vallatesi continuò a farla Don Felice Cognetti, che la fece, da questa stessa data, anche ai locati di Andretta, cui s’aggiunse Giovanni Barace e Giuseppe Merola; nel 1774 l’unica novità fu l’iscrizione in locazione di Vallecannella del Dottor fisico Don Giovanni Battista Pugliese di Guardia dei Lombardi subentrato al padre Mag.co Don Giovanni ed a suo nonno e per anni apparve come uno dei più importanti proprietari dell’Alta Irpinia, ritornando in possesso nel 1779 anche del “piano delle amarene” che suo padre nel 1702 aveva concesso alla Chiesa Madre di Bisaccia (Dogana II serie, b. 506 f.10733); nel 1775 comparve il Marchese Zampaglione di Calitri con 30 pecore, Don Filippo Gallo di Andretta con 300, e Don Girolamo e Don Biagio Gallicchio quell’anno si fecero professare dal figlio di Biagio, don Domenicantonio. In quegli anni, molti locati di Vallata, invece, di scendere a Foggia e fare la propria professazione alla Regia Dogana, si servirono dell’istituzione della Doganella di Ariano che assieme a quella d’Abruzzo svolgevano le stesse funzioni, ma in maniera decentrata. Quella di Ariano era in sostanza la cosiddetta “Mena delle pecore rimaste”, ovverosia c’era questo antico privilegio di cui parlò il di Stefano15, per cui i locati potevano anche rimanere in zona nel Principato d’Ultra e non scendere sui pascoli della Puglia. Nella Dg. II busta 516 fasc.10922, nel 1775 due gruppi di locati, uno di Calitri e l’altro di Vallata si contendevano in tribunale con diversi atti giuridici presentati, l’affitto di centinaia di pecore messe a disposizione dalla Cappella di Calitri, denominata del Tofano e quella dell’Annunziata di Vallata, che avevano  diversi carra di terreni loro riservati dai rispettivi Rev. Capitoli, ma che erano riuscite ad ottenere anche erbaggi regi situati sul tratturo Pescasseroli-Candela nei comuni di  Ariano e Villanova. I locati di Calitri erano Zampaglione Michele, Giovambattista Berilli, Francesco Tozzoli e Gennaro Fastiggi, quelli di Vallata erano Carlo del Sordo(che aveva appena vinto una causa Dg. II b. 512 f. 10878 contro Giovambattista Vella della sua stessa città per aver ricevuto dei gravi danni ad un fabbricato rurale per pascolo abusivo di animali), Michelangelo la Quaglia, Paolo del Monaco ed i fratelli Girolamo e Biase Gallicchio. Sempre nello stesso anno nella Dg. II b. 176 f. 4099, i fratelli Biase e Giuseppe Bertone di Vallata inoltrarono domanda a Foggia per essere iscritti come locati nella locazione di Vallecannella : “pur essendo stati i nostri avi sempre iscritti in quella della Camarda”. Allora, per sapere se ciò fosse stato possibile, i due reali scrivani Pasquale del Conte ed Onofrio Marafeo, addetti al Real Patrimonio andarono a perquisire lo Squarciafoglio del 1774 che andava nel 1775 e  trovarono che le pecore ascritte ai locati dell’intera locazione, fino a quel momento erano di 49.268 pecore reali e che per riempirla fino alle 59.878 previste, si sarebbero potute ascrivere ancora 10.610 pecore, cosa che fu trasmessa al Presidente della Regia Dogana, Don Saverio Danza. Questi, come per prassi, dopo aver visto l’atto del Comune di Vallata fatto il 31 ottobre 1775, e firmato dal Sindaco Don Santo Pelosi, dal capo eletto Diego Villani, dal eletto Giovanni Palmisano, conferì la possibilità di iscrivere  N° 300 pecore reali ai due fratelli Bortone, che così furono “incasati” nella locazione di Vallecannella. Nel 1776 comparve per la prima volta sui registri della Regia Dogana di Foggia il vallatese Don Paolo del Monaco con 300 animali e Don Nicolò Pelosi di Vallata in Locazione di Feudo d’Ascoli con 160, mentre continuò stabilmente la presenza dell’ U.J.D Don Nicola Rinaldi di Napoli, ma stabilitosi da anni nella città di Ascoli con 1950 pecore e la professazione(=pagamento della fida) gliela fece il Dottor Don Carmine Pelosi di Vallata; poi comparve un tal Don Carlantonio Bucci di Bisaccia con 960 animali, la Cappella di Sant’Antonio di Bisaccia con 450, Giulio Brunetti di Bisaccia con 50, Nunziante Cela di Bisaccia con 200 e Carmine Morte di Bisaccia con 100, mentre la prima volta comparve il Monastero di Donne Monache di San Luca di Potenza con 300 animali Nel 1777 in più rispetto a quelli dell’anno precedente comparvero i fratelli Leonardantonio e Nicola Domenico Batta di Vallata.  Nel 1780 il nuovo iscritto di Vallata fu Don Pasquale Travisano che entrò subito in conflitto con Leonardo Cerullo della stessa città per via di un diritto di prelazione(Dg. II b. 788 f. 16083), nel 1781 comparvero Don Michele Piccolo di Rocchetta con 1800 pecore reali e Pietro Corsano di Ariano con 1000 pecore che le pasceva sul tenimento di Ariano, a confine con Monteleone, in località denominata “Difesa Grande”; mentre il notaio Vitale di Bisaccia era proprietario di 5000 pecore a cui aggiunse 1500 vacche e 300 giumente prese in affitto dalle Laical Cappelle della sua città, coadiuvato in quell’attività dai fratelli Melchionna. Sempre nel 1781 comparve, per la prima volta, Don Vincenzo Netta di Vallata a cui seguiranno nel 1782 i fratelli Pasquale, Nicola e Michele Bertone che s’erano definiti della città di Rocchetta che cominciarono a litigare tra loro circa il diritto d’affitto di 40 versure di terra della Regia Corte in locazione di Vallecannella (Dg. II b. 656 f. 13562); nel 1787 fu la volta di Don Vincenzo Rosato e Donato Blasi sempre di Vallata. Nel 1793 comparve Don Carmine Gallicchio di Vallata e chiese d’iscriversi in locazione Vallecannella e dichiarò che i suoi antenati erano stati locati nella stessa locazione, ma non ricordava da quando tempo. I due real scrivani, forse diffidando delle sue parole, andarono a controllare e questo fu l’esito della loro indagine : “ I Gallicchio di Vallata e di Trevico, risultano locati di questa Regia Dogana sin dal 1698” e, così, don Carmine fu “incasato” in quella locazione ed assieme a Don Vincenzo di Netta professò una fida per 431 pecore che mandarono a pascolarono su alcuni terreni presi in affitto presso il Regio Tratturo, vicino a S.M.a d’Anzano, casale di Trevico, situati dopo quelli del notaio Don Saverio Colameta, e prima di quelli del Mag.co Don Giovanni Montieri e confinanti, con il Regio Tratturo ed a nord con “ Lu Sierro di Salta zippo”, confinanti con il tenimento di Monteleone. Nella Locazione di Cornito, invece, Don Nicola Rinaldi di Napoli professò per 6630 animali, il Principe Colabianco per 15193 e Don Giampietro de Benedittis di Ascoli con 4981. Intanto, così come riportato dallo Squarciafoglio N° 1386 del 1794, i locati di Vallata per quell’anno, in locazione Vallecannella furono Don Biase Bortone con 216 pecore, gli eredi del Dottor Don Carmine Pelosi con 646, Don Felice di Netta con 1293, Michelangelo della Quaglia con 1451, don Nunziante Pavese con 2696, Paolo del Monaco con 1055, don Pasquale Travisano con 431, Don Francesco Scola di Trevico con 3826. Nell’anno successivo 1795/6  come riportato nello squarcia foglio 1387, in Locazione di Feudo d’Ascoli c’erano  i fratelli Loreto e Pasquale Gentile di Opi con 3650 pecore, i fratelli di Loreto di Civitella con 10681, il Marchese don Girolamo Susanna di Zungoli con 6110, il Marchese di Trevico con 2534 e Don Paolo Maffei di Candela per conto proprio e per il Principe Doria con 8515; in Locazione di Cornito, oltre ai fratelli Graziani, professò Don Nicola Rinaldi di Ascoli con 6630; in Locazione di Vallecannella Don Nicola Rinaldi di Napoli con 8521, Don Nicola Scanzano di Andretta con 800, Don Amato Alvino di Andretta con 2235, Francesco Negro di Andretta con 226, Gabriele di Guglielmo ed Angelo Tudisco di Andretta con 1390, Don Carlantonio Solimene di Andretta 4310, la cappella del Santissimo Rosario di Calitri con 1235, Don Erberto Tedesco di Andretta con 2844, Don Filippo Gallo di Andretta con 2744, Don Alessandro Vitale di Bisaccia con 3490, mentre i vallatesi riconfermarono tutti lo stesso numero di animali degli anni precedenti. Nello Squarciafoglio N° 1389 per l’anno 1796/7 la situazione nella locazione di Vallecannella rimase più o meno invariata specialmente per i locati di Vallata; gli eredi del Dottor Don Carmine Pelosi professarono per 646 pecore, Don Felice di Netta per 1293, gli eredi di Don Girolamo Gallicchio e Don Vincenzo di Netta per 431, Michelangelo della Quaglia con 1451, Don Nunziante Pavese per 2696, Paolo Monaco 1022, Don Pasquale Travisano 431, mentre Don Alessandro Vitale di Bisaccia professò per 3490 pecore, Don Vincenzo Melchionna di Bisaccia per 560, Don Nicola Albenzio di Lacedonia 560, Don Nicola Rinaldi con 1451, Don Valentino Testa di Frigento con 4219, Don Simone Testa di Frigento con 3810 ed il Notar Pantaleo Grella di Frigento con 6649, mentre nella locazione di Salsola, il Marchese Don Girolamo Susanna professò per 3395 animali. Nello Squarciafoglio N° 1391 del 1797/8 nella locazione di Cornito, per effetto di alcune vendite di animali don Nicola Rinaldi di Ascoli dichiarò 234 pecore, la Cappella del Rosario di Vallata ne dichiarò 8395, Don Cesare D’Alessandro di Ascoli 1500, Don Donato de Santis di Vallata 4395, Angelantonio Graziani 2485, Don Gennaro Santoro di Ascoli 4055, Don Gennaro de Benedittis di Ascoli con 1492, Potito Giovine di Ascoli 2373, Ecc.mo Duca Don Vincenzo Marulli di Ascoli 14.214, Don Gennaro de Benedittis di Ascoli 4055; in Locazione di Vallecannella, gli eredi Pelosi, tutti in nome e per conto di Don Carmine professarono per 1025 animali, Paolo Monaco di Vallata per 1194, don Pasquale Travisano per 524, il Dottor Don Giuseppe Maria Mauro di Andretta per 11050, Don Ciriaco Rago di Bisaccia per 6303, Francesco Negro di Andretta per 503, Don Amato Alvino di Andretta per 836, i fratelli Testa di Frigento per 6242, Don Andrea Capaldi, Don Vincenzo Melchionna e Don Domenico Procaccino di Bisaccia per 42.666, Don Francesco Scola di Trevico per 5028, Gabriele di Guglielmo di Andretta per 2815, Don Giuseppe Tedesco di Andretta con 804, il Notaio Don Nicola Scanzano di Andretta per 15011, il procuratore del Marchese di Trevico e Conte di Potenza, Don Nicolò Cortese, per 7112, Don Nicola Rinaldi di Napoli per 13699 e Don Alessandro Vitale di Bisaccia per 3152. Nel 1801 nello squarcia foglio 1392, in locazione Vallecannella spiccano un nutrito gruppo di locati di Andretta, tra cui : Don Giuseppe Mauro con 11050 pecore, Don Gabriele di Guglielmo con 2816, Gaetano Iorio con 2574, don Giuseppe Tedesco con 801, Don Amato Alvino con 3352, Francesco  Negro con 503 ed i due soci Don Luigi Alvino e Don Angelo Tedesco con 2098, seguono poi altri locati di Bisaccia tra cui Don Angelo Capaldi che in società con Don Vincenzo Melchionna e don Domenico Procaccino dichiararono 4266 pecore, Donato d’Arminio 1280, Don Giuseppe Rago 6303, don Raffaele Rago 10912 che si interessò anche delle pecore della Cappella del Carmine, seguiti dai locati di Vallata che erano Don Carmine Pelosi con 1025, Don felice di Netta con 1194, don Nunziante Pavese con 1802, Don Pasquale Travisano con 524 e Paolo del Monaco con 1199, mentre Don Francesco Scola di Trevico ne dichiarò 5028, don Francesco Antonio Scotti di Gesualdo 1609, don Domenico Testa di Frigento 6242, e Don Valentino Testa della stessa città 4656; nello squarcia foglio n.1602 che si riferiva agli anni 1803/04, nella locazione di Cornito, continuarono a comparire alcuni locati  di Ascoli come Don Cesare d’Alessandro con 1500 pecore, Don Gennaro Santoro con 4055, Don Gennaro de Benedittis con 1492, Don Nicola Rinaldi con 734, Don Vincenzo Santoro con 3215, Don Vincenzo Angiulli per conto dell’Ill.mo Possessore il Duca Marulli con 14215 ed i fratelli Potito e Rocco Giovine con 2373, mentre sempre presenti furono i locati di Villetta Barrea come i fratelli Loreto e Nicola Graziani rispettivamente con 848 e 3686 pecore, Martino d’Orazio con 2915 ed i fratelli di Loreto, Don Nicola con 1561 e Don Gennaro con 1446; in locazione di Feudo d’Ascoli comparve l’Ill.ma Donna Anna del Suardo Guevara con 29036 pecore, il Duca di Ascoli con 5150, i Fratelli Iannucci da Civitella con 2640, Don Girolamo Susanna di Zungoli con 9796, l’Ill.mo Marchese di Trevico con 7669, Don Nicola Maffei di Candela con 2544, Don Michelangelo Vinciguerra di Sant’Agata con 1667 e Don Vincenzo Franza di Andretta con 1665; in locazione di Vallecannella sempre molto nutrito fu il gruppo dei locati di Andretta tra cui : Don Amato Alvino con 3352, Don Antonio e Pietro Negro con 2515, Angelo di Filippo e di Guglielmo con 503, Don Domenicantonio Alvino con 836, Don Erberto Tedesco con 6202, Don Filippo Gallo con 2518, Don Giuseppe Maria Mauro con 11050, Don Luigi Alvino con 2095, Don Vincenzo Franza con 1692, Don Nicola Scanzano con 15011 e Don Gaetano Di Tore con 2579, seguiti dai locati di Bisaccia tra cui  Don Andrea Capaldi con 4266, Don Antonio Rago con 2628, Don Alessandro Vitale con 3142 , Don Carlantantonio Bucci con 2325, la Cappella di Sant’Antonio con 8850, Don Donato d’Arminio con 1240, Don Mattia, figlio del quondam Don Angelo Melchionna con 4612, Don Nicola Albenzio 659, Don Nicola Sollazzo con 776; poi dichiararono 889 pecore la Cappella del S.S. Rosario di Calitri e 2668 il Marchese Zampaglione della stessa città, così, il Barone Don Francesco Zezza di Foggia con 2918, Don Francesco Antonio Scotti di Gesualdo con 1609, Don Domenico Vinciguerra di Sant’Agata con 5336, Don Francesco Scola di Trevico con 5028, Don Nicola Rinaldi di Napoli con 13699, Don Pasquale Mancini di Castel Baronia con 8894; poi, professarono anche i locati di Vallata: Don Carmine Pelosi con 1025, Don Felice di Netta con 1194, Don Nunziante Pavese con 1802, don Paolo del Monaco con 1194, Don Pasquale Travisano con 524, seguiti dai locati di Frigento: Don Pantaleo Grella con 7528, Don Simone Testa con 2792, Don Valentino Testa con 4659 ed infine, Don Nicolò Cortese che per conto del Marchese di Trevico e Conte di Potenza e per conto anche della Cappella di San Luca, dichiarò 7122 pecore.
        Consultando, poi, i successivi squarciafogli fino ai numero 1405-06, corrispondenti all’anni 1805/06, che sancirono la fine dell’età feudale, nelle tre locazioni più interessanti per gli irpini, cioè Vallecannella,  Feudo d’Ascoli e Cornito, non cambiò nulla rispetto ai registri degli anni precedenti, rimanendo più o meno la stessa situazione.

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